XX. Apparatus

*nell'immagine: Toeletta di una matrona romana ( dipinto di Juan Gimenez Martin).

"Quel figlio di una scrofa di Valerio mi ha lasciato all'ultimo senza gladiatori, ma me la pagherà, oh se me la pagherà", il tono minaccioso del giovane Tullio avrebbe potuto spaventare anche il più coraggioso dei romani perché c'era qualcosa nei suoi occhi che lasciava intendere ad Apollonio che le sue non erano solo parole.

"Sarai d'accordo con me che in una situazione del genere non ho tempo per pensare alla burocrazia, ho bisogno di gladiatori, subito". Al lanista non era sfuggito il modo in cui si era rivolto a lui, come se fosse uno schiavo pronto a dover ubbidire ad ogni suoi ordine. E anche se avrebbe voluto ricordare a quel giovane romano che erano allo stesso livello, chiuse le mani a pugno e si ritrovò a sorridere, fingendo di essere un tipo accondiscendente. Quintilia, che era tornata da poco dalla sua uscita notturna, e che stava osservando tutto da lontano, sapeva che quella del marito era solo una finta.

Poteva solo che ringraziare il futuro tribuno per essere andato a far visita loro e quindi aver distratto il marito. Se non fosse stato così intento a fare bella figura con un romano, probabilmente Apollonio si sarebbe accorto che i capelli di sua moglie erano un groviglio ribelle, che era priva di trucco in volto e che i suoi abiti erano tutti stropicciato. Certo, quando l'uomo si era svegliato non aveva trovato la moglie al suo fianco, ma per quello Quintilia poteva sempre trovare una scusa. Si fece avanti uscendo dal suo nascondiglio con un sorriso splendente attirando subito l'attenzione di entrambi gli uomini. Anche se ormai era passato per lei il tempo della giovinezza, riusciva comunque a far smuovere gli animi dell'altro sesso, e non solo. 

"Quintilia, che piacere vederti. Posso solo congratularmi con te, ogni anno che passa sei sempre più bella", la lusingò Tullio senza un motivo ben preciso, ignorando del tutto la presenza del marito, ed andando perfino ad abbracciarla come se si conoscessero da tanto tempo. Il lanista e la famiglia del giovane non erano mai stati in stretti contatti, ma si conoscevano fin da quanto Tullio era solo un bambino che indossava la toga pretexta. A nessuno dei due sfuggì la faccia scura di Apollonio che non poté fare altro che restare a guardare quell'uomo fare il cascamorto con la moglie. 

Si schiarì la voce più di una volta, visto che Tullio non sembrava voler staccare gli occhi dalla donna, e batté le mani per attirare la sua attenzione: "Bene, vuoi vedere la merce? Sono sicuro che hai molte cose da fare e che non hai tempo di fermarti qui per non più di qualche minuto". Era ovvio che stava dicendo di non volerlo in casa, non dopo che lo stava trattando come se fosse un animale, ma comunque il sorriso benevolo e le sue parole lasciavano intendere ben altro. E anche se Tullio non era stupido, e tutti avrebbero potuto intuire la tensione tra i due, stette al gioco. 

"Ma certo, fammi vedere i tuoi gladiatori di cui ho tanto sentito parlare. Spero solo che non siano leggende quelle che si dicono sui tuoi schiavi", lo sfidò quasi a rispondere in malo modo, portando sempre di più al confine dell'esasperazione. Se non ci fosse stata sua moglie in quel momento, che prese letteralmente sotto braccio l'ospite, conducendo verso il centro della casa, probabilmente lo avrebbe prese a calci e si sarebbe anche divertito. Invece Quintilia era molto più brava a far sentire gli ospiti a suo agio, anche per questo non riusciva ad essere arrabbiato con lei per troppo tempo. 

"Ma quali leggende? Tullio fidati, gli uomini di mio marito sono i migliori, non potevi metterti in mani migliori. E poi puoi vedere con i tuoi stessi occhi che non ti sto mentendo". Allungò un braccio ad indicare la loro immensa casa e i gladiatori che Apollonio aveva fatto mettere in fila, uno affianco all'altro, per essere visti. Anche solo a vederli si poteva capire che non erano uomini comuni perché sprigionavano potenza e pericolo anche solo stando fermi. Felini pronti ad attaccare la propria preda, ecco cosa sembravano. 

Quando Tullio fece il suo ingresso nella stanza per osservare la merce, Falco lo riconobbe subito come l'uomo che stava parlando con Castria alla festa, e la gelosia lo accecò di nuovo. Era bastata solo la sua presenza per fargli ricordare quella notte. Avrebbe voluto dirgli che non doveva neanche avvicinarsi alla sua donna, che lo avrebbe ucciso la prossima volta. Ed invece strinse forte i pugni, fino a farsi diventare bianche le nocche e a far uscire il sangue dai palmi, e restò al suo posto. 

Il giovane romano li osservò tutti quanti con estrema attenzione e quando fu vicino a Falco, la voglia di allungare le mani su di lui lo fece quasi diventare pazzo. Ma era così bravo a mascherare le sue emozioni che nessuno avrebbe mai intuito cosa gli passava per la testa. L'unica cosa che lo fermò dal far del male a Tullio era solo la sentenza di morte che ne sarebbe seguita. Da morto, poi, non avrebbe potuto fare niente quando il romano si fosse preso la sua donna. 

"Bene", si schiarì la voce il giovane politico, improvvisamente un po' a disagio di fronte a tutta quella mascolinità. Non era abituato ad avere a che fare con persone visibilmente più prestanti di lui e per qualche istante si era perfino dimenticato che, essendo schiavi, erano comunque inferiori a lui. "Preparami i cinque più forti che hai", ordinò di nuovo con quel suo tono superiore, rivolto solo ad Apollonio. 

Si liberò in fretta dell'abbraccio della matrona e diede una pacca s'incoraggiamento sulla spalla di Apollonio: "Ci vediamo questa sera, non deludermi". E l'ultima frase suonò quasi come una minaccia, come se avesse potuto fare qualcosa per farla pagare al lanista. Si, Tullio era molto potente e ben visto a Roma, ma Apollonio aveva così tanti uomini a sua disposizione che poteva dormire ogni notte tranquillo. 

Si voltò a guardarlo, digrignando i denti e costringendosi a restare zitto per rovinare quella grande opportunità. Essere il lanista della scuola gladiatoria più famosa di Roma non era mai stato abbastanza per riuscire ad entrare nelle grazie dei potenti. Tullio era solo un piccolo pesce, ma se riusciva ad accontentarlo, forse una possibilità di avere rapporti anche con i grandi pesci c'era. 

Rimasti soli con i gladiatori, Apollonio tornò a guardare la moglie, pronto a chiederle perché il loro letto era vuoto quella mattina. Lo scontento e la rabbia erano ben visibili nel suo volto ma Quintilia non aveva paura. Il tempo per pensare ad una scusa l'aveva avuto e quindi non la prendeva impreparata. 

Fortuna per lei, comunque, non ebbe occasione per la sua recita perché proprio in quell'istante fece il suo ingresso un giovane schiavo, con la testa bassa e un po' timido: "Dominus, hai visite nel tablinum", annunciò con voce quasi ridotta ad un sussurro, spaventato di poter far scaturire l'ira del padrone per averlo disturbato in quel momento. 

Apollonio rimase qualche istante indeciso se raggiungere il suo ospite oppure restare a discutere con sua moglie. Non voleva rimandare quella conversazione con lei, sapendo che più tempo le dava e più lei poteva trovare una scusa più che plausibile. Ma quando si ricordò chi lo stava aspettando nel suo studio, cambiò idea. Non importa quello che sua moglie avrebbe potuto inventare per giustificarsi, la persona che lo stava attendendo poteva dargli le risposte a tutti i suoi dubbi. 

Si voltò senza neanche guardare la moglie, quasi sicuro che quello che avrebbe ascoltato sarebbe stato così terribile da non voler neanche parlare con lei. Non aveva paura di ascoltare brutte notizie, anzi, era quasi eccitato all'idea di sentire che sua moglie lo stava tradendo. Forse c'era qualcosa che non andava in lui, ma preferiva pensare che Quintilia fosse una cattiva moglie, e perciò poteva punirla, piuttosto che credere che era assente e strana solo a causa sua. Perché lui le aveva sempre dato tutto quello che desiderava, l'aveva trattata come una regina. 

Quando aprì la porta dello studio, Castor si era comodamente seduto su una sedia, come se fosse a casa sua, e mangiava quasi ad affogarsi, delle focacce preparate proprio quella mattina. Non lo ammonì per le sue poche buone maniere, in fondo era pur sempre un ex gladiatore, anche perché capì che doveva avere passato la notte per strada, a spiare sua moglie. 

Chiuse la porta alle sue spalle, per non farsi sentire da nessuno, e si preparò ad ascoltare ciò che il suo uomo di fiducia aveva scoperto. Perché dall'espressione che l'ex gladiatore gli rivolse, capì immediatamente che c'erano notizie molto succulente. 

Aveva così tante cose da organizzare per quella sera, eppure fu costretto a fermarsi anche a casa di Longino. L'uomo gli aveva mandato un messaggio quella mattina presto, dicendogli che dovevano assolutamente vedersi prima della festa. E anche se non avrebbe voluto perdere tempo con quell'uomo, fu costretto ad accontentarlo, considerato che presto sarebbero diventati parenti. Già pregustava il momento in cui Castria lo sarebbe venuta a sapere, davanti a tutti. 

Alla fine non era stato difficile convincere Longino, che già lo trattava come un Dio, a dargli la mano della sua unica figlia femmina. Certo, avrebbe voluto che la ragazza fosse più docile e accondiscendente, magari anche un po' infatuata di lui, ma per questo poteva anche aspettare. Era consapevole che la convivenza con quella ragazza non sarebbe stata facile ma era proprio la difficoltà che lo eccitava più di ogni cosa. 

Era stanco di riuscire ad ottenere sempre tutto così, senza il minimo sforzo, e non ne poteva più di tutte le persone che lo circondavano, sempre pronto ad accontentarlo solo per il suo nome. Anche Apollonio quella mattina, che avrebbe voluto tanto strozzarlo per i suoi modi, aveva fatto buon viso a cattivo gioco solo per non inimicarselo. E se fino a poco tempo prima le persone false, che mentivano pur si renderlo contento, le apprezzava e le usava per ottenere ciò che voleva, negli ultimi tempi iniziava a non sentirsi a suo agio. 

Aveva bisogno della sfida, di qualcuno pronto a tenergli testa e non abbassarsi solo perché era lui. Ed era proprio la sfida che aveva trovato negli occhi di Castria. Educarla a diventare una moglie perfetta sarebbe stato io suo passa tempo. Qualcosa di diverso, che avrebbe definitivamente spezzato la sua routine.

E più lei appariva contrariata dalla loro unione, più per lui il gioco era ancora più divertente. Per questo entrò nella casa della sua futura sposa a testa alta, con un sorriso da vittorioso in faccia, nonostante sapesse bene che lei non era nei paraggi. Si fece annunciare da uno schiavetto ed aspettò pazientemente che il padrone di casa fosse libero per incontrarlo.

Longino si era rintanato del suo tablinum anche per abitare di parlare con sua figlia. Sapeva che sua moglie, disubbidendo ai suoi ordine, era andata a rivelarle la buona notizia. Per questo lei voleva così insistentemente parlare con lui, probabilmente per convincerlo a desistere dalla sua decisione.

Il problema era che non era stato lui a scegliere il destino di sua figlia bensì l'uomo che era stato appena annunciato e che non gli aveva dato scampo. Dire di no a Tullio era impossibile, considerato il potere che la sua famiglia aveva ottenuto così rapidamente negli anni. Per lui era solo un onore mischiare il sangue e la generazione con la loro famiglia. Ma era sicuro che Castria non la pensava allo stesso modo.

Aveva letto nei suoi occhi il disappunto, quasi il disgusto, ogni qualvolta era costretta a stare vicino a quel giovane. E visto che di solito non era in grado di dire di no alla sua bambina, troppo desideroso di vederla sorridere, l'aveva evitava per non mettersi in una situazione difficile. Si sentiva un verme a darla in sposa a Tullio senza prima parlarle.

Così quella mattina era tentato a provare un'ultima volta a convincere il ragazzo che era meglio fare di testa sua. Cosa non molto facile visto che se c'era una cosa che aveva imparato di quel giovane romano era che fosse davvero testardo. Senza contare che gli metteva sempre un po' soggezione, forse a causa della carica che stava per ricoprire.

E quando lo vide entrare nel suo studio, tutto baldanzoso e con aria da superiore già poteva intuire che cosa gli passava per la testa. Si sentiva il padrone del mondo, quanto meno di quella casa, nonostante ancora non avesse ricevuto la mano di Castria. Con quel suo atteggiamento così allegro, come poteva Longino affrontare un discorso che sapeva lo avrebbe fatto infuriare?

"Buongiorno, Longino. È sempre molto piacevole venire a trovarti ma ti pregherei di fare in fretta, qualsiasi sia il motivo per cui mi hai chiamato. Ho una giornata molto impegnativa". Il tono era completamente diverso rispetto a qualche ora prima, a casa del lanista, anche se in realtà l'atteggiamento da padrone era rimasto.

Neanche si mise seduto, dando prova appunto che quanto aveva detto non era solo una scusa. Per prendere un po' di tempo, Longino si alzò e, da buon padrone di casa lo invitò a sedersi: " Vieni, parliamo ", lo in formò indicando l'unica sedia disponibile che Tullio fissò quasi fosse  un pezzo di escrementi.

" Ti ho appena detto che vado di fretta, non farmi prendere tempo", ripeté il concetto, questa volta a voce leggermente più alta e con un accenno di fastidio nella voce. Poteva anche fingere di essere affabile e disponibile, ma presto tornava a galla la sua vera natura e farla stare nascosta era sempre più difficile. Il tono, che non ammetteva alcuna replica, pietrificò il buon vecchio Longino sul posto. Aveva sperato di trovarlo di buon umore per poter affrontare il discorso, ed invece davanti ai suoi occhi c'era un Tullio apparentemente calmo ma prossimo ad esplodere.

E il fatto che continuava a farlo aspettare non giocava a suo favore. Così si rimise seduto, deglutì rumorosamente ben due volte e ai asciugò il sudore dalla fronte prima di trovare il coraggio di iniziare. "Ti ho chiamato per parlare dell'annuncio che vuoi fare questa sera...", esordì restando quanto più sul vago possibile ma comunque mettendo sull'attenti il ragazzo, che conosceva bene i dubbi che serbava l'uomo. Ma invece d'interromperlo, e ripetere per l'ennesima volta perché fosse meglio seguire il suo piano, Tullio restò zitto e lasciò che Longino trovasse il coraggio di andare avanti.

Non trovando alcun tipo di resistenza, l'uomo si fece coraggio e continuò quasi cercasse di convincere perfino se stesso delle proprie parole: " Io credo che sia meglio rimandare l'annuncio del matrimonio. Lasciami prima parlare con mia figlia, spiegarle come funzionano le cose e convincerla che...", quando vide Tullio alzare gli occhi al cielo e sbuffare esasperato si zittì improvvisamente. Quello fu il suo può grande errore perche gli diede la possibilità d'intromettersi nella sua poco convincente filippica.

"Ne abbiamo già parlato, Longino! Tua figlia dovrebbe già sapere come funzionano le cose tra due cittadini romani e se ne è all'oscuro la colpa è tua che non sei stato un buon padre. Non ha bisogno di essere messa al corrente prima dei nostri piani, è una donna! Farà quello che gli si viene detto, e poi non devi preoccuparti di convincerla... A questo ci penserò io!" Un sorriso furbo gli apparve sul volto dopo aver pronunciato l'ultima frase, un sorriso che avrebbe dovuto mettere in allarme Longino, se solo l'uomo non fosse stato troppo impegnato a trovare le parole per perorare la sua causa.

"Hai perfettamente ragione, Tullio, ma vedi...", tornò a dire, sperando di trovare la parole giuste per portarlo dalla sua parte. Ma non riuscì neanche ad iniziare perché con un'unica falcata il ragazzo raggiunse il tavolo, dove vi appoggiò con decisione una sua mano, quasi sbattendo e facendo oscillare alcuni oggetti. Il volto segnato dalla rabbia, una vena sul collo che pulsava, e gli occhi iniettati di sangue, era bastato davvero poco per farlo scoppiare.

"Forse non mi sono spiegato bene, Longino. Si fa come dico, a meno che tu non voglia vedere il tuo piccolo impero si stoffe affondare in una sola notte", la minaccia, perché di questo si trattava, era stata pronunciata con un tono così tranquillo, in contrasto con la sua espressione furiosa, e questo non fece altro che far rabbrividire di paura il mercante.

Si guardarono negli occhi per alcuni istante interminabili, Longino con la strana sensazione di essere in trappola, come un piccolo topo in attesa di essere mangiato dal gatto, e Tullio cercando di far sbollire la rabbia per uscire da quella casa con una falsa serenità impressa nel volto. Perché ciò che era più importante era preservare le apparenze. Per questo Longino non avrebbe mai detto a nessuno che era stato minacciato da Tullio, neanche a Castria. E per la stessa ragione tutto sarebbe andato proprio come il giovane romano voleva, fin dall'inizio. 

Ed il fatto che uscì dalla villa del mercante con un'aria soddisfatta, proprio come era entrato, ne fu un ulteriore prova. 

Se qualcuno avesse saputo che cosa le passava per la testa, di sicuro avrebbe capito che stava allungando i preparativi proprio perché a quella festa non ci voleva andare. Aveva cercato di parlare con suo padre, ma lui si era praticamente nascosto da lei e rintanato per tutto il giorno nel suo tablinum, rifiutando di vedere qualcuno al di fuori dello schiavo che gli portava da mangiare. 

Così l'ora di prepararsi era arrivata e lei non era riuscita a far valere i suoi desideri, costretta a sopportare un annuncio di matrimonio che mai e poi mai avrebbe voluto affrontare. Perché lo sapeva che lì, a casa di Tullio, davanti a tutti i suoi invitati, non avrebbe potuto obbiettare. Non poteva mettere in ridicolo la sua famiglia, nonostante era proprio quello che desiderava. Ma comunque si sarebbe fatta sentire in seguito. Perché di una cosa era sicura: Non avrebbe mai sposato Tullio. 

Si fece rifare il trucco ben tre volte e l'acconciatura due, indecisa se voler apparire al meglio per far vedere al suo quasi non futuro marito che cosa si perdeva - convinta che non sarebbe mai stata al suo gioco - oppure presentarsi alla festa scialba come se si fosse appena svegliata alla mattina per farlo desistere dai suoi intenti. 

Lui si era messo in testa che era tutto un gioco, che poteva divertirsi con la piccola ribelle, ma non si rendeva conto che Castria era molto di più di ciò che faceva vedere. Aveva conosciuto si la ragazza forte, che difficilmente nascondeva ciò che pensava. Ma ancora on aveva fatto i conti con il suo carattere testardo, con la sua tenacia ma soprattutto con la sua astuzia. Mai e poi mai si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quel pallone gonfiato, che in realtà di lei poco gli importava. E decisa a fargliela pagare, per tutto il pomeriggio il muso contrariato contraddistinse il suo volto. 

La sua schiava, Clelia, notò il suo cambiamento di umore, come notò le grosse borse sotto gli occhi che tentò di coprire con il trucco. Non disse niente, non fece alcun tipo di domanda, nonostante fossero così in buoni rapporti da poterselo permettere. E questo perché intuì dal suo animo che Castria voleva solo essere lasciata da sola con i suoi pensieri. 

Si concentrò solo sul suo lavoro, che voleva fare al meglio, anche lei perse nella sua mente. Eseguiva ogni movimento come se fosse impresso dentro di lei, imparato dopo anni ed anni di addestramento di sua madre, e le veniva così naturale che si stupiva perfino lei della semplicità. Entrambe distratte, passarono tutto il pomeriggio nella stessa stanza senza però sentire la presenza l'una dell'altra. 

Solo in un unico momento Castria si ridestò dai suoi pensieri. Quando Clelia aprì il cassetto del mobile vicino allo specchio, sapendo che lì la sua padrona teneva collane e qualche oggetto prezioso, tirò fuori un acus che non aveva mai visto. Pensò immediatamente che sarebbe stato perfetto con il vestito che stava indossando Castria e, senza troppi indugi, iniziò a metterglielo tra i capelli. 

"Che cosa fai? Toglimi quel coso dai capelli", l'ammonì la ragazza non appena alzò lo sguardo e riconobbe l'oggetto. Furente più che mai riservò alla sua schiava un'occhiata di puro odio che spaventò la ragazza, poco abituata a quella sua espressione. Spaventata lasciò cadere l'oggetto a terra e rimase a guardare la padrona attraverso lo specchio, indecisa su come comportarsi a quel punto. Non le era mai capitato di fare qualcosa che non andasse bene e il suo primo istinto fu quello di chiedere scusa, anche se ancora non aveva capito che cosa successo. 

Non riuscì neanche ad aprire bocca che il volto di Castria si distese e, rendendosi conto di aver esagerato, sorrise alla schiave con fare affabile: "Scusami, Clelia, sono un po' nervosa... Non mi piace quell'acus, mettilo via", le spiegò con voce stanca, e anche un po' imbarazzata per aver sgridato alla sua schiava. Non era tipo da usare la sua posizione di superiorità per comandare con prepotenza, anzi, aveva sempre considerato Clelia al pari di un'amica. Era tutta colpa di Tullio se era arrivata ad alzare la voce contro di lei, le faceva perdere il controllo.

La giovane schiava non si fece ripetere due volte l'ordine, raccolse l'oggetto ma invece di rimetterlo immediatamente apposto lo posò distrattamente sul tavolino, tornando a sistemare i capelli della padrona. E per un bel po' di tempo entrambe si dimenticarono di quell'accaduto. 

Quando si fece sera, Castria si ritrovò a pensare di voler fuggire da quella casa, da quella vita, lontano da Roma, per poter seguire i suoi sogni. Ed era quasi pronta a farlo, se solo non fosse stato per Falco. Lui era ancora uno schiavo. Forse fuggire dalla scuola e da Roma non sarebbe stato troppo difficile, viste le sue abilità, ma si sarebbero portati dietro il marchio dei fuggitivi, con i legionari alle costole pronti a riportare il gladiatore in città per essere giustiziato. 

Non c'era altra alternativa che aspettare, aspettare fino a quando entrambi fossero stati liberi. E nel frattempo doveva fingere che tutto andava bene, nonostante dentro di lei un vulcano era pronto ad eruttare.

"Castria, sei pronta?" Furono le prime parole di sua madre che, senza neanche bussare e chiedere il permesso, aveva fatto irruzione nella sua stanza. Le bastò una leggera occhiata per rimanere completamente abbagliata dalla bellezza di sua figlia. E quasi con le lacrime agli occhi andò a stringerla tra le braccia con calore. 

"Oh, figlia mia, quanto sei bella. Sei stata baciata dalla Dea Venere quando era ancora in fasce, e guardati ora che bel fiore che sei diventato", riuscì a dire Lucilla tra un singhiozzo e l'altro non riuscendo a trattenere l'emozione che provava per quel giorno che considerava tanto importante. Castria non avrebbe mai potuto deluderla, in quel momento così commuovente, dicendole che in realtà non voleva fare altro che scappare. 

Si lasciò abbracciare, pensando che tutta quella gioia non era per niente condivisa, e le permise perfino di dare qualche ultimo ritocco da perfezionista quale era. Purtroppo per lei, gli occhi di Lucilla caddero proprio sul mobile lì vicino, dove l'acus giaceva solo ed abbandonato. Un sorriso luminoso e allo stesso tempo preoccupante le contornò il viso mentre lo prendeva tra le mani. 

"Ma questo è il regalo che ti ha fatto Tullio, devi assolutamente indossarlo", non le lasciò neanche il tempo di obbiettare - comunque non avrebbe saputo che cosa dirle per convincerla che non poteva metterlo - perché sua madre lo aveva già sistemato tra i capelli, fiera e soddisfatta. 

Fissando la donna attraverso lo specchio, intuì che quella sarebbe stata una terribile serata. Non capiva bene il perché, ma sapeva che sarebbe stato meglio rimanere a casa, e quell'oggetto incastrato tra i suoi capelli, che sembrava bruciare tanto le pesava sulla testa, ne era una prova. 

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