Strike
«Megan, scelgo te!»
«Da quando sono diventata un pokémon?»
«Sei il pokémon più potente al mondo: conosci tutti i gossip dell'università, hai orecchie capaci di ricevere persino le notizie che si stanno diffondendo dall'altro lato del campus.»
«Spero almeno di essere figa come Lugia, di sicuro sono grassa come lui.»
«Meg.»
«Lasciami fare battute sulla mia obesità da sola, Ash, almeno so quali mi piacciono e riesco ad apprezzare.»
«Chi sarebbe Lugia?»
«Non hai mai visto i film sui Pokémon, Lucy?»
«Ammetto di no, non ci andavo molto dietro.»
«Ash, cacciala subito dal tavolo. Chi non ha mai visto un film Pokémon non merita di essere una nostra nuova amica.»
«Vedila così, Meg, avrai modo di rimediare al danno facendole scoprire i film durante il fine settimana, quando io torno a casa dai miei. Ma torniamo a noi, ho bisogno di te, pokémon ultra leggendario sui gossip dell'università. Dimmi tutto quello che sai su Ulyscemo.»
«Chi sarebbe Ulyscemo?»
«Ulysses Redmond, Lucy, Ash l'ha ribattezzato così. E comunque... tu non ti affidi mai ai gossip, Ash, ti piace soltanto ascoltarli, perché questo cambio improvviso di tattica?»
«Come dice sempre mia nonna Titti: l'importante all'inizio è avere tutte le informazioni disponibili, poi si può passare alla scrematura.»
«Tua nonna si chiama Titti, Ash?»
«No, mia nonna si chiama Portia, ma il suo nome le fa cagare al massimo, e dato che da bambina era ossessionata coi canarini, si è rinominata da sola Titti.»
«Non so quanto le informazioni che possiedo potranno risultarti utili, Ash.»
«Tu dammele.»
«Che cosa otterrei in cambio?»
«Ti permetterò di registrarmi di nuovo al prossimo Toxic Boy che pesto a sangue.»
«Ventidue anni, figlio unico di Thomas Redmond, alto un metro e settantasei, peso settanta chili. Fiore all'occhiello della Margory University. La sua cucina preferita è quella italiana. Dopo che si è lasciato con Rachel ha frequentato tante ragazze, ma non ha mai instaurato una relazione profonda con nessuna di esse. È stimato da praticamente tutto il campus e considerato da chiunque la reincarnazione della perfezione poiché non c'è nulla che non sappia fare. Eccelle in qualsiasi ambito, che sia lo studio o lo sport, la sola eccezione è il bowling in cui non ha alcun talento. Sua madre, Amber Hamilton, era la prima moglie di Thomas Redmond, proviene da una antica nobiltà scozzese, alcuni addirittura affermano abbia antenati nella famiglia reale, ma dopo il divorzio avvenuto quando Ulyscemo aveva sei anni è tornata nella sua madrepatria e vive lì. Da allora, Thomas Redmond ha avuto altri tre matrimoni, il più lungo è quello di adesso, l'ultimo, che dura da tre anni, gli altri e due invece si sono conclusi in pochissimo tempo, il secondo addirittura dopo solo dieci mesi.»
Sia io che Lucy, sedute attorno al tavolo insieme a Megan, fissiamo stupite quest'ultima, non tanto per la quantità di informazioni che mi ha buttato addosso come un treno, quanto per la nonchalance con cui le ha pronunciate, come se fossero conoscenze che ormai sa talmente bene da poterle recitare ad occhi chiusi quasi fossero tabelline. Sembra persino fiera di ciò, con tanto di petto gonfio e aria orgogliosa.
«Mi devo preoccupare?» mi chiede con un sussurro all'orecchio Lucy, non posso certo biasimarla per questa domanda. Dubito si aspettava una situazione del genere, quando stamani le ho scritto per chiederle se le andava di fare colazione insieme a me e alla mia amica al bar che mi aveva consigliato Redi.
«Ehi!» Megan, ancora una volta, dimostra che le sue orecchie sono perfette per cogliere anche le voci più sottili e silenziose nell'aria. Guarda torva Lucy, profondamente offesa. «Ho solo risposto alla richiesta! Sono una brava amica!»
«Quasi spaventi anche me, nonostante ti conosca da anni ormai» ammetto, ricevendo così a mia volta l'occhiataccia di Megan. Oggi indossa un vestito leggero e come al solito fin troppo largo, di un celeste che si sposa alla perfezione con il suo incarnato pallido e appena rosato. I boccoli biondi sono stati legati in una coda bassa che le cade sulla spalla sinistra e arriva alla vita, ma alcuni sono sfuggiti alla prigione dell'elastico e le contornano il viso morbido e a pagnotta.
«È una capacità che ho dovuto apprendere nel corso degli anni per via della mia inadeguatezza a farmi degli amici veri e che non stessero solo su Wattpad» ammette alla fine, prendendo un sorso dalla sua tazzina di caffè. «Ascoltare tutti i gossip che mi circondavano mi aiutava un casino, così almeno avevo di che divertirmi da sola.»
Lucy è ancora attonita, non ha tutti i torti, effettivamente. Devo ammettere che è strano vederla qui con me e Megan: in confronto a noi due sembra una briciola, è davvero minuscola, una vera e propria bambolina di un metro e cinquanta che, sono certa, sarebbe perfetta come protagonista di una storia di Wattpad. Anche se non sono molto frequenti le protagoniste dai tratti somatici asiatici, là, ora che ci rifletto, e che hanno i capelli castani e gli occhi nocciola, solitamente gli autori di quei romanzi prediligono affibbiare colori estetici particolari ai loro personaggi.
«A proposito» la chiama Megan a quel punto, «tu hai qualche informazione su Ulyscemo? A quanto pare è amico del tuo capo infame, no?»
Lucy storce un po' le labbra sottili, sistemandosi meglio sulla sedia di ferro. «Non esattamente» risponde alla fine. «È il padre ad essere amico del nostro titolare Elijah, Ulysses non ha chissà che grande rapporto con lui. Si può dire, anzi, che è più il mio titolare che gli sbava dietro per continuare a fare bella figura col padre, lui di risposta è sempre cordiale, per carità, ma a me non è mai sembrato particolarmente felice della cosa.»
Questa forse è l'informazione più interessante di tutte, con grande disappunto per Meg, proprio per questo sto attenta a non dirlo ad alta voce. «Perché frequentarlo, allora?»
«Beh, è il pub più in voga tra gli studenti» mi ricorda Megan, e Lucy annuisce. «O forse è il padre che gli ha detto di mantenere i rapporti buoni?» suggerisce ancora, il che è un'ipotesi non poi così improbabile, riflettendoci.
Lucy manda giù un pezzo del suo cornetto al pistacchio, prima di riprendere a parlare. «Ero stupefatta, quando il titolare si è scusato con me» ammette alla fine, il visino piccolo e affilato già rosso al ricordo. «Quando succedono queste cose, lui non esita un istante a licenziare in tronco il dipendente, ero sicurissima che avrebbe fatto così anche con me. È stato uno shock guardarlo mentre imbarazzato mi chiedeva scusa e mi assicurava che non avrebbe mai più permesso che si ripetesse una situazione del genere.»
Quindi ci avevo preso anche su questa teoria: Ulyscemo non si è limitato a fare la ramanzina a quel coglione del titolare, gli ha proprio fatto un cazziatone tale da umiliarlo. La mia fronte si acciglia da sola nel realizzare ciò. Non mi spiego mai com'è possibile che più ci azzecco con le mie teorie su di lui, meno ci comprendo sul suo conto.
«Ti conviene restare là, però?» le domanda Meg a quel punto, un quesito che anche io avevo intenzione di porgerle. Lucy la guarda smarrita. «Voglio dire... non mi sembra un titolare che merita particolarmente i servizi dei suoi dipendenti, visto come ha continuato a chiudere l'occhio su quel molestatore, e sono certa non era la prima volta che accadeva. Vuoi davvero continuare a lavorare per lui?»
Lucy esita qualche istante, prima di rispondere, un'ombra va a scurirle gli occhi per qualche secondo. «Era nelle mie intenzioni licenziarmi, negli ultimi tempi, proprio a causa di quella situazione» ammette alla fine, «continuavo a rimandare perché purtroppo ho davvero bisogno di soldi e per quanto coglione il mio titolare sia, è uno dei pochi qui in America che non fa sopravvivere i suoi camerieri con solo le mance obbligatorie dei clienti, ma li paga anche profumatamente. Non ho nemmeno il diploma, quindi non posso permettermi lavori diversi dalla cameriera, per ora, e il proprietario del mio appartamento ti caccia fuori a calci nel sedere anche solo dopo un giorno di ritardo del pagamento per l'affitto.»
Nonostante il sorriso accennato, la sua voce non riesce a nascondere la fatica, lo stress e il dolore che si trascina dietro e da tanto tempo. Pur essendo nostra coetanea, sembra molto più anziana di noi, ora, a guardarla, con quella stanchezza addosso che di solito calca solo i visi di chi ha vissuto a lungo.
«Tu digli che ora sei mia amica, vedrai come inizierà a comportarsi bene, così» le suggerisco, e l'angolo delle sue labbra inizia a tremare per trattenere un sorriso. «Vuoi che ci scattiamo un selfie insieme? Puoi metterlo come sfondo del cellulare quando vai a lavoro e farglielo vedere casualmente quando è nelle tue vicinanze.»
«Io ho anche la collezione delle foto più belle di quando pesta a sangue un Toxic Boy» si affretta ad aggiungere Megan, strappandole una risatina nasale. «Ho tutte le intenzioni di farci un album da tramandare alle prossime generazioni.»
Lei continua a ridacchiare, un riso che va ad alleggerire almeno in parte lo struggimento che le calca il viso. Si sistema i capelli dietro le orecchie, forse ancora un po' nervosa per questa situazione che le è del tutto nuova. «Sto provando a prendere il diploma» ci spiega alla fine dopo qualche attimo di esitazione, «frequento una scuola online che può darmelo, è molto costosa e la borsa di studio non copre tutto, perciò per il momento dovrò proseguire con questo lavoro, che lo voglia o meno. Anche se...» Si ferma un istante. «Da quanto mi ha detto il titolare, sta pensando di ingaggiare un buttafuori.»
Lo shock non ha mai fine. «Un buttafuori?»
«Considerata la fama del locale, mi sconvolge più che non ci abbia mai pensato prima» commenta Megan, e di nuovo non posso che darle ragione. «Ma suppongo finora non lo abbia mai fatto sul principio "Il cliente ha sempre ragione".»
Lucy annuisce. «Non so davvero spiegarmi questo suo improvviso cambio d'atteggiamento.»
Sento gli occhi di Meg su di me prima ancora di vederli, e quando li incrocio, so benissimo che sta avendo il mio stesso identico pensiero.
«Ulyscemo inizia a spaventarmi» è l'affermazione che enuncia con sicurezza. Riderei quasi, ma in verità sono più che d'accordo con essa.
«Vuoi vedere che mio fratello Sebastian aveva ragione e Ulyscemo è sul serio un Severus Piton mancato?»
Meg non riesce a contenersi, non appena mi sente: scoppia a ridere fragorosamente. «Non avevo mai preso in considerazione una similitudine del genere, quasi me ne vergogno, eppure sono una Potterhead accanita» commenta ancora, con le lacrime agli occhi.
Il cellulare nella tasca dei miei jeans squilla sulle note della canzone Son come te di Barbie - La principessa e la povera. Incredibile ma vero, Sebastian e il suo unico neurone devono aver sentito le orecchie fischiare, perché è proprio lui il mittente della chiamata. «Il mono neurone mi sta chiamando, scusatemi per qualche secondo» le informo, e le due annuiscono, mentre io clicco sulla cornetta verde. «Seb? Sei arrivato ad Aspen?»
«Siamo atterrati mezz'ora fa» conferma lui. «Come promesso, ti ho chiamata per assicurarti che nessun incidente aereo ti ha liberata di me. Continuerò a tormentarti a lungo.»
Sghignazzo dentro. «Stavamo parlando proprio di te, sai? A quanto pare, la tua ipotesi di Severus Piton può avere delle fondamenta, non riesco ancora a crederci.»
La sua voce arriva un po' ovattata e incerta a causa di tutti i rumori discordanti che lo circondano, immagino sia ancora in aeroporto. «Cosa stai insinuando?»
«Assolutamente niente.»
C'è qualche secondo di silenzio da parte sua, sono sicura che sta cercando di capire se lo sto prendendo in giro o meno, ma dopo qualche altro istante rinuncia. «Ne approfitto per informarti che dovrò restare qui per il campionato almeno per un paio di settimane, perciò se succede qualcosa con Ulyscemo, tienimi aggiornato.»
«Ti stai affezionando a lui ora che pensi che sia un Piton mancato o sono io che me lo sto immaginando?»
«Può darsi, sai che adoro Piton, a differenza tua, ed è rincuorante sapere di averci preso con una mia teoria, forse quasi quanto vedermi video sulle tarantole giganti.»
«La ragazza ti ha mollato, non è così?»
«E tu come diavolo fai a saperlo?»
«Ogni volta che una ragazza ti molla, assumi il tono di voce di un cucciolo bastonato. Cos'hai fatto stavolta?»
«Perché dai per scontato che la colpa sia mia?»
«Perché conosco il tuo unico neurone.»
«Prego?»
Osservo il dibattito tra Meg e Lucy farsi più accesso, c'è da dire che Harry Potter sa davvero coinvolgere. «Fammi indovinare, per la millesima volta le hai creduto quando ti ha risposto "Niente" dopo che tu le avevi chiesto se c'era qualcosa che non andava.»
Silenzio assoluto. Non avevo dubbi. D'altro canto, non è neanche colpa sua, sotto certi aspetti, visto che quando Sebastian risponde "Niente" al quesito "Cosa stai pensando?" lo intende letteralmente.
«Fammi indovinare di nuovo, quel suo "Niente" era dovuto al fatto che, per la millesima volta parte due, non ti sei accorto di qualche suo cambiamento drastico come un taglio o una tinta radicali ai capelli. E quando lei ti ha detto che a causa di queste costanti disattenzioni da parte tua sente che non tieni sul serio alla vostra relazione, tu le hai risposto: Scopo con te, mica coi tuoi capelli!»
Non risponde ancora. Un sospiro mesto mi sfugge dalle labbra. Certe volte mi domando come faccia ad essere figlio di papà, sul serio, visto che quest'ultimo si accorge persino quando mamma taglia di un centimetro i capelli o cambia tonalità di smalto, usando lo stesso colore del giorno prima ma di una sfumatura più opaca. Seb, invece, è già un miracolo sappia la differenza tra rosa e rosso, e forse non conosce neanche quella, ora che ci rifletto. C'era un motivo se da bambina sospettavo fosse stato adottato, nonostante le mille prove inconfutabili del pancione scoperto di mamma al mare quand'era incinta di lui.
«Resterai single a vita, fratello. Sulla tua lapide io e Reid faremo scrivere: Era un bravo ragazzo, solo troppo coglione.»
«Ehi!»
Sto per prenderlo di nuovo in giro, quando la voce di Meg, ancora in preda al dibattito potteriano, si solleva nell'aria: «No, no, Lucy» È più indignata che mai davanti alla certezza assoluta di Lucy che il primo film di Harry Potter sia il migliore. «Il film migliore è senz'altro La camera dei segreti.»
Lucy la guarda incerta. «Quel film non riesco più a vederlo, la scena dei ragni mi fa troppa impressione.»
Meg spalanca la bocca, stupefatta. «Ma se è la scena migliore di tutte! La CGI di quei tempi faceva cagare, eppure i ragni erano realistici al massimo, riesci a sentire la tensione nell'aria quando compaiono! E inoltre Aragog era fighissimo!»
Oh no.
«Sorellina?»
Chiudo gli occhi. «No» rispondo all'istante, con Megan e Lucy che proseguono nel loro dibattito acceso. Megan è troppo presa per realizzare che ha appena dichiarato la sua stessa condanna a morte. «Non ti passerò mai Megan al telefono così che puoi iniziare a parlare con lei sulla meraviglia dei ragni.»
«Era Megan? Hai un'amica a cui piacciono i ragni e non me l'hai mai detto?»
Non ho cuore di dirgli che è proprio per questo motivo che non gliel'ho detto. Sin dalle prime volte che parlammo su Wattpad, io e Megan, agli inizi della nostra amicizia all'epoca solo telematica, davanti alla sua affermazione su quanto adorasse i ragni, giurai a me stessa che mai e poi mai avrei rivelato tale informazione a Sebastian. Non ho la più pallida idea di cosa potrebbero fare due appassionati di aracnidi insieme, il solo pensiero basta per farmi venire i brividi.
«Pensa alla verginità che riacquisirai presto a causa della tua coglionaggine, non ai tuoi dannati ragni.»
«Il mondo è pieno di arcanofobici, trovare qualcuno che invece li ama come me è rarissimo, non puoi privarmi di questo sollievo! È come se io ti privassi di conoscere un'altra appassionata di Barbie!»
«Ripeto: pensa alla tua riacquisita verginità.»
«Ehi!»
«Ora devo proprio andare, Seb. In bocca al lupo per il campionato! Guarderò i tuoi match in diretta!»
Chiudo la chiamata prima che possa chiedermi il numero di Megan. Sarà pure mio fratello, ma a differenza sua non nutro alcun interesse per i ragni, pur non temendoli come in molti, e so bene fino a quanto può spingersi la sua fissa per essi, se fomentata da qualcuno di simile a lui.
I traumi che mi ha provocato durante l'infanzia facendomi trovare i loro pupazzetti sotto le lenzuola, mentre dormivo, sono stati sufficienti.
«Qualcosa non va, Ash?» mi domanda Meg all'improvviso. È un bene che lei e Lucy fossero troppo prese dalla loro discussione per ascoltarmi mentre parlavo con Sebastian.
La guardo in silenzio per un minuto intero.
«Meg?»
Aggrotta la fronte, confusa. «Cosa c'è?»
«Sei fregata, ti porgo le mie più sentite condoglianze.»
Dal giorno della mia dichiarazione di tentativo di pace e comprensione - da lui senz'altro percepita come dichiarazione di guerra - Ulyscemo fa di tutto per evitarmi, il che ho deciso di vederlo in chiave positiva come un miglioramento. Un'evoluzione è pur sempre un'evoluzione, in fondo.
Quando mi sveglio alle cinque del mattino per andare a correre, al ritorno lui è già partito, e quando rientro in appartamento dopo le lezioni, lui si è già rinchiuso nella sua stanza o non è proprio in casa. Durante gli orari di cena non c'è, ho persino provato ad aspettarlo fino alle undici, ma non è servito a niente. Spero quantomeno che mangi e non si stia dando al digiuno pur di starmi alla larga, averlo sulla coscienza in questo modo non mi piacerebbe per niente.
All'università, come al solito, neanche mi guarda, evade da me nelle occasioni in cui ci incrociamo. All'unica lezione che condividiamo, i posti accanto a lui sono sempre occupati dai vari amici che lo circondano, e so bene che se andassi a parlargli mentre loro sono ancora presenti peggiorerei soltanto lo squilibrio già profondo nel nostro rapporto appena iniziato.
Così, proprio come prima, continuo a studiarlo di sottecchi nel corso del tempo per carpire più informazioni possibili sul suo conto, ed è proprio tramite simili osservazioni degne dei documentari di nonna Titti che ho realizzato un altro suo aspetto finora rimastomi celato.
Non riposa mai.
A lezione si concentra al massimo, è uno dei pochi che risponde sempre alle domande del professore, non si lascia mai distrarre dalle persone che lo circondano, sembra addirittura un automa in alcuni momenti. Più e più volte, tra un corso e l'altro, l'ho visto nella biblioteca dell'università, a studiare con una concentrazione quasi spaventosa. Ha sempre dei libri con sé che si porta ovunque vada e che apre non appena ha l'occasione di sedersi per iniziare a studiarli. Persino mentre mangia nella sala ristoro ne ha alcuni al fianco del suo piatto che continua a sfogliare, sottolineare e leggere, con il suo perfezionismo intramontabile, non appena può discostarsi per qualche minuto dalla conversazione con i suoi amici.
E il fatto che quest'ultimi a stento se ne accorgano o ci badano, almeno per me, la dice lunga sulla profondità del loro legame. Sospetto sia proprio per questo motivo che Ulyscemo si circondi di loro, ma rimane un'altra mia supposizione per ora non comprovata da alcun elemento.
Ciò di cui sono sicura è che non si dà neanche un attimo di tregua per far svagare la mente e rilassarsi. Inizio davvero a temere che studi persino quando va in bagno ad espletare i suoi bisogni. Se non ha dei libri in mano, ha dei fogli che analizza con altrettanta concentrazione, persino mentre cammina. Se non ha quei fogli, scrive sui suoi quaderni e dubito si tratti della stesura di qualche fanfiction per Wattpad, con grande delusione di Megan.
L'unica occasione in cui ha interrotto questo studio costante è stato oggi, proprio all'ala ristoro dell'edificio centrale del campus, mentre era seduto a uno dei grandi tavoli ovali sparpagliati nell'immensa stanza. La ragazza che era seduta al suo fianco, diversa da quella dell'altra volta, si è letteralmente lanciata contro di lui per dargli un abbraccio improvviso e richiamare la sua attenzione, un vero e proprio polpo con la sua preda, con tanto di mani sul petto, rischiando di fargli rovesciare il caffè sui fogli che aveva in mano.
Ero seduta a pochi tavoli di distanza con Meg, quand'è successo, e perciò ho avuto una buona visione della scena. Sul momento Ulysses non ha dato alcun segno di irritazione, come al solito le ha sorriso col suo modo di fare cordiale ed elegante, da perfetto gentiluomo, mentre lei si scusava.
Il campanello d'allarme è scattato nella mia testa non appena, dieci minuti da quel contatto improvviso, Ulysses ha guardato il suo telefono, ha detto qualcosa alla comitiva con cui era seduto - probabilmente li informava dell'arrivo di qualche chiamata - si è alzato dal tavolo e se ne è andato via dalla sala, con grande delusione della fanciulla che ci aveva provato con lui.
Sono consapevole che questo non per forza implica qualcosa, che forse sto viaggiando fin troppo con la fantasia, magari ha ricevuto davvero una chiamata o un messaggio importanti, a farmi dubitare ciò sono i due fattori su di lui che già conosco.
Il primo: non è la prima volta che usa questa tattica. Anche il mio primo giorno di università, quand'ero a lezione con lui, e la ragazza che gli stava appiccicata nel posto accanto ha iniziato a toccarlo in quel modo, senza alcun preavviso, poco tempo dopo lui ha guardato il cellulare, ha chiesto scusa al professore ed è uscito dall'aula senza più tornare a lezione.
Il secondo: tra i possibili trigger psicologici che l'hanno fatto vomitare c'è la molestia.
Varie sono le ipotesi che mi sono fatta in merito a ciò e non sono per nulla rincuoranti, anzi, solo pensarle basta per farmi agonizzare dentro, poiché una più dolorosa dell'altra. Di per sé non sembra rifuggire dal contatto fisico, che sia da parte di un uomo o da parte di una donna, nonostante non sia un tipo molto espansivo, per quanto cordiale, ma è anche vero che alcune forme di avversione o fobia scaturiscono anche per cose molto particolari e specifiche. Le due ragazze che l'hanno "assalito" l'hanno fatto sempre senza dargli alcun tipo di preavviso e l'hanno toccato spudoratamente sul petto con l'intenzione palese quanto la fissa di Seb per i ragni di volerci provare con lui.
So però che parlargliene sarebbe inutile: negherebbe all'istante e in modo categorico, scorgendo in me non una persona disposta ad ascoltarlo ma un vero e proprio nemico che vuole rimarcare la sua debolezza e umiliarlo. Per il momento, tutto ciò che mi è permesso fare è mettere da parte queste nuove informazioni su di lui e iniziare a realizzare il mio piano malefico.
L'ho chiamato: Bocce allo sbando.
A quindici giorni precisi dal fattaccio al Red Moon, stamani ho rinunciato alla mia corsa di primo mattino e così, finalmente, dopo giorni di totale non comunicazione tra noi due, riesco a beccarlo a colazione: il nostro pasto preferito per discutere, evidentemente.
Non appena esco dal bagno, dopo essermi lavata e vestita, lo scorgo subito seduto alla penisola, di nuovo in camicia bianca e pantaloni firmati; il suo perfezionismo è talmente grande e assoluto che è in grado di non macchiarsi neanche mentre sta sbucciando la sua pesca, uno dei frutti più pericolosi in quanto a schizzi improvvisi. Tutto ciò in parte mi spaventa, non lo nego.
Ovviamente, finge proprio di non vedermi e non sentirmi mentre avanzo a passo deciso verso il frigo. Dopo essermi preparata il mio bicchiere gigante di succo al mirtillo, mi siedo davanti a lui, dall'altro lato della penisola, continuando a venir palesemente ignorata mentre affetta la pesca sul piatto che ha preparato con tanto di tovaglietta, bicchiere, sottobicchiere e bottiglia d'acqua in posizione perfetta per non macchiare il ripiano.
«Buongiorno.»
Ovviamente parte due, prosegue a fingere di non aver sentito il mio saluto, gli occhi fissi sulle fette di pesca che sta tagliando con una precisione da neurochirurgo.
«Voglio proporti qualcosa.»
«Ti ringrazio, ma le proposte da parte di una come te non prevedrebbero mai qualcosa di buono, ne faccio volentieri a meno.»
Immaginavo non avrebbe rinunciato subito alla sua recita da stronzo, o magari davvero lo pensa, chissà, ma ormai neanche riesco ad offendermi o irritarmi per ciò. «Non puoi saperlo, non mi conosci nemmeno» faccio presente.
Lui abbandona la pesca di cui ormai è rimasto solo il nocciolo, tanto è stata tagliata alla perfezione, e osserva le fette che ha lasciato cadere sul piatto. Non l'avrei mai creduto possibile, ma ha disposto persino quelle in maniera precisa e ordinata. Non c'è limite al suo perfezionismo, tutto ciò non mi conforta per niente. «Conosco abbastanza.»
«Davvero? Che cosa di me conosceresti?»
«Il tuo hobby per i pestaggi» risponde all'istante. Un punto per lui, lo ammetto.
«Pestaggi agli stronzi» ci tengo a precisare.
«Stronzi o meno, restano pestaggi.»
«Guarda che la mia intera personalità non consiste nel pestare a sangue la gente stronza.»
«Se anche il pestaggio rappresentasse l'1% della tua personalità, non ho alcun desiderio di scoprire in cosa consiste il restante 99%.»
Prendo un lungo sorso del mio succo al mirtillo, sento che avrò bisogno di tutta l'energia possibile per affrontare questa conversazione. «Ti propongo una scommessa» ripeto ancora, specificando il punto.
Non esita neanche un infinitesimo secondo per replicare: «A differenza tua, io non ho alcuna passione snaturata, men che meno la ludopatia.»
Sarà pure un insulto nei miei confronti, ma mi è davvero piaciuto. Rispetto a tutti gli altri che ho ricevuto nel corso degli anni, ha senz'altro classe e stile.
«Sicuro?» lo provoco ancora, provando a donare malizia alla mia voce cavernosa. «Quindi non vuoi proprio provarci? Non ti importa cosa otterresti, se vincessi?»
Di nuovo risponde all'istante: «No.»
«Nemmeno se ti dicessi che se vincessi tu, io farei subito le valigie?»
Finalmente ho la sua attenzione, i suoi occhi guizzano dalle fette perfette di pesca a me in un attimo, sorpresi, forse addirittura sconvolti. Devo proprio ammetterlo: questo ragazzo è senz'altro bravo a rompere la mia faccia di pietra. È talmente espressivo che in me sorge spontaneo il desiderio di sorridere.
«All'istante» mi preoccupo subito di aggiungere, andando ad aumentare il suo sconcerto evidente. «Forse lo avrai già intuito, inoltre, ma io mantengo sempre le mie promesse.»
C'è qualche secondo di mutismo, da parte sua. Sopracciglia aggrottate, smarrimento puro a disossare gli occhi grigi; forse teme una trappola da parte mia, una vera e propria presa in giro con cui farmi beffe di lui, dopo che ho tirato fuori la questione vomito settimane fa, e pur volendolo ardentemente, mi costringo a non tirare in ballo il discorso. Sono pienamente cosciente che non mi crederebbe, se gli dicessi che mai mi permetterei di usare una carta del genere per ferirlo, e dubito tale sfiducia da parte sua sia dovuta proprio a me in quanto tale, l'avrebbe avuta con chiunque si trovasse al mio posto.
Dopo altri attimi di silenzio, corruga ancora la fronte, il sospetto è andato a sostituire la perplessità, adesso. «Devi avere gran fiducia in te stessa, se sei così convinta di vincere.»
Ha abboccato all'amo, quindi.
«Nient'affatto» garantisco. «La scommessa si baserà sull'unico sport in cui faccio schifo totale da quando sono nata.»
Il suo cipiglio aumenta a dismisura. Inizio davvero ad adorarlo, Ulysses Redmond, non so spiegarmi nemmeno perché. Sarà pure intraducibile nei pensieri, un mistero irrisolvibile, ma le emozioni che prova le mostra all'istante e sono sincere e autentiche in tutto e per tutto. Una qualità rara da trovare di questi tempi, pur col rischio di rivelarsi un'arma a doppio taglio per lui. Forse è per questo motivo se, quand'è con gli altri all'università, intraprende di nuovo la sua carriera da attore, indossando le vesti di un ragazzo perfetto e cordiale con tutti, dal sorriso professionale e galante in qualunque occasione.
«Mi è stato detto» continuo, «che non te la cavi a bowling. Si dà il caso che anche io faccia cagare in quello sport, perciò non avrò alcun tipo di vantaggio. Vincerà chi tra noi due farà meno schifo.»
Torna a studiarmi con dubbio. «E chi te l'avrebbe detto questo?»
Prendo un altro sorso del mio succo. «Guarda che ho le mie fonti, cosa credi.»
«Quali sarebbero le tue fonti?» chiede ancora. «Rambo? Rocky? Terminator? Jack lo squartatore?»
Non lo pensavo tipo da battute simili, e probabilmente nemmeno lui lo pensava, perché sembra sorpreso quanto me nel sentirsi.
«Sarebbero fonti interessanti» confesso alla fine, posando il bicchiere sul tavolino e rigirandomelo tra le dita. «Ma no, mi spiace deluderti, nulla di tutto ciò. Ho solo un'amica che adora i gossip.»
«Non ti facevo tipa da gossip.»
«Ed ecco il perché del detto "Le apparenze ingannano". Non sono tipa da gossip nel senso che ci credo in assoluto, quando li sento, ma sì, mi piace ascoltarli, li adoro davvero. Sono stata tra le prime a straziarmi per il triangolo amoroso tra Justin Bieber, Selena Gomez e Hailey Baldwin e ancora adesso resto aggiornata sulle assurdità che compie quotidianamente Kanye West.»
«Beh, ora molte cose si spiegano.»
Le labbra mi tremano senza che possa fermarle. «Un nuovo tentativo di fare lo stronzo? Niente male, Ulysses Redmond, niente male, ma la battuta era un po' scontata. Voto sette per l'impegno, però.»
Lo sguardo che mi scocca contro è così omicida e funesto da indurre in me la reazione più istintiva di tutte: scoppio a ridere. Una risata fragorosa, di quelle che di rado ho occasione di avere, io che per natura mantengo sempre il volto severo da fuori e provo le mie emozioni con intensità al mio interno.
Non è una risata bella, la mia, ne sono pienamente consapevole. Cavernosa com'è la mia voce, tutto si può dire tranne che essere una risata femminile. Ad ascoltarla, chiunque penserebbe appartenga ad un uomo, ma la sincerità in essa è sufficiente per farmi apprezzare questa conversazione.
Perché non rido di lui, non rido di me.
Rido dell'assurdità del nostro incontro, le coincidenze folli della vita: davanti a me c'è un ragazzo che è il mio esatto opposto tanto nei modi quanto nelle espressioni e che eppure sento essermi affine per il dolore che ci accumuna, la crudeltà della bellezza.
Inizia a piacermi sul serio Ulyscemo, sì.
«Noto con dispiacere che oltre che di attacchi di violenza soffri anche di risata spastica. Ti suggerirò come prossima attrice per il ruolo di Joker.»
«Questo mi piaceva, come insulto, senz'altro originale rispetto agli altri. Voto: nove.»
Un'altra occhiataccia assassina da parte sua, mi costringo a tossire per mandar giù una nuova risata. «Sei una persona incredibilmente espressiva, lo sai?»
«Oltre che far schifo a bowling fai schifo anche con gli insulti, vedo.»
«Non ti stavo insultando» ribatto con sincerità. «L'avrai visto, ormai: io non sono molto eloquente nella mimica facciale. A scuola mi chiamavano sempre Poker Face e non per qualche rimando a Lady Gaga, purtroppo, perciò apprezzo molto le persone espressive come te. È bello trovare qualcuno capace di mostrare quello che sente, ti permette di comprenderlo meglio.»
Il suo corpo torna a farsi rigido come al solito, un'ombra di turbamento va a scurirgli gli occhi, aggrotta appena la fronte, distoglie lo sguardo. Un senso di nausea inizia ad assalirmi nel realizzare che fatica a credere alle mie parole, come se nel corso della sua vita avesse ascoltato soltanto discorsi opposti al mio.
«Te l'ho già detto» tuona alla fine. «Non ho alcun interesse ad esser compreso da te.»
«Quindi non accetti la scommessa?»
«Cosa guadagneresti tu, se vincessi?»
Incrocio le braccia al petto, chino lo sguardo sulle sue fette di pesca perfettamente allineate come un ventaglio aperto. Sì, mi spaventa davvero il suo perfezionismo.
«Oh, guadagnerei molto, puoi contarci» rispondo alla fine.
«Definizione di "molto".»
«È un segreto, lo scoprirai solo se accetterai la scommessa.»
«Mi rifiuto.»
Lo immaginavo. «Guarda che non si tratta di nulla di illegale» lo rassicuro. «Pesterò pure gli stronzi a sangue, ma a parte questo sono una cittadina modello.»
«Certo» enuncia con palese sarcasmo. «Quale cittadino modello non se ne va in giro per il paese con un tirapugni nella tasca dei pantaloni.»
Quindi lo ha visto.
Ha visto che il tirapugni era nella tasca, e l'unico momento in cui ha potuto farlo è stato prima ancora che iniziassi a pestare a sangue Stronzo, quando ho chiesto a Lucy di scegliere tra opzione A, B e C.
Era lì ad assistere alla scena già da allora.
Serro con più forza le braccia incrociate, mettendo nel cassetto quest'altra informazione sul suo conto.
«Perciò non accetti?»
«Come già detto, non soffro di alcun tipo di dipendenza al gioco d'azzardo. Prova ad andare in qualche casinò, se tanto ci tieni a fomentare la tua.»
«Voto: otto e mezzo.» L'occhiataccia che mi lancia fa tremare di nuovo le mie labbra. È giunta l'ora di passare alla fase successiva del piano Bocce allo sbando. «Che peccato» commento alla fine, risollevandomi dal mio sgabello. «Eppure era l'occasione buona che avevi per liberarti per sempre della tua orrenda coinquilina, perché mai più farò una proposta del genere.»
«Non casco in certe trappole.»
«Mica è una trappola, solo una constatazione» replico con voce sempre più calma, mentre gli do le spalle per tornare alla mia stanza. «Ah, ora che ci penso, forse d'ora in poi resterò qui per il fine settimana.»
Non risponde, ma riesco a sentirlo inspirare a fondo. Non ho bisogno di voltarmi per saperlo: ho appena fatto il primo strike, lo capisco all'istante.
«Però mio padre soffre di un'incurabile sindrome dell'abbandono, gli spezzerei il cuore così...» proseguo, continuando a marciare a passo lentissimo verso la porta della mia stanza. «Ho trovato! Potrei invitarlo qui a pranzare con me la domenica! Lui, mia madre, mia nonna Titti e perché no, anche i miei due fratelli maggiori. Un vero e proprio pranzo domenicale di famiglia.»
«Mi stai ricattando?»
Giuro che posso vedere da qui la sua fronte super contratta per l'irritazione, è capace di trasmettere le sue emozioni persino quando non lo guardi in faccia. Lo adoro davvero, adesso. «No, perché mai?» domando. «Alla fine, questa è anche casa mia, e il proprietario ci ha detto che possiamo invitare le nostre famiglie quando vogliamo, perciò...»
«Straordinario che tu abbia avuto quest'improvviso desiderio di invitare la tua subito dopo che io ho rifiutato la tua proposta.»
«Le coincidenze della vita sono incredibili, vero? Il fato sa essere proprio assurdo, alle volte» concordo, fermandomi davanti alla porta bianca della mia stanza, ancora chiusa, la mano già sul pomello dorato. «Non ti preoccupare, siamo una famiglia perbene, l'unica eccezione può essere mio fratello Seb che ha la mania di nascondere ragni finti in giro per la casa per spaventare la gente, ma a parte quello siamo normali, più o meno.»
«Visto come sei uscita fuori tu, ho molto da ridere su quel tuo "più o meno".»
Schiocco le dita, continuando a dargli le spalle. «Voto: sei e mezzo. Un insulto troppo classico e cliché, se posso permettermi, utilizzato da praticamente metà della popolazione mondiale, forse persino più.» Riesco a sentire i dardi di fuoco che mi sta lanciando sulla schiena, ammetto che non sorridere è un'impresa titanica, questo ragazzo continua a stupirmi sempre più. «Inoltre, ora che ci rifletto a mente fredda, è meglio che tu non abbia accettato» aggiungo, passando alla fase tre del piano. «Ti avrei battuto senz'altro.»
«Come, prego?»
La sua voce si è fatta piccata al massimo, ma non se n'è neanche accorto.
Quindi ci avevo visto giusto anche su questo, eh?
È un permaloso.
I miei preferiti.
«Sì» proseguo. «Voglio dire, alla fine io pratico ogni genere di sport da ancor prima che iniziassi a gattonare, mia madre sostiene che quando ero nella sua pancia già mi allenavo nelle arti marziali, tanto mi muovevo. Pur facendo schifo a bowling, dubito che tu possa esser migliore di me. Io sono un prodigio.»
«Annovero anche l'egocentrismo tra le tue qualità fortemente discutibili.»
«È un dato di fatto, so riconoscere i miei talenti» replico. «Mi si sarebbe straziato il cuore nel batterti in maniera plateale.»
«Mi stai provocando?»
Giuro, mi fa sorridere anche quando non voglio, è la perfetta cura per la mia faccia di pietra. «Io? Come potrei mai? Io sono solo la tua folle coinquilina che mena gli stronzi.» Lascio scorrere qualche altro secondo. «E che ti avrebbe stracciato alla grande a bowling. Grazie al cielo hai rifiutato, non volevo aggiungere anche il tuo orgoglio alla mia coscienza, mi bastano i setti nasali dei Toxic Boys che pesto a sangue ogni giorno per colazione, pranzo e cena.»
«Senti un po'.»
Finalmente mi volto e mantenere il mio viso severo per la prima volta da che sono nata si rivela un'impresa titanica. È adirato come un bambino, quasi ho paura che le sopracciglia arrivino a chiudergli per sempre gli occhi, tanto sono aggrottate, sembra sul punto di volermi squartare viva, è l'esatto opposto del ragazzo perfetto e cordiale che finge di essere con tutti gli altri.
È lui Ulysses Redmond.
Il vero Ulysses Redmond.
E il vero Ulysses Redmond inizia sul serio a piacermi.
«Se vinco io» dichiara con voce carica d'irritazione, «fai le valigie stasera stessa.»
Mi fanno male le guance, tanto sto violentando la bocca per trattenere il sorriso.
«Affare fatto.»
Ti ho fottuto, Ulyscemo.
La sala giochi più famosa del centro città mi è molto nota. La frequento da che sono un'infante, praticamente, in quanto tutta la mia famiglia la adora, inclusa nonna Titti, soprattutto nonna Titti, in realtà. La sua più grande soddisfazione è infatti andare al pugnometro di solito sempre frequentato dai ragazzi, venir presa in giro da loro sotto i baffi quando vedono una vecchietta rugosa provare a dare un pugno, e terrorizzarli dopo aver mostrato la potenza e violenza del suo gancio destro, andando a superare qualsiasi record loro abbiano mai raggiunto.
Questo è il luogo in cui ho avuto i momenti più belli della mia infanzia, i miei battibecchi migliori con Reid e Sebastian, le risate più fragorose in compagnia di mamma e papà, le varie perle di saggezza di nonna Titti come "È importante saper dare un pugno, Ash, così puoi proteggere i cuccioli di koala in via d'estinzione".
Conosco questo posto a memoria, anche nei cambiamenti radicali che ha vissuto nel corso di tante decadi: se nei miei primi ricordi, infatti, era solo una gigantesca sala con tanti giochi e macchine accatastate alle pareti, illuminata da sfolgoranti lampade al neon incastrate nell'alto soffitto, adesso è invece avvolto da una luce offuscata di un arancio tenue, simile a quella dei locali notturni più in voga. Luci diverse vanno a riempire il suo interno, vivaci e nuove, di ogni tipo di sfumatura, incarnate nei profili dei giochi più moderni, gli schermi giganti appesi alle pareti adesso color crema e nella grande zona bar che è stata aggiunta pochi anni fa, dall'immenso bancone bianco con sgabelli in pelle nera e scaffali alle sue spalle saturi di ogni genere di liquore e alcool. Il pavimento un tempo in resina ora è stato coperto da una moquette blu con pois fosforescenti ciascuno di tonalità diversa, e appena entri dalle grosse vetrate d'ingresso la prima cosa che scorgi, risollevando lo sguardo, è la grande pista da bowling dall'altro lato della sala.
La pista è in rialzo rispetto al resto del pavimento, vi si accede salendo un paio di gradini di un legno uguale ad essa, dei divanetti di stoffa rossa, morbidi e accoglienti, anticipano la zona di lancio per la boccia. Essendo oggi un giorno infrasettimanale, non sono molte le persone presenti oltre a me ed Ulyscemo, il che ci garantisce subito posto per giocare.
«Cosa stai facendo?»
La domanda di Ulysses mi blocca mentre sono seduta ai divanetti della nostra pista, con l'anello della mia bottiglia di birra ghiacciata, presa al bar mentre Ulyscemo parlava con il ragazzo alla cassa per prenotare la nostra partita, che si ferma a un centimetro dalle mie labbra.
Sollevo lo sguardo, confusa, per poco non sussulto quando scorgo il giudizio infernale nei suoi occhi, mentre mi fissa dal divanetto opposto al mio. Penso che mio padre non mi ha mai guardato così in tutti i miei ventisei anni di vita, c'è però da ammettere che papà non ha mai avuto un carattere particolarmente feroce, se non contro i suoi avversari durante i match.
«Cosa c'è?» chiedo, sinceramente confusa.
«Sul serio vuoi bere birra ora?»
Il quesito mi lascia sorpresa. «Non sapevo della legge che vietava la degustazione di alcool durante le partite di bowling non agonistiche.»
Mi fulmina di nuovo. Non è tipo da battute, questo mi è ormai chiaro. O meglio, lo è, solo che non lo vuole accettare. «Sto soltanto facendo presente il fatto che avresti potuto quantomeno attendere di finire la partita, prima di darti a un'altra tua dipendenza dopo la ludopatia.»
Gli mostro il cinque con la mano libera. «Non riciclare le vecchie battute, sii sempre originale, altrimenti non c'è gusto.» Un'altra saetta da parte sua, mi trattengo dal ridacchiare. «Cos'hai contro la birra?»
«Non ho nulla contro la birra» replica deciso, sollevando lo sguardo sullo schermo che pende dal soffitto, ancora nero, e che presto ci indicherà l'inizio della partita e conterà i nostri punteggi. «Ho invece molte cose contro la mia coinquilina papabile serial killer-»
«Serial killer di stronzi.»
L'ennesima occhiataccia da parte sua. «E che ha opinabili passioni e hobby.»
«Che termini altolocati, non c'è che dire. Puoi star tranquillo, non ho alcun tipo di dipendenza da alcool. Semplicemente, mi piace la birra. Tra i miei motti di vita c'è: "Se non sta bene con la birra, non sta bene con niente."»
«Anche i tuoi motti di vita sono di dubbio gusto.»
«E sentiamo, quali sarebbero i tuoi, Signor Dubbio Gusto?»
Si risolleva in piedi, ignorandomi. Mi rasserena vedere che almeno per questa partita ha rinunciato alle sue camicie, le ha sostituite con una semplice t-shirt grigia dalle maniche corte che mostrano per bene i muscoli delle sue braccia e un paio di pantaloni neri che non gli sono stati cuciti addosso come al solito. In realtà, sta molto bene anche con quei vestiti, non posso negarlo, gli conferiscono senz'altro il fascino di perfezione che tanto ricerca e catturano subito gli sguardi e i cuori altrui, ma ai miei occhi è questa la mise che più gli si addice: semplice, casual e in cui, soprattutto, sembra esser molto più a suo agio. Confesso che stasera, quand'è uscito dalla sua stanza con questo outfit, mi sono un po' commossa, ero piuttosto certa che il suo armadio fosse solo una fornitura a vita di camicie, è sempre piacevole scoprire di essersi sbagliati sulle apparenze.
«Non mi dirai che non hai motti di vita.»
«Da dove proviene tutto quest'interesse per i miei motti?» domanda, continuando a fissare lo schermo, sembra sul punto di supplicarlo perché cominci la partita.
«Se ti rispondo, tu mi dirai da dove proviene il tuo interesse per la mia immaginaria dipendenza da birra?»
«Non è interesse, non ti illudere. Solo duro giudizio sulle tue scelte di vita.»
«Non succede niente, se bevo un sorso di tanto in tanto, tra un tiro e l'altro.»
«Libera di fare quel che vuoi, io di criticarti.»
Cielo, ce l'ha davvero con la birra. Povera birra, cosa gli avrà mai fatto di male? Ripensandoci, tuttavia, anche quando l'ho scorto al Red Moon, appena entrata, non sembrava star bevendo qualcosa di particolare. Forse non è la birra il problema, è proprio l'alcool. Che sia astemio? Sono quasi tentata di chiederglielo, ma temo che sia una domanda ancora troppo confidenziale per il nostro rapporto.
«Va bene» esalo alla fine con un sospiro, posando la mia povera e innocente birra sul tavolino basso in legno che separa i due divanetti, davanti a me. «Ok, Ulyscemo, come vuoi tu. Non berrò neanche un goccio di birra fino a quando non avremo concluso la nostra partita.»
Si ferma proprio mentre stava avanzando verso la macchina che riporta e accumula le bocce colorate e di diverso peso per colpire i birilli, prima della zona di lancio. Si blocca proprio, all'improvviso come se fosse stato colpito da un fulmine. Quando si gira verso di me, lo fa solo con la testa e con uno scatto talmente violento e disumano da preoccuparmi: è un degno erede di Angela Rance, la bambina del film L'esorcista.
Fuoco puro lampeggia nei suoi occhi grigi, mentre mi fissa come a volermi dar fuoco con un battito delle palpebre.
«Come mi hai appena chiamato?»
Ho effettivamente citato il suo nuovo nome da me realizzato per vedere come avrebbe reagito, considerato il mio sospetto che sia molto permaloso, ma non immaginavo certo fino a questo punto. A vederlo si crederebbe che gli abbia appena detto di aver sterminato la sua intera famiglia ed essermi fottuta tutti i soldi del suo patrimonio stratosferico.
«Ulyscemo» ripeto, e il fuoco nel suo sguardo rischia di incendiare tutta la sala giochi. «È come ti ho rinominato io in testa, dal nostro primo, tragico, commuovente e strappalacrime incontro.»
«Mi hai rinominato Ulyscemo?»
«Ehi, sei il tizio che non si è degnato di leggere i miei dati anagrafici e ha preteso che io sgomberassi all'istante per questo» ci tengo a ricordargli, mentre mi alzo a mia volta e a passo veloce lo raggiungo, dall'altro lato della macchina che raccoglie le varie bocce.
«Adesso mi è chiaro: vizio del pestaggio, della ludopatia, della birra e ora anche della creazione di soprannomi inutili.»
«Guarda che Ulyscemo è bellissimo!» mi difendo. «Mi ci sono affezionata.»
«Affascinante come tu ti affezioni agli insulti che crei, un altro lato del tuo egocentrismo, suppongo.»
«Forse all'inizio era un insulto, non lo nego, mi avevi irritata con i tuoi discorsi» ammetto, sollevando lo sguardo sullo schermo. La partita è iniziata e la casella del mio nome lampeggia, gialla, per informarmi che sono io a cominciare. «Ma ora non più.»
Sento i suoi occhi su di me, mentre con il capo chino guardo le varie bocce, i loro colori e il numero scritto sopra di esse per indicare il loro peso, per sceglierne una adatta a me. Non parla, il che non vuol dire nulla, ma anche così percepisco lo stesso il suo stupore.
«Hai presente quando ti ho detto che le parole hanno un loro potere?» chiedo, dopo aver scelto per la boccia rosa. Barbie non si dimentica mai e poi mai. «Io sono una donna molto pelosa, come sicuro avrai notato, un difetto genetico dovuto ai geni di mio padre e che si è accentuato alla grande quando mi è venuto l'ovaio policistico.» Infilo le dita nei fori della boccia, prima di risollevarla davanti a me per assumere la posizione giusta. «Prima della diagnosi di ovaio policistico, i primi anni delle medie, oltre che Poker Face mi chiamavano anche Orsacchiotta Ashley, proprio a causa del mio irsutismo e della mia altezza sproporzionata, per prendere in giro il fatto che non fossi minimamente femminile. Io fingevo indifferenza, mi dicevo che non me ne fregava niente, ma in realtà ci soffrivo un casino, così tanto che un giorno, presa dalla rabbia, presi il rasoio elettrico di mio padre e mi rasai tutte le sopracciglia.»
Un risolino appena accennato mi sfugge davanti a quel ricordo, soprattutto lo sguardo sbigottito di mamma quando entrò in bagno e mi trovò senza più sopracciglia. «I miei genitori si incazzarono tantissimo, non capivano proprio perché l'avessi fatto, ed io non volevo dire loro la verità, pensavo che mi avrebbero dato della stupida per prendermela così per un insulto così sciocco, ma loro in qualche modo mi convinsero a parlare.» Sghignazzo ancora. «Il giorno dopo, papà tornò a casa con tre nuovi tatuaggi sul petto, all'altezza del cuore.»
«Tatuaggi?»
«Ah-ah» guardo dritta davanti a me, la pista lucida in legno, i birilli in fondo ad essa, pronti per esser colpiti. «Prima, aveva solo il tatuaggio Cucciolotta, lì, è il soprannome che ha dato a mia madre. Quel giorno, invece, tornò con altre tre scritte sotto ad esso. Scimmietta per mio fratello maggiore Reid, Granchietto per il mezzano Sebastian e Orsacchiotta per me.» Un'altra risata, al ricordo di Sebastian che, non appena ha scorto quel suo soprannome sul petto di papà, ha provato a gettarsi dalla finestra del quarto piano della nostra villa. «Mi disse che anche la parola più crudele di tutte può cambiare valore e diventare la più dolce in assoluto, se chi la pronuncia lo fa avendola in cuore.»
«E lui ha preso alla lettera questa sua filosofia di vita?»
«È un uomo molto drastico, mio padre, coi sentimenti» riconosco. «Ma aveva ragione, da quel giorno adoro il soprannome Orsacchiotta, e lui mi chiama sempre così. Anche se il significato vero di quello che intendeva all'epoca l'ho capito molto più tardi.»
Continuo a guardare davanti a me, perché sento che, se incrociassi i suoi occhi, lui spezzerebbe subito questo momento, proverebbe di nuovo a frapporre un muro tra noi due, spaventato all'idea di esser scoperto nelle sue emozioni.
«All'inizio sì, ti ho chiamato Ulyscemo perché ho pensato fossi stato davvero scemo a non controllare i miei dati e a pretendere che sloggiassi quando non avevo alcuna colpa» ammetto. «Ma adesso, come detto, mi ci sono affezionata. Non sei così male come pensi, Ulysses Redmond, al contrario inizi sul serio a piacermi.»
«Aggiungo anche il masochismo e incurabili sogni alla lista dei tuoi problemi.»
Non riesco più a trattenermi: mi volto a guardarlo, un sorriso splende sulle mie labbra, sorprende tanto lui quanto me. «A proposito» aggiungo, «Lucy ti manda i suoi ringraziamenti.»
La sua fronte si corruga. «Lucy?»
«Sì, Lucy. Non te l'ho ancora detto, ma un'altra cosa che ho ereditato dalla mia famiglia è che spesso ho dei giganteschi colpi di fortuna.»
«Di che diavolo stai parlando, adesso? Un altro dei tuoi deliri da folle pestatrice seriale?»
«Lucy è la cameriera del Red Moon che ho difeso, o meglio, che abbiamo difeso io e te» gli spiego, e il suo corpo ha un sussulto di tradimento che va ad accentuare il mio sorriso. «Mentre eri via solo e soltanto per tranquillizzare il proprietario e impedire che denunciasse a destra e a manca e tu finissi nei guai a causa della tua coinquilina folle, ci siamo scambiate i numeri di telefono e così mi ha detto che per caso, miracolosamente, il titolare del pub non solo non l'ha licenziata, ma addirittura si è scusato con lei e le ha detto che presto ingaggerà un buttafuori per i clienti molesti.» Lo smarrimento che torna a riempirgli gli occhi mi intenerisce, ad esser sincera. «Un comportamento che non si adatta granché a un sessista, Ulyscemo.»
«Ehi, hai finito di-»
«Ma a un uomo forte senz'altro.»
Gli lascio il tempo di digerire la scoperta e le mie parole, iniziando a camminare a passo deciso verso la pista, la boccia già in mano, il braccio che la regge che si arcua all'indietro per poi lanciarla sul pavimento.
Finisce sul canale destro, ovviamente, perché faccio davvero schifo a bowling, su questo non ho mentito.
Ma ne sono certa.
Ho appena fatto un altro strike.
«Con che coraggio mi hai fatto la morale sulla birra, Signor Dubbio Gusto?»
«La tua voce è tremenda, cavernosa com'è, mi fa sanguinare le orecchie e rischiare la sordità permanente. Non c'è da stupirsi se la gente ti confonde per un uomo. Dato che ci tengo al mio udito, perché non ti crei un'altra problematica, cioè il mutismo selettivo, e inizi ad applicarlo con me?»
«Risparmiami le tue battute da stronzo, non ho voglia di darti voti, adesso. Sul serio ti sei messo a studiare persino durante una partita di bowling? Tra un tiro mio e un tiro tuo passeranno soltanto due minuti e mezzo!»
«È una capacità che mi pare evidente tu non conosca e mai potresti realizzare per te stessa: si chiama multitasking, significa poter svolgere più azioni contemporaneamente. Suppongo tu non ne abbia mai avuto bisogno, visto che per picchiare a sangue le persone non per forza è necessario l'utilizzo del cervello.»
«Si chiama dipendenza dal lavoro: workaholism.»
«L'unica con dipendenze incurabili qua dentro sei tu.»
«Non ci posso credere! Non puoi rimandare per domani il tuo studio?»
«No, e ora taci, ho di meglio da fare che ascoltare i deliri di una folle.»
«Sul serio stai chiamando folle me? Ti stai portando i fogli da studiare persino mentre vai a prendere la boccia dalla macchina!»
«Meglio fogli da studiare in mano che una collezione di tirapugni nelle tasche dei pantaloni. Almeno io non rischio il carcere per omicidio o aggressione aggravata.»
«No, infatti, rischi solo di morire d'infarto a causa dello stress che ti provochi. Che diavolo hai di così importante da studiare ora? Non siamo neanche nel periodo degli esami, il semestre è appena iniziato!»
«Ti sconvolgerà scoprirlo, coinquilina pazza, ma al mondo esistono persone che studiano con costanza anche senza il bisogno di un esame alle porte.»
«Ti sconvolgerà scoprirlo, ma anche io sono una di quelle persone, sono sempre stata una secchiona da che facevo l'asilo nido. Ero la prima della classe.»
«Allora è vero che non tutti i cervelli sono intelligenti allo stesso modo, alcuni lo sono esclusivamente per determinate cose, a quanto pare con te solo lo studio.»
«E a quanto pare con te solo con la dipendenza dal lavoro.»
«Ripeto: l'unica con dipendenze e anche gravi, qua dentro, sei tu, non certo io.»
«Lo vedi che ho fatto bene a chiamarti Ulyscemo?»
Ulyscemo fa scattare lo sguardo adirato su di me, dopo che ho finito di lanciare la mia boccia - ovviamente finita nel canale - e mi sono voltata per guardarlo. Non avrei neanche dovuto definirli "fogli", quelli che ora sta reggendo in mano, è un vero e proprio fascicolo di carta spesso quanto un libro di Tolkien. Quando l'ha tirato fuori dal suo zaino, ero piuttosto sicura di star soffrendo di allucinazioni, perché per quanto avessi in effetti intuito fosse un ossessionato dallo studio, non avevo ancora capito a che livelli, o forse avevo sperato non arrivasse fino a questo punto.
«Cosa c'è?» mi difendo, avvicinandomi a lui. «Se ti dà tanto fastidio venir chiamato Ulyscemo, allora smettila di fare lo scemo: rinuncia allo studio e goditi la partita. Non cambierà niente se per qualche ora ti svaghi un po'.»
«Non sono venuto qui per svagarmi» replica tagliante, tornando con gli occhi sul fascicolo. «Solo per liberarmi della coinquilina che mi tormenta.»
«E continuerà a farlo a lungo, perché si dà il caso che ti sto stracciando.»
«Ma se in quattro lanci hai fatto cadere in totale solo sei birilli.»
«Disse quello che ne ha fatti cadere tre.»
Un'altra occhiataccia. Forse nella sua vita precedente era il Basilisco di Harry Potter. Ammetto tuttavia che lo sto davvero adorando per questa sua caratteristica e permalosità. E sono sicura che si sta ancora trattenendo, che sta provando a soffocare il suo vero carattere, nel tentativo seppur blando di mantenere una sorta di perfezione e compostezza. Dà tutta l'aria di essere uno di quelli che parte a raffica con gli insulti peggiori quando perde la pazienza e che tale pazienza la perda molto in fretta.
Mi metto in piedi davanti a lui, tra il tavolino dove riposa in pace la mia povera birra ormai imbevibile poiché calda e il divanetto dove lui è seduto. Serro le braccia al petto, lo guardo battendo il piede a terra. «Sei è il doppio di tre» gli faccio notare. «Ti sto battendo alla grande, Ulyscemo, proprio come avevo previsto. Sarà un'altra delle mie doti, la preveggenza.»
«All'egocentrismo adesso si unisce anche l'auto illusione.»
«Io sarò pure egocentrica e preda delle follie, rimane il fatto che tu fra poco perderai la scommessa perché troppo intento a studiare. Sarai così costretto alla più grande, immensa, gargantuesca, orrenda e diabolica tortura che sia mai stata concepita per un uomo sessista come dichiari di essere.»
La curiosità gli illumina per qualche istante il volto, ma subito la seppellisce nel suo proverbiale cruccio che fa cadere ancora una volta sui fogli tra le sue mani. «Una prognosi riservata provocata da una donna che sta intraprendendo lo stesso percorso fatto dal protagonista di Fight Club?»
«Barbie.»
Il suo intero corpo ha un sussulto, scatta di nuovo con la testa a mo' di Esorcista per guardarmi con la collera più profonda che mi abbia mai rivolto finora. Trattenersi dal ridere è davvero difficile con lui, finora gli unici che mi hanno messa in una condizione del genere sono sempre stati Reid e Sebastian, e Ulyscemo li sta persino battendo alla grande.
«Non il film con Ryan Gosling, intendo i primissimi film Barbie in assoluto» proseguo, cercando di mantenermi impassibile, mentre il suo sguardo si fa sempre più inorridito. «Considerando il fatto che se vincessi tu, io dovrei sloggiare dalla mia casa, direi che è una richiesta che compensa alla grande la tua. Dovrai vedertene almeno due, dato che non durano così tanto, e potrai scegliere quali tra questi e tre» inizio ad elencare con le dita: «Barbie Raperonzolo, Barbie - La principessa e la povera e Barbie principessa dell'isola perduta. Oh, e ovviamente dovremo guardarceli insieme, perché devo assicurarmi che tu li veda davvero, non che ti limiti a leggerti la loro trama su Wikipedia.»
Giuro, sto rischiando di soffocare a causa delle risate che sono costretta a mandare giù per il suo sguardo allucinato.
Non è neanche disprezzo, quello che gli leggo negli occhi, e men che meno disgusto. È solo... smarrito e probabilmente anche molto incerto sulle mie reali intenzioni, motivo per cui, poco dopo, col suo tono funesto mi domanda: «Mi prendi in giro?»
«No, non userei mai Barbie per prendere in giro qualcuno. Barbie è sacra, Barbie è la vita, Barbie è Barbie. Se non mi credi, appena torniamo a casa ti faccio vedere camera mia, ho la collezione di tutte le Barbie più importanti mai vendute al mercato. Ah! Ora che ci rifletto, ho anche la foto che ho scattato una volta averle sistemate per bene in stanza, vuoi che te la faccia vedere adesso?»
«A te piace Barbie?»
Un ghigno torna a sollevarmi le labbra. «Sconvolgente? Pensavi che quel giorno me lo stessi guardando per prenderti per il culo?» chiedo divertita. «Guarda che solo perché mi piace vestirmi comoda o in tuta e avere i capelli corti, non vuol dire che non sappia apprezzare certe cose, anzi. Seguo anche un sacco di make-up artist e stilisti nei social.»
Si sta accigliando sempre di più.
«Solo perché qualcosa non la vorrei per me, non significa che non possa apprezzarla o addirittura adorarla» faccio presente, la sua mandibola si serra. Forse non avrò fatto strike, stavolta, ma qualche birillo sicuro l'ho colpito. «Beh, tu sei libero di pensarla come vuoi, Ulyscemo, ma ormai la mia vittoria è scontata, soprattutto per come ti stai bruciando i neuroni dietro quel fascicolo che pesa persino più di me e te messi insieme. Barbie ti attende con grande trepidazione. Ho già la playlist Spotify da farti ascoltare al ritorno a casa come preliminare.»
Agisce in un istante, lascia andare il fascicolo al suo fianco, si alza in piedi con uno scatto indignatissimo e avanza a marcia militare verso il raccoglitore delle sue bocce. Per la prima volta da quando la nostra scommessa-partita è iniziata, non solo fa un lancio straordinario, fa proprio strike al primo colpo. La palla verde sfreccia come un razzo e colpisce in pieno centro tutti e dieci i birilli, sullo schermo che segna i nostri punti per la prima volta compare la scritta CONGRATULATION!
«Cazzo!» L'esclamazione mi parte dalle labbra prima ancora che possa fermarmi, lui sussulta, dandomi ancora le spalle, ma lo raggiungo in fretta, saltello quasi per l'emozione quando lo affianco a destra. «Quello sì che era uno strike degno di questo nome, Ulyscemo! Fantastico! Hai pure assunto la posa perfetta! Non ci credo! Nemmeno Reid ha mai fatto uno strike con uno stile del genere!»
«Sul serio stai festeggiando, ora che praticamente sono in netto vantaggio su di te? Di quale altro disturbo soffri?» lo sento domandarmi, ma sono ancora in preda alla mia eccitazione da patita dello sport per preoccuparmi troppo della mia risposta, così mi ritrovo ad essere sincera al massimo.
«Certo che festeggio!» dichiaro sicura, mentre la macchina inizia a sostituire i birilli caduti per metterne di nuovi. «È stato un tiro fantastico! Non me ne frega niente che sei in vantaggio, adesso, quando qualcuno fa punti del genere, per me sarà sempre da festeggiare. Sei stato grandioso, Ulyscemo, fenomenale! Non hai esitato un istante, avevi una posa perfetta e la palla ha colpito proprio come tu avevi programmato! Adoro queste cose! Ehi, se davvero riesci a sbattermi fuori di casa, alla fine, posso comunque invitarti ad altre partite di bowling? Mi divertirei un casino, sento che sei uno di quelli che fa lanci spettacolari quando meno te lo aspetti, me lo sento nell'ovaio policistico, e il mio ovaio policistico non sbaglia mai. Mi avrà dato una quantità abnorme di barba e peli, ma in cambio mi ha fatto pure dono di un ottimo istinto.»
Sto per aggiungere altro, presa dalla mia parlantina da fanatica inguaribile dello sport, quando il mio sguardo cade su di lui. La voce mi muore in gola e il sorriso rischia di appassirmi subito sulle labbra, non appena realizzo quant'è sconvolto per le mie parole. Prova a celarlo, a seppellirlo sotto il suo ciglio perenne, ma non è in grado di mascherare il disagio che sta scartavetrando la sua espressione in apparenza infastidita: quella lenta, dilaniante marea che gli sta annegando lo sguardo sotto getti continui di confusione, timore e sollievo.
E non perché pensa che lo sto prendendo in giro.
Non perché teme che io stia mentendo.
Ma perché è la prima volta che se le sente dire.
Questo è l'unico strike che non avrei mai voluto fare e per cui mai festeggerò.
Nota autrice:
Dato che il capitolo mi è venuto LUNGO UN CASINO rimando il pippone-analisi al prossimo. Lo so, lo so, non insultatemi (come avete fatto per Ignobili affetti qualche capitolo prima lol), ma davvero, è TROPPO lungo e soprattutto so a pezzi, troppi traumi in una botta sola fanno male, oh, non credete che solo perché io li scrivo ne so immune.
Vi chiedo però di condividere, se vi va, le vostre opinioni in merito a quanto accaduto in questo capitolo tra Ash e Ulysses (e la ship Megan - Sebastian, lol), cosa ne pensate di Ulysses? Lo state rivalutando un pochino? Personalmente, al di là di tutto, adoro scrivere i suoi battibecchi con Ash, mi fanno morire!
Sciau!
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