XIV. Sexus in Suburae

Le strade di Roma, di notte, erano avvolte nelle tenebre più assolute. Se era possibile vedere almeno dove si stavano mettendo i piedi erano solo grazie alla facies* che il suo schiavo teneva in mano, propria davanti a lui. Le lanterne delle poche tarbernae ancora aperte non bastavano per poter vedere bene tutta la strada e anche grazie alla sua illuminazione personale, doveva stare bene attento a non cadere a terra dopo aver calpestato qualche rifiuto lasciato in terra.

Di solito a quell'ora era già chiuso all'interno di un caldo e decisamente poco pulito lupanar* a godersi le gioie che poteva offrirgli un'africana o magari una galla. Poteva permettersi luoghi più di lusso, dove le lupe erano delle vere e proprie cortigiane e dove ovunque non c'era l'odore di urina e sudore che invece si sentiva nei bassi fondi. Ma provava uno strano piacere nel mischiarsi alla gentaccia che non aveva un sestertius* per mangiare ma comunque non si faceva mancare una buona scopata con una donna che non fosse sua moglie.

Nei quartieri più malfamati di Roma nessuno faceva caso a lui, che passeggiava con passo svelto insieme al suo schiavo, e nessuno avrebbe caso al fatto che entrava ed usciva da un postribolo di bassa considerazione. Tutti i poveracci che avevano avuto la sfortuna di vivere da quelle parti erano troppo occupati a pensare ai propri problema, per notare lui. Prendeva qualche preoccupazione comunque, per ogni evenienza.

Come farsi accompagnare dal suo schiavo più grosso e forte, Seleo, ed evitare di portare qualcosa di prezioso con sé. Anche se quella sera in realtà, dentro la casacca qualcosa che valeva la pena rubare lo aveva. Ed era anche la ragione del suo ritardo.

Era dovuto passare al forum, a recuperare della merce molto preziosa perché la schiava designata per farlo se ne era completamente dimenticata. L'aveva punita a dovere, forse anche troppo ma non era riuscito a fermarsi. Così aveva deciso di andarla prendere di persona.

Non avrebbe mai immaginato che avrebbe così tanto tardi ma il lupanar era aperto tutta la notte, perciò non aveva di che preoccuparsi. Lanciò uno sguardo al suo schiavo quando si accorse che aveva abbassato leggermente il braccio e facies non illuminava più il terreno dinnanzi a loro.

"Si può sapere che stai facendo, razza di idiota?" Imprecò ringhiando contro l'uomo che, normalmente, non avrebbe dovuto temere alcunché vista la sua stazza. Poteva competere perfino con i migliori gladiatori dell'arena, e spesso Tullio aveva anche pensato che sarebbe stato un buon modo per guadagnare soldi in più. Poi però si era ricordato di quanto gli era costato uno schiavo del genere e aveva deciso che il rischio non valeva i suoi soldi.

Se non fosse stato il suo padrone, non si sarebbe mai permesso di urlare contro ad un uomo del genere. Ma lui dalla sua parte aveva la libertà, e con ciò la dignità. Un sorriso soddisfatto, e anche un po' sadico comparve sul volto del giovane quando vide lo schiavo ubbidire immediatamente e abbassare la testa dalla vergogna.

Provava un senso di potenza ed invincibilità ogni qualvolta si ripresentava una scena simile, molto comune a Roma. E per lo stesso motivo preferiva i lupanaris sudici ed umidi, pieni di schiave, piuttosto che case di lusso con lupe altolocate e magari anche libere. Lui voleva sentirsi superiore in tutto e per tutto durante l'atto sessuale. E negli ultimi tempi le cortigiane erano diventate troppo pretenziose per i suoi gusti.

Come per esempio Crisante, l'amica di Castria, con il tempo e grazie al guadagno che aveva ricevuto per le sue prestazioni, era diventata troppo insolente. Senza contare che ormai si faceva pagare una fortuna per un servizio che poteva trovare a meno. E anche se si poteva considerare un cittadino benestante, preferiva risparmiare quando ce ne era la possibilità.

Questi i due motivi principali che lo avevano spinto a non bussare più alla porta della lupa e a cercarsi luoghi più adatti a lui. All'inizio si era sentito come un pesce fuor d'acqua, in quell'ambiente poco conforme alle sue origini. Lui che, nonostante non fosse un patrizio, aveva vissuto negli agi fin da piccolo. Ma con il tempo era diventato quasi tutto naturale, come se quel posto avesse sempre fatto parte di lui.

La povertà lo eccitava, forse proprio perché sapeva che, non appena ne avesse avuto voglia, poteva tornare al lusso della sua famiglia. Altrimenti non avrebbe gioito tanto nel vivere in un quartiere così malridotto, con le gesti strappate e la continua paura di contrarre una malattia mortale. Ma Tullio in fondo non sapeva il vero significato di essere poveri. E mai lo avrebbe saputo.

L'unica cosa di cui doveva preoccuparsi era quella di non farsi riconoscere in giro, altrimenti tutti i sforzi che aveva fatto negli ultimi anni sarebbero andati in fumo. La sua carriera sarebbe finita ancora prima di avere un vero inizio e probabilmente la sua famiglia lo avrebbe diseredato. Suo padre non faceva altro che andare in giro a dite di avere un figlio in politica. Non sarebbe stato al suo fianco se fosse caduto in disgrazia. Dura verità: a Roma chiunque, perfino un padre, preferiva salire sul carro del vincitore, anche a discapito del proprio figlio.

Per evitare di rovinare la sua vita e la sua carriera, quindi, girava per i vicoli bui, e per niente raccomandabili, con il mantello calato fin sopra al capo nel tentativo di coprirsi il volto. Da quel punto di vista la notte gli era amica, visto che impediva ad ogni avventore di scorgere con esattezza le due fattezze.

E nonostante fosse abituato a girare di notte in quei luoghi, provava sempre un senso di smarrimento. Per questo tirò un lungo sospiro di sollievo quando vide in lontananza le lucerne affisse al muro che illuminava l'entrata del lupanar. Senza indugiare troppo, perché la notte gli stava mettendo addosso una certa ansia, ordinò al suo schiavo di restare davanti all'edificio ad aspettarlo. Nonostante facesse freddo, e un vento imperioso soffiava tra un'abitazione e un'altra, Tullio non dubitò neanche per un secondo che Seleo potesse disubbidire.

Suo padre gli aveva insegnato ad essere irremovibile nei confronti dei suoi schiavi. Perciò il grande servo sapeva a cosa andava in contro se si fosse attardato in quale locanda a bere del vino. Nonostante quello fosse il suo desiderio, si piantò con i piedi affianco alle scale che conducevano al postribolo e rimase in attesa. Il freddo gli entrava fino alle ossa, gelando ogni suo nervo, ma non si sarebbe mai mosso dalla sua posizione.

Tullio salì le lunghe scale in legno che conducevano alla porta del piacere e bussò ben tre volte per farsi aprire. Ad accoglierlo fu un uomo in evidente sovrappeso, con indosso una tunica logora e strappata in alcuni punti. Sembrava non curarsi troppo del fatto che il corpo flaccido e per niente allettante fosse messo in mostra dai pochi strati di tessuti. Lui lo conosceva bene, perché era sempre lo stesso uomo che veniva ad aprirgli. Non sapeva il suo nome e di fatto non gliene importava poi tanto.

Lo guardò senza proferire una parola, visto che ormai il giovane poteva considerarsi un cliente abituale, e si spostò di lato quel tanto che bastava per farlo passare. In realtà la sua pancia era troppo gonfia e il corridoio davvero stretto e Tullio fu costretto ad schiacciarsi addosso al muro. La sola idea di sfiorare quell'uomo sudicio e sudato lo disgustava, mentre lui sembrava provava perfino un immenso piacere.

Non gli piaceva molto quell'uomo sull'uscio. Non parlava mai, sorrideva sempre in modo inquietante - forse a causa del fatto che gli mancavano molti denti - e lo guardava con una luce maliziosa negli occhi. Sembrava volergli dire 'io so quanto sei perverso' e Tullio aveva quasi la sensazione che fosse sempre sul punto di andare a raccontare in giro quello che sapeva. Forse era solo una sua impressione, forse era solo paranoico eppure cercava sempre stare il più lontano possibile da quel uomo.

Per questo neanche si voltò, una volta superata la soglia, e proseguì dritto lungo lo stretto corridoio. Sarebbe stato impossibile vedere alcunché se non ci fossero state della facies in legno appese al muro tramite dei ganci di ferro. Era asfissiante passare di lì, perfino per un uomo gracile, figurarsi per un giovane alto e possente come Tullio. Si aveva la strana sensazione di essere inghiottiti dalle pareti, come all'interno dello stomaco di una feroce belva. E l'odore del fuoco, o per meglio dire di bruciato, non aiutava certo ad affievolire l'impressione di essere soffocati. Tirava sempre un sospiro di sollievo quando finalmente il corridoio si apriva, diventando molto più largo e agibile. E in quel momento finalmente iniziava a divertirsi.

Lì, sia a destra che a sinistra, si affacciavano i cubiculum che avevano solo una sudicia tenda, di colori diversi, a dare un po' di privacy a chiunque vi fosse all'interno. Anche dall'entrata si potevano sentire le urla di piacere e gli affanni di chi, al contrario di Tullio, aveva già iniziato a godere dei soldi spesi. E anche solo immaginare che cosa stavano facendo dall'altra parte di quelle leggere stoffe, bastò per eccitarlo.

Cercò di evitare di osservare le pitture sopra alle porte, che raffiguravano scene di sesso in ogni tipo di posizione, per non peggiorare ancora la sua situazione, altrimenti che cosa pagava a fare per un servizio che poteva anche farsi da solo. Con gli occhi cercò subito Mennenio, il lenone, e lo trovo appoggiato al suo solito bancone in pietra, con la sua stazza che lo faceva sembrare un gigante e i suoi modi rudi di chi ha sempre vissuto nel fango. Guardava un po' tutti dall'alto in basso, non solo a causa delle sue dimensioni, ma anche perché da quando aveva aperto la sua attività - se così si poteva chiamare - era diventato così ricco che avrebbe potuto comprarsi tutta la Subura *.

Naturalmente Tullio non poteva capire cosa potesse provare quell'uomo nel sentirsi in un certo senso il re del quartiere più basso della città, e mai lo avrebbe compreso. Ma stimava molto uno come Mennenio che, dal nulla e con solo le sue capacità, poteva dire di non morire di fame nonostante fosse uno stolto plebeo. Anche la sua famiglia era cresciuta dal nulla, partendo solo con quel poco che avevano, ed ora lui era pronto per affrontare un incarico politico molto importante per chi, come lui, non aveva un titolo nobiliare.

Non poteva certo paragonarsi al lenone, questo mai, ma vedeva molto di lui in quell'uomo che non si era arreso ad essere povero. Aveva avuto un colpo di genio aprendo un'attività che sapeva sarebbe andata a gonfie vele, perché si sa che il sesso e i Romani vanno di pari passo. Per questo si era meritato di guardare tutti gli altri poveri come se fossero delle nullità, e di sorridere saccentemente a chiunque lo incontrasse.

La stessa espressione da sapiente - in realtà non era neanche in grado di contare - la rivolse anche al suo nuovo, ma di vecchia data, ospiti: "Credevo non ti saresti più fatto vivo, ragazzo..." lo canzonò facendo riferimento all'ora tarda. Era abituato a lavorare fino a notte fonda, ma conosceva bene le abitudini di ogni suo cliente abituale, compreso Tullio.

"Ho avuto un contrattempo, niente di cui devi interessarti", in risposta il giovane usò il tono più tagliente e presuntuoso, cercando di ristabilire chi era più importante tra i due. Di solito la bassa plebea non si rivolgeva mai a lui in quel modo e anche se, di fatto appartenevano alla stessa classe sociale, Tullio si sentiva superiore a tutti loro. E di solito tornavano tutti al loro posto quando faceva capire loro la differenza. Ma non Mennenio, lui non era un tipo che si lasciava coinvolgere dalle convenzioni sociali, tanto che a sentire quel tono da finto duro non poté non scoppiargli a ridere in faccia.

"Calmati, ragazzo, non sono per niente interessato ai tuoi affari... a meno che non riguardino anche me". Cercò di tranquillizzarlo, sapendo ormai come prendere i tipi boriosi e pieni di egocentrismo come Tullio. Per questo sapeva che usando quelle parole avrebbe fatto leva sul suo primo interesse. Tanto che riuscì a vedere il suo volto rilassarsi, come se fino a quel momento fosse stato in tensione, in attesa di un qualche attacco. Gli parve perfino un sorriso, anche se non molto pronunciato, sul volto, prima che chiedesse: "Hai qualcosa di nuovo?"

Alla fine Mennenio era anche il migliore proprio perché sapeva prendere e trattare con i suoi clienti, che a volte era proprio insopportabili e molto esigenti. Come il giovane che aveva di fronte. Ma era soddisfatto di sé, perché aveva ciò che pensava potesse piacergli. Perciò i suoi occhi brillarono, pregustando già i soldi che avrebbe ricevuto da Tullio.

"Ne ho presa una nuova proprio qualche giorno fa, viene dall'Egitto ed è molta bella. La vuoi vedere?" Mentre parlava una delle sue ragazze passò proprio davanti a loro, completamente nuda, ancheggiando in modo provocatorio e con un sorriso divertito dipinto in volto. I capelli al vento, le guance rosse e l'aria di chi si era appena preso un pezzo di felicità. Gli occhi di Tullio furono attratti da quelle curve sinuose e da quella pelle chiara, che la seguirono fino a quando non la vide sparire dietro ad un basso muro che divideva le latrine dal resto della stanza.

Tornò a guardare il lenone con occhi offuscati dal piacere e con una certa urgenza, per questo scacciò le sue precedenti parole con un gesto della mano ed imperioso disse: "Non m'importa, dimmi solo quale stanza". E non si preoccupò neanche di sembrare troppo frettoloso e desideroso, ormai Mennenio lo conosceva bene tanto che quasi gli scoppiò a ridere di nuovo in faccia. Provava una strana gioia nel vedere i suoi clienti letteralmente dipendenti dalle sue ragazze, era convinto che i Romani avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di passare qualche ora in compagnia delle sue lupe. E questo bastava per avere il controllo su di loro.

Scuotendo la testa, ridendo sotto i bassi, indicò al ragazzo il cubiculum dove avrebbe trovato tutto quello che desiderava. Tullio non se lo fece ripetere due volte, con due sole falcate raggiunse l'entrata della stanza. Senza neanche fare caso al dipinto che doveva raffigurare la prestazione in cui la ragazza è più esperta, scostò bruscamente la tenda di un color sabbia ed entrò con l'intenzione di fare di lei tutto ciò che voleva.

Una delle qualità di Mennenio era che non mentiva mai. Ed infatti davanti a lui c'era una bellissima schiava egiziana, molto giovane, con la pelle color dell'ebano, i capelli come la pece e due occhi scuri e profondi nel quale avrebbe potuto perdersi. Al collo portava il collare tipico degli schiavi ed era l'unico segno di riconoscimento per la sua condizione, visto che la sua pelle era liscia e pulita. Non aveva neanche una cicatrice e Tullio la osservò molto bene visto che era completamente nuda e che si stava lavando con dell'acqua mentre lui aveva fatto il ingresso plateale. Voltandosi quasi di scatto verso l'entrata fu tentata di coprirsi quanto più poteva ma poi probabilmente si ricordò del suo lavoro e lasciò perdere.

Quel primo istinto di conservazione fece pensare a Tullio che era schiava solo da poco e la cosa lo eccitò anche di più, perché chi non è più libero da molto tempo ha perfino dimenticato che cosa significa. Al contrario dei nuovi servi, che sanno e ricordano perfettamente la vita senza catene. E nonostante poteva vedere l'amarezza negli occhi della ragazza, non appena si rese conto che un nuovo cliente aspettava di essere soddisfatto, colmò la poca distanza che li separava e si inginocchiò al suo cospetto.

Tullio, che era rimasto letteralmente paralizzato da quella strana bellezza, si rese conto tardi di quello che la ragazza stava facendo, già alle prese con le mani per liberarlo dai vestiti. aveva già aperto la bocca, pronta ad accoglierlo completamente quanto lui la bloccò. Nonostante provasse una certa soddisfazione nel vederla in quella posizione d'inferiorità, voleva guidare lui le danze e decidere che cosa fare. Per questo le prese il mento e strinse fino a costringerla ad alzare la testa per guardarlo. Con il suo piccolo volto nella sua mano, le intimò: "Ti sembra che abbia bisogno di un aiuto?"

Naturalmente la ragazza non rispose, anzi, lo fissò confusa, con un'espressione corrucciata in volto che la rese ancora più sensuale. In quel momento, mentre Tullio stava perdendo completamente il controllo del suo corpo, si rese conto che forse la fanciulla non parlava la sua lingua e che quindi non aveva capito neanche una parola. Bella ma pur sempre stupida come una schiava.

Le lasciò andare il volto, quasi all'improvviso e lei rischiò da cadere all'indietro. Ma non ebbe il tempo perché prontamente Tullio la prese per i capelli e la strattonò per convincerla ad alzarsi. Visto che non poteva capirlo, avrebbe usato la forza. Per qualche istante rimasero a fissarsi negli occhi, e lui poté quasi sentirsi fiero della lacrima che le rigò il volto a causa del dolore che stava provando in quel momento. Con la mano libera le prese di nuovo il mento per costringerla a stare ferma e infine la baciò. O forse sarebbe stato meglio dire che la morse visto che, non contento di poter sentire il sapore delle sue labbra, con i denti strinse fino a quando non sentì il sapore metallizzato del sangue.

Senza darle un momento per capire cosa stava succedendo, con modi poco gentili, la fece girare così rapidamente da farle venire le vertigini. La spinse con forza a terra posandole la testa sul letto in pietra. Con una mano la teneva ferma per la testa mentre con l'altra si toglieva la toga di dosso senza troppe cerimonie. La buttò a terra in un angolo insieme alla sua casacca e si dedicò in tutto e per tutto a soddisfare il suo piacere.

Con lo sguardo fisso al muro, dove qualche avventore prima di lui aveva lasciato il segno del suo passaggio con frasi in riferimento alla sua prestazione o a quella della fanciulla in questione, quasi si dimenticò della ragazza sotto di lui che sussultava ad ogni sua spinta.

Il tutto finì in pochi minuti, perché aveva protratto la sua dolce agonia troppo a lungo e non era riuscito a resistere quel tanto che bastava per poter considerare una vera prestazione sessuale. Avrebbe dovuto preoccuparsi della sua dignità di uomo ma visto che quella che aveva davanti era solo una misera schiava, non se ne curò più di tanto.

Sfinito per lo sforzo, e completamente sudato, si accasciò a terra appoggiandosi al muro con la schiena per riprendere fiato. Chiuse gli occhi per un secondo e quando li riaprì la ragazza stava tenendo in mano un oggetto. Per qualche istante non riconobbe ciò che stava osservando con tanta attenzione. Ma si rese conto che la ragazza stava toccando la ragione per il quale era dovuto passare al forum. Probabilmente lo aveva trovato a terra, vicino la vesti che Tullio aveva buttato senza troppa considerazione.

Neanche lui capì perché quel gesto gli diede fastidio, in fondo non stava facendo niente di male. Non aveva mica intenzione di rubarlo. Eppure Tullio scattò in piedi e la raggiunse con la furia negli occhi. Le strappò dalle mani l'acus in argento e la guardo con disprezzo.

"Questo non è per te, lupa, è troppo raffinato per una come te" le intimò anche se era consapevole che la ragazza non comprendeva una singola parola. Comunque non eta del tutto stolta perché dovette intuire dal tono di Tullio che quello che aveva fatto non era ammissibile. Ecco perché si rannicchiò su se stessa, abbracciandosi le gambe e cercando di farsi piccola piccola.

Questo non le impedì si prendersi una sberla in pieno volto, lì dove nelle ore successive probabilmente sarebbe comparso un livido viola. Non pianse, neanche un singolo singhiozzo, ed abbassò lo sguardo sperando che ciò servisse a calmare l'uomo. Ed infatti Tullio non le diede più attenzioni, troppo distratto ad osservare l'oggetto che aveva tra le mani.

Quando lo aveva visto, su quel banco, aveva immediatamente pensato a Castria. Quelle poche volte che l'aveva osservata si era accorto che non indossava molti abbellimenti femminili perciò credeva che potesse essere di suo gradimento. Un oggetto elegante ma allo stesso tempo non troppo sfarzoso, proprio come la giovane.

Sapeva che sarebbe stato difficile convincerla ad abbandonarsi completamente a lui, ma Tullio era un uomo molto testardo. Una persona cresciuta con la convinzione che poteva avere tutto dalla vita, bastava solo trovare il modo. Ed era sicuro che sarebbe riuscito a scoprire il punto debole della giovane Castria, per renderla sua per sempre.

Glossario

- Facies: torce

-Lupanar: bordello

- Sestertius: moneta romana

-Subura: quartiere romano

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