XXXII. In vino veritas

La normalità era tornata ben presto a riempire le giornate di chi non aveva conosciuto abbastanza bene Crisante da poter rimanere troppo colpiti dalla sua perdita. La morte faceva parte della vita, era inevitabile e chiunque prima o poi doveva farci i conti. Ma per chi, come Castria, la perdita era stata troppo importante, non era tanto facile tornare a vivere come se nulla fosse mai successo. 

Eppure doveva farsi forza, andare avanti e rispettare il patto fatto con Parmenione. Si era rinchiusa nel suo cubiculum per ben tre giorni, piangendo e ripensando alla sua amica persa, ma il momento del lutto era finito. Doveva darsi da fare, perché sapeva che probabilmente in quel momento Falco stava facendo lo stesso, cercando di rimettersi in sesto il prima possibile per poter combattere di nuovo. 

 Molte persone contavano su di lei, molte vite erano legate alla sue, e non poteva permettersi più neanche un attimo di debolezza. Fiduciosa, ma anche un po' in soggezione, quindi, dopo giorni e giorni di isolamento, uscì dalla sua camera da letto. Nessuno era mai entrato a disturbarla, a parte la sua fedele Clelia che entrava periodicamente a portarle da mangiare. Perciò non si aspettava nessuno di vederla uscire, perfino tutta baldanzosa. Gli schiavi la fissarono come se fosse un fantasma mentre camminava decisa tra i corridoi, diretta al tablinum

Sapeva di trovare suo padre indaffarato tra documenti ed impegni vari, ma proprio un momento del genere sarebbe stato il più propizio per la sua richiesta. Aveva un po' paura di un suo rifiuto, perché non sapeva come avrebbe fatto a rispettare gli accordi con Parmenione se avesse ricevuto una risposta negativa. 

Contò fino a dieci, prese fiato e bussò sul pannello in legno scorrevole che fungeva da divisorio tra l'ufficio e l'atrium. Sentì chiaramente la voce del padre che, all'oscuro di chi fosse dall'altra parte della porta, annunciò che poteva entrare. Si fece coraggio ed entrò, trovando il padre, come aveva previsto, con il naso tra documenti e missive. 

Il tempo che non passava al negozio, o al porto, lo passava all'interno di quella stanza e la maggior parte delle volte interagiva quasi sempre solo con i clienti. Un tempo avrebbe fatto carte false per poter dare una mano nell'impresa di famiglia. 

Erano passate solo poche settimane da quando chiedeva a suo padre di renderla partecipe, che anche se era una ragazza poteva aiutarlo. E ormai, non solo non pensava più al lavoro, ma non aveva neanche intenzione di rimanere a vivere con i suoi genitori per molto altro tempo. Non appena Falco fosse riuscito a raggiungere la libertà, si sarebbero sposati e tutta la sua vita sarebbe cambiata, in meglio. 

Ancora non avevano parlato del loro futuro nei dettagli, di ciò che avrebbero fatto e dove avrebbero vissuto, ma a lei importava solo di poter stare con l'uomo che amava. Tutto il resto non era importante. Aveva rinunciato in fretta, senza neanche accorgersene, a quelli che lei aveva sempre creduto essere i suoi sogni della vita. Solo per amore, il più puro tra i sentimenti. 

E anche per amore che era lì, davanti a suo padre che neanche l'aveva notata, indecisa se attirare la sua attenzione o aspettare che fosse lui ad alzare la testa.  E quando lo fece, dopo alcuni secondi, parve molto sorpreso di avere davanti agli occhi sua figlia. La figlia che non vedeva da svariati giorni e che si era rinchiusa nel suo cubiculum a piangere l'amica. 

Il momento di smarrimento e di sorpresa però durò solo qualche secondo, lasciando il posto ad un grande sorriso contento: "Castria, sei uscita", si alzò dalla sua sedia scricchiolante e le andò incontro, abbracciandola con forza quasi a soffocarla. Non avevano passato molto tempo insieme, da quando Castria aveva conosciuto Falco, e doveva ammettere che quel tipo di affetto le era mancato un po'. 

Suo padre aveva molti difetti, era all'antica e voleva avere sempre il controllo di tutti i membri della famiglia ma soprattutto si era fatto convincere da Tullio nella sua folle idea di sposarla. Per quello non era ancora riuscito a perdonarla ma sapeva che suo padre voleva solo il suo bene, e tutto ciò che faceva era solo perché credeva che fosse il meglio per lei. 

Per questo ricambiò il suo abbraccio, stringendolo a sé e tirando un lungo sospiro. Non era ancora riuscita a parlare con lui ma comunque si sentiva già meglio. E quando suo padre si allontanò per poterla osservare bene, come a voler una conferma della sua salute, le sorrise di nuovo senza però dire nulla. 

Poteva vedere nella sua espressione la preoccupazione di un padre che era stato costretto ad assistere al dolore della figlia. Si sentì immediatamente in colpa per essersi comportata in modo così egoista, nascondendosi per giorni alla vista dei suoi familiari, senza pensare che loro potevano essere in apprensione. 

"Posso parlarti?", chiese con un flebile tono di voce, cercando di non pensare a niente oltre alla richiesta che stava per fare. Longino non poteva neanche immaginare perché la figlia era piombata nel suo tablinum, ma era felice di poterla vedere in piedi, davanti a lui e senza neanche una lacrima. Annuì, contento, mentre tornava a sedersi sulla sua sedia e la invitava a fare altrettanto sulla sedia di fronte alla sua. 

Castria non se lo fece ripetere due volte, con il cuore che le batteva al massimo e le gambe che minacciavano di cederle, prese posto di fronte al padre, cercando di ricambiare il sorriso per non sembrare troppo nervosa ed agitata. Sapeva che doveva apparire sicura e tranquilla per riuscire a convincere suo padre, perché in fondo la sua non era una richiesta tanto assurda. 

"Di che cosa volevi parlarmi?", la incoraggiò il padre dopo qualche secondo di silenzio, con un tono affabile che spingerebbe chiunque a parlare. Così Castria iniziò a pronunciare il discorso che si era preparata ormai da giorni di fronte allo specchio. 

"Volevo parlarti del matrimonio, o meglio della mia vita dopo il matrimonio", lo vide fissarla un po' perplesso, improvvisamente conscio che se sua figlia era andata a trovarlo nel suo studio forse non presagiva niente di buono. Ma per sua fortuna restò in silenzio e la lasciò parlare: "Andrò a vivere in un'altra domus, sarà una vita completamente diversa con abitudini differenti, nuovi volti e nuove responsabilità e sono ancora molto giovane quindi un cambiamento così grande potrebbe sconvolgermi". 

"Se sei spaventata per il matrimonio, è normale figlia mia, ma non devi aver paura di nulla. Se stata educata per diventare una buona moglie e madre e siamo fiduciosi che ricoprirai al meglio questo ruolo", la interruppe lui credendo di aver capito dove la figlia volesse concludere il suo discorso, sempre con un sorriso che avrebbe dovuto tranquillizzarla. 

Ma quello che non sapeva Longino, era che Castria stava recitando un ruolo, che non era affatto preoccupata per il matrimonio con Tullio, consapevole e sicura che quel matrimonio non si sarebbe mai fatto. Era solo un modo per attirare l'attenzione del padre e magari riuscire a smuoverlo a compassione e convincerlo per la sua prossima richiesta. 

E lui aveva proprio abboccato, già completamente aperto ad ogni possibilità per aiutarla a superare le sue paure. "La vostra fiducia mi rassicura, ma non credo che basti. Per me sarà un grande cambiamento e sarei più sicura di me e più tranquilla se potesi portare nella mia nuova casa una persona di fiducia". 

Lo aveva detto quasi non fosse importante, anche se invece quella richiesta era alla base del suo piano e per questo era di vitale importanza che andasse tutto come aveva previsto. Calma e sangue freddo era l'atteggiamento che stava cercando di usare e di far trasparire. 

Aveva la piena attenzione di suo padre, incuriosito da quell'idea che non si era aspettato, e per niente sospettoso. Anzi, si era quasi rilassato quando aveva capito che sua figlia non voleva fuggire dai doveri di futura moglie, bensì un aiuto e un consiglio. 

"Stavi già pensando a qualcuno in particolare?", le chiese, già pronto praticamente a concederle quel regalo, perché ormai era chiaro quello che gli stava per chiedere. A Castria non rimaneva altro che parlare con chiarezza: "Clelia sarebbe perfetta, stavo pensando che potresti donarmela come regalo di nozze". 

Riuscì a vedere il cambiò d'espressione di suo padre, da curioso ad incerto e pensò che forse non era riuscita a convincerlo come aveva sperato. Non poteva permettersi di uscire da quella stanza con una risposta negativa, ed era pronta ad ribattere a qualsiasi sua obiezione. Si era aspettata che Longino non fosse subito propenso a dirle di sì, perciò era sicura di potersela cavare e di avere una risposta a tutto. 

Si era perfino aspettata molta resistenza dal padre di vecchio stampo, per questo rimase sorpresa quando lui disse soltanto: "Sei sicura di volere Clelia? è giovane e con poca esperienza", il suo problema era tutto lì. Non aveva detto di no, anzi aveva praticamente acconsentito. 

Gli sorrise, contenta, perché già sapeva che sarebbe riuscito a convincerlo, e ribatté con sicurezza: "Io e Clelia siamo cresciute insieme, lei è perfetta. Non credo di riuscire ad immaginare una vita nuova senza di lei", non le servì neanche pregare, quelle parole bastarono a Longino per convincersi. 

Non era poi un usanza tanto inconsueta, quella di regalare schiavi ai membri della propria famiglia, anche se lui non lo aveva mai fatto. Era comprensibile che sua figlia si sentisse così spaventata all'idea di cambiare completamente vita, e perciò la sua richiesta non gli sembrò strana. 

Quello che non sapeva era che Castria stava pianificando tutto per liberare Clelia, per rispettare il patto con Parmenione, l'unico che forse poteva aiutare sia lei che Falco a realizzare il loro sogno d'amore. Era solo un piccolo passo ma, per la prima volta da quando si erano conosciuti, sembrava che le cose potessero andare proprio come volevano loro. 

Ne aveva visitate molte di tabarnae, vicino alla villa di Crisante perché sapeva che un assassino sarebbe sempre tornato a girovagare nelle zone del suo efferato crimine. Per quello che era riuscito a scoprire, e grazie a ciò che Castria gli aveva detto, Parmenione aveva già capito che tipo era colui che aveva stroncato la vita della giovane lupa. 

Un uomo senza morale, senza dimora fissa, una mina vagante, perfino un maniaco che gioisce e si vanta di ciò che ha fatto. Per questo era sicuro che, se anche non fosse riuscito a trovarlo da quelle parti, di sicuro aveva lasciato qualche traccia in giro. Ed era determinato a trovarlo, non solo per il patto fatto con Castria, ma anche per una questione di giustizia. 

Non aveva conosciuto Crisante, non aveva alcun legame con lei, ma era una vita innocente, una giovane vita tolta dal mondo senza un vero motivo. Sapeva come funzionava la società perciò era convinto che nessuno avrebbe mosso un dito per trovare il suo assassino. Quel pallone gonfiato di Tullio Decio si era dato molto da fare ma brancolava nel buio perché non sapeva proprio da che parte iniziare. I farabutti e gli assassini non erano certo il loro campo. 

Lui era l'unico che poteva trovare quella feccia umana, ed era stato perfino costretto ad allearsi con quel senatore e i suoi uomini, pur di affrettare i tempi. Parmenione era un lupo solitario, amava cavarsela da solo e girare per le strade buie di Roma in totale solitudine. 

Permetteva a quegli uomini di stare con lui, d'indagare e fare domande, ma sempre ad una certa distanza per collaborare non era proprio la cosa che più gli piaceva. Era stato proprio uno di loro ad aver sentito una voce molto interessante che li aveva portati in quella specifica taberna. Ma aveva deciso di lasciarli di fuori, all'entrata, primo per destare troppi sospetti e secondo perché li preferiva pronti a proteggergli le spalle.

Entrò da solo nel locale, che non era nient'altro che un ambiente, anche piuttosto piccolo, con una tabula* in marmo e mattoni con delle seggiole in legno per i clienti e dietro un fuoco per mantenere sempre calde le vivande. Dei contenitori in ceramica erano stati murati all'interno del bancone e dei forti permettevano dai quali il padrone del locale poteva tirar fuori, con l'aiuto di mestoli, i cibi richiesti. 

Quella notte i clienti sembravano più propensi a bere che a mangiare e Parmenione non poteva aspettarsi nient'altro dalla feccia della città. Crisante viveva in un quartiere altolocato, pieno di gente ricca e potente, ma a pochi passi da lì vivevano i criminali più temibili di tutta la città, che passavano il loro tempo libero ad ubriacarsi e vantarsi dei loro crimini. 

All'interno del locale, oltre al padrone, c'erano altri quattro uomini, ognuno del quale aveva una faccia poco raccomandabile. Tre di loro, di cui sembrava quasi sul punto di svenire sopra al bancone, stavano litigando animatamente con il proprietario del locale accusandolo di quanto il vino fosse di pessima qualità ed annacquato per permettere più profitti. 

C'era da dire che in effetti un forte un odore di vino permeava all'interno del locale, quasi ne facesse parte da sempre, e una grossa macchia appiccicosa di vinum atrum*, lasciato lì fino a diventare una cosa unica con il pavimento, rendeva il tutto ancora più reale. Di certo gli avventori non entravano lì per gustare del buon cibo. 

Il quarto uomo, un energumeno alto e grosso, con una grossa cicatrice al braccio, se ne stava in disparte, seduto su una seggiola, a gustare in silenzio il suo vino. Lui non sembrava trovarlo tanto cattivo, o forse non gli importava proprio nulla. Da lontano sembrava giovane, al massimo coetaneo di Parmenione, e capì immediatamente che era l'uomo che stava cercando. 

Tutti gli altri sembravano più dei miseri ladruncoli a cui nessuno, perfino lui, avrebbe creduto. Invece l'uomo solitario sembrava il classico uomo che quando ha qualcosa da dire è meglio ascoltarlo attentamente. Perciò Parmenione, dopo essersi tolto il mantello, si diresse direttamente da lui, a testa bassa per cercare di non attirare troppo l'attenzione. 

Longino gli assegnava spesso missioni particolari ed impieghi speciali anche per la sua qualità di passare in osservato che, anche in quel caso, gli servì per non destare troppi sospetti. I quattro uomini che stavano animatamente litigando, e che forse sarebbe finiti a picchiarsi, neanche si accorse di lui, complice anche il loro interesse per la discussione. 

Quando Parmenione si avvicinò abbastanza al quarto ospite, si rese conto che era più anziano di quando aveva pensato a prima vista. Da vicino, infatti, erano ben visibile le rughe sul volto, segno che era talmente bravo a sopravvivere da essere riuscito a raggiungere un'età anziana. A quei tempi non era molto facile raggiungere un'età avanza neanche per un nobile, figurarsi per un membro del popolo, che viveva in quelle condizioni malfamate. 

Capì immediatamente di avere davanti un uomo che sarebbe stato meglio non provocare, bensì da farsi amico per non avere troppi problemi. Sarebbe dovuto sembrare terrorizzato dall'occhiata infuocata che gli lanciò, ed invece in risposta si mise seduto accanto a lui e, senza fissarlo, puntando gli occhi fissi sugli scaffali dietro al bancone, esordì: "Mi è stato detto che hai informazioni importanti riguardo l'omicidio della lupa". 

Sapeva che era rischioso andare lì, in quello che sembrava in tutto e per tutto il suo campo di battaglia, e sfidarlo apertamente senza giri di parole. Qualcun'altro sarebbe stato più prudente, cercando di raggiungere l'obbiettivo con altre parole, ma se c'era una cosa che le buie e pericolose strade di Roma gli avevano insegnato era quella di dimostrare sempre di essere impavidi, senza paura e anche un po' avventati. Soprattutto quando si era consapevoli di avere davanti un avversario più forte. 

L'uomo lo fissò per qualche secondo, lanciò una breve occhiata verso l'uscita del locale e quando tornò a guardare il vino che stringeva tra le mani, borbottò, visibilmente ubriaco: "Chi lo vuole sapere? Tu? O quegli uomini che ti scortano e aspettano fuori dalla taberna?". Quando Parmenione era entrato, ai suoi occhi l'uomo  sembrato disattento, fissato solo sul suo bicchiere e nient'altro. 

Per questo la sua affermazione lo lasciò sorpreso, perché indicava che lo aveva visto ed osservato abbastanza d'aver capito che i due uomini davanti all'entrata stavano con lui. La cosa lo innervosì molto, perché se l'uomo era riuscito a capire ciò, magari poteva anche intuire per chi Parmenione lavorava e tante altre cose. Passare inosservato era ciò che più gli premeva. 

Comunque cercò di non darlo a vedere, nonostante stava davvero considerando che l'ubriaco anziano che aveva affianco non era un uomo da sottovalutare. Con voce sicura, e quasi da minaccia, nascose il nervosismo: "Chi non lo vuole sapere non è importante". 

Per qualche istante rimasero in silenzio, e Parmenione quasi si pentì di essere stato troppo conciso. Era sicuro che quel tipo di persone era meglio usare la mano forte, farsi vedere come un duro e non far capire che si aveva paura. Ma forse aveva esagerato, con quel suo tono conciso forse lo aveva reso poco propenso a parlare. 

Era quasi sul punto di parlare, e tentare un'altra strada, quando l'uomo al suo fianco si scolò tutto il vino che aveva nel bicchiere ed aprì la bocca senza paura di bruciare l'aria con il suo alito altamente alcolico: "Non so molto, so solo che c'è un tale, un vecchio gladiatore, che se ne va in giro a vantarsi di aver ucciso una lupa. Ho pensato che si trattasse di quella prostituta che abita qui vicino. Come un povero scemo se ne va in giro a dirlo a tutti, non sa neanche che cosa significa essere discreti, il giovane". 

Stava iniziando a sparlare, allontanandosi sempre di più dall'unica informazione che Parmenione voleva avere. Quel nome per cui aveva girato a lungo, quelle ultime notti, anche con la paura d'incontrare la persona sbagliata ed essere pugnalato alle spalle per le troppe domande. Anche lui, come la lupa, non sarebbe stato compianto da molte persone e soprattutto nessuno gli avrebbe fatto giustizia. 

Ma aveva anche Clelia ed Eliona a cui pensare, per questo voleva trovare l'assassino in fretta, prima che potesse rimetterci, per chiudere la faccenda, rispettare la parte del suo patto e per una volta fare una cosa giusta per una persona innocente. Per lui, trovare l'uomo che aveva ucciso Crisante era un po' come un nuovo inizio, una nuova vita all'insegna della giustizia e della chiarezza. 

Perché quando fosse riuscito a liberare le due donne, avrebbe detto per sempre addio alla vita in incognito e ai lavori che faceva per conto di Longino. Da quel momento in poi sarebbe diventato un uomo giusto e avrebbe fatto di tutto per far star bene la sua famiglia. 

Interruppe l'uomo, che aveva iniziato a parlare dei suoi primi lavori sporchi, senza però entrare troppo nei dettagli, biascicando sempre più vicino con il volto al bancone. Altri pochi minuti e sicuramente sarebbe crollato. "Ho bisogno di un nome", si voltò verso di lui per poterlo guardare bene, con insistenza, facendogli capire che non sarebbe andato via e non lo avrebbe lasciato in pace fino a quando non avesse avuto quel nome. 

L'uomo ci pensò su per qualche istante, confuso e quasi dimentico di ciò che stavano parlando. Lo prese per la tunica, in modo da riuscire a tenerlo ben dritto e poterlo guardare ben in faccia, sussurrandogli vicino al volto: "Il nome dell'assassino", lo esortò a ricordare, quasi sputandogli con una tale urgenza che era quasi pronto a scattare in piedi dalla seggiola e scappare non appena avesse avuto ciò che voleva. 

Solo un nome, gli serviva solo un nome per capire chi c'era dietro a quel terribile crimine. Vide il suo interlocutore visibilmente confuso per qualche istante, e poi qualcosa s'illuminò sul suo volto e sui suoi occhi. Sorrise quasi soddisfatto e disse soltanto: "Castore". 

A Parmenione bastò questo per poterlo lasciare andare ed uscire in fretta dal locale, allo stesso modo di quando era entrato, senza dare troppo nell'occhio. Proprio all'uscita, si concesse di voltarsi a guardare l'uomo e lo trovò completamente sdraiato sul bancone del locale, a russare. Alla fine lo aveva sopravvalutato anche troppo. Forse era stato un uomo pericolo e molto sveglio, un tempo, quando era giovane, ma ormai gli erano rimaste solo alcune abitudini di un tempo. Tutta la sua pericolosità era stata annebbiata dall'alcol e dalla solitudine. 

Fissò l'uomo, consapevole che aveva buone possibilità di finire come lui un giorno, così solo da voler passare tutti le sue notti ad ubriacarsi in un locale. Così solo da non riuscire ad integrarsi con altri delinquenti neanche per litigare. Si voltò, dando le spalle all'uomo che gli aveva appena fatto vedere una parte del suo possibile futuro, e si diresse verso la città notturna. 

Aveva un nome, ed era già un inizio. Doveva solo trovare il vecchio gladiatore di nome Castore e avrebbe potuto sperare ad un domani diverso da quello dell'uomo che aveva appena lasciato. 

Glossario: 

- Tabula: Bancone

- Vinum Atrum: vino rosso

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