Orsacchiotta
Le apparenze ingannano.
Un famoso detto che tutti si ripetono e in pochi, invece, rispettano.
Io ho visto e vedo tuttora il risultato di questa incapacità totale delle persone di riuscire a farlo.
La mia apparenza è quella di avere un corpo androgino al massimo, muscoloso e che ha solo tratti accennati, quasi invisibili, di femminilità. Potrò pure avere il famoso didietro allenato come in tanti desiderano, quasi a compensare la mia seconda appena risicata di seno, ma non ha le forme voluttuose che si scorgono sempre nei quadri, sode al tatto e morbide alla vista. Se andassi in giro per la città in biancheria di pizzo bianco, gran parte delle persone - forse tutte - mi scambierebbe per un ragazzo ammattito che ha deciso di indossare intimo da donna.
Non esser riconosciuta subito per quel che sono, agli inizi, non mi crea fastidi. Alla fine, per quanto sbagliate o giuste siano, è vero che le categorie uomo e donna - sempre che si possa parlare di categoria - si differenziano spesso per caratteristiche fisiche specifiche che solo di tanto in tanto coincidono, ed io sono una delle poche ragazze che ha ereditato invece quasi tutti connotati solitamente maschili.
I problemi sopraggiungono quando, una volta chiarito l'equivoco, la controparte non riesce a credermi o si rifiuta di accettare la realtà, dà per scontato che io stia mentendo.
Di aggettivi ne ho ricevuti tanti, nel corso degli anni, troppi per poterli elencare. Alcuni di essi non sono nient'altro che termini scientifici, ma chi me li sputava contro li usava con il fine ultimo di insultarmi e disprezzarmi.
Trans.
Lesbica.
Ermafrodita.
Donno.
Maschia.
Non so dire esattamente quando quel ciclone infernale è iniziato. Nei miei ricordi di prima infanzia, benché sempre sproporzionata rispetto alle altre bambine, non avvertivo questa differenza categorica tra me e il mondo, non mi percepivo in quel modo crudele e sadico che avrei poi sviluppato nel corso degli anni, per cui mi bastava anche solo respirare per sentirmi colpevole. Ai miei compagni di classe delle elementari poco o niente importava cosa fossi, se maschio o femmina, anzi. C'erano altre bambine che avevano un aspetto androgino, i famosi "maschiacci", e bambini che invece avevano tratti effemminati, visto che l'infanzia ingrazia i visi di tutti, vergine dei tratti duri dell'adolescenza prima e la fase adulta dopo.
Non ci importava granché di cosa avessimo tra le gambe. Certo, ci incuriosiva, in alcune occasioni, ma poi ci ricordavamo sempre che c'era qualcosa di più importante da fare, dire, pensare e perciò ce ne dimenticavamo, tornavamo a giocare tra di noi e quel dubbio svaniva come se non fosse mai esistito.
Non mi sentivo diversa in mezzo a loro, non mi sentivo troppo, quand'ero bambina. Benché da sempre la più alta della classe, non me ne importava nulla, anzi, spesso i miei amici mi facevano tantissimi complimenti, mi chiedevano aiuto per prendere le cose che loro non riuscivano a raggiungere, ero felice di com'ero, ne ero addirittura grata.
Poi, non so come né quando, è nata la spaccatura.
Una faglia vera e propria che ha diviso di netto i mondi uomo e donna prima uniti in un'unica bolla, e così da un lato c'erano le ragazze e dall'altro c'erano i ragazzi.
Io, però, non andavo bene per nessuno dei due gruppi, ambe le parti si rifiutavano di accettarmi.
Restavo in piedi proprio su quella faglia, impossibilitata dal muovermi, col rischio di cadere ad ogni secondo, e se provavo ad avanzare a destra o a sinistra venivo di nuovo, inesorabilmente, respinta dalle due fazioni, costretta a indietreggiare.
Non sembri una donna, non basta cos'hai tra le gambe, quindi non vai bene.
Sembri un uomo, sì, però tra le gambe sei una donna, quindi non vai bene.
E non importava cosa facessi, quanto mi svenassi, quanto provassi a farmi capire, nulla serviva a qualcosa. Agli occhi di tutti prima e ai miei più tardi continuavo ad apparire qualcosa che mai dovrebbe esistere al mondo: non abbastanza donna, troppo uomo, qualcosa che non dovrebbe mai esistere.
Un errore e orrore.
Le apparenze ingannano.
Me lo dicevo sempre, lo dicevo anche a chi mi giudicava persino dopo avermi conosciuta, ma realizzavo con tragedia che più il tempo passava, più le mie apparenze ingannavano, al punto che io stessa, ormai, non avrei saputo dire fino a che punto.
Se davvero ci fosse mai stato un inganno.
Se invece la verità era quella, la sola che mi venisse rinfacciata ad ogni respiro e passo compiuto: non vai bene, non possiamo tollerarlo, non possiamo tollerarti.
Le loro voci mi erano entrate così tanto in testa, avevano trapanato con così tanta forza la mia mente, da scavare i tunnel e i canali con cui scivolarmi nei pensieri e infettarli con il loro odio e rancore. Passavo così i miei anni continuando a cercare una risposta al quesito che sempre mi veniva posto, ovunque io andassi.
Cosa sei tu?
E senza neanche accorgermene, quella domanda me la facevo anche io. Al mattino da appena sveglia, a colazione, mentre uscivo di casa, a scuola, durante le lezioni, tornata a casa, in compagnia della mia famiglia, anche prima di richiudere gli occhi, la notte, e addormentarmi.
Era diventato un tarlo fisso nelle cervella, che mi divorava proprio come quelle farfalle con la carcassa del ratto. Si cibava di me ad ogni secondo per impedirmi di dimenticarlo, di scordare che c'era, non mi concedeva un solo attimo di pausa, un secondo di sollievo, faceva sì che lo ritrovassi in qualunque cosa io scorgessi, che mi apparisse davanti, all'istante, ad ogni riflesso in cui inciampavo.
Vedevo lui in uno specchio.
Vedevo lui in tutte le mie foto.
Cosa sei tu?
Mi aveva ammalata del tutto, più non riuscivo a guarire, non realizzavo neanche di aver bisogno di guarire.
Ma ci sono riuscita alla fine.
Ci sono riuscita.
Perché ho compreso che c'è una sola domanda che devo farmi, l'unica che vale.
Chi sei tu?
E mai più permetterò a qualcuno di farmi dubitare della risposta.
Tra le tante fisse di mio padre c'è quella per Bruce Lee. Appena entri nella nostra villa, la prima cosa che scorgi, sul muro di fronte a te, è l'immensa scritta nera dal font terribilmente principesco, con tanto di cuoricini a decorarla:
Non temo l'uomo che ha praticato 10.000 calci una volta. Temo l'uomo che ha praticato un calcio 10.000 volte.
A causa di tale fissa, io, Reid, Sebastian e mamma conosciamo a memoria le battute di tutti i film di Bruce Lee. L'unica che si è in qualche modo salvata da questa situazione è nonna Titti, che davanti alla pretesa del figlio di guardare assieme a lui il suo paladino, risponde sempre: «Ce l'ho già un Bruce Lee che mi ha devastato per sempre la vita, te, ci manca solo che ne aggiungo un altro. Preferisco i cuccioli di koala e le loro colazioni.»
La fissa per Bruce Lee è talmente intensa che papà si è auto imposto l'obbligo morale di citarlo sempre e comunque per qualsiasi conversazione, anche quelle il cui argomento non ha nulla a che fare con lui. Una volta, quando ero bambina, Sebastian a cena ci aveva appena detto che anche quel giorno aveva scambiato il cassetto delle mutande per quello dei calzini, e papà, d'improvviso, aveva tirato fuori a casaccio: «"All'inizio credevo che un pugno fosse soltanto un pugno."»
Sebastian, all'epoca quindicenne, lo aveva guardato tra lo stupore e la confusione assoluti. «Che diavolo c'entra un pugno con il cassetto delle mutande, papà?»
Papà aveva annuito più volte. «Non per forza si intende un pugno fisico con la parola pugno, Granchietto, a volte può voler dire-»
«Chiamami granchietto un'altra volta e giuro che appena compio diciott'anni mi tatuo il faccione del sensei di Cobra Kai di Karate Kid sulla schiena.»
Papà lo aveva fissato con orrore puro a riempirgli gli occhi azzurri. «Sei stato chiamato così in onore di Sebastian il granchio! Dovresti esser fiero di questo soprannome! E i tatuaggi sono la piaga di questo mondo e uno spreco di soldi.»
Seb aveva strabuzzato lo sguardo, sempre più incredulo. «Con che coraggio lo dici, tu che sei coperto dalla testa ai piedi di tatuaggi?!»
«Un errore di gioventù.»
«Ma quale gioventù! Sei andato a tatuarti la data del giorno in cui hai incontrato mamma per celebrare il vostro anniversario tre settimane fa!»
«"Assorbi ciò che è utile, scarta ciò che non lo è, aggiungi ciò che è unicamente tuo"» aveva enunciato papà con voce da erudito.
«E adesso che minchia c'entra questa frase con i tuoi tatuaggi?»
«Non capisci la meraviglia filosofica qual era Bruce Lee.»
«No, non capisco perché ho un padre così scemo.»
La discussione si era protratta fino alle tre di notte, con papà che gongolava nel continuare a chiamare granchietto Sebastian, mamma che videoregistrava tutto così da riproporlo ai prossimi compleanni, Reid che tratteneva nostro fratello dall'uscire di casa per andarsi a cercare un truffatore disposto a tatuare a un minorenne il faccione gigante di John Kreese sulla schiena ed io che ridevo per tutto il tempo, seduta sulle cosce di papà.
Non è perciò sorprendente se, per telefono, la prima cosa che papà mi dice, non appena gli racconto quanto avvenuto con Ulyscemo, è: «"Nessun metodo come metodo, nessun limite come limite."»
Pronuncia questa citazione con una carica emotiva talmente profonda da indurmi a sghignazzare dentro, mentre in camera mia inizio a preparare i vestiti per il giorno dopo, il mio primo giorno d'università. «È un tuo modo indiretto per dirmi che non devo arrendermi?» gli chiedo, intenta a piegare sulla sedia della scrivania un top nero a maniche corte con la scritta rosa "Essere una donna è letteralmente impossibile". Una citazione del film Barbie di Greta Gerwig. Quando l'ho visto, in negozio, non ho potuto fare a meno di pensare che fosse destinato a me, come presa in giro al mondo che tanto fatica a comprendermi, e così l'ho subito comprato.
«È un mio modo indiretto per dirti di dargli un calcio alle palle, Orsacchiotta.»
Un sorriso appena accennato mi sfiora le labbra. Sistemo meglio le cuffie wireless alle orecchie, per evitare di perderle mentre proseguo la conversazione. «Non è ancora arrivato a meritarselo» rispondo alla fine, mentre sistemo anche un paio di jeans larghi e strappati al livello delle ginocchia. Un'altra mia fissa
«Nell'istante stesso in cui ha capito l'errore che ha fatto e ha preteso che fossi tu a levare le tende se lo meritava.»
«Papà, la vita non si risolve con calci sulle palle.»
«"Non puoi chiamare il vento, ma devi lasciare la finestra aperta"» pronuncia di nuovo con tono pieno di saggezza.
«E questo che significherebbe?»
«Che lui ha lasciato la finestra delle sue palle aperta. Vuoi che ci parli io?»
«Papà...»
«Non farò niente, Orsacchiotta, te lo giuro. Una semplice chiacchierata.»
«Questa chiacchierata prevede solo e soltanto l'uso delle parole?»
«Assolutamente.»
«Ma davvero?»
«Certo.»
«Me lo puoi giurare su mamma?»
Silenzio.
Sospiro, andando a buttarmi sdraiata sul letto. È un bene che sia un king-size, almeno ci sto dentro tutta quanta e non ho i piedi che strabordano dal materasso, come succede ogni volta che vado a dormire fuori casa. È così morbido e soffice che mi sembra di star sprofondando in una nuvola fresca. Questo appartamento costerà tantissimo, ma vale ogni centesimo speso. «Papà, posso cavarmela» gli ricordo. «Non ho bisogno di voi a farmi da scudo umano non appena qualcosa non va.»
«È solo che non credo sia una buona idea per te vivere con qualcuno che ha chiarito sin da subito di non volerti, orsacchiotta.»
Non ha tutti i torti, se ci rifletto. «Non posso scappar via o evitare ogni problema che mi si pone davanti» faccio notare alla fine. «Vedremo come evolverà la situazione, se Ulyscemo si rivelasse ancora più stronzo, saprò come comportarmi. Tirapugni e calcio sulle palle.»
Dall'altro lato del telefono, lo sento sospirare. Potrei giurare di scorgere il suo sorriso amaro, quello che va sempre a illuminargli con nostalgia gli occhi. «Non ti far intimorire dal fatto che è figlio di Thomas Redmond, mi raccomando.»
«Sta' tranquillo. Sarà pure figlio di un multimilionario, ma io sono la figlia e la sorella di quattro Terminator e sono un Terminator a mia volta.»
Sghignazza cheto, la sua risata silenziosa, quella con cui mi leggeva le favole ogni notte e rideva con me per le battute che facevamo insieme sui personaggi. Per qualche secondo, mi diletto ad ascoltare questo suono che per troppi anni ho dato per scontato, andando ancora una volta a riempire uno dei tanti vuoti che mi sono stati lasciati e mi sono provocata da sola in passato.
«Secondo te» dico alla fine, «è così strano che una ragazza e un ragazzo si ritrovino a vivere sotto lo stesso tetto?» Il quesito mi si è infilato in testa da quando ho discusso con Ulyscemo. «Voglio dire, un sacco di persone vanno a vivere con sconosciuti dello stesso sesso, perché invece per molti è così difficile accettare l'idea di farlo con gente del sesso opposto?»
Lo sento mugugnare in riflessione. Non ho dubbi che si è andato a sedere sul divano del soggiorno per bersi uno dei centinaia di frullati proteici che la mamma ha preparato oggi. Già lo vedo, a petto nudo, a grattarsi con una mano la folta barba incurata già sale e pepe e con l'altra a reggersi il beverone.
«Non saprei, Orsacchiotta» risponde alla fine. «Ognuno alla fine ha le sue motivazioni dietro per via del proprio vissuto. È anche indubbio il fatto che uomini e donne hanno tante cose in comune quante differenze. Magari questo stro-voglio dire, Ulyscemo ha vissuto per tutta la sua vita circondato da presenze principalmente maschili, perciò fatica ad accettarne una femminile, sconosciuta e improvvisa nella sua quotidianità.»
La sua teoria potrebbe essere fondata. Dopo la discussione con Ulyscemo, ho rinunciato a qualsivoglia forma di remore nei suoi confronti e sono andata a cercarlo su internet solo per farmi un'idea generale su come è stata la sua vita finora. Come avevo supposto, gran parte dei siti lo usa come trampolino di lancio per studiare e analizzare ancor meglio la figura imponente del padre, lo considerano solo come "l'erede al trono", e poco o niente dicono davvero sul suo conto. Le sole informazioni sicure e oggettive che ho ottenuto è che è un neo ventiduenne, quindi più giovane di me di quattro anni, e che suo padre, al momento, è al quarto matrimonio, ma oltre a lui non ha avuto altri figli.
Poche sono le foto di Ulysses che circolano su internet, ma in quelle che ci sono lui sorride sempre. Il classico sorriso affabile di chi ha avuto a che fare con le telecamere da che è nato. Un vero e proprio uomo d'affari, una versione più giovane del padre. Guardarlo così, con quelle labbra sollevate in un'espressione di cordialità totalmente opposta a quella incollerita che mi ha rivolto al nostro primo incontro, è stato strano. Non saprei dire se il senso di dissonanza che ho provato nel vederlo sia dovuto all'irritazione che mi ha provocato facendo lo stronzo o a qualche sorta di mio istinto che voleva provare a comunicarmi qualcosa.
Di una cosa però sono sicura, nonostante Ulyscemo non abbia ancora tirato fuori l'argomento.
Sono più che sicura che in testa si è posto il quesito se io sono una ragazza cisgender o meno. Un'altra domanda che in tanti mi fanno, a volte con educazione, altre con evidente disgusto e disprezzo, in entrambi i casi sbattendosene alla grande della mia privacy.
Da bambina, non ero il tipo che tendeva a pensare sempre male delle persone che incontravo, ma col passare degli anni ho scoperto che la cattiveria e la crudeltà è insita in gran parte di loro ed è sempre meglio tenere un occhio vigile che credere per istinto a una papabile bontà da parte degli estranei. Anche nelle occasioni in cui rispondo che la mia identità di genere coincide con il mio sesso biologico, sono in tanti quelli che si rifiutano di credermi. Ho subìto a lungo le conseguenze della transfobia sulla mia stessa pelle, uno dei tanti motivi per cui mamma si impegna così tanto per combatterci contro.
E forse è anche per questo se Ulyscemo è così restio ad accettare di condividere con me l'appartamento. Da quel poco che ho letto sul suo conto, il padre appartiene a quel gruppo di persone che rifiuta categorico l'esistenza della transessualità, considerandola come una malattia mentale. Certo, non per forza ciò implica che Ulyscemo sia come lui, perché i figli non sono mai la copia sputata dei loro genitori, spesso anzi ne diventano l'esatto opposto, ma è comunque una possibilità di cui devo tener conto.
Una volta, un paio d'anni fa, mamma fece un TikTok in merito a un video che era diventato virale su un bambino che adorava indossare le gonne e tenere i capelli lunghi in una treccia identica a quella di Elsa di Frozen. Molti commenti sotto quel video insultavano i genitori del bambino, affermando che lo stessero crescendo per trasformarlo in una femminuccia, ma mamma si concentrò su uno in particolare, che dichiarava:
Se gli viene permesso di vestirsi in questo modo, senz'altro subirà le cattiverie, le prese in giro e gli insulti degli altri bambini.
Al che, mamma aveva fatto un TikTok di risposta con cui aveva affermato: «Se davvero lo prendessero in giro per come si veste, la colpa non è certo degli abiti che il piccolo indossa, ma dei genitori degli altri bambini che non hanno insegnato loro l'educazione e il rispetto.»
Mi domando se è in questo caso che rientrerà Ulysses o meno. Spero di no, non sono sicura di poter resistere alla tentazione della tortura aggravata, se dovesse uscirsene fuori con qualche commento idiota a me ben noti come: «Quindi sei mezza-donna, eh?»
«Orsacchiotta» mi richiama papà. «Mi raccomando, se senti il primo sintomo di istinto omicida...»
«Preoccupati sempre che non ci siano testimoni e di non lasciar prove?»
«E chiamami subito. Io e tua madre conosciamo ottimi posti per l'occultamento di cadaveri.»
Certe volte mi domando come sia possibile che tutti i membri della mia famiglia abbiano la fedina penale pulita. Sarà appunto perché conoscono quei posti.
«A proposito, la mamma dov'è?»
«Cucciolotta è andata a dormire. Domani ha un convegno importante, deve svegliarsi presto. E dovresti farlo anche tu» mi ricorda poi, con tono di ammonizione.
«Sono già in pigiama, appena chiudo la chiamata mi metto a dormire, tranquillo, papà» gli garantisco, fissando la canotta bianca che ho addosso e i boxer azzurri.
«A che ora hai lezione?»
«Alle nove, ma voglio andare a correre prima, perciò ho la sveglia per le cinque.»
«"Il vigore del corpo riflette la quiete nella mente."»
«Non la ricordo questa citazione di Bruce Lee, sai?»
«Infatti non è di Bruce Lee. È del fioraio qua accanto, Mark. Me l'ha detta mentre mi stava preparando i gigli che ho comprato per la mamma.»
«Dovresti smettere, sai? Stai seppellendo casa con tutti questi gigli che le compri ogni giorno.»
«Finché faranno sorridere Cucciolotta, la nostra villa può trasformarsi anche in una serra e non me ne fregherebbe nulla.»
In pochi, nel sentire affermare simili parole con questo tono diabetico, zuccherino e sdolcinato, penserebbero che a pronunciarle è un uomo di oltre sessant'anni che ha fatto la storia nel mondo MMA, che è stato soprannominato come Theo La bestia dai giornalisti sportivi ed ha il fisico e la forza di un gorilla gigantesco. Specie nello scoprire che Cucciolotta è come chiama sempre la moglie ed è il tatuaggio gigante che ha sul petto, proprio sopra il cuore. Sotto di esso, invece, ci sono Scimmietta, Granchietto e Orsacchiotta, rispettivamente per Reid, Sebastian e me.
«Adesso vado a dormire, papà» dico alla fine, dopo uno sbadiglio. «Dovresti farlo anche tu, sai?»
«Finisco il frullato di Cucciolotta e vado a nanna anche io.»
Mi sfugge un mezzo sorriso, prendo il cellulare al fianco del cuscino dove ho affossato la testa. Sulla schermata c'è la foto che papà ha messo come foto profilo di WhatsApp: ci siamo io, mamma, Reid, Sebastian e lui davanti a una torta gigantesca sul tavolo del soggiorno. Il mio ultimo compleanno.
«Domani ti vedrai con Megan?» mi domanda d'improvviso.
«Sì, ci vediamo mezz'ora prima delle lezioni per andarci a prendere un caffè insieme. Reid mi ha consigliato un bar vicino al campus che ne fa uno ottimo.»
«Molto bene, Orsacchiotta, molto bene.» Tre secondi di pausa. «Siamo fieri di te, lo sai, vero?»
Le mie labbra si sollevano con una sincerità che un tempo credevo mai più avrei potuto provare ed esprimere. «Sì, lo so» sussurro con un filo di voce. «Grazie, papà. Vi voglio bene.»
«Anche io, Orsacchiotta, anche io.»
A quanto pare, io e Ulysses siamo destinati a incontrarci quando torno a casa dopo essere andata a correre. Il buon fato, però, stamani ha voluto risparmiarmi la replica di farmi vedere da lui sudata dalla testa ai piedi, e si è accontentato che lo incrociassi una volta che ho finito di lavarmi e vestirmi per andare all'università, proprio mentre sono intenta a prepararmi quattro uova sode. Lo sento dietro la schiena uscire dalla sua stanza, alla parete opposta a quella della mia, con passo deciso mentre sto sbucciando le uova sul ripiano in granito accanto ai fornelli.
Sono solo le sette del mattino, spero di non inaugurare il mio primo giorno da matricola alla Margory University con l'omicidio volontario del mio coinquilino.
Lo ignoro, ben consapevole del suo sguardo incollerito che mi sta perforando la schiena, ma ne ho avuti talmente tanti addosso nel corso di ventisei anni che il suo ha ben poco valore e rilevanza per me, ormai. Quasi mi dispiace per lui, sta dando il massimo di sé per farmi sentire a disagio, ignaro di quanto stia fallendo. Forse dovrei comprare anche io dei fiori per Ulyscemo.
Crisantemi neri.
«Hai messo la sveglia alle cinque?» La sua voce è baritona come al solito. Sarebbe un ottimo cantante, ora che ci rifletto.
Continuo a lavorare sulle uova senza voltarmi, lasciando che i pezzi di guscio ricadano sul tovagliolo che ho preparato per poterli buttare tutti insieme. «Sì, per andare a correre» rispondo serafica, o comunque ci provo. A differenza sua, non posseggo una voce particolarmente canora, anzi, è molto, molto cavernosa. Un altro dei mille motivi per cui tutti mi confondono per un uomo.
«Ti ho sentita.»
Incredibile, potrei giurare di riuscire a vedere la sua fronte accigliata e irritata anche se davanti a me ho solo il muro del ripiano cucina e i pensili sopra la testa. La situazione si sta facendo interessante. È capace di trasmettere tutto il suo fastidio con la sola voce, una qualità non tanto scontata di questi tempi e soprattutto per me, famosa per avere un volto di pietra. «Hai un ottimo udito» commento, mentre poso il primo uovo snudato sulla ciotola accanto. «Mi dispiace, ho cercato di fare meno rumore possibile. Mi assicurerò di essere ancor più silenziosa in futuro.»
«Oppure potresti svegliarti a orari umani» risponde secco. Non saprei dire perché, ma la situazione ai miei occhi si sta facendo quasi comica.
«Non sapevo che esistessero orari umani e orari disumani» replico, mentre sguscio il secondo uovo. «Come si stabilisce quali sono quelli umani e quali quelli disumani? C'è una regola stabilita dal comitato scientifico?»
«Sai bene cosa intendo.»
«No, non lo so. Sono piuttosto sicura che in questo mondo con più di otto miliardi di persone non sono l'unica che si sveglia alle cinque del mattino.»
«Hai letteralmente la palestra qua sotto aperta per tutta la giornata.»
Il suo commento è legittimo, non posso negarlo. «In palestra ci vado per allenarmi con gli attrezzi» rispondo. «Non sono una grande fan del tapis roulant, ad essere onesta. Correre su un tappetino senza che mi porti da nessuna parte, tenendomi ferma sullo stesso punto, non ha granché fascino ai miei occhi.»
Silenzio da parte sua per un bel po' di minuti. Passo al terzo uovo, dopo aver abbandonato il secondo al fianco del compagno nella ciotola di ceramica bianca. «E dovevi andare a correre per forza alle cinque del mattino?»
Non vuole demordere, incredibile. C'è da dire che ha una grande perseveranza, spero usi questa sua qualità anche a fin di bene e non solo per provare a intimorire la sua povera coinquilina colpevole di essere nata con i cromosomi opposti ai suoi. «Mi piace guardare l'oceano all'alba, è meraviglioso, e poi a quell'ora è più fresco che correre il pomeriggio o la sera. Ma non è questo il problema, per te, non è così?» Concludo la pulizia dell'ultimo uovo e dopo averlo messo al proprio posto, butto il fazzoletto con tutti gusci sbrindellati nel cestino della spazzatura sotto il lavandino in acciaio.
Mi volto. Le nostre posizioni si sono invertite rispetto al primo incontro, ora sono io in cucina e lui dall'altro lato dell'isola, con la mano posata su di essa. È fresco come una rosa e già vestito e lavato. Non ho dubbi che lo abbia fatto mentre ero fuori a correre, il che la dice lunga su quanto sta provando a fare con me.
«Non te ne frega niente del fatto che mi sono svegliata alle cinque» continuo. Afferro la ciotola con le uova e avanzo verso l'isola, per poi posarla sulla tovaglietta da colazione di Barbie Raperonzolo che avevo già preparato prima, sul ripiano dell'isola. «Probabile anzi che fossi già sveglio, quando mi hai sentito, sempre se mi hai sentito davvero» sottolineo, mentre sposto indietro lo sgabello per sedermici sopra. «Mi spiace però comunicarti che ho due fratelli maggiori di cui uno che si è posto come obiettivo di vita quello di infastidire le persone che più ama, ho perciò sviluppato una calma incredibile, di rado la perdo, dovrai impegnarti molto di più se desideri così tanto spazientirmi.»
Il nervosismo lo investe, è palese, quasi non lo riconosco nell'uomo distinto e affabile che sorride sempre nelle foto che ho trovato su di lui su internet. Lo sguardo mi ricade sul suo vestiario: anche oggi, camicia bianca cucita addosso e un paio di pantaloni il cui prezzo sarà senz'altro esorbitante, di un beige raffinato, o almeno credo si dica così, me ne intendo poco di colori. C'è da dire che Ulyscemo ha senz'altro stile, non posso negarlo.
«Te lo ripeto un'ultima volta» dichiaro decisa. «L'errore l'hai commesso tu, dando per scontato fossi un ragazzo solo nel vedere la mia foto. Se ti fossi degnato di leggerti anche le mie altre informazioni, avresti saputo subito che sono una donna. Non l'hai fatto e queste sono le conseguenze.» Mi indico col pollice, prima di prendere in mano il primo uovo sodo e addentarlo. «Non voglio recriminarti questo equivoco, sia chiaro, non sei certo il primo che mi fraintende in questo modo, ma, come detto, è un problema tuo, non mio.»
«Capisco. Quindi sei pienamente consapevole della confusione che crei negli altri ma non ti preoccupi di rimediare.»
Ah! Immaginavo avrebbe tirato in ballo questa carta. Anni e anni di discussioni in merito mi hanno allenata così tanto da poter prevedere persino le argomentazioni future dei miei interlocutori. Tuttavia, ammetto che lui offende con una certa classe, la maggior parte delle persone di solito passa a termini denigratori espliciti. Non sono nemmeno certa se tale commento da parte sua sia sincero o l'ennesima tattica per convincermi a cambiare appartamento, fingendosi più stronzo di quel che è davvero, ma non ha grande rilevanza.
«Rimediare?» ripeto, dopo aver finito il primo uovo. «Quello che non si è degnato di leggere le mie informazioni sei tu, ma ai tuoi occhi l'errore l'avrei commesso io?»
Le sue sopracciglia si contraggono di nuovo. «Non ho mai parlato di errore.»
Il problema è che so che molto probabilmente crede davvero in quello che sta dicendo. «Si rimediano gli errori, non certo le cose giuste.»
«Sto solo dicendo che se sei così abituata ad esser fraintesa, potresti risolvere la questione alla radice.»
Santo cielo, è messo peggio di come pensavo.
«Ti riferisci al mio aspetto, per caso?» gli domando ancora, passando al secondo uovo. «Dovrei iniziare a truccarmi, farmi crescere i capelli fino al sedere, indossare solo e soltanto gonne svolazzanti e abiti lunghi, affinché voi sconosciuti possiate intuire che sono una donna? E perché mai? Non siete nessuno per me, non valete niente ai miei occhi, perché mi dovrei preoccupare per voi?» specifico con voce cruda, una luce strana gli invade per qualche secondo gli occhi. «Perché dovrei modificare le mie preferenze, il mio modo di pormi e di sentirmi, per agevolare estranei come te che non si degnano neanche di andarsi a leggere i miei dati anagrafici e si limitano a giudicarmi sulla base di stereotipi sessisti?»
Serra le labbra. Il fatto che non sia passato a insultarmi e sbraitare a gran voce è senz'altro una novità rispetto al passato, ma ciò non vuol dire che la tossicità delle sue frasi non sia di portata uguale. Ci sono parole che pesano e gravano sul cuore molto più di alcuni termini dispregiativi. Proprio per questo, decido di rincarare la dose, dopo aver finito anche il secondo uovo. «Io non vi devo alcuna giustificazione sul mio aspetto, potrei anche vestirmi da clown e comunque non avrei alcun obbligo nei vostri confronti.»
Sta diventando sempre più una statua di marmo, e benché terribilmente espressivo, fatico a comprendere quali emozioni lo stanno attraversando. «Allora spero non ti lamenterai, se costantemente ti scambiano per un uomo.»
Oh, sta passando all'artiglieria pesante, avevo immaginato lo avrebbe fatto, prima o poi. Quel che mi confonde è che sembra più smarrito che irritato, adesso. La collera che gli muta il viso non combacia affatto con la perplessità negli occhi.
Ma non me ne frega nulla.
«Non mi lamento, in realtà, ti ricordo che non ti recrimino l'equivoco. Non mi infastidisce esser scambiata per un uomo agli inizi. È la gente come te che si infastidisce subito quando accade, pretendete io sia come volete voi, solo perché siete incapaci di concepire la possibilità che le persone non sono solo bianco e nero come desiderate.» Addento l'altro uovo, mentre il suo corpo si fossilizza sul posto.
Un leggero sussulto scuote le sue spalle, di nuovo non riesco a tradurre la luce che grave nei suoi occhi. «Viviamo in una società» risponde alla fine, dopo qualche secondo di silenzio. «Non puoi esigere che il mondo intero si adegui a te.»
«Fanculo il mondo.» Il ringhio esce dalle mie labbra da solo.
Un altro sussulto
«Me ne sbatto i coglioni del mondo e della sua incapacità di adeguarsi a persone come me che vengono giudicate all'istante solo perché non rispettiamo i vostri standard decrepiti più dei miei avi. Un mondo che ti condanna per essere semplicemente chi sei non merita né il mio interesse e men che meno il mio rispetto. Se basta la mia banale esistenza a scombussolare le vostre menti, allora gli standard che tanto vi sono cari non sono poi così saldi e sicuri come credete.»
Pronuncio queste parole di modo che ciascuna sia chiara e precisa, una dichiarazione di guerra per lui, forse, per me la verità assoluta. Adesso è così rigido sul posto che quasi arrivo a credere si sia fatto di pietra, ma non mi interessa scoprire perché.
«Lo ripeto: se ti dà fastidio vivere con una ragazza è lecito, cercati un altro appartamento. L'errore l'hai fatto tu nell'essere così negligente da non leggerti tutti i miei dati, non io che sono stata soltanto me stessa. L'unico che qua deve rimediare al suo problema sei solo e soltanto tu, non certo io. Fatti un esame di coscienza, Ulysses Redmond, perché non è un mio compito o dovere cambiare per te. Io sono io e così come sono mi amo.»
Mando giù l'ultimo uovo con un solo boccone, mi risollevo in piedi e sistemo la ciotola nel lavandino alle mie spalle e la tovaglietta da colazione nel cassetto apposito, prima di tornare a guardarlo. Ha ancora l'espressione irritata, ma la confusione negli occhi non è svanita affatto, anzi, sembra essersi addirittura addensata.
Ma di nuovo: non è affar mio, anzi.
«Un'ultima cosa» dichiaro severa. «Come ti ho detto, io ho una grande pazienza, ma non sono perfetta e men che meno una santa. Perciò pronuncia di nuovo le parole problema, rimediare, adeguare o simili in merito a chi sono e ti assicuro che non mi limiterò a risponderti a voce, la prossima volta. I muscoli che tanto mi condanni perché mi fanno sembrare un uomo non sono lì per bellezza e so benissimo come usarli, soprattutto con stronzi come te.»
Un lampo d'ira va si riverbera nelle sue iridi. «Mi stai minacciando?»
«Sì, è esattamente quello che sto facendo» rispondo serena. «Sei libero di usare tutte le tattiche infami che vuoi per convincermi a traslocare, ma non provare più a insultarmi. Non mi importa niente se per te non è un insulto, se lo vedi anzi come un consiglio da darmi, se osi di nuovo dirmi in maniera diretta o indiretta che sono inadeguata, sarò io a renderti inadeguato per respirare l'aria.»
Schiocca la lingua, un'ironia crudele gli tempra lo sguardo. «Non avevi detto che te ne fotti alla grande del mondo e della sua opinione? Ti stai contraddicendo, spero che lo realizzi.»
«Fottersene non vuol dire permettergli di prenderti a pezze in faccia» replico con forza, l'irritazione adesso sta iniziando a scavare anche la mia fronte. «Ho abbastanza rispetto per me stessa da saper distinguere l'indifferenza dalla sottomissione. In casi come questi, applico la filosofia di vita che mia madre mi ha insegnato appositamente per gli stronzi come te.»
Inspiro a fondo, costringo la voce a tornare a un tono normale, sufficiente per fargli capire quanta verità contengono le mie parole.
«La prima volta mettici una pietra sopra. La seconda una lapide.»
Nota autrice:
Noi ora per Ash:
Noi per Ulyscemo:
Stavolta vorrei evitare di fare un pippone analisi e STRANAMENTE non è dovuto al fatto che non c'ho sbatta, ma perché vorrei che foste voi, per ora, a riflettere sui vari personaggi che stanno man mano venendo presentati, di modo che possiate farvi la vostra opinione e se vi va condividerla qui (FATELO, maledetti).
Ho solo alcune piccole cose da dire, diciamo anticipare, più che altro:
1) Il rapporto di Ash con ciascun membro della sua famiglia verrà spiegato e ben approfondito nel corso dei capitoli.
2) Uno dei tropes della storia è Opposites attracts e io lo intendo in senso LETTERALE. Non mi riferisco tanto ai caratteri, quanto al vissuto dei protagonisti. Qua ad esempio abbiamo avuto uno scorcio piccolissimo sulla famiglia di Ulyscemo, ma tenetelo bene a mente.
3) So che Ulyscemo sta a fare lo stronzo pezzo di merda assoluto E AVETE RAGIONE. Ma vi ricordo le due cose che ho già detto qui e su Instagram: non scrivo relazioni tossiche spacciandole per VEROH AMOREH e Ulyscemo è quel che è solo in apparenza. Insomma, avete anche visto come è Ash, sebbene non la conosciate ancora del tutto. DAVVERO pensate sarebbe una Tessa Young o Vanessa che accetterebbe di stare/si innamorerebbe di un ragazzo abusivo?
Il detto "Le apparenze ingannano" vale anche per lui, credetemi. Quello che Ash dice nella prima parte del capitolo, in merito a ciò, a come lei stessa in passato non sapeva più dire se le sue apparenze fossero davvero un inganno o la verità è molto, molto, importante.
Perché così come sono agli opposti, lei e Ulyscemo, così sono simili.
Credete a MOIS.
Aggiungo ora alcune altre cose messe nei commenti, perché sono importanti.
Vi prego di notare le cose che io vi ho detto già qua o su IG o anche che sono state dette da Ash in questo capitolo.
1) Come detto e ribadito, Ash parte da una posizione migliore rispetto a Ulyscemo e per tantissimi motivi.
- Il primo tra tutti è che Ash è più grande di Ulyscemo di quattro anni E NON SOLO, ha anche fatto un percorso terapeutico che l'ha aiutata ad evolvere dalla persona che era prima per trasformarla nella ragazza sicura/matura che è adesso, guarendo gran parte dei suoi TRAUMIH.
2) Il fatto che Ash noti che Ulyscemo è sì alterato ma anche molto confuso è un dettaglio FONDAMENTALE, non lo dimenticate.
3) Ulysses, come detto e ribadito, è terribilmente compromesso, non realizza neanche gran parte dei suoi TRAUMIH e questo è dovuto a tantissimi fattori. Ciò non giustifica minimamente come si sta comportando con Ash, ma ad ogni azione c'è una causa, e in questo caso, credetemi, le cause sono TANTISSIME. Perché sì, Ulyscemo ha molte difficoltà ad approcciarsi con Ash ANCHE per l'aspetto di lei, ma non nel modo in cui potete credere.
4) Ulysses ha quattro anni in meno di Ash, ha appena compiuto 22 anni. Di per sé quattro anni di differenza non dicono/cambiano nulla tra due persone in età adulta, ma qua stiamo parlando di un ragazzo che è appena uscito dalla fase dell'adolescenza (e in realtà neanche del tutto, visto che è stato confermato che l'adolescenza perdura quasi fino ai 24 anni). Inoltre a causa dei fattori citati qui sopra, Ulyscemo non ha avuto le stesse possibilità di Ash di realizzare i propri TRAUMIH, intervenire su di essi ed evolvere come ha fatto lei, soprattutto per merito del percorso psicologico che lei ha compiuto e anche dal sostegno della famiglia. Quindi ancor più non è potuto maturare come avrebbe dovuto. Ripeto però: CIÒ NON LO GIUSTIFICA MINIMAMENTE.
5) Ci sono tantissimi motivi per cui Ulyscemo vuole cacciare via Ash, alcuni riguardano i suoi TRAUMIH, altri no. Capirete leggendo.
Ripeto di nuovo: non ci sono relazioni tossiche spacciate per vero amore qua. I Toxic Boy in questa storia verranno menati a sangue.
Ulyscemo parte sì da una posizione tossica, ciò non vuol dire però in automatico che al 100% lui è una persona tossica. C'è un motivo se tra lui ed Ash, quello che più smanio di mostrarvi è proprio lui.
Come sempre detto nelle storie IG, ciò che più amo narrare nelle mie storie è l'animo umano. E se c'è una cosa meravigliosa e straordinario che noi umani possiamo fare è evolvere, proprio come ha fatto Ash PRIMA della narrazione principale (non è detto però che per tutti questa evoluzione sia positiva).
Una situazione simile e opposta a quella di Ash l'ho già presentata con la mia storia Moonlight lullaby (ora su Amazon) e il suo protagonista maschile: Retth Woods.
Nella narrazione presente, Retth ha già avuto un'evoluzione che l'ha trasformato in una persona fantastica, altruista, gentile, scema, cieca e pervertita, ma PRIMA che il libro cominciasse (con la narrazione presente dal pov di Diana) era un bastardo pezzo di merda e tossico da morire MOLTO PIÙ di Ulysses. E chi ha letto Moonlight lullaby LO SA BENE. Così come è successo a lui, così può succedere a chiunque (incluso Ulyscemo).
Evolvere sarà la parola chiave di questa storia.
Perciò, anche per questo, vi chiedo sì di inneggiare ai pugni e ai calci nei coglioni di Ulyscemo (io sarò con voi a farlo), ma al tempo stesso di non dare per scontato che lui rimarrà così per sempre e soprattutto che sia solo questo.
Come per Ignobili affetti anche qui i personaggi hanno centinaia, anzi, migliaia di sfaccettature diverse e non sono tutte solo e soltanto tenebre. Quanto detto da Ash all'inizio Le apparenze ingannano sarà un altro concetto chiave della storia, SOPRATTUTTO per Ulyscemo, credete a me.
Perché come Ash fece in passato, anche lui ormai più non crede che le sue apparenze siano davvero solo un inganno, le considera al contrario la verità assoluta.
Come già ribadito, benché la nemesi naturale l'uno dell'altra, Ulyscemo ed Ash hanno tante cose in comune, cosi come invece non ne hanno altrettante.
E vi ricordo di nuovo: Ulysses ha una visione del mondo terribilmente compromessa, sì.
Ma ha anche una visione di sé stesso altrettanto (forse ANCORA DI PIÙ) compromessa.
Bene, ho detto tutto, fatemi sapere che ne pensate!
Un bascinoh ❤️
MINI SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
1) Incontrerete Megan, qua citata da Ash e suo padre. È la migliore amica di Ash e si sono conosciute proprio su Wattpad!
2) Col prossimo capitolo avremo il nostro primo grande orgasmo: un Toxic Boy che cade come un birillo 😎
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