XXIX. Dolor et vindicta

Aveva insistito per raggiungere la villa di Crisante, anche se suo padre cercò in tutti i modi di evitarle quel dolore. Ma lei doveva andare, doveva vedere con i suoi occhi quello che le avevano detto perché non ci avrebbe mai creduto. 

Per tutto il tragitto non vide neanche la strada che stavano attraversando, era come se fosse in un altro posto con la mente e con il cuore. Le parole che aveva ascoltato, prima di svenire, continuavano ad assillarla senza trovare un vero senso. Chi mai avrebbe potuto fare del male alla sua cara amica? Non poteva neanche immaginare che le fosse successo qualcosa di così terribile, lei aveva fatto della vita la sua causa più importante. 

E quando arrivò alla villa, accompagnata dal padre che non aveva voluto lasciarla da sola, a Castria neanche le sembrò quel luogo dove spesso aveva incontrato Falco. Non era più la casa doveva aveva sentito la sua amica ridere e scherzare, dove l'aveva vista serena e in pace con se stessa e dove lei era stata libera di esprimere il suo amore. Quel posto era stato macchiato da un delitto terribile ed era stato profanato da persone che Castria non conosceva. 

Nell'atrium c'erano due vigiles*, l'uno affianco all'altro, con la mano sull'elsa della spada e l'atteggiamento ferreo e immobile, sembravano stonare parecchio all'interno dell'ambiente così pacifico. Parlavano in tono fitto, quasi sussurrassero con praetor urbanus*, quasi stessero confabulando qualcosa di segreto. 

La sensazione che ebbe Castria, non appena attraversò la soglia di casa fu proprio che c'era qualcosa che non andava e il fatto che i tre smisero di parlare non appena li videro entrare per lei fu un segnale inconfondibile. Gli uomini di fissarono e, senza neanche dare il tempo a Longino di parlare, che uno dei due vigiles si fece avanti con andatura minacciosa: "Voi chi siete? Non potete stare qui!". 

Nessuno poteva dirle di andarsene dalla casa della sua amica, nessuno. Lei aveva tutto il diritto di assistere perché Crisante aveva solo Castria, non aveva pi una famiglia e l'unica persona che teneva veramente a lei era la ragazza, nessun altro. Quindi lei era nel posto giusto. Per questo si fece avanti ancor prima che padre potesse rispondere, di fatto ignorando la sua autorità. 

"Sono una cara amica di Aurelia, la padrona di questa casa, sono come una parente per lei quindi ho tutto il diritto di restare qui", la sua voce non tremò neanche una volta, e la sua espressione decisa avrebbe convinto anche l'Imperatore, se fosse stato presente. Tanto che bastarono quelle semplici parole per convincere il vigiles a lasciarla perdere. Comunque non la vedeva come un impedimento alle indagini, forse proprio perché era una ragazzina.  

Li ignorarono completamente, come se quello che era successo non fosse nulla di strano o inquietante. Come se per loro era normale entrare in una villa per indagare di omicidio ma per Castria non lo era affatto, tanto che si guardò attorno come se quella casa fosse nuova per lei. Anche le pareti affrescate e i pavimenti in mosaico le erano estranei, perché una parte di lei già sapeva che cosa avrebbe trovato nel cuore dell'abitazione. 

Si mosse lentamente, come se improvvisamente avesse perso l'uso delle gambe e il padre, che la vide così instabile, le si avvicinò e la sorresse con un braccio. Non ricordava neanche dove si trovava la stanza di Crisante.

Seguì le voci, una delle quali le era perfino familiare, per avvicinarsi nella grande camera da letto che lei usava anche per accogliere i suoi clienti. Ma non solo. E non fece in tempo ad entrare che altri tre uomini uscirono nel corridoio discutendo fra di loro. Due erano vigiles mentre il terzo era Tullio Decio, impeccabile nella sua toga, con la sua andatura decisa e il petto gonfio. "Grazie per il vostro intervento", stava dicendo ma s'interruppe quando incrociò gli occhi della sua futura sposa.

Una breve occhiata di disappunto a Longino e quando tornò a guardarla i suoi toni erano così affabili, così poco da lui, che a Castria venne quasi da vomitare. "Castria, mia cara, che cosa ci fai qui?", i due vigiles li superarono come se non fossero importanti, tornando dai loro colleghi mentre Tullio rimase immobile davanti all'entrata della camera, come a voler nascondere cosa si celava al suo interno. Era chiaro che non voleva farla entrare, ma più sembrava convinto più lei era decisa ad entrare. Doveva farlo.

"Aurelia era una mia amica, tu piuttosto che cosa ci fai qui?", lo accusò con toni aspri, come se la sua presenza già di per sé dovesse destare sospetti. Non gli era mai piaciuto e più lo guardava in faccia, con quella sua aria arrogante, più le veniva voglia di prenderlo a schiaffi. Forse era anche a causa del dolore che stava provando in quel momento ma avrebbe solo voluto avere Falco al suo fianco, e non quel pallone gonfiato.

Lui ignorò palesemente il suo tono, chiaramente di una persona che non ha voglia di essere contraddetta, e spiegò: " Sapevo che conoscevi la lupa e la voce è girata in fretta. Al mercato ho sentito la notizia e sono corso a vedere se potevo essere di aiuto. Credimi, è meglio se non entri", non lo disse come un consiglio, bensì quasi come un ordine. Come se, solo per il fatto che le aveva dette lui quelle parole, Castria avrebbe dovuto obbedire senza esitazioni.

Ma non fu solo per non dargliela vinta che fece due passi verso di lui, e verso la camera di Crisante, ma proprio perché lei era stata la sua amica, la sua unica amica. Ed era quasi sicura che a nessuno sarebbe importato della sorte di una prostituta. Lei era l'unica che poteva assicurarsi che Crisante avrebbe ottenuto dignità e giustizia. "Lasciami passare Tullio", lo avvertì, fissandolo con un tale fuoco negli occhi che qualsiasi uomo saggio avrebbe rinunciato immediatamente ad avere un confronto con lei.

Ma Tullio non era affatto un uomo saggio, tanto che si avvicinò a lei e la bloccò. "Castria, non sono cose che una fanciulla dovrebbe vedere", con io suo solito modo da uomo che sa tutto e che pretende di essere ascoltato. Ma lei non lo stava più sentendo, dopo aver scorto qualcosa all'interno della stanza che aveva completamente preso la sua attenzione. Spostandosi per evitare la figura di Tullio, ancora immobile, e gli girò intorno.

Era decisa ad entrare, e neanche la stazza possente del romano l'avrebbe fermata, anche se la sua coscienza la stava avvisando di fare attenzione. Sapeva già che quello che avrebbe visto l'avrebbe condizionata per il resto della sua vita, ma non poteva farne a meno.

Ignorò gli avvisi di Tullio e, imperterrita, un passo dopo l'altro, si avvicinò al momento della verità. Doveva vederla con i suoi occhi per convincersene, altrimenti avrebbe sempre cercato di fingere che tutto andava bene. Il cuore che le batteva a mille, il sudore sulla fronte, e una paura matta per tutto ciò che avrebbe visto. Voleva sembrare coraggiosa, capace di fare tutto ciò che qualsiasi uomo faceva senza difficoltà. Ma in realtà aveva molto terrore, che nascondeva dentro di sé per non sembrare troppo fragile.

Il particolare che aveva attirato i suoi occhi prima, quando stava parlando con Tullio, in realtà non era altro che una grande macchia di sangue all'interno della stanza che usciva perfino un po' nel corridoio, infilandosi tra un pezzo di mosaico e l'altro. Lo evitò, senza pensare troppo a quel gesto, pensando solamente che tutto quel sangue stava sporcando un bellissimo mosaico floreale. Non riusciva neanche a collegarlo a ciò che stava per vedere, o forse era proprio la sua mente che non voleva farlo. 

Seguì proprio il colore così rosso del sangue, dal quale non riusciva a staccare gli occhi da quella macchia. Era così sbagliata, all'interno di quella villa così perfetta e così pulita. Quel rosso, intenso e cremisi, la infastidiva perché sapeva che non l'avrebbe portata a nulla di buona. Ed infatti quando alzò gli occhi, le bastò solo vedere alcuni dettagli, per capire che era decisamente troppo per lei. 

I capelli, lunghi e sempre perfetti, di Crisante, sparsi sul pavimento a mischiarsi con il sangue. La sua mano, protesa verso la porta come a cercare una fuga, inutilmente. Non riuscì a vederla in volto, sarebbe stato troppo doloroso per lei, ma percepì l'immobilità del suo corpo in ogni suo nervo ed ebbe i brividi. 

Forse Tullio aveva ragione, forse lei non era in grado di assistere ad una scena del genere, per questo si voltò e corse via, lontano da quel luogo carico di morte e dolore. Lontano dalla sua cara amica Aurelia. 

Un'ora dopo, Castria sedeva nel peristilium, lontano dalla camera da letto di Crisante, l'unico posto della casa doveva poteva prendere un po' di aria, anche se non riusciva a smettere di pensare alle immagini che aveva visto. "Avevo detto che era meglio non farla entrare", sentì Tullio rivolgersi a Longino, come se fosse solo colpa di suo padre. Come se la causa non fosse la morte di Crisante. 

"Ora noi andiamo via, abbiamo accertato che si tratta di omicidio", uno dei vigiles s'intromise mentre gli altri suoi colleghi già si avvicinavano all'uscita, desiderosi solo di tornare a casa o a qualunque cosa stavano facendo prima di essere disturbati per un caso del genere. 

Alle parole dell'uomo Castria si ridestò dai suoi pensieri e si alzò in piedi: "Non farete niente per trovare l'assassino?", indignata più che mai, perché conosceva molto bene le priorità dei romani, si rivolse direttamente al vigiles che, in tutta risposta, affermò: "Con tutta sincerità, non ci occupiamo della morte di una semplice lupa". 

Lo aveva detto di fronte a lei, che era la sua amica, senza la minima vergogna per quello che stava dicendo. Anzi, era così sicuro di stare dalla parte della ragione che il desiderio di prendere a schiaffi anche lui s'impadronì di Castria. 

"Aurelia era una donna romana, e come tutti i romani ha diritto ad ottenere giustizia", pronunciò con voce ferma, come quando aveva parlato con Tullio, con una fiamma negli occhi che lasciava intendere non avrebbe rinunciato facilmente a far valere le sue ragioni. Non avrebbe permesso che si dimenticassero di lei, di come era stata brutalmente ed ingiustamente uccisa. Qualcuno doveva pagare e Crisante avere la sua giustizia. Era pronta a lottare per lei. 

Tutti e tre, suo padre, il vigiles e Tullio la guardavano quasi come se avesse bisogno di essere compatita, perché aveva appena perso la sua amica. Fingevano tutti di capire che cosa stava passando ma in realtà nessuno, nessuno di loro poteva comprendere il dolore che stava passando in quel momento. Ma oltre al dolore c'era anche la rabbia, la rabbia per uno sconosciuto che le aveva portato via Crisante. 

Il primo a riprendere la parola fu proprio Tullio, che le si avvicinò quasi tentennando, un po' timoroso come se avesse paura di lei, un donna in preda al dolore che non poteva gestire. "Castria, sii ragionevole, i vigiles e il preator hanno molto lavoro da fare. Non possono perdere tempo con...", iniziò a dire dandosi un'aria da uomo che sa quello che sta dicendo, da pallone gonfiato quale era. Ma non finì di parlare perché venne interrotto da Castria, in preda alla furia. 

"Con cosa? Una lupa? Tu, naturalmente, la pensi come loro, come tutti loro. Aurelia era una mia cara amica, era una donna romana e come tutti i romani ha diritto ad un funerale degno di questo nome e a scoprire chi è stato ad ucciderla. Ed io non avrò pace fino a quando chi l'ha uccisa non girerà più per le strade di Roma". 

Avevano ascoltato tutti il suo discorso, ma non attentamente, perché proveniva dalla bocca di una donna che aveva appena visto il cadavere dell'amica. Era ovvio che l'avrebbero presa solo come una ragazza isterica. Il vigiles la ignorò completamente, come se quello che aveva appena detto non aveva alcun valore, e se ne andò, congedandosi solo da Tullio e Longino. 

A Castria non importava molto, tanto sapeva di non poter confidare su nessuno tranne che su se stessa e su le armi che possedeva. Per questo guardò Tullio come se in quel momento, nonostante fosse la persona che più odiava al mondo, poteva essere la sua unica via per raggiungere la giustizia. 

Gli puntò un dito contro, quasi disgustata per quello che stava per dire, anche se in cuor suo sapeva che avrebbe trovato un modo per fuggire da quel compromesso, ed annuncio: "Se vuoi sposarmi, allora devi trovare chi ha ucciso Crisante". 

Sapeva che gli stava fornendo la possibilità di ottenere ciò che voleva su un piatto d'argento, ma aveva anche un secondo asso nella manica che avrebbe sicuramente messo in azione una volta tornata a casa. Oltretutto sapeva di non poter minimamente fare affidamento su Tullio, che faceva tanto il gradasso ma che in fondo non era in grado di risolvere alcun problema. 

Eppure gli aveva offerto d'indagare sull'assassino di Crisante, perché voleva avere la sicurezza che qualcuno si sarebbe messo alla ricerca di quel mostro, invece di ignorare la morte di una persona solo per il suo mestiere. Doveva essere sicura che ci sarebbe stato qualcuno che non si sarebbe mai dimenticato. 

Lui la fissò per qualche istante, cercando di capire se stesse scherzando oppure no. Era poco propenso a mettersi a fare una caccia all'uomo, senza avere la minima idea da dove cominciare, ma la proposta che le aveva appeno fatto Castria era troppo allettante per non accettarla. Senza contare che la ragazzo lo avrebbe visto come un eroe, se fosse riuscito a trovare l'assassino. 

Per questo annuì, così pieno di sé da essere sicuro di poter fare tutto ciò che voleva senza alcun sforzo ed ignaro di come si potessero gestire delle ricerche di tale portata. "Se è quello che vuoi, lo farò per te", cercò di farle capire le sue nobili intenzioni anche se Castria sapeva benissimo che tutto ciò che Tullio prendeva in considerazione era solo per un suo torno conto. 

Nonostante avrebbe voluto dirgli in faccia tutto quello che pensava, con rabbia e delusione, restò in silenzio, con la sola intenzione di strappargli quel sorriso da sbruffone dalla faccia. E visto che si vantava tanto di poter fare qualsiasi cosa, Castria lo sfidò: "Ed anche il rito funebre, voglio che sia perfetto. Ci pensi tu, Tullio?"

Almeno, se doveva sopportare la sua faccia da pollone gonfiato ancora per molto, si sarebbe assicurata di trarne dei benefici anche lei. Lo doveva a Crisante, ad Aurelia, la migliore amica che avesse mai avuto. 

Non riusciva neanche a mettere la testa fuori dal suo cubiculum. Quando aveva espresso il desiderio che la salma venisse esposta nel loro atrium, non aveva pensato che per lei sarebbe stato davvero difficile averla a così pochi passi da lei, senza vita. Era un fascio di nervi, si girava e rigirava nel letto, cercando di dormire ma senza alcun risultato. 

Non era ancora riuscita a metabolizzare il lutto. Era come se fosse solo un brutto incubo dal quale sperava di svegliarsi, anche se in cuor suo sapeva che non sarebbe mai successo. Aurelia, o Crisante come la chiamavano in molti, se ne era andata e non sarebbe più tornata. Non avrebbe più sentito la sua risata felice, così contagiosa. Non avrebbe mai ricevuto quei suoi consigli così preziosi, né tanto meno il suo appoggio in qualsiasi decisione avesse preso. Aveva perso un'amica, una confidente, una sorella. 

Era ovvio che non riusciva a dormire, mentre bagnava il letto con le sue lacrime amare e piene di dolore e l'unico desiderio di non uscire per vedere il cadavere della sua amica. Una parte di lei voleva farlo, voleva darle quell'ultimo saluto che ancora non era riuscita a concedersi. Ma aveva troppa paura e così se ne stava rannicchiata nel suo giaciglio, a tremare come una foglia. 

Per questo sentì chiaramente qualcuno entrare nella sua stanza, in punta di piedi, e con solo una una lucerna ad illuminarle il viso. Grazie proprio alla luce del fuoco che riconobbe Clelia, che s'infilava nel suo cubiculum quasi con timore e paura. Si alzò immediatamente in piedi, preoccupata che la schiava potesse portare cattive notizie e le andò incontro quasi correndo: "Clelia, che cosa succede?"

La schiava, dopo un attimo di titubanza, sorpresa nel vedere la sua padrona sveglia, si riprese e l'avvertì: "Hai delle visite, ti stanno aspettando nella porta sul retro della cucina. Ho pensato di venire a chiamare immediatamente te invece di parlare con il dominus", Castria la interruppe mettendole una mano sulla spalla e sorridendole per ringraziarla. Immaginava chi poteva essere e si precipitò all'uscita, cercando appositamente di evitare l'atrium. 

Con il cuore che le batteva a mille, come quando si era convinta ad entrare in quella stanza intrisa di sangue, aprì la porta che dava sul vicolo sul retro. Neanche vide la donna coperta da un lungo mantello azzurro a coprirgli anche il volto, perché la sua attenzione fu catturata solo dal gladiatore davanti a lei. 

Lo guardò in volto solo per qualche secondo, sentendosi improvvisamente più leggera anche solo per aver fissato i suoi occhi scuri. E il modo in cui la guardava, come a volerle dire anche senza parlare che sarebbe sempre stata al suo fianco, le fece tirare un lungo sospiro di sollievo e si buttò tra le sue braccia forti e confortanti, scoppiando di nuovo a piangere. 

Falco si limitò soltanto ad abbracciarla, circondandola con il suo corpo da gladiatore, e a darle un bacio leggerlo sulla testa, sussurrandole proprio le parole che voleva sentire. Non avrebbe potuto riportare indietro Aurelia, ma la sua presenza era essenziale per farla sentire più al sicuro. 

"Mi dispiace davvero tanto, amore mio, se potessi farei qualsiasi cosa per riportarla da te. Attraverserei gli inferi solo per non farti più soffrire in questo modo, ma sappi che anche se non posso rimediare, io sarò sempre al tuo fianco. Sarò la spalla su cui piangere, sarò l'ancora a cui appoggiarti, non ti lascerò sola". E bastarono quelle promesse a farla stare meglio, tanto che si era completamente dimenticata che non erano da soli. 

"Voglio vederla", una voce femminile attirò l'attenzione di Castria e la costrinse a staccarsi dalle braccia rassicuranti di Falco per volgere il suo sguardo sulla donna con il mantello. A prima vista non si era neanche chiesta chi era ma ormai non serviva, lo aveva capito dal primo istante in cui aveva parlato e quando si scoprì il volto non fu sorpresa di vedere Quintilia. 

Pallida in viso, con gli occhi lucidi e rossi di chi ha pianto per ore, e due grosse occhiaie, aveva perso la donna che amava da meno di un giorno ma si potevano vedere le conseguenze di quel dolore su di lei. Un dolore che difficilmente sarebbe andato via, lasciandola vivere in pace. 

Quintilia era l'unica che poteva capirla, l'unica che teneva davvero a Crisante proprio come lei, per questo corse da lei e l'abbracciò, sentendola come un'anima affine. Per un periodo avevano amato la stessa persona, anche se in modo diverso, e in quel momento stavano provando gli stessi sentimenti. 

La donna si lasciò abbracciare, anzi ricambiò perfino il gesto di affetto, sentendosi finalmente libera di poter dimostrare cosa provava per la lupa. Da quando aveva saputo della sua morte, fino a quel momento, era stata costretta a nascondere il dolore che provava per non far scoprire niente al marito. Aveva pianto di nascosto, tenendo tutto il suo dolore all'interno di una piccola stanza, sicura che nessuno avrebbe potuto capire che cosa stava provando. Almeno fino a quel momento. 

Si lasciò andare fino a quando Castria la condusse nell'atrium. Non aveva potuto raggiungere la sua amante in casa sua, per porgerle il suo ultimo saluto, per stare con lei anche negli ultimi momenti, perciò non si sarebbe lasciata sfuggire la possibilità di dirle addio. Anche se le faceva male rivedere Crisante, sempre così piena di vita, immobile e morta.

Si convinse a fare un passo dopo l'altro, anche se avrebbe voluto essere altrove e più si avvicinavano più le sue gambe sembravano sempre più pesanti. Riuscì a vedere la salma ancor prima di entrare nella stanza. Sdraiata su un tavolo di legno e coperta con un lenzuolo bianco.

Ad illuminarla quattro lucerne che davano alla zona un aria lugubre e per niente rassicurante. Nell'aria l'odore d'incenso e rose avrebbe dovuto rassicurarla ma solo il pensiero che si stava avvicinando al corpo morto della donna che amava le impediva di avere pensieri sereni.

Scoppiò di nuovo a piangere mentre con una forza degna di una vera matrona romana, si avvicinava al tavolo, separandosi da Castria che aveva deciso di rimanere al sicuro tra le braccia di Falco. Lei, al suo contrario, non trovava la forza di avvicinarsi abbastanza da poter scostare il lenzuolo e guardarla in volto. Cosa che invece fece Quintilia, con lentezza ma allo stesso tempo con decisione.

Con le lacrime che le rigavano il viso e cadevano a terra, la matrona romana fissò la giovane lupa, con gli occhi chiusi per sempre e il volto quasi sorridente. Non c'era dolore dopo la morte, solo conforto, mentre i vivi erano costretti a sentire la mancanza dei cari persi. E solo in quel momento, quando riuscì a vederla, realizzò che se ne era andata per sempre, proprio come Castria che, nonostante l'avesse vista nel momento peggiore, ancora non era riuscita a rendersene conto.

Lei era lì, immobile, morta. Non sarebbe mai più tornata e il senso di vuoto che Quintilia provò fu così devastante che il primo istinto fu quello di distruggere ogni cosa. Ed invece, con estrema dolcezza, si chinò su di lei e la baciò. Le loro labbra si sfiorarono, con delicatezza, in quell'ultimo saluto di rito che Castria non era riuscita a darle. Un bacio per salutarla per sempre, un bacio per ricevere da lei l'ultima essenza di amore.

Solo quando si alzò di nuovo, la sua espressione era decisa e i suoi occhi pieni di rabbia e vendetta. "Chiunque ha fatto questo, deve pagarla", e nessuno avrebbe mai dubitato di lei in quel momento.


Glossario:
- Vigiles: Nell'antica roma i Vigili non erano solo coloro che si occupavano di spegnere incendi (anche se era uno dei più importanti compiti) ma anche quello di vigilare nella città, soprattutto di notte. 

-Praetor Urbanus: magistrato romano. 

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