Topo
La leggenda narra che la famiglia Ellis sia dotata di un super potere grande quasi quanto quello di Ulyscemo di saper mangiare qualunque tipo di cibo senza sporcarsi mai e quello di Meg di conoscere tutti i gossip del mondo.
Le botte di culo.
Essendo la leggenda sempre narrata da nonna Titti – la stessa che afferma che Atlantide esiste davvero e si trova vicino all'Australia, solo come scusa per potersi far regalare da figlio e nuora un biglietto per l'Australia così da vedere i suoi amati koala, fregandosene altamente delle sue mille allergie – bisogna sempre prenderla con le pinze, ma rispetto a tutte le altre leggende narrate da nonna Titti è senz'altro quella con un minimo di fondo.
Di fatto, nonna Titti conobbe il marito nonché suo più grande amore proprio a causa delle sue allergie. Gli antistaminici dell'epoca che le aveva prescritto il dottore le provocavano tremendi effetti collaterali tra cui una sonnolenza profondissima. Una notte, mentre era in treno per tornare a casa dal suo lavoro come cameriera, si addormentò, andò proprio in catalessi, e un uomo tentò di derubarla approfittandosi della cosa.
Ad accorgersi di quel tentativo di furto fu Marcus Ellis, mio nonno, che la difese da quel ladro. Si pestarono proprio a sangue, in realtà, nel vagone mezzo vuoto, e nemmeno i controllori furono capaci di fermarli.
L'unica persona che fu in grado di porre fine una volta per tutte a tale rissa fu proprio nonna Titti.
Una volta essersi risvegliata e aver visto davanti a sé la scena di due omaccioni che se le davano di santa ragione, comprendendo la situazione da quello che si dicevano, si sollevò in piedi, avanzò verso di loro e diede al ladro il gancio destro più meraviglioso, bello e soddisfacente della sua vita – così afferma lei, almeno. Un gancio destro tale da stendere all'istante il ladro, colpito in piena faccia, con tanto di naso rotto e denti davanti massacrati.
Mio nonno Marcus si innamorò all'istante di lei.
Questo potere, la botta di culo, stando sempre a quanto dichiara nonna Titti – la stessa che dice che Re Artù esiste davvero e sta dormendo in una campagna segreta della Scozia per convincere figlio e nuora a regalarle un biglietto per l'Inghilterra – si è trasmessa di generazione in generazione e ha contagiato anche i membri acquisiti della famiglia Ellis come lei e poi mia madre.
Se da adolescente non credevo minimamente a questa leggenda a causa dell'incubo, nel corso degli ultimi anni, maturando, ho iniziato a farlo sul serio.
Sarà perché in un modo o nell'altro riesco sempre a trovare parcheggio in centro città.
Sarà perché la mattina in cui Sebastian mi mise di nascosto il pupazzo di una tarantola gigante sotto il cuscino, quando glielo lanciai in testa, gli feci cadere pure i venti dollari che reggeva in mano e così glieli rubai.
E soprattutto perché nel corso della mia vita ho perso sì tante scommesse, specialmente con Reid in merito all'unico neurone di Sebastian e a quante idiozie poteva compiere senza volerlo.
Ma mai le scommesse più importanti.
Ho voluto di nuovo credere in questo super potere di noi Ellis, con la scommessa di Ulyscemo. Ho deciso di farlo perché dentro di me sentivo che era importante.
Superstiziosa? Forse sì, ma comunque non avevo alternative. Ulysses avrebbe ripudiato qualsiasi mio altro tentativo di dialogo pacifico, avrebbe continuato ad evitarmi e in alcun modo mi avrebbe dato possibilità di instaurare una sorta di relazione sana tra noi due. Inoltre, non avrebbe mai accettato di mettersi in gioco con nessun'altra proposta da parte mia se non quella di vedermi traslocare all'istante.
Ho perciò scelto di correre il rischio, di attraversare i binari senza sapere quando passava il treno.
Un altro pregio o difetto della nostra famiglia, a seconda dei casi.
Sfidare sempre le sorti.
E di fatto...
Tre strike di seguito e due spare contro i due strike di Ulyscemo.
Ovviamente non voluti affatto, minimamente calcolati e sempre nati per botta di culo, visto quanto faccio schifo a bowling.
Ma ho vinto lo stesso.
È perciò con immenso orgoglio che stasera ho avuto l'onore e il diletto di preparare quella che ai miei occhi è la cena migliore di tutte, il vero e grande motivo per cui meritiamo di venire al mondo e dovremmo sempre apprezzare la vita: un appuntamento che se mi venisse proposto da un uomo mi indurrebbe subito a inginocchiarmi e chiedergli la mano.
La serata Barbie, pizza e birra.
Con tanto di televisore gigante davanti a ricreare l'effetto cinema e in cui guardarsi i primi capolavori (e orrori) della cinematografia Barbie, un tavolino basso e in legno dove ora si trovano due gigantesche pizze margherita, una bottiglia di birra ghiacciata per me, una CocaCola per Ulyscemo, pop-corn e patatine già pronti per quando avremo finito le pizze.
Le uniche pecche di questa serata che altrimenti sarebbe stata perfetta sono due.
La prima: il divano del soggiorno, quello dove mi trovo seduta, oltre ad essere grande quanto una piattaforma petrolifera è altrettanto scomodo. Un letto di chiodi, in confronto, è una nuvola. Per evitare di macchiarne la pelle bianca Ulyscemo si è subito premurato di coprire la zona dove ci troviamo con delle coperte di lana che non ho idea di cosa se ne faccia, visto che siamo ancora a settembre, in Florida, e si muore di caldo, ma suppongo ciò sia sempre dovuto al suo perfezionismo.
La seconda: Ulysses Redmond, da me ribattezzato Ulyscemo, sta vivendo quest'esperienza mistica e straordinaria come un condannato a morte che sta raggiungendo il patibolo o come Megan quando la Hope di turno di un libro trash si eccita al pensiero di essere terrorizzata da Toxic Boy, di solito dopo che lui ha ignorato il suo «No» categorico a far sesso e l'ha "posseduta" – come affermano sempre i Toxic Boys – perché «Tu dici "no", ma il tuo corpo urla "sì", piccolina.»
Sopracciglia contratte al massimo, corpo contratto al massimo, mandibola contratta al massimo, braccia serrate al petto al massimo e negli occhi l'ira di Zeus quando Prometeo gli ha fottuto il fuoco per darlo agli esseri umani. La sua posa è rigida come non mai, rischio sul serio di scambiarlo per un militare. Sono però sollevata di scoprire che dopo essersi lavato non è tornato alle camicie come al solito. Indossa un'altra t-shirt di marca, beige, dalle maniche corte e che aderisce perfettamente al suo torace muscoloso, e un paio di pantaloni neri.
Dal canto mio, ho optato per un top rosa proprio come Barbie, senza bretelle, che lascia scoperto l'ombelico, e un paio di pantaloncini dello stesso identico colore. Barbie bisogna festeggiarla in tutto e per tutto, in fondo, non importa in compagnia di chi.
Ovviamente, io e Ulyscemo abbiamo discusso persino per cenare. Si rifiutava categoricamente di mangiare sul divano, pretendendo di affrontare la tortura di Barbie solo dopo aver consumato la cena in cucina, ma poiché io ero detentrice della vittoria assoluta, non ha potuto replicare troppo alla mia richiesta di goderci la pizza in questo modo semplice e ai suoi occhi senz'altro trasgressivo.
Mi è difficile comprendere se la sua rigidità è dovuta a qualche forma di disagio o se semplicemente non apprezza in generale la situazione, ma a guardarlo, seduto a mezzo metro da me alla mia destra, in quella sua posa da soldato pronto a partire in guerra, il sospetto che questa sia la prima volta che lui si gode un pasto e un film così si fa sempre più forte.
Un'altra delle mille domande che ancora non posso fargli a causa dell'immensa incrinatura nel nostro rapporto.
«Andiamo» lo richiamo, mentre col telecomando inizio ad avviare il primo film: Barbie - La principessa e la povera, «non è una tragedia così grande, guarda che la magia di Barbie è immortale e vale per tutti, anche per te.»
Potrei giurare di aver visto fulmini saettare nei suoi occhi grigi, dopo che si è girato col capo per guardarmi irritato, con uno scatto talmente violento da spaventarmi. «La magia di Barbie» ripete con tono profondo, «è quella che ti ha indotta a trasformarti in una serial killer?»
«Non ho mai ucciso nessuno, io» ci tengo a precisare. «C'è una grande differenza tra un pestaggio e un omicidio, mi stupisce che tu, genio indiscusso e prodigio della Margory University, non la conosca.»
«Giusto, la differenza con te è che non sono mai stati trovati i cadaveri.»
Sono pienamente consapevole che sta facendo tutto questo per insultarmi e farsi detestare sempre di più, eppure non posso che iniziare ad adorarlo per queste frecciatine che mi lancia. Sarà una nuova forma di masochismo mentale?
«Pensa a mangiare, non alle inesistenti lapidi che mi lascio alle spalle» lo rimbecco, sporgendomi col busto per prendere una fetta della mia margherita. «O ti preoccupa mangiare una pizza con le mani? Posso andare subito in cucina a prendere le posa–»
Ho davvero sottovalutato la sua permalosità, pur avendolo provocato apposta. Non mi ha dato neanche il tempo di concludere la frase che subito si è chinato per prendere a sua volta un pezzo della propria margherita. E la cosa più comica di tutte è che lo fa sempre con quella posa rigidissima e con lo sguardo funesto che mi rivolge ogni giorno.
Addento la mia fetta per impedirmi di ridere, col televisore davanti a noi che inizia a mostrare le meraviglie del film Barbie - La principessa e la povera.
Ma la vera meraviglia delle meraviglie, ciò che davvero mi rende del tutto incapace di odiare Ulysses Redmond – pur essendo questo un suo grande desiderio – sono le perle che lui lancia durante la visione, tra un pezzo di pizza e l'altro, distruggendo ogni fotogramma del povero cartone animato con lo spirito critico di un nobile aristocratico di Versailles nei confronti della plebaglia.
«Il padre e la madre della povera Erika la amavano alla follia, sostiene la voce fuori campo» commenta con voce da boia, «così tanto che hanno contratto un debito talmente elevato che lei adesso, dopo che sono morti, dovrà lavorare per il resto della sua vita come una schiava per poterlo ripagare. Un debito che presenta interessi così grandi che dovrà ripagarli per i prossimi trentasette anni. Suppongo che il concetto di amore in Barbie equivalga all'assoluta irresponsabilità e demenza genitoriale.»
Rischio di strozzarmi con la birra per tentare di mandar giù le risate. «Ehi» lo richiamo. «Ti ricordo che è un cartone animato di Barbie.»
«E pensare che la gente addirittura sostiene che possa essere educativa, Barbie.»
Lo fisso incredula, non avrei mai creduto che si sarebbe immolato con così tanta dedizione alla sua causa di smontare una delle mie più grandi passioni. Il problema principale, però, persiste: benché sia ben conscia dei suoi veri intenti, il risultato che ottiene con me è l'esatto contrario.
Perché lo sto adorando sempre di più, Ulysses Redmond, lui e le sue frecciatine piccate degne della Contessa Du Barry in Lady Oscar.
«"Son come te, sei come me" cantano» prosegue, dopo la conclusione di una delle canzoni Barbie più belle mai concepite dalla storia. Le braccia di nuovo incrociate al petto, la schiena posata sul divano, le sopracciglia aggrottate, gli occhi fissi sullo schermo. «Evidentemente non hanno occhi e cervello necessari per vedere che una finirà in galera a patire la fame e l'altra in un matrimonio infelice ma piena di soldi.»
Stavolta per poco non soffoco con l'ultimo pezzo di pizza che stavo mandando giù. Mi schiarisco un'altra volta la gola. È davvero il rimedio naturale alla mia faccia di pietra, Ulyscemo. «Non è a questo che si riferivano e lo sai bene» replico, provando in ogni modo a nascondere il divertimento che provo. So per certo che si indignerebbe alla grande, se se ne accorgesse.
«Hai ragione, si riferivano alla stupidità che condividono le loro genitrici, come quella della madre della principessa Annalisa, talmente incapace da essersi fatta fregare tutto l'oro dal consigliere reale e i suoi due unici scagnozzi solo perché non ha messo delle guardie decenti a controllarlo.»
Ho la sensazione che morirò presto soffocata a causa delle risate che sono costretta a trattenere per colpa sua.
«"Il tuo bau per me è un miao"» continua, davanti a una delle scene più belle del film, quella in cui Erika consola nella vasca da bagno il suo gatto con la canzone Caro Gatto. «Mi è chiaro, ora: povera com'è, non ha mai potuto farsi visitare da un otorino.»
«Sul serio? Persino questo?»
«Se non sai tollerare le critiche, non è affar mio.»
«Non è critica: stai cercando apposta il pelo nell'uovo.»
Il suo sguardo si fa ancor più categorico mentre scruta il re Dominik che si innamora della voce di Erika. «Non cerco peli, io, non ce n'è neanche bisogno. Perché in questo orrore cinematografico che tu hai il coraggio di chiamare capolavoro non ci sono peli, ci sono direttamente criniere.»
Buon Dio, ha la lingua più velenosa di quella di nonna Titti, finora ritenuta da tutti noi membri Ellis come l'imperatrice delle battute piccate. E la cosa più assurda è che invece che alterarmi nel sentirlo dissezionare così uno dei miei ricordi più belli dell'infanzia, lo sto rivalutando sempre di più in chiave positiva.
Perché anche se lo fa volutamente per offendermi e farsi detestare, a differenza di quand'è all'università con gli altri non sta fingendo e men che meno recitando. È lui, solo lui: non ci sono più maschere e nemmeno filtri crudeli che usa per camuffarsi come ha fatto ai nostri primi incontri.
E inizio ad intuire anche la reale motivazione dietro la sua carriera da attore provetto, basandomi sulle poche informazioni che ho sul suo conto e su quanto sto vedendo adesso.
Ulysses Redmond, noto a tutti per la sua perfezione e il suo aspetto da uomo virile, per essere la perfetta proporzione di muscoli, altezza e fascino, a conti fatti, in verità, è un uomo che possiede atteggiamenti, lati e caratteristiche che per stereotipi continui vengono attribuiti a noi donne. È permaloso, quasi acido, sempre pronto a scoccare le sue frecciatine, teatrale nei gesti improvvisi e incredibilmente espressivo.
E se collego tutto ciò a quel che ho compreso su di lui, mi è ora chiaro sia il perché si tramuta in un perfetto gentleman e uomo professionale con gli altri, sia perché prova una forma di astio nei miei confronti.
Perché io sono il suo esatto opposto.
Sono una donna che sembra nei modi e nel carattere l'uomo che lui finge di essere, che raramente muta espressione in viso – se non con lui che è l'eccezione più grande dopo i miei fratelli – e a cui a primo acchito attribuiresti subito l'aggettivo virile.
Per lui rappresento tutto ciò che a conti fatti non riesce ad essere, quasi di sicuro tutto ciò che è stato accusato di non essere.
Una strana beffa del destino, questa, ritrovarmi affianco a un ragazzo che sta sperimentando le stesse agonie che ho vissuto io fino a pochi anni fa, seppur nella maniera opposta.
Perché per quanto sia ingiusto da parte sua detestarmi per qualcosa per cui io non c'entro niente, per una fragilità che riguarda solo e soltanto lui, non posso che comprenderlo.
«Ecco, guarda» dico nel momento in cui la principessa Annalisa scopre con il suo servitore Julian la presenza di ametiste nella miniera e gliele sta mostrando, «non è romantico? Gli ha appena fatto vedere perché è innamorata di lui.»
«Romantico, sì» sibila con nuovo veleno, le sopracciglia di nuovo contratte, le braccia sempre serrate al petto. «Gli ha fatto vedere un sasso che dentro contiene delle gemme e gli ha detto che quel sasso è come lui: orrendo fuori.»
Spalanco la bocca, allibita. «Non ci posso credere! Era una metafora! Una metafora per fargli capire che sebbene in apparenza lui non abbia nulla di valore in confronto a lei che è una principessa, in realtà dentro è una pietra preziosa!»
«Una pietra preziosa che da fuori sembra una noce di cocco pelata.»
«Smettila di guardare il film in chiave adulta, è un cartone animato per bambini! Devi riassumere l'innocenza dell'infanzia quando ne vedi uno se lo vuoi apprezzare!»
Ancora una volta, torna a fare la vipera: «Ah, quindi è così che adesso si giustifica la totale assenza di spirito critico: mascherandola per innocenza dell'infanzia. È quello che fai anche quando la polizia ti becca dopo che hai pestato a sangue qualcuno? "No, agenti, quei tirapugni non mi servono per picchiare le persone, ve lo posso assicurare, li porto sempre con me perché mi ricordano i bei momenti di quand'ero bambina."»
«Te li sei proprio legati al dito, i miei tirapugni.»
«Succede quando corri il rischio di venir assassinato di notte dalla tua coinquilina pazza che li colleziona come fossero francobolli.»
«Non assassino nessuno, io, men che meno i miei coinquilini.»
«Vero: li minacci solo di picchiarli a sangue.»
«Succede quando il tuo coinquilino ti fa un discorso sessista dicendo che devi rimediare al tuo non essere abbastanza donna.»
Schiocca la lingua, continua a fissare lo schermo per ignorare il mio sguardo. Non sembra particolarmente turbato nel rivangare la mia minaccia, a guardarlo, ne parla tranquillamente e la usa pure come frecciatina per insultarmi, mi verrebbe da credere che non è stata la violenza il trigger psicologico che l'ha fatto vomitare, quella notte, ma c'è da dire che lui è un grande attore quando deve mascherare le proprie fragilità, è difficile comprenderlo davvero.
Torno a guardare a mia volta il film, sormontata dai dubbi, dubbi che però non resistono a lungo, spazzati via proprio da colui che me li provoca da settimane e la sua assoluta devozione a smembrare la mia immensa passione per Barbie, quando passiamo al secondo film: Barbie principessa dell'isola perduta.
«Un elefante cucciolo di cui non si sa niente sui genitori, su un'isola che non potrebbe avere elefanti, con occhi azzurri che nessun elefante mai potrebbe avere» commenta, la sua voce si sta facendo sempre più spietata man mano che andiamo avanti e così il giudizio nei suoi occhi. «Una folle e delirante Tarzan depilata e truccata naturalmente, con tanto di ombretto e lucidalabbra, che non dovrebbe conoscere la lingua umana ma in qualche modo la conosce lo stesso, oltre che quella degli animali. Un principe con criceti in prognosi riservata nel cervello che si innamora di una Pocahontas mancata perché "lei è diversa dalle altre". Se il suo standard "diversa dalle altre" è che non sa neanche cos'è il sapone e il dentifricio, non ho dubbi che non ne abbia mai incontrate prima di Tarzan bionde.»
Giuro che mi scriverò su un quaderno tutte le sue perle, le sto adorando alla follia, ma non glielo posso ancora dire, purtroppo. Mando giù l'ultimo sorso di birra, accavallo le gambe e lo fisso: «Di' la verità, stai cercando apposta tutti i difetti solo per darmi fastidio, non è così?»
«Non cerco apposta niente» replica all'istante, «come ho già detto, non c'è neanche bisogno di cercare in questi stupri dell'animazione, è tutto palese ed evidente agli occhi l'istante stesso in cui li guardi. La povera del precedente film aveva bisogno di un otorino, tu di un oculista, questa Barbie invece direttamente di un centro psichiatrico.»
Eh sì, è proprio un aristocratico della reggia di Versailles, la mia adorazione per lui e la sua lingua velenosa, invece che placarsi, sta aumentando a dismisura, mantenere il viso di pietra di sempre si sta rivelando un'impresa praticamente impossibile. Ulyscemo sta compiendo il miracolo e neanche se ne sta accorgendo.
«Ci sono anche personaggi positivi» ribatto, decisa a stare al suo gioco. «Ad esempio la rivale, Luciana, è un cucciolo di panda dolcissimo.»
«La sola con alcuni neuroni ancora funzionanti là dentro.»
«Andiamo!»
«Mi sorprende che nessun animalista abbia protestato davanti allo scempio del pavone che si strappa le sue piume per darle a quella Pocahontas farlocca così che potesse crearsi il vestito più imbarazzante mai concepito da mente umana.»
«È un vestito stupendo! Non puoi criticarmi pure quello!»
«L'unica cosa che stupisce di quel vestito è che non è tutto rosa come nello stile classico di Barbie, per il resto, non appena la visione del film sarà conclusa, andrò a sciacquarmi gli occhi direttamente con la candeggina per purificarli.»
La cosa più assurda è che non ci pensa neanche quando tira fuori queste battute e insulti, non ha bisogno nemmeno di rifletterci su, gli vengono spontanei e naturali, non esita un istante nel buttarli fuori, e anche per questo motivo fatico sempre più a contenermi. Le costole mi stanno facendo male, tant'è la violenza con cui mi sto sforzando di non ridere.
«L'elefante è fastidioso quanto una colica renale» è la sua dichiarazione crudele dopo che Taki ha rubato la lettera del principe.
Mi fa male tutto il viso. «È un'elefantina ancora bambina, spaventata all'idea di perdere la sua amica, è normale che sia gelosa.»
«Rimane una sciagura tanto per la protagonista quanto per me spettatore, e Ro ha il quoziente intellettivo di una sequoia morta e abbattuta visto come l'ha perdonata subito per il danno che le ha provocato.»
«Si chiama comprensione.»
«Si chiama demenza senile precoce, dato che fino a qualche fotogramma prima era pronta a gettarsi in un fiume per l'amore per il principe.»
Vorrei poterlo clonare in versione tascabile così da portarmelo sempre in giro e ascoltare le sue battute piccate in qualsiasi momento. Mi risolleverebbe l'umore anche nei giorni più tragici. «Hai un cuore di pietra» lo accuso. «Non c'è da stupirsi che non comprendi nemmeno il romanticismo.»
«Il romanticismo sarebbe dire alla persona che ami: Guarda questo sasso abominevole, è come te?»
«Ognuno ha i suoi modi per esprimere l'amore che prova» faccio presente. «Anche se forse tu non l'hai mai fatto, menhir che non sei altro.»
Una saetta gli attraversa gli occhi, quando con uno scatto di nuovo degno dell'Esorcista si gira con la testa per lanciarmi la sua occhiataccia da Basilisco. «Hai poco da recriminarmi, tu che probabilmente consideri un gesto romantico portare al tuo interesse amoroso gli incisivi che hai fatto cadere alla gente che hai pestato a sangue.»
Quello è mio fratello Reid a farlo, in realtà. È in un modo molto simile che si è dichiarato alla sua compagna, Daisy, infatti: le portò il septum che aveva strappato a forza dal naso del fratello di lei dopo che quest'ultimo le aveva fregato tutti i soldi per giocarli a carte e ne aveva pretesi altri. Di tutti i membri della famiglia Ellis, lui è sempre stato il più sadico di tutti, ma è meglio che Ulyscemo non lo sappia per ora.
«Sbagliato» replico decisa. «Io dimostro affetto in un altro modo.»
«Passi direttamente alle mannaie?»
«Mordo.»
Penso che meriterei una medaglia solo per lo sforzo disumano che sto compiendo per non ridere davanti alla sua espressione allucinata e forse anche un po' disgustata. «Cosa c'è?» domando. «È scientificamente appurato che il morso può essere un'altra dimostrazione d'affetto, e non per forza romantica.»
«Sì, dei vampiri.»
«Non sono un vampiro e nessuno dei miei ex si è mai lamentato della cosa.»
«Essendo tuoi ex, cioè persone capaci di stare con una come te, pestatrice seriale e con gusti cinematografici terribilmente discutibili, dubito molto delle loro capacità di giudizio e della loro sanità mentale. Mi stupisce che ci siano state persone disposte a farlo, l'idiozia nel mondo dilaga molto più di quanto temessi.»
Non ho la più pallida di come ancora riesca a mantenere la mia Poker Face, dentro di me sto rotolando a causa delle risate. «I morsi sanno essere anche gesti d'affetto» ripeto. «E se usati nel contesto giusto, possono portare a serate molto interessanti con il partner.»
«Quindi è proprio un tuo fetish sessuale, capisco.»
Mi mordo l'interno delle guance per non scoppiare. «Pensa a Barbie, non ai miei morsi, se non vuoi che te ne dia uno ora e subito.»
«Provaci e ti denuncio all'istante. Ora taci, mi basta l'orrore della voce fastidiosissima di quell'elefante piacevole quanto una peste bubbonica, non tollererò anche la tua.»
Lo accontento, non posso certo dirgli che battibeccando così sta sul serio facendo nascere in me il desiderio di mordicchiarlo un po' sulle guance. Vederlo tutto inviperito e irritato mentre gli addento lo zigomo sarebbe sia adorabile che uno spettacolo niente male.
Nel momento in cui i topolini della cattiva spargono l'erba del tramonto per far addormentare tutti gli animali, di nuovo se ne esce come un fulmine a ciel sereno: «Capisco, quindi è questa la famosa magia di Barbie a cui ti riferivi: gli stupefacenti. Ora comprendo bene come mai hai fatto questa fine.»
Purtroppo, stavolta non riesco proprio a contenermi: ha lanciato la sua frecciatina mentre stavo mandando giù un bicchiere di Diet Coke, proprio quando meno me lo aspettavo, e non faccio in tempo a mandarla giù. La bevanda mi fuoriesce dal naso in uno schizzo improvviso a causa delle risate fragorose che mi stanno attraversando, con tanto di dolore atroci alle narici che sono state violate senza avviso dal getto istantaneo e occhi lacrimanti. Sono costretta a tapparmi la bocca con la mano per impedire che mi esca anche da lì, mentre spasmi continui di ilarità mi attraversano il corpo, fustigati però dal dolore di esser scoppiati al momento sbagliato.
Colpi di tosse profondi mi gonfiano lo stomaco, intercalati dalle risate che mi è impossibile cacciar via, e pian piano sono proprio quest'ultime ad avere la meglio, andando a sopperire del tutto i primi, e le lacrime che mi cadono dagli occhi ora non sono più per la sofferenza della bevanda andata di traverso, ma per il divertimento che provo davanti al suo commento.
«Continua e chiamo il 911 per farti ricoverare insieme a quella Tarzan di seconda mano in una clinica per malati di mente» mi minaccia Ulyscemo, con il pianto ancora addosso mi accorgo che mi sta dando fuoco con gli occhi.
Prendo un fazzoletto posato sul tavolino, accanto alla ciotola di patatine, e dopo essermi asciugata e aver ripulito quanto sporcato a causa dello schizzo improvviso, tossisco ancora, stavolta per volontà, per mandar giù gli ultimi sghignazzi. Temo che sia giunta l'ora di confessare la verità, una verità che probabilmente per lui sarà un crimine vero e proprio, ma dubito che, andando avanti così, riuscirò a mantenere la mia faccia di pietra.
«Non rido con cattivi intenti» dichiaro decisa, tamponando gli occhi ancora umidi. «Rido perché adoro i tuoi commenti.»
Il suo sguardo si acciglia a dismisura, non è confuso, no, ma è evidente che non sembra concepire la possibilità che i giudizi velenosi che sta facendo possano esser visti con una luce positiva. «Davvero» lo rassicuro, «sarai pure un rompipalle a-»
«Cosa sarei io?»
Sottovaluto troppo la sua permalosità. «Sei un rompipalle, questo non lo puoi negare.»
«Adesso criticare un'opera equivale ad essere rompipalle? Il tuo vocabolario è davvero alterato.»
«Sei un rompipalle perché stai facendo di tutto e di più per criticare un'opera per bambini, di anni e anni fa, che per ovvie ragioni presenterà buchi di trama e incoerenze, ma sei incapace però di riconoscerne gli aspetti positivi.»
Sì, l'ho fatto apposta, ho usato il termine incapace per provocarlo, ma santo cielo, non credevo ci sarei riuscita fino a questo punto: i suoi occhi si assottigliano con l'inferno a riempirli non appena ode tale parola che è evidente ai suoi occhi equivale a un insulto mastodontico.
Eh sì, è davvero, davvero, davvero permaloso. Ho il forte sospetto che sia uno di quelli che se lo sfidi dicendogli "Scommetto che non potresti mai buttarti da questo ponte" si butterebbe all'istante solo per dimostrare di riuscirci.
Il mio livello di adorazione sta partendo per l'iperuranio, ormai. Lo voglio come amico, subito. Sento nelle viscere che averlo affianco, così com'è, con la sua vera personalità, non solo mi divertirà da morire, ma sarà una compagnia più che apprezzata.
«Sono pienamente capace di riconoscerne gli aspetti positivi» sibila con astio profondo, tornando a guardare il film ormai quasi giunto al termine.
«Davvero?» Mi rimetto comoda sul divano, per quanto poco comodi si possa stare su una lastra di pietra del genere, e fingo di riprendere la visione del cartone a mia volta, ma i miei occhi cadono su di lui con costanza, presi dall'osservazione. «Quali sarebbero gli aspetti positivi, secondo te?»
Ha di nuovo incrociato le braccia al petto, tamburella l'indice sul bicipite, la fronte appena accigliata, una ciocca bionda a contornargli il viso marcato dalla bellezza incontrastabile. «Le canzoni» risponde alla fine, diretto, veloce e preciso.
Sono sorpresa, non lo nego, non mi aspettavo lo avrebbe ammesso così facilmente. «Ma se hai sempre criticato le loro parole.»
«Le parole, non il brano musicale in sé» ci tiene subito a specificare.
«Non me la vuoi proprio dare vinta, eh?»
«Non do contentini solo per aumentare l'ego di coinquiline fuori di testa.»
«Non è contentino, è oggettività.»
«Di oggettivo qua dentro ci sono solo i tuoi pessimi gusti cinefili, nient'altro.»
Sghignazzo dentro, mentre il cartone animato si conclude. Una domanda mi attraversa la mente e stavolta le permetto di uscir fuori: «Che cartoni animati ti guardavi tu, da bambino?»
Spero che sia una domanda innocente come credo io, ma mi è praticamente impossibile stabilirlo, visto la rigidità che gli blocca tutto il corpo nell'ascoltarla. Un tremendo sospetto si fa strada tra i pensieri, il peggiore tra tutti: che lui non abbia mai visto un cartone animato quand'era piccolo. A far nascere tale preoccupazione è il silenzio che ottengo per risposta, un silenzio che mi lascia intuire la sua reale intenzione: non rivangare in alcun modo quegli anni, soprattutto con me.
Poi, d'improvviso, stupendomi, dichiara fermo: «Esplorando il corpo umano.»
Sbatto le palpebre, sorpresa sia per il fatto che mi ha risposto sinceramente che per la risposta in sé. «Lo guardavo anche io» ammetto. «Era un bel cartone e anche istruttivo.»
«Lo è senz'altro molto più di Barbie.»
«Ehi!» Lo fulmino con un'occhiataccia, lui mi ignora, lo sguardo sempre fisso sullo schermo ora nero. C'è... una strana luce che ora gli sta calcando gli occhi, quella che mi sembra esser vera e propria malinconia. «Nemmeno mio fratello Sebastian si è mai lamentato così tanto quando lo costringevo a vedersi con me Barbie, e lui è il re delle lamentele.»
«Non l'avrei mai creduto possibile, ma adesso provo pietà per un membro della tua famiglia.»
«Non fare lo stronzo come al tuo solito, è normale voler condividere le tue passioni.» Esito un istante, prima di chiedergli: «Non ti è capitato di guardare Esplorando il corpo umano con qualcuno, ogni tanto?»
Il tamburellio dell'indice si fa sempre più violento, temo di aver appena calpestato una mina, perché la luce negli occhi sta aumentando a dismisura. Di nuovo, però, lui mi stupisce: «La mia amica d'infanzia ne era ossessionata, per questo mi forzava a vederlo insieme a lei, ogni volta che andavo a trovarla a casa sua.»
La sua amica d'infanzia? Che si riferisca alla famosa Rachel, colei che lo ha "tradito" facendo coming out mentre stavano insieme? Megan mi ha effettivamente detto che si conoscevano da che erano bambini e che si sono fidanzati quando avevano solo diciassette anni, le possibilità sono molto elevate. Noto però che non sembra particolarmente irritato nel parlare di lei, non pare covare nei suoi confronti qualche forma di rancore o rabbia, nonostante sarebbe pienamente comprensibile, se avesse tali sentimenti.
Al di là del fatto che Rachel non abbia colpe, perché i motivi per fare coming out in quel modo possono essere molteplici e non controllabili, se prendiamo in considerazione anche il bigottismo dei suoi genitori, resta pur sempre il fatto che lui era il suo ragazzo ed era anche una relazione seria smaniosamente desiderata dalle famiglie di entrambi. Sentirsi ferito dalla dichiarazione di lei o vederla come un vero e proprio "tradimento", per quanto razionalmente non giusto, è più che lecito da parte di Ulysses: a discapito di quanto voglia apparire perfetto, resta pur sempre un essere umano e un ragazzo anche molto giovane. Non sarebbe né colpa sua né colpa di Rachel.
Ma nulla di tutto ciò si evince dal suo sguardo, se non la malinconia già scorta prima. L'ha persino chiamata la sua amica d'infanzia e non sembrava mentire affatto nel definirla così.
Le mie però restano solo supposizioni, non abbiamo ancora la complicità necessaria perché io possa porgli quesiti in merito, innalzerebbe subito il suo muro per sbattermi fuori, è già un traguardo aver ottenuto questa minuscola risposta sul suo passato.
Lo stesso, comunque, sono soddisfatta per il risultato di questa serata: non avrò capito molto sul suo conto, ma sulla sua personalità sì.
«Mi stupisce che tu non voglia fare il dottore, con questa solida base alle spalle» lo prendo in giro, provando a cambiare argomento e ottenendo di risposta la sua ennesima occhiataccia omicida. «Un peccato, già ti vedevo, preso a salvare vite umane, commentando i pessimi gusti dei tuoi pazienti in fin di vita...»
«E io già ti vedo a vendere tirapugni illegali e insegnare come compiere un omicidio ai tuoi clienti che volevano solo una personal trainer.»
Un sorriso lascivo mi curva le labbra. «Ti ricordi che voglio fare la personal trainer, sto iniziando a commuovermi.»
«Ogni informazione è necessaria per tutelarsi da un'omicida.»
«Non sono un'omicida, ripeto, solo una che pesta a sangue gli stronzi.»
«Ti sarei grato se risparmiassi i tuoi pestaggi all'università, almeno.»
Storco la bocca, non ha tutti i torti. «Cercherò di trattenermi» lo rassicuro, sembra sorpreso del mio cedimento così frettoloso, ma so essere una persona ragionevole, a discapito di quello che crede. «Come ti ho detto, sono dotata di un'ottima pazienza, anche se, lo confesso, tendo a perdere in fretta le staffe se mi capita di incontrare pezzi di merda assoluti. Si spera che non li beccherò al campus» ammetto. «Megan mi ha parlato di alcuni bastardi che ci sono stati, l'anno scorso. Dello scandalo di Tabitha Newman, immagino tu lo conosca.»
Ulyscemo, accanto a me, non risponde, si fa solo più rigido. Un'ombra gli consuma lo sguardo, ma non riesco a stabilire per quale motivo. «Lo conosco» risponde alla fine. «Ma solo per sentito dire, non conoscevo personalmente né lui né lei.»
Non so perché, ma l'impeccabilità nella sua voce non mi suona naturale, stavolta. Che stia di nuovo mentendo? Il problema è che non so dire se lo sta facendo in merito allo stronzo o Tabitha.
«Ora che la tortura è conclusa» afferma deciso, interrompendo i miei dubbi un'altra volta per alzarsi in piedi e chinarsi a prendere i cartoni vuoti delle pizze, «posso dichiararmi ufficialmente libero da te e dall'Alzhaimer delle tue Barbie, andrò a fare il bagno nell'acqua santa per ripulirmi.»
«Pulisco io» lo fermo, lui si blocca con uno dei cartoni in mano. «Ti concedo anche questa libertà, Ulyscemo, visto quanto mi hai fatto morire dal ridere con le tue battute.»
«Non erano battute, semplici giudizi razionali e oggettivi» ci tiene a rimarcare, ignorando la mia affermazione e proseguendo con le sue pulizie.
«Lo so che eri sincero nel farle, per questo mi sono piaciute» proseguo, alzandomi a mia volta e iniziando a sgomberare il tavolino insieme a lui. Mi dà subito le spalle, non appena ha preso entrambi i cartoni, muovendosi veloce verso la cucina per andare a buttarli. «Ti preferisco molto più così che come sei all'università, sai?»
Si blocca proprio nell'istante in cui sta aprendo il grosso cassettone sotto il lavandino, dove si trovano i secchi per l'immondizia, per un secondo. Un secondo di troppo. «Non è mia intenzione rientrare nelle tue grazie» dichiara solenne alla fine, riprendendosi, come se nulla fosse. «Puoi perciò risparmiarti i complimenti, non mi faccio comprare così facilmente.»
«Non ti voglio comprare, sto dicendo quello che penso.»
«Resta alla prima fase, il pensiero, ed elimina la seconda, la parola.»
La bocca riprende a tremarmi sugli angoli. Ha davvero una raffinatezza encomiabile per i suoi insulti, Severus Piton in tutto e per tutto. Afferro le ciotole ora vuote dove prima si trovavano patatine e popcorn e lo raggiungo alla cucina, fermandomi al suo fianco per metterle dentro il lavandino. «Dove hai imparato a insultare così?» domando con sincero interesse. «Hai un talento niente male, Ulyscemo.»
«Non abbastanza, visto che continui a tormentarmi.»
Afferro il sapone per i piatti, posato dietro il lavello, e inizio a farlo colare sulla spugnetta presa dal cassetto sotto il lavandino. «Non ti ho tormentato» replico, mentre inizio a passarla sulle ciotole sporche sotto il getto dell'acqua. «Barbie non potrà mai essere considerata un tormento, almeno, non i film che ci siamo guardati. Se ti avessi fatto vedere Il diario di Barbie, invece... Beh, lì sì, avresti avuto pienamente ragione.»
«Risparmiami quest'altro orrore. Non mi spiego come tu possa apprezzarlo all'età di ventisei anni, ma è anche vero che ventisei anni li porta il tuo corpo, non certo la mente che è rimasta alla fase prepuberale. È un miracolo che tu non ti sia tatuata la scritta addosso.»
Ridacchio ancora, strofinando la spugna insaponata sulla superficie unta della ciotola più grande. «È uno dei tatuaggi che programmo di fare in futuro» confesso serena.
«A riprova dei tuoi pessimi gusti.»
«Saranno pessimi come dici tu, ma l'importante è che piacciono a me» ribatto. «Inoltre, ogni tatuaggio ha la sua storia dietro e in realtà nessuno mai saprà il suo vero significato, se non gli viene spiegato da chi lo possiede. A volte sono motivi stupidi, come Sebastian che si è tatuato un omino stilizzato che a seconda di come muove la mano salta su un tappeto elastico, solo per sghignazzare come un idiota tra sé e sé quando lo guarda, altre invece sono motivi molto specifici.»
«Come quello che hai sulla scapola destra?»
Non pensavo lo avrebbe citato, fissato com'è nei suoi intenti di farsi detestare, ma forse è proprio per questo che l'ha chiesto, per trovare un modo per insultarlo. Un sorriso malevolo mi arcua le labbra senza che possa fermarlo. «Ti riferisci al topo che mangia la farfalla?»
È il tatuaggio che mi sono fatta a vent'anni, abbastanza grande da poterne scrutare tutti i dettagli anche da lontano.
Il primo e per ora unico tatuaggio che possieda.
Un semplice topolino nero dagli occhi azzurri, disegnato con uno stile che ricorda vagamente quello dei cartoon, è in piedi sulle zampe anteriori e con quest'ultime stringe, quasi fosse un biscotto, una farfalla dalle ali incantevoli: lamine giganti simili a squame dorate dai contorni inchiostrati. Il topolino rosicchia il bordo dell'ala destra, con occhi semplici e quasi innocenti, e la farfalla si lascia andare al suo fato senza opporsi in alcun modo.
«Conosci il fenomeno di mud puddling?» gli domando alla fine, mentre prendo dal muro davanti la pezza per asciugare le due ciotole ora pulite.
«Intendi le farfalle che si nutrono delle pozzanghere e carcasse?»
Non sono minimamente sorpresa di tale conoscenza da parte sua. «Quando io lo scoprii, ero appena adolescente, ci rimasi malissimo» gli spiego. «Per me le farfalle erano meravigliose, creature davvero eteree, non mi aspettavo proprio che potessero fare cose del genere, pur consapevole che fossero insetti come tutti gli altri. Ci rimasi malissimo non tanto per la mia ignoranza, quanto perché mi ero lasciata ingannare dalle apparenze: per il semplice fatto che sono degli insetti belli da un punto di vista estetico, per via delle loro ali, automaticamente non riuscivo ad associare a loro comportamenti naturali del genere.»
Mi blocco un secondo, con la memoria di quei giorni, dell'incubo che già aveva iniziato a tirare i fili scuciti della mia anima per disfarmi, a rimontarmi in mente. «Mi capitò una volta di vedere con mia nonna Titti, in un documentario, la scena di uno sciame di farfalle che si mangiava il cadavere di un topo» proseguo alla fine. «Mi ritrovai a pensare, nel guardarlo sconvolta, che è così che funziona anche nella nostra società: ciò che viene ritenuto giusto viene ritenuto anche bello come quelle farfalle, e quindi in diritto di mangiare e nutrirsi di ciò che viene ritenuto brutto e perciò sbagliato come quel topo. Un'associazione un po' lugubre per un'adolescente, me ne rendo conto, ma non ero granché ottimista a quei tempi.»
Di nuovo mi blocco, lo strofinaccio fermo sul bordo della ciotola che stavo asciugando. «Pensai "Oh, capisco, io sono il topo, è questa la fine che farò presto".»
La tensione nell'aria si è fatta palpabile, nonostante nessuno dei due si sia mosso da dove si trovava, io con gli occhi fermi sulla ciotola e lo strofinaccio, lui su di me. Eppure... sento che sta comprendendo, almeno in parte, quello che voglio dirgli, quello che sto tentando di comunicargli. «Volevo essere una farfalla anche io, a qualsiasi costo» ammetto poi, felice della mia faccia di pietra, stavolta, «volevo essere bella, non orrenda come un topo, volevo essere dalla parte dei vincitori e non quella dei vinti, e così ho tradito me stessa, ho rinunciato a tutte le cose e persone che amavo e a tutte le cose che ero solo per poter essere considerata giusta dagli altri. Ma non è servito a niente se non a farmi soffrire ancora di più.»
"Una farfalla, eh?" aveva detto il dottor Travis, durante una delle nostre prime sedute, quando gli avevo spiegato la mia metafora strampalata. Aveva sorriso nel sentirla. "Beh, le farfalle hanno senz'altro il loro fascino, questo è innegabile, sono anche spesso utilizzate per spiegare la metamorfosi da brutto a bello per il loro passaggio da crisalide a insetto, non è un'associazione poi così strana, quella che hai fatto."
"Volevo essere una farfalla anche io, ma non ci sono riuscita."
"Se ci fossi riuscita, pensi che ne saresti stata felice, Ash?"
Quella domanda mi aveva fatto sussultare sulla mia poltrona.
"Pensi che le persone che ti hanno fatto quello che ti hanno fatto siano belle, Ash, pur farfalle? Se l'avessero fatto a qualcun altro e non te, diresti che è colpa sua perché topo?"
Non avevo saputo rispondere, il ghigno del dottor Travis si era fatto più dolce e sereno.
"Che sia un topo o che sia una farfalla, Ashley, l'orrore e la bellezza sta da entrambe le parti e non è quello a determinare la nostra vita, è ciò che ne facciamo con noi stessi e con gli altri. Perciò ecco il mio primo quesito per te, Ash: cosa vuoi farne tu?"
Riposo le ciotole ora asciutte sul pensile sopra il lavandino. «Così ho scelto, alla fine.»
"Si può esser felici anche da topi, secondo lei, dottor Travis?"
Il dottor Travis aveva ridacchiato di nuovo.
"Mia cara ragazza, si può esser felici anche da lombrichi. La felicità non è innata, la si conquista ogni giorno, e spetta a noi scegliere quale vogliamo e in che modo ottenerla. Tu che felicità vorresti, Ash?"
Richiudo l'anta del pensile, inspiro a fondo, mi volto a guardare Ulysses, e per un attimo mi sembra di scorgere in lui me, quella me di una volta che mai davvero se n'è andata, che tuttora di tanto in tanto torna a tormentarmi per gridarmi in testa: Siamo sbagliati, siamo sbagliati, siamo sempre stati sbagliati!
«Ho scelto che se per il mondo il giusto è la farfalla e l'errore è il topo, allora io non sarò il mondo, sarò topo fino alla fine e se qualche farfalla proverà a mangiarmi per dirmi che sono sbagliata, sarò io a mangiare lei.»
Inspira e io espiro, uno scambio d'aria che parla per noi.
«Non scherzavo, quando ti ho detto che ti preferisco così» dico alla fine, il suo corpo ha un sussulto leggero. «Sei vero e dici sempre quello che pensi. Ti preferisco topo a farfalla, perché quando sei topo non menti e mi fai ridere davvero. Non lo so se sei stato costretto ad esser farfalla per non esser mangiato o perché pensi come gli altri che le farfalle sono giuste, ti chiedo però di non esserlo quando sei con me.»
Serra la mandibola, irrigidisce il corpo, sta capendo eccome, proprio come sto capendo io.
«Perché da topo mi piaci un casino, Ulysses Redmond.»
Nota autrice
Or dunque, piccola analisi in merito a questo capitolo e il precedente.
Prima di tutto, amo Ulyscemo e le sue frecciatine.
Secondo, nel corso di questi ultimi due capitoli sono state dette molte cose che saranno TANTO importanti, perciò tenetele bene a mente.
Terzo, visto che tanti lo sperano/temono:
No, Ash non si sta INNAMORANDO di Ulyscemo, non lo vede come interesse amoroso, uno perché è troppo presto e due perché non lo conosce ancora davvero, se non ora per qualcosa sulla sua vera personalità.
Come però avrete mai potuto intuire, sente una sorta di affinità a lui, e non solo per il dolore che entrambi condividono - la questione topo/farfalla - ma anche per la recita che entrambi hanno messo su (Ash) in passato per essere "accettati" dalle farfalle.
Quando Ash dice ad Ulyscemo che gli piace come topo non gli sta dicendo TE VOGLIO SCOPARE FORTE, gli sta dicendo ME PIACI COME SEI DAVVERO, FA LO STRONZO, MA NON LO STRONZO SESSISTA FINTO, PLIZE.
Sempre come avete ormai compreso, Ulyscemo non VUOLE parlare del suo passato, per motivi che non sono chiari, e se lo fa non dà molti indizi su di esso.
Ci è chiara però una cosa, da Ash fatta presente.
Ulyscemo è un perfezionista ANCHE perché vuole apparire perfetto e proprio per questo motivo si è "commosso" e sentito confuso quando Ash gli ha fatto complimenti per lo strike, perché era un risultato che aveva ottenuto senza lavorarci su ossessivamente, con la sua finzione, e senza che si dovesse forzare, essendo solo sé stesso.
Quindi sì, lui i complimenti li ha ricevuti (considerando la sua fama), ma essendo complimenti dati alla sua recita e non lui in persona, non può considerarli veri, o comunque diretti a lui per davvero, solo all'uomo che finge di essere.
Ulyscemo, sempre come nota Ash, ha tante caratteristiche attribuite per stereotipi a noi donne. Di solito le persone chiamano i ragazzi come lui i "primadonna" in maniera dispregiativa, e ANCHE per questo lui soffoca la sua vera personalità e si finge un'altra persona. Uno dei motivi per cui, senz'altro, prova astio nei confronti di Ash che invece viene scambiata per un uomo in tutto e per tutto.
Ulyscemo, suppone Ash, non ha avuto un'infanzia leggera. Il semplice fatto che lui non sappia rispondere subito a quali cartoni animati vedesse da bambino, per poi citarne uno che vedeva con quella che si ipotizza essere Rachel lascia capire che in casa sua non poteva vederli, solo in quella della sua amica d'infanzia.
Parlando di Rachel, l'analisi che fa Ash è altrettanto importante: vi ricordo infatti che nelle coppie etero, quando uno dei due partner si rivela poi omosessuale, quello che viene """tradito""" subisce un costante giudizio da parte di chi lo circonda, SOPRATTUTTO se è un uomo.
A parte questo, però, è altrettanto importante ribadire che la colpa non è né di Ulyscemo né di Rachel.
Sì, nel caso non si fosse capito, Rachel sarà importante in questa storia, pur non essendo finora apparsa nella narrazione e a suo modo lo sarà anche Tabitha, capirete come. Non cito personaggi a casaccio, io.
Bene, credo di aver detto tutto, non voglio esagerare o rischio di farvi spoiler, come al solito vi chiedo, se vi va, di dirmi cosa ne pensate finora della storia e le vostre varie ipotesi!
Spero di aver compensato al TRAUMA che vi ho dato con l'ultimo capitolo pubblicato di IGNOBILI AFFETTI.
Ulyscemo, ti lovvo troppo
Un bascinoh!
Sasha Nye
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