XI. Amor gignit amorem

Nell'immagine: dipinto ad olio di Lawrence Alma-Tadema, intitolata "Saffo e Alceo".

Il letto di Crisante era più grande rispetto alla norma perché per lei non era solo un oggetto di uso comune. Lei ci lavorava, giorno e notte. Era molto richiesta, perché considerata una prostituta di classe e per questo chiunque poteva permetterselo, e la sua mente non era troppo perversa, andava da lei. Da quando poi non aveva più un lenone, tutti i compensi andavano a lei. Era contenta di essere pagata per svolgere qualcosa che, il più delle volte, l'appagava e la divertiva. Eppure negli ultimi tempi c'era qualcosa che la turbava, o per meglio dire qualcuno.

E qualcuno se ne stava in piedi, dandole le spalle, con solo un misero lenzuolo a coprirle il corpo. Non si era mai soffermata a pensare che un giorno avrebbe potuto provare un sentimento sconvolgente per una sua cliente. Eppure non riusciva a smettere di pensare al giorno in cui lei aveva bussato alla sua porta, sette mesi prima.

Per lei era una novità, sapere che anche le donne usufruivano di quei servizi e la prima volta fu alquanto strano. Non sapeva cosa fare o dire, ed era nervosa. Non le era mai capitato di fallire nel suo lavoro per questo si sentì in imbarazzo. Ma lei fu gentile, comprensiva e paziente. Non la picchiò come spesso poteva succedere con gli uomini, e non cercò di prendersi tutto da lei senza dare nulla in cambio.

Quando poi se ne andò, lasciò un piccolo vuoto dentro Crisante. Solo con il tempo la ragazza sarebbe riuscita a capire che quello era l'inizio di qualcosa di molto più grande. Grandioso ma allo stesso tempo pericoloso. Dentro di sé sapeva perfettamente che nome dare a tutto quello che era accaduto, ma una parte di lei preferiva godersi il momento. Non era per forza necessario parlare e chiarire cosa c'era tra di loro. Lei lo sapeva, Quintilia anche e questo bastava.

Osservando la curva perfetta della sua schiena, liscia e vellutata, e i suoi lunghi capelli morbidi che le sfioravano la pelle, la voglia di alzarsi ed andare ad abbracciarla fu tanta. Ma proprio in quel momento la matrona di voltò. In volto un espressione accusatoria, che la rendeva ancora più bella, e in mano una grande e vistosa collana d'oro che aveva trovato tra le cose della sua amante.

"E questa chi te l'ha regalata?"
Avevano avuto più di una volta una conversazione simile, Crisante sapeva già dove sarebbe andata a finire. Per questo sfoggiò il suo sorriso più malizioso. Sdraiata sul suo enorme letto, completamente nuda e scoperta per lasciare osservare alla sua amante tutto ciò che era suo. Alzò le braccia sopra la testa e strinse tra le mani la testata in ferro del letto, mettendosi ancora più in mostra con al schiena inarcata. Il seno prorompente, i fianchi perfetti, si strusciava sulle lenzuola come una gatta cercando d'invitare con segnali evidenti la propria compagna a raggiungerla.

Ma Quintilia non si faceva ammaliare facilmente dal fascino della giovane, nonostante avesse ne avesse una grande voglia. E Crisante, accortasi che il trucchetto non sortì l'effetto sperato, fu costretta a rinunciare. Lasciando ricadere le braccia sui fianchi, con un espressione delusa e il labbro sporgente in avanti, si apprestò a dare le sue spiegazioni con totale naturalezza. Per lei non c'era nulla da nascondere.
"È il regalo di un senatore!"

Il viso sempre sereno della matrona si tramutò in un esempio di gelosia e rabbia. Lasciò ricadere la collana sul mobile di legno dalla quale l'aveva presa, senza curarsene di rovinarla, e sbuffò inviperita. Da anni non provavo gelosia verso qualcuno, e mai lo aveva provata per quel maiale di suo marito. Perciò era come tornare giovani, quando ogni minima delusione sembrava troppo grande da superare.
"Lo dici come se nulla fosse?" Non riusciva proprio a capire il tono calmo e rilassato dell'amante, lo riteneva perfino un insulto alla sua persona.

E in risposta Crisante scrollò le spalle, sfoggiando un sorriso che avrebbe dovuto tranquillizzare Quintilia ma che di fatto la fece innervosire ancora di più.
"Si tratta del mio lavoro" furono le sue uniche parole in difesa del suo comportamento che di professionale non aveva proprio nulla. Lo sapeva bene anche lei che i suoi comportamenti potevano essere fraintesi. Per questo non rimase sorpresa dalla risposta della compagnia: " Il tuo lavoro è dare piacere agli uomini, non accettare i loro regali, e lo sai bene anche tu!"

Neanche Quintilia sarebbe riuscita a capire se era semplicemente preoccupata per Crisante, perché rischiava di attirare attenzioni troppo moleste dei suoi clienti, o se invece parlava solo perché era gelosa. Ogni volta che era lei ad offrirle qualcosa, la lupa si rifiutava di accettare i suoi soldi e i suoi regali. Ci rimaneva male, senza sapere che Crisante non lo faceva per offenderla. Tutti i suoi clienti le facevano regali per ringraziarla del suo lavoro o per elogiarla per la sua bellezza. Non voleva paragonare quegli uomini perversi alla sua Quintilia, perciò non accettava da lei compensi. Il loro rapporto ormai si era sviluppato ben oltre il mero piacere sessuale.

Non avrebbe potuto dire alla sua amante niente per confortarla, alla fine sapeva che aveva ragione lei. Ma la sua parte più femminile, legata alle belle e preziose cose, prendeva sempre io sopravvento: "Non posso certo rifiutare una bella collana o una domus con vista su Roma". La villa, che le era stata regalato da un uomo molto potente, di cui non voleva rivelare il nome neanche a Quintilia, era stato un'altra motivo di discussione tra le due donne.

La più anziana credeva che un uomo disposto a regalare una villa ad una lupa in realtà si era fatto un'idea sbagliata del rapporto che c'era tra di loro. Senz'altro prima o poi sarebbe tornato a chiedere di più alla giovane donna che, impossibilitata a dargli oltre quello che già aveva donato, sarebbe stata costretta a restituire la casa. Nel migliore dei casi. Aveva cercato di mettere in guardia Crisante, ma la giovane era troppo accecata da quel lusso per rendersene conto. Era troppo giovane ed ingenua, questa era la loro più grande differenza.

Quintilia ne aveva passate tante nella sua vita. Nata come schiava, aveva vissuto la metà della sua vita a dipendere dai capricci di altri. Fino a quando aveva incontrato Apollonio, allora anche lui era un schiavo. Lui si era innamorato follemente di lei, mentre Quintilia non aveva mai provato nulla per lui. La sua unica ambizione era quella di diventare una donna libera, per questo aveva rinunciato a trovare il suo vero amore. Aveva sacrificato molto, solo per la promessa di una libertà, che poi non tardò ad arrivare. Apollonio le aveva promesso di renderla una donna libertà, se fosse stata sua moglie, e quella promessa l'aveva mantenuta qualche anno dopo.

Non poteva immaginare che la vita da liberta sarebbe stata anche più difficile da sopportare. Con il passare degli anni era diventato più faticoso restare al fianco di Apollonio, che con la ricchezza era cambiato diventando sempre più avaro. Se prima riusciva almeno a provare un po' di affetto per quell'uomo, ormai da anni lo odiava. Si chiedeva come un uomo nato in cattività, che d'ingiustizie ne aveva viste tante, poteva trattare degli schiavi come se fossero animali. Lei non aveva dimenticato i primi anni della sua vita, quando anche per respirare dove chiedere il permesso. Non avrebbe mai trattato con rabbia e superiorità un altro essere umano, proprio perché sapeva come si sentiva ad essere considerati nullità.

Odiava suo marito perché si era completamente dimenticato di chi fosse, da dove veniva e che cosa era stato costretto a subire per raggiungere i suoi scopi. Prima odiava i cittadini liberi perché trattavano male gli schiavi, e ormai eta diventato uno di loro. Se avesse potuto lo avrebbe lasciato, per poter vivere insieme a Crisante. Ma alla fine era consapevole di dipendere da lui.

Che cosa avrebbe fatto senza Apollonio? Vendere il suo corpo come faceva la giovane era fuori discussione, non dopo aver vissuto per tanto tempo da schiava. Non avrebbe mai permesso a nessun altro di possedere neanche una parte del suo corpo. A parte il cuore, che già si era allontanato da lei per raggiungere quella lupa, un po' frivola, che continuava a guardarla come se fosse il centro del mondo. Il loro amore era nato così all'improvviso che entrambe ancora non riuscivano a capacitarsene. E chissà come l'avrebbe presa Apollonio se ne fosse venuto a conoscenza? Con lei era sempre molto permissivo ma Quintilia era sicura che non sarebbe riuscito a sopportare quella notizia.

Per questo usciva di casa con la scusa di andare al mercato ed entrava a casa di Crisante dalla porta che usavano anche gli schiavi, quella meno visibile. Il tutto per non destare troppi sospetti, anche se suo marito era venuto a conoscenza di quella loro amicizia. A Roma Crisante era molto conosciuta perciò Apollonio si era subito chiesto come mai sua moglie conoscesse la lupa. Ma la sua superbia non lo avrebbe mai fatto giungere alla verità. O almeno era quello che sperava Quintilia. Non poteva neanche immaginare quello che avrebbe fatto per vendicarsi.

Eppure, nonostante la preoccupazione le rendesse le giornate impossibili, non poteva fare a meno di presentarsi al loro consueto incontro. Perché vederla la faceva stare meglio, anche quando la esasperava come in quel momento. Scosse la testa, sconfitta di fronte alla spregiudicatezza della sua compagna. Alla fine sapeva che poteva metterla in guardia quante volte voleva, ma Crisante avrebbe sempre fatto di testa sua.
"Lasciamo perdere, tanto so che convincerti è inutile", e inoltre non voleva spendere le poche ore che avevano a disposizione per litigare.

La giovane le sorrise di nuovo con ritrovato vigore mentre la osservava avvicinarsi al letto e togliersi il lenzuolo che la copriva. Anche se era più anziana della lupa, Quintilia aveva un corpo invidiabile e la sua bellezza non era stata poi intaccata dal tempo. Anzi, era maturata rendendola ancora più bella.
"Tu mi farai impazzire, Aurelia!" Affermò sdraiandosi accanto a lei e chiamandola con il suo vero nome. In pubblico non lo faceva mai, perché non voleva far capire quanto le due si conoscessero. Ma in privato lo preferiva, perché le piaceva pensare a quella giovane fanciulla che era stata prima di cadere in disgrazia ed essere costretta a prostituirsi.

La giovane ragazza, contenta che la discussione fosse finita in poco tempo, le mise le braccia al collo e la baciò appassionatamente. Quando c'era lei perdeva letteralmente il controllo del suo corpo e della sua mente. Anche quando le capitava di vederla in un luogo pubblico, il cuore iniziava a batterle all'impazzata, e desiderava solo raggiungerla. Poteva quindi capire cosa provava la sua cara amica Castria nel vedere il gladiatore. E tornando con la mente a lei, si ricordò di un piccolo particolare. Qualcosa che aveva intenzione di chiedere a Quintilia ma che poi le era sfuggito di mente.

Si staccò dalla sua amante, dopo un lungo bacio privo di respiro, e la sua espressione era diventata seria. Per un attimo Quintilia ebbe la paura che le stesse per cacciare. Poi però le sue parole la tirarono su di morale: "Ho bisogno del tuo aiuto con la mia amica Castria". Il cambio repentino di argomento mandò in confusione la donna che guardò Crisante con espressione interdetta. Perché le stava parlando di quella ragazza?Ma soprattutto, c'era qualcosa fra di loro? Non poteva fare a meno di pensare che Castria era più bella e giovane di lei, quindi più desiderabile. E l'idea di perdere Crisante la devastava.

La giovane dovette intuire la sua confusione nello sguardo perché si affrettò ad aggiungere : "Sono passati tre giorni dalla festa e lei non ha più parlato di Falco... Credo che sia rimasta molto delusa dalle circostanze, ma non posso credere che finisca tutto così... Prima ancora d'iniziare". Vedeva negli occhi dell'amica la delusione e la tristezza e sentiva il bisogno di aiutarla. Non poteva restarsene con le mani in mano mentre Castria soffriva per amore.

"Anche Falco è strano da qualche giorno, rabbioso come un animale... Perde il controllo facilmente e fa sempre a botte per un no nulla. Mio marito non sa più come prenderlo" annunciò Quintilia che, fino a quel momento, non aveva tanto fatto caso a quel piccolo particolare. Ma per la ragazza fu un chiaro segno che ci aveva visto giusto: " Quei due non possono stare l'uno senza l'altra, è ovvio... Ma sono così cocciuto che senza una spinta esterna non ce ma faranno mai a risolvere i loro problemi!"

Aveva già mente qualcosa, Quintilia glielo leggeva nei suoi occhi vispi e furbi. Eppure non capiva: "Perché ci tieni tanto?" Esternò un pensiero che aveva avuto fin dall'inizio ma che fino a quel momento aveva tenuto per sé. Per lei era strano vedere qualcuno interessarsi al benessere di altre persone senza ricavarne niente in cambio. E non poteva non amare ancora di più la ragazza per l'animo nobile che aveva.

"Tutti dovrebbero avere l'opportunità di amare chi vogliono... Senza restrizioni!" Il tono triste e solenne lasciava intendere che Crisante in quel momento non si stava riferendo solo a Castria e a Falco. Ci aveva messo qualcosa di personale in quella riflessione e gli occhi colmi di lacrime ne erano un esempio. Quintilia sentì la necessaria di consolare la sua amante, tanto più giovane ed ingenua, così l'abbracciò e la strinse a sé. Profumava di rose e la sua pelle era fresca e delicata.

Con la mano iniziò ad accarezzare i capelli, dandole qualche bacio sulla fronte: "Farò tutto quello che vuoi, promesso!" le sussurrò tra un bacio e un altro. Non poteva negarle più niente, ormai lo sapeva. Se almeno loro due non potevano stare insieme, avrebbe fatto di tutto per permettere a Castria e a Falco un futuro diverso. Forse gli Dei si sarebbero compiaciuti della loro bontà e le avrebbero premiate. Perché per Quintilia vivere senza Crisante ormai era impossibile.

Falco si presentò al cospetto del suo padrone, che nel suo tablinum fingeva di fare qualcosa d'importante mentre in realtà se ne stava in panciolle. Gli ultimi tre giorni erano stati davvero un incubo per lui. Preda della rabbia e della gelosia scattava anche per una minima cosa e il povero mal capitato di turno ne subiva le conseguenze. Il novellino si era già preso due pugni e una testata proprio perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. E anche perché non aveva ancora imparato quando era meglio tacere. Ma non era l'unico ad aver subito l'ira di Falco, gli occhi neri, i nasi rotti e i graffi sulla pelle di molti gladiatori ne erano una prova.

Per questo non si era stupito che Apollonio l'avesse richiamato. Che altro poteva dire in sua diversa? Non certo che era geloso perché aveva visto una giovane cittadina romana chiacchierare con un uomo. Subì in silenzio la ramanzina del suo padrone, che urlava come un ossesso. "Che cosa sei una fanciulla in piena crisi? Hai qualche problema?No voglio teste calde nella mia accademia. Se fossi stato un altro, a quest'ora ti ritroveresti al palo con la schiena scorticata... Ringrazia gli Dei che mi servi nel pieno delle forze per il prossimo combattimento".

Ad un certo punto Falco credette che il suo padrone fosse sul punto di morire, tanto la vena sulla sua tempia si era gonfiata a dismisura. E invece Apollonio continuò imperterrito con le minacce di punizioni e torture, entrando perfino nei particolari. Credeva davvero di spaventarlo ma ancora non aveva capito che l'unica persona in grado di ferirlo era Castria. Non temeva più nulla, neanche la morte. Ma l'idea che la sua Castria si fosse già dimenticata di lui, lo mandava in mille pezzi. Era quasi sul punto di pregare Apollonio affinché lo punisse. Il dolore fisico era sempre meglio di quello che stava sentendo al cuore.

"Ma anche se non posso infierire sul tuo corpo, credo che posso punirti in un altro modo..." Furono queste parole che ridestarono Falco dal torpore. Fino a quel momento neanche aveva ascoltato ciò che stava dicendo il suo padrone. Eppure qualcosa in quella frase li fece scattare. Alzò la testa e puntò i suoi occhi scuro dentro a quelli di Apollonio per capire che cosa aveva in mente. Aveva imparato con il tempi a capire che il suo padrone era un uomo molto subdolo e che quindi bisogna stare bene attenti.

Apollonio parve molto compiaciuto di aver attirato l'attenzione del gladiatore, tanto che sul suo viso paonazzo comparve un sorriso furbo. Falco aveva la paura che tirasse in mezzo Castria, perché non gli era sfuggito come alla festa li aveva interrotti. Ma tirò un lungo sospiro sollievo quando lo sentì parlare: " Mia moglie ha avuto l'idea e all'inizio non ero molto d'accordo... Ma ora credo che sia la più giusta punizione per te! Da domani accompagnerai Quintilia a fare spese, ogni qual volta lei vorrà, sarai il suo cane personale".

Credeva di aver puntando sull'umiliazione. Un campione dell'arena costretto a girare tra i banchi di gioielli e stoffe. Invece a Falco non importava nulla, era del tutto indifferente. Questo perché non sapeva che cosa aveva escogitato Quintilia per lui.

Si congedò con poche cerimonie, facendo credere ad Apollonio di aver di nuovo sottomesso quando invece lui iniziava a pensare che era perfino uan premio. Poteva uscire da quella dannata accademia, anche se solo per andare al mercato. Ma prima di raggiungere la porta, il suo padrone lo incalzò di nuovo. Con voce finta bonaria e un espressione che lasciava intendere ben altro, Apollonio lo raggelò fin nelle ossa.
"Carina la figlia mercante... Un po' fuori dalle tue possibilità però!"

In fondo non aveva detto nulla di male se non la verità, eppure Falco s'irrigidì. La mascella contratta e i pugni chiusi preannunciavano che per pronto ad aggredire Apollonio e ad ucciderlo. Non gli importa dee conseguenze, quelle parole gli aveva lasciato il ghiaccio nelle vena.

Uscì dal tablinum con l'incertezza che lo divorava. Apollonio aveva per caso voluto metterlo in guardia? Se era così doveva a tutti i costi impedire che quell'infimo uomo mettesse le mani sulla sua adorata Castria.

Glossario:

- Tablinum: luogo della casa in cui il padrone teneva in suoi affari e trattava con i clientes.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top