Oltre le apparenze

«Fammi capire bene, quindi pensi che in realtà Ulyscemo non è uno stronzo?»

«Non ho detto questo, Seb.»

«Hai appena detto che secondo te ha recitato o comunque finto per tutto il tempo!»

«Il fatto che non sia uno stronzo sessista non vuol dire che non possa essere uno stronzo in qualche altro modo, fratello, ormai dovre-Ottimo gancio destro, Ash, ti stai superando oggi.»

«Grazie, Reid. E comunque sì, penso che stesse mentendo, quando mi ha detto tutte quelle schifezze sessiste, ne sono sicura al 99%.»

«Perché mai uno dovrebbe fingersi un sessista quando non lo è? Che senso avrebbe? Ehi, Ash, vacci piano con Reid, se lo fai indietreggiare ancora, cade fuori dal ring.»

«Non mi sottovalutare, fratello.»

«Non sottovaluto te, Reid, conosco solo la forza disumana di nostra sorel-Wow! Ash! Quello sì che era un uppercut degno di questo nome!»

«Grazie, Seb, lo so. E no, non me lo so spiegare nemmeno io il perché di una recita simile, ma il dubbio è lecito, visto che non mi ha voluto dire del cazziatone che ha fatto al titolare del Red per indurlo a scusarsi con Lucy.»

«Forse non voleva semplicemente sembrare un ipocrita che prima ti fa discorsi bigotti sull'aspetto di una donna e poi ne difende una da una molestia, non credi?»

«Non l'hai visto, tu, Reid. Era come se si stesse forzando ad ogni costo a recitare un ruolo non suo, come se volesse fare di tutto perché mi stia sul cazzo che tutti credono io abbia.»

«Cos'è, il nuovo Severus Piton?»

«Risparmiati le battute potteriane, Seb, non credo che-Cristo santo, Ash, questa raffica di colpi è stata meravigliosa. Avremmo dovuto videoregistrarti.»

«Magari è semplicemente coglione, Ulyscemo.»

«Non tutti sono come te, Seb.»

«Cos'hai detto, sorella?»

«Ok, basta così, direi che possiamo concludere l'allenamento.»

Reid abbassa lo scudo da boxe che stava sorreggendo con entrambi le mani così da poter incassare i miei colpi. Uno scudo di pelle nera, riempito da spugna spessa e capace di attutire anche i pugni più violenti, con un diametro di quaranta centimetri e la profondità di undici e al suo centro un cerchio bianco come obiettivo per il lottatore. È uno degli scudi preferiti di papà, comprato per lui da me, Reid e Sebastian per i suoi sessant'anni e di cui adora vantarsi con tutti, emozionato, con tanto di lacrime agli occhi, specie quando ci vede usarlo.

Il mio respiro è ancora pesante a causa dell'allenamento, la pelle accaldata e ricoperta da uno spesso strato di sudore. Nella palestra, costruita da mamma e papà poco prima che io nascessi, ci siamo solo noi tre fratelli Ellis. La palestra si trova in un edificio a parte dalla villa principale, poco distante da quest'ultima nel cortile gigante di casa. È grande quanto un campo da basket, ha un soffitto di almeno sei metri con il tetto a spiovente, muri azzurri dalle finestre giganti per permettere il miglior riciclo d'aria, con tutti gli attrezzi sportivi del mondo riposti debitamente sulla parete sinistra, sulla destra i vari armadietti in cui riporre gli indumenti e gli oggetti personali, mentre al suo centro, sul pavimento in pvc nero, si erge il grande ring usato da tutta la famiglia per i vari sparring e allenamenti, quando ne ha tempo.

Ed è proprio sul ring che ci troviamo adesso io, Reid e Sebastian. Non appena i miei fratelli mi hanno vista arrivare a casa, questo venerdì pomeriggio, con la mia espressione più funesta addosso, mi hanno suggerito di smaltire la frustrazione con una sana dose di colpi e devo dire che, almeno in parte, ha funzionato. 

Mi sfilo i guantoni rossi e li faccio cadere sul pavimento lucido e blu del ring, per poi cominciare a togliermi anche i sotto guanti, mentre Reid riposa lo scudo all'angolo, scrocchiandosi le dita subito dopo, sicuramente atrofizzate in parte per averlo retto in aria per un periodo di tempo così lungo.

Sebastian, teoricamente il commentatore dell'allenamento, praticamente il solito coglione, si avvicina al mio fianco destro, il suo solito broncio da bambino addosso. L'ampio petto muscoloso e i bicipiti pronunciati sono soffocati da una t-shirt che aderisce fin troppo al corpo, di un verde che mi ricorda inevitabilmente il colore che deve avere avuto il vomito di Ulysses qualche giorno fa. «Non pensi che ti stai facendo troppe turbe mentali?» mi domanda, sistemandosi con una mano la sua coda bassa, mentre io ho ancora il fiatone. «Ok, avrà mentito sulla questione vomito e sul cazziatone che ha fatto al titolare, non vuol dire che ha mentito sul resto.»

«Perché avrebbe dovuto mentirmi sul cazziatone al titolare, però?» replico. Reid, avvicinatosi a noi, mi porge un asciugamano bianco e pulito che avevamo già riposto sulle corde del ring prima degli allenamenti. Lo afferro veloce e inizio a ripulirmi da tutto il sudore che mi sta ammantando il viso e il corpo. «Se davvero non gliene importa niente della mia opinione e anzi, come lui afferma, più la peggiora più ne è contento, perché spera io traslochi, non avrebbe avuto motivo di nascondermelo per paura che lo accusassi di essere un ipocrita.»

Sebastian aggrotta le sopracciglia folte. Non ho dubbi: non ha capito niente. «Mi sto perdendo» conferma poi i miei sospetti.

«Lo sapevamo già» risponde Reid davanti a noi, anche lui di sicuro avrà avuto il mio stesso pensiero. Seb lo fulmina con un'occhiataccia, ma nostro fratello lo ignora, porgendomi adesso la bottiglietta d'acqua, anch'essa già preparata prima degli allenamenti. Mi poso l'asciugamano sulla spalla sinistra, prima di afferrarla e iniziare a bere a piccoli sorsi. «Quindi, secondo la tua teoria, Ash, Ulyscemo vuole ad ogni costo che tu pensi lui sia uno stronzo sessista.»

Annuisco, con la bocca ancora attaccata alla bottiglia, lo sguardo di Seb si sta facendo sempre più confuso. «Perché mai una persona vorrebbe passare per una cosa che non è, a meno che, appunto, non sia il nuovo Severus Piton?»

«Rinuncia alla tua fissa per Piton per qualche secondo, Seb, anche perché Piton, per quanto avesse protetto Harry per l'amore di Lily, restava comunque un professore bastardo e bullo, soprattutto nei confronti di Neville» dico alla fine, una volta aver quasi del tutto finito la bottiglia. «E comunque, non sono neanche certa che lui sia consapevole della cosa.»

Oddio, lo sguardo di Seb si sta facendo confuso come non mai. L'ultima volta che l'avevo visto andare così in tilt era stato quando aveva provato a guardarsi insieme a me la serie tv Dark. Al secondo episodio, già stava andando a fare richiesta per il porto d'armi così da, citandolo, spararsi ai coglioni.

«Aspetta, aspetta, aspetta» mi interrompe, gli occhi nocciola sempre più allucinati. Inspira a fondo, chiude le labbra, si massaggia la tempia. Sta provando di tutto per usare il solo neurone che abbia mai avuto da che è nato, la mia è una certezza. «Lui ti mente pensando di non mentire?»

Da come pronuncia questa frase, a vederlo e sentirlo, si potrebbe credere che Ulysses produca metanfetamina nell'appartamento e sia il nuovo Walter White.

«Non è sicuro che lui sia consapevole del tutto che sta recitando» prova a spiegargli Reid, con le labbra che gli stanno già tremando per trattenersi dallo scoppiare a ridere davanti al cervello di nostro fratello che sta andando in ebollizione nel tentativo di comprendere. «È molto probabile che non sappia la causa che l'ha indotto a star male, il trigger psicologico, se non a livello inconscio, visto quant'è stato categorico nel negare di aver vomitato, quindi è anche possibile che non si renda del tutto conto di star mentendo ad Ash, quando fa le sue sparate sessiste, che sia convinto di crederle davvero, benché non ci creda a livello inconscio sempre.»

Ammetto che persino io fatico a mantenere la mia faccia di pietra nel vedere gli occhi e il faccione squadrato di Sebastian sconvolgersi sempre di più, disperati, pur di capire il meccanismo complesso della psiche umana, lui che è probabilmente la persona più diretta e semplice nell'intero pianeta, che ha fatto dell'onestà la sua virtù principale e il cui motto è sempre stato: Se una cosa mi piace, mi piace, se non mi piace, non mi piace, fine.

«Con che coraggio chiamate coglione me?!» tuona con voce stridula.

«Guarda che è proprio perché sei così coglione che non correrai mai il rischio di vivere certe situazioni» gli garantisce Reid, prendendo la bottiglia dalla mia mano per bere a sua volta. «Comunque la nostra rimane una supposizione, di Ash principalmente» si affretta ad aggiungere, riposando la bottiglia a terra e pettinandosi i capelli all'indietro con le dita. «E forse è anche corretta, ma solo in parte. Magari non sa di esser stato male per un trigger psicologico, ma sa di star mentendo ad Ash.»

Seb continua a massaggiarsi le tempie. È davvero comico vederlo, sembra star cercando di comprendere un progetto spaziale per lanciare un missile su Marte: sopracciglia contratte al massimo, occhi chiusi, quasi strizzati, labbra serrate, narici dilatate e fumo invisibile che gli esce dalle orecchie. La sua faccia si sta persino tingendo di rosso acceso, tant'è grande lo sforzo che sta compiendo per provare a capire in minima parte il punto interrogativo qual è Ulysses Redmond, alias Ulyscemo.

«Secondo te» domando, rivolgendomi a Reid, lui mi guarda in silenzio, le braccia incrociate al petto, gli occhi azzurri identici ai miei che già intuiscono tutto, «perché non ha semplicemente detto di esser stato male per qualche altra causa? Avrebbe potuto dire che aveva avuto una forte emicrania o dolori di stomaco, invece ha negato la questione vomito in assoluto.»

Mio fratello ci riflette su, arricciando l'angolo destro delle labbra in una smorfia appena visibile, le dita che vanno a grattargli la barba folta. «Ci possono essere tanti motivi» risponde alla fine. «Ma il principale che mi viene in mente è che ritiene motivo di vergogna anche un malessere fisico e fisiologico.»

Le mani mi si chiudono in due pugni da soli, perché anche questa era una mia teoria, speravo però di star volando troppo con le mie turbe mentali, quando l'ho ideata. Ma Reid, tra noi tre, è sempre stato il più razionale e logico, non l'avrebbe neanche presa in considerazione se non fosse stata un'ipotesi possibile.

«Quindi uno di quelli che negherebbe pure di avere un mal di testa?» chiede Sebastian, che a fatica sta riuscendo a tornare sulla carreggiata del discorso, ma lo smarrimento che prova è ancora palese e continuo. «Perché mai? Sono un'ottima scusa per non fare niente. Ehi!» si lamenta poi, dopo aver visto i nostri volti indignati. «Era solo una constatazione.»

Reid sospira, riprendendo poi a guardarmi. «È interessante, però, il fatto che, non appena tu hai tirato fuori l'argomento, il primo pensiero che lui ha avuto è di affermare di non essere debole

Un'altra fitta mi si aggrappa in cuore al ricordo di come Ulysses ha pronunciato quella parola, sputandola quasi fosse vero e proprio veleno. «Sì, l'ho notato subito anche io» ammetto. «Credi... Credi sia uno di quelli che pensa che gli uomini non possono avere lati fragili? Che devono essere sempre e comunque maschi alfa che sanno sopportare virilmente qualunque tipo di dolore?»

«Non saprei» commenta ancora Reid. «Forse non lo pensa, forse teme che siano gli altri a pensarlo.» La sua fronte si aggrotta appena. «Magari il contesto in cui ha vissuto finora non gli ha mai dato modo di esprimere le sue insicurezze e sofferenze, al contrario gliele ha sempre condannate per umiliarlo, e quindi adesso ha l'istinto immediato di nasconderle e negarle prima che l'esperienza possa ripetersi ancora.»

«Intendi quei cretini che dicono che l'uomo non piange mai?» domanda Sebastian, ancora indaffarato a usare il 100% del suo cervello per comprendere il 5% della conversazione. «Basterebbe fargli vedere il faccione lacrimante di nostro padre ogni volta che si rivede la scena in cui Ariel abbraccia Re Tritone e gli dice "Ti voglio bene, papà", per fargli cambiare idea.»

Non riesco a trattenere il risolino, ricordando quei momenti. Uno dei talloni d'Achille di papà: il finale di La sirenetta. Non manca mai di piangere, singhiozzare, consumare quintali di fazzoletti e correre ad abbracciarci ogni volta, appena si conclude il film. Passa il resto della serata con gli occhi gonfi e deve farsi sempre un po' di cioccolata calda per consolare il suo cuore in agonia.

«Non tutti sono come i nostri genitori, Seb, anzi, si può dire che loro sono l'eccezione alla regola, nella gran parte dei casi» gli ricorda Reid. «Tremendo da dire, ma la nostra società ha ancora un sacco di passi in avanti da fare, per uscire una volta per tutte da certi stereotipi che vedono l'uomo come invincibile guerriero e la donna come debole donzella da salvare.»

Seb corruccia la fronte. «Perciò Ulyscemo avrebbe vissuto in un ambiente del genere?»

«Possibile» rispondo. «Non mi sono informata granché sul suo conto, ma suo padre non mi dà l'aria di essere uno di vedute particolarmente ampie, considerando la sua omofobia e transfobia.» Storco un po' il naso. «C'è però da dire che non è una sicurezza garantita che sia proprio lui la causa o la sola causa.»

«O magari è proprio la società a spaventarlo» ipotizza ancora Reid. «Di per sé noi uomini siamo spesso pesantemente giudicati se mostriamo troppo la nostra parte emotiva ed è una reazione di difesa istintiva in gran parte delle persone quella di attaccare per paura di essere attaccati, non per forza c'è un motivo specifico dietro, può essere solo che si è fatto influenzare da più fonti e nemmeno a lui particolarmente vicine. Inoltre, per quanto per il nostro Stato siamo già da considerare adulti in pieno alla sua età, è pur sempre un ragazzo di ventidue anni, uscito da poco dall'adolescenza, alcuni studi addirittura ritengono che ci sia ancora dentro e che quella fase termini intorno ai ventiquattro anni» Il suo sguardo si posa su di me. «Ma tu pensi ci sia altro, non è così?»

Esito un secondo, prima di riprendere a parlare. «Ci sono troppe cose che non mi quadrano, ogni volta che parlo con lui» rispondo alla fine. «È un perfezionista a livelli assurdi, ha proprio la mania di tenere tutto in ordine e preciso, e sì, anche noi Ellis siamo pieni di fisse, ma la sua non mi sembra come la mia per Barbie o quella di papà per Bruce Lee o i papillon, era più un...» La voce mi muore in gola.

«Un meccanismo di compensazione?» suggerisce Reid a questo punto, a fatica annuisco.

Sebastian torna a fissarci smarrito. «Che diavolo è un meccanismo di compensazione?»

Reid sbuffa. «Significa attuare delle tecniche o riti veri e propri con cui cercare di compensare a un problema personale, come chi per distrarsi dai pensieri negativi si dà all'uncinetto, solo che in questo caso Ulyscemo lo fa col suo perfezionismo.»

«E cosa cerca di compensare?»

«È questo il problema, non lo sappiamo» risponde Reid. «Non ricordi nulla di particolare, Ash, dopo il pestaggio di quello stronzo? Se Ulyscemo ha reagito in maniera strana davanti a qualche evento o parola, mentre era accanto a te?»

Serro la mandibola. «Di tanto in tanto trasaliva» confermo. «Il problema è che ero così incazzata con Stronzo e il titolare che non ci ho fatto troppo caso e per questo adesso non ricordo con esattezza quando trasaliva, in che momenti o durante che discorsi stavamo facendo.»

«Non può essere una fobia del sangue?» suggerisce Sebastian, un'ipotesi straordinaria, se proviene proprio da lui. Davanti ai visi sconvolti di entrambi, ci aggredisce con gli occhi. «Ohi, bastardi, guardate che ce l'ho anche io un cervello.»

«È un'altra possibilità» concorda nostro fratello. «C'è da dire che non sappiamo nemmeno il momento in cui lui si è accorto di tutto quanto, se si è avvicinato per vedere meglio la situazione quando Ash stava solo litigando a voce alta con Stronzo o se quando aveva già iniziato a pestarlo a sangue, perciò il trigger potrebbe anche essere la molestia in questione, se ha sentito i due discutere con forza al riguardo.»

«Ero troppo presa a insultare Stronzo per badare a chi ci circondava» confesso quasi con vergogna. «Ho provato a chiedere a Megan se per caso lei si sia accorta del momento in cui Ulysses si è avvicinato, ma come me era troppo presa dall'evento, stava pure registrando la scena, non voleva distrarsi. Lo ha visto arrivare e raggiungermi a pestaggio ormai concluso, e anche nel video che ha fatto non si vede niente, perché incentrato solo su di me che litigo prima con Stronzo e poi con il titolare.»

Seb si gratta il capo, confuso come sempre. «Senti, sorellina» mi chiama, «sarà bastardo da dire, me ne rendo conto, ma ha senso che tu ti faccia tutti questi drammi mentali?» Lo guardo accigliata, lui sospira ancora. «Ulyscemo è stato chiaro: non vuole aprirsi con te, non vuole ammettere di essere stato male e vuole, per finta o per davvero non è chiaro, che lui ti stia sul cazzo che non hai. Perché starci così in preoccupazione? Alla fine è quello che desidera lui e lui per te non è che un estraneo, lo stronzo che tra l'altro ti ha fatto quel discorso di merda, non hai motivo di stare così in ansia per lui.»

Da un punto di vista razionale, so che Sebastian ha ragione.

Io e Ulysses Redmond siamo due totali sconosciuti che per forza di cose e coincidenze assurde si sono ritrovati a vivere sotto lo stesso. Di lui non so niente, come di me lui non sa niente. Non abbiamo stili di vita simili, non ci siamo mai parlati davvero in maniera sincera e pacata, sempre siamo ricorsi alle armi nelle rare occasioni in cui siamo stati forzati a confrontarci, io con la mia determinazione a rispettarmi in assoluto, sopra ogni cosa, lui con la sua scelta di intrappolarmi nei suoi schemi per essere detestato e costringermi a cambiare casa.

E al di là di tutto, se davvero i discorsi che mi ha fatto fossero tutta una montatura, ciò non attenua in minima parte il potere delle parole sessiste che mi ha rivolto ai nostri incontri, non importa quali siano le motivazioni dietro né che non ci credesse sul serio. Le parole hanno un peso e l'ho sempre saputo, l'ho imparato a mie spese in passato, quando mi si sono incollate addosso con furia omicida, etichette che non riuscivo a staccarmi dalla carne senza scuoiare anch'essa. Se al posto mio ci fosse stata un'altra ragazza, una che non aveva compiuto un percorso di guarigione come me, avrebbe potuto restare pesantemente ferita da quanto Ulyscemo ha affermato più volte, ne sarebbe rimasta contaminata.

Che lui credesse o meno quel che mi ha detto, le sue affermazioni comunque contenevano veleno e ciò non potrà mai avere alcuna scusante.

Ma... io l'ho vista.

La crudeltà della bellezza, quella che ho patito per anni a mia volta, incarnata negli occhi grigi di Ulysses, il suono fiabesco di ali da farfalla e l'eleganza di una tavolozza di colori che nasconde lo strazio di un banchetto di orrori.

Ho visto quella paura che gli dilaniava lo sguardo, la stessa che mi ha dominata per anni, ho scorto quella rabbia feroce che nasce solo per celare tremori e paure arcaiche, così piantate dentro l'animo da non saper neanche come sradicarle.

Perché per quanto detesti ammetterlo, per quanto non voglia accettarlo, io ero identica a lui, prima. Anche io, a mia volta, ho sputato e ringhiato parole orrende alle persone, pur di innalzare il muro con cui proteggermi, convinta com'ero che chiunque mi avrebbe attaccata se avessi lasciato scoperte le ferite che mi tormentavano. E non l'ho fatto con dei "semplici" estranei, l'ho fatto con i miei genitori e i miei fratelli, con nonna Titti, la mia famiglia, coloro che più mi amano al mondo, vomitandogli addosso ben più che semplici insulti da adolescente, covando nei loro confronti un'ira che va oltre le parole.

La differenza tra me e Ulysses è che comunque io non sono mai rimasta sola davvero, e per quanto continuassi a ferirli e allontanarli, coloro che mi amavano tornavano sempre da me, a tendermi una mano per accompagnarmi passo per passo nel lungo percorso di guarigione di cui avevo bisogno, mentre lui...

Lo sento dentro.

Sono certa che lui non ha mai avuto nessuno disposto a farlo.

Comprensione e giustificazione sono due cose totalmente diverse, Ash, non lo dimenticare mai.

La voce del dottor Travis mi martella in testa, dura e sincera com'è sempre stata sin dalla mia prima seduta con lui. 

«Lo so che sono solo un'estranea» gracchio alla fine. «E non ho nemmeno la pretesa di fargli da psicologa quando non ne ho le competenze e men che meno il desiderio di provarci, non voglio guarirlo o chissà quali altre sciocchezze da romance di quattro soldi, non è questo il punto.» Stringo con più forza i pugni, mi fisso le scarpe da ginnastica gialle, comprate appositamente per gli allenamenti da boxe. «Ma vivo con lui, lo vedo ogni giorno, non posso semplicemente voltarmi dall'altra parte e far finta di non accorgermi di queste cose, non sono il tipo, lo sapete.» La fronte mi si contrae da sola. «Inoltre, se il trigger psicologico è stato davvero assistere alla scena di violenza... Il mio secondo giorno lì, in appartamento, quando ci siamo parlati a colazione, io...» Mi fermo di nuovo. «Ho minacciato di picchiarlo

Reid e Seb sussultano davanti a me, mentre l'amarezza di quella constatazione torna a perforarmi i polmoni e svuotarli. «Non sto dicendo che ho sbagliato o che mi pento di averlo fatto. Si era comportato di merda con me, mi aveva fatto quei discorsi orrendi, mi aveva insultata,  avevo ogni diritto di far valere la mia, dopo il modo in cui mi aveva ripetutamente offesa, e certo non avrei potuto suppore la possibilità che abbia un trigger psicologico per queste cose o che stesse inscenando un teatrino tutto suo pur di farsi odiare da me, lo stesso, però...» Inspiro a fondo nel tentativo di calmarmi, mentre Reid posa una mano sul mio capo, cominciando a carezzarlo con la sua pacatezza di sempre. «Non voglio diventare quel genere di persona così stronza e bastarda da sbattersene le palle di dolori simili.»

I miei fratelli si scambiano un'occhiata in silenzio, mentre io tento di riaccumulare il mio raziocinio esploso con questa confidenza, e alla fine, dopo qualche altro minuto di mutismo da parte di entrambi, una voce da sotto il ring ci richiama. Una voce che conosco fin troppo bene: «La mia bambina è sempre stata la più buona di tutti.»

Sollevo il capo per voltarlo alla mia destra, avvicinandomi a passo veloce verso le corde bianche delimitative della pedana. Un sorriso mi trancia le labbra quando, da sotto di essa, scorgo mamma con un vassoio gigante tra le mani, in ceramica rosa, che regge tre immensi bicchieri ricolmi fino all'orlo di una strana crema densa dal color violaceo.

I suoi frullati proteici.

«Oggi la ricetta è banana, mandorle e cacao» cinguetta con la sua voce delicata, le labbra carnose sollevate in un sorriso. I lunghi capelli castani sono stati legati in una treccia a spina che le cade sulle spalle e le supera il petto, gli occhi nocciola, ereditati solo da Seb, luccicano per la sua sempiterna energia, mai persa in sessant'anni di vita, a calcarle anche le rughe d'espressione che le pitturano il viso sì duro, ma altrettanto raffinato in quella sua ruvidezza. «Penso che ne abbiate bisogno, dopo quest'allenamento, bambini.»

«Mamma» la avverte Seb, ora accanto a me a reggersi con le mani sulle corde del ring, mentre si affaccia per guardarla, «ti prego, almeno tu risparmiati "bambini", è già umiliante venir chiamato Granchietto da papà alla mia età.»

«Ma se è così dolce e coccoloso!» canticchia la mamma, già rossa in viso al ricordo del marito, inizia persino a sculettare sul posto. Il volto di Seb si dilania per il raccapriccio nello scorgerla così. Lui è il solo che ancora non ha accettato che i nostri genitori sono sempre stati e resteranno per sempre una coppietta di adolescenti preda dei deliri amorosi più profondi. «Un giorno anche te, Sebastian, amore mio, capirai la passione che tuo padre mette in ogni cosa.»

«Granchietto non è passione» precisa Seb con voce funesta. «È umiliazione assoluta.»

«Capirai, Seb, bambino mio, vedrai che capirai anche tu, un giorno.» Mamma continua a sculettare, le guance a fuoco come non mai. Anche a vedere lei, in un momento simile, proprio come per papà, difficilmente qualcuno penserebbe che è stata una delle lottatrici di WMMA più importanti nella storia statunitense, che il soprannome che i giornalisti sportivi le avevano dato quando ancora era in competizione era Bloody Marianne per la violenza dei suoi colpi e che anche adesso è capace di issarsi in spalla il marito di novantasei chili e portarselo su per tutti e quattro i piani della nostra villa.

«Ohi» mi chiama Sebastian, gli occhi ancora fissi su nostra madre che è in fase innamorata assoluta, «dove hai messo i sacchetti per il vomito? Forse non sappiamo il trigger psicologico di Ulyscemo, ma il mio si sa eccome: il diabete amoroso.»

«Com'era il frullato, Ash, tesoro?»

«Era delizioso, mamma, uno dei tuoi risultati migliori, davvero. Salvati la ricetta, secondo me a papà piacerà da impazzire.»

Mamma ridacchia goduriosa, mentre in cucina mi guarda lavare i bicchieri da frullato che abbiamo appena finito di usare, nel lavandino in acciaio vicino ai fornelli. Seb e Reid, una volta che abbiamo finito di lavarci e cambiarci, hanno raggiunto papà che è andato a trovare nonna Titti, a pochi isolati da qua, e tra poco anche noi andremo lì per cenare insieme, ma mamma mi ha chiesto prima di aiutarla a ripulire tutto.

So bene che la sua era una scusa per parlarmi in privato, anche perché si è già seduta al grosso tavolo ovale al centro della cucina, quello di legno di quercia che più e più volte lei e papà hanno dovuto mandare in riparazione dal falegname a causa delle lotte continue che si facevano Reid e Sebastian da adolescenti. Il primo segnale che vuole avere una chiacchierata seria con me. Quando mi giro verso di lei, mi sta guardando con il suo solito sorriso di sempre addosso, quello sguardo tranquillo e pacato, molto diverso da quello di papà, per quanto in apparenza simile.

Papà mi guarda sempre con un filtro di puro amore negli occhi e spesso, anche se non sempre, ciò lo induce a vedere le questioni che mi riguardano solo dalla mia prospettiva, mai quella degli altri, cosa che invece mamma non si dimentica mai di fare.

È seduta di lato sulla sedia di legno, con le gambe accavallate, il suo corpo alto e slanciato, ancora ben allenato, con i muscoli pronunciati ma più femminile del mio in quanto possessore di curve evidenti, è coperto da un abito di seta azzurra semplice e leggero, dalle maniche corte e svolazzanti e una scollatura a cerchio. 

«Quanto hai sentito della conversazione?» le domando alla fine, sedendomi al suo fianco, il sorriso di lei si fa più grande.

«Abbastanza da avere un quadro chiaro di quello che sta succedendo» risponde serena. «E di quello che stai provando, bambina.»

Mi mordo il labbro, smascherata, e inizio a ticchettare il piede contro il pavimento in resina grigia. Un mio piccolo difetto per quando sono nervosa. «Dovrei fare come mi ha detto Sebastian?» domando alla fine. «Fottermene di Ulyscemo come lui vuole, vivere la mia vita e ignorare i segnali?»

«Spetta solo a te deciderlo, tesoro» replica pacata. «È una scelta tua, alla fine, riguarda te e basta. Io, tuo padre e i tuoi fratelli possiamo dire la nostra opinione in merito, certo, ma la decisione finale devi prenderla tu.» Si guarda la mano posata sul ripiano del tavolo, la fede al dito. «Alla fine, per cose simili penso che non esisterà mai davvero la risposta giusta, si può solo andare a tentativi.»

«Anche se lui mi ha detto quello che mi ha detto?» le faccio notare, mamma torna a guardarmi sorridente, un sopracciglio appena inarcato. «Anche se è stato un bastardo con me?»

«E tu l'hai rimesso al suo posto» ribatte.

Continuo a tamburellare il piede sul pavimento e alla fine, dopo qualche altro minuto di esitazione, ammetto il tarlo che più mi tormenta: «Credo di sapere perché ha così difficoltà ad accettarmi, uno dei motivi per cui non mi vuole in casa.»

Mamma non risponde, il sorriso sempre addosso a ingioiellarle le labbra.

«Penso sia dovuto al mio aspetto» confesso ancora. «Se sul serio ha paura di apparire... debole o poco uomo, se davvero è questo il suo terrore, quello per cui è stato condannato per anni... ritrovarsi una coinquilina come me, con il mio fisico... per forza di cose lo fa stare male.» Il tamburellio si fa più forte, non riesco a fermarlo. «Non penso neanche lo faccia consapevolmente, forse è proprio una questione inconscia, un po' come me al liceo quando–» Mi blocco, un dolore antico, che conosco in ogni suo più infinitesimale frammento, torna a squarciarmi le viscere. «Quando incrociavo una ragazza incredibilmente femminile, minuta, magra o con curve prosperose. Una ragazza come Vanessa.»

Lei continua a tacere, e lo so che lo sta facendo perché ne ho bisogno, perché se mi interrompesse, faticherei a trovare il coraggio di riprendere il discorso. Nei suoi occhi nocciola leggo il calore di cui per anni mi sono privata, che al contrario ho odiato d'istinto, accusandolo di essere la fonte e causa principale dei miei tormenti. «E lo so che non è affar mio, come lui stesso ha ribadito, lo so che non ho colpe nell'essere quello che sono e sia chiaro: non ho alcuna intenzione di cambiare solo per farlo stare meglio. Lo so che ha fatto lo stronzo, al di là di quanto fosse una recita da parte sua o meno, ma non è questo il punto.» Prendo un'altra boccata d'aria. «È solo che–»

«Ti ricorda te?»

È difficile parlare, se il cuore urla così forte in petto da non farmi udire nemmeno la mia voce. «Anche io sono stata stronza e tossica al massimo con voi, durante quel periodo» mi costringo ad ammettere. «Molto, molto stronza, ben più di Ulysses. Vi ho detto cose orrende per anni, vi ho detestato per anni, ma voi lo stesso mi avete perdonata e lo stesso mi siete stati sempre accanto, non mi avete mai permesso di isolarmi come volevo e sì, voi siete la mia famiglia ed io ero un'adolescente in pieno, Ulysses solo uno sconosciuto con cui condivido per coincidenza il tetto, lo so, è una cosa molto diversa, tuttavia...»

Esito ancora.

«Mi crederesti, se ti dicessi che ho la chiara ed inequivocabile sensazione che lui non ha mai avuto nessuno a sostenerlo dagli spalti, come invece voi fate ogni giorno con me?»

Mamma pronuncia un po' le labbra, in riflessione, gli occhi le cadono sul mio piede ora fermo sul pavimento, per poi risollevarsi nei miei. «La prima volta che andammo dal dottor Travis da soli, io, tuo padre e i tuoi fratelli» mormora alla fine, dopo un sospiro, «lui ci disse subito, chiaramente: "Non potete salvarla, non importa quello che farete per lei, quanto la amerete, comunque non potete salvarla. Perché la sola persona che può salvare Ash è Ash stessa.

Un sorriso nostalgico mi arcua le labbra, perché è un discorso che conosco molto bene. Gli occhi di mamma si allagano nell'amarezza che li sta inondando. «Fu una vera batosta per tutti noi, tuo padre stava piangendo come un bambino, ci sentivamo così incapaci, così... inutili. E poi, il dottor Travis a quel punto ha aggiunto: "Ma non significa che voi e il vostro amore non servite a niente. So che vi piacciono gli sport, perciò lo dirò con termini sportivi: Ash è il solo giocatore in campo, adesso, e voi dovrete essere le sue cheerleader. Così, anche quando fallirà, anche quando si farà male, che perda o che vinca una partita, saprà sempre, sempre, che dall'altro lato del campo c'è qualcuno coi pompon in mano che festeggerà per lei in ogni caso.

"Non è vera salvezza se ottenuta solo per merito d'altri, lo è se riscattata anche con l'amore degli altri" era la frase che più spesso mi ripeteva il dottor Travis durante le nostre sedute. Mi echeggia in testa come una carezza, un suono dalla delicatezza estrema che va a divorare il rumore lancinante dello sciame di farfalle, la nube variopinta di ali che tuonano e sbattono per fagocitare l'errore e orrore.

«Bambina» mi richiama mamma, «è vero che non sai niente su quel ragazzo, allo stesso modo in cui lui non sa niente su di te. Magari in realtà le tue sensazioni su di lui e tutte le ipotesi che hai fatto con i tuoi fratelli sono sbagliate, magari è davvero solo un grandissimo, immenso, stronzo che però ha alcune difficoltà personali e psicologiche, come tanti al mondo.» Il sorriso si fa più largo. «Ma se non te la senti di lasciar perdere, se pensi che voltando lo sguardo perderesti di sicuro... mettiti in gioco, perché questa è la tua partita e di nessun altro.»

Sbatto con furia gli occhi, cercando di raffreddare il fuoco che sta iniziando già a temprarli.

«Mi rendo conto che hai timore di mettere di nuovo il piede in una fossa, di rimanere scottata, dopo tutto quello che hai passato, ma non è detto che accadrà, e soprattutto tu non sei più com'eri prima» mi fa notare, un sussulto mi scuote sia dentro che fuori. «Un tempo non avevi né le armi né le capacità di difenderti, di pensare in maniera lucida a quello che stavi provando e vivendo e cosa desideravi davvero, adesso però non è così. Sei cosciente di te e delle tue emozioni, di quel che ti circonda, non ti lasci più influenzare come una volta. Non è una questione di salvare o non salvare qualcun altro, di giustificarlo per quello che ha detto o fatto, qua, è scegliere come tu vuoi continuare a giocare la tua partita, a definire con ancor più chiarezza chi sei, a salvarti: se restando a guardare la superficie ignorando i segnali o provando a vedere oltre le apparenze e a tendere la mano.»

Mi mordo il labbro, riprendo a ticchettare il piede sul pavimento.

«Non avrai la sicurezza che al di là di esse ci sarà davvero qualcosa, addirittura potresti rimanerne delusa, ti potrebbe far male, ma di nuovo, bambina, tu non sei la ragazza di una volta, non hai più quella tua fragilità. Adesso resisti, hai la resilienza necessaria per poter essere colpita senza rimanerne più uccisa. E avrai sempre noi al tuo fianco, a passarti la pomata con cui medicare le tue nuove cicatrici.»

Aggrotto la fronte, fatico a trattenere le lacrime che mi stanno invadendo gli occhi.

La mamma sorride ancora. Il suo sorriso da mamma. Il suo sorriso da donna.

«Non dimenticarlo mai, bambina, qualunque cosa accada: Tu pensa a salvarti, io penso ad amarti

La soluzione in realtà l'avevo già, solo che ancora tendo a dimenticarmene.

Io sono io e così come sono mi basto.

Mi amo.

E quel che sono, chi sono, è Ashley Ellis.

Ash.

«Cosa stai facendo.»

Fatico a trattenere il sorriso che tenta disperato di sollevarmi le labbra, adesso, domenica sera, seduta sul gigantesco e scomodissimo divano in pelle del soggiorno, a guardare il gigantesco televisore a parete che sta riproducendo l'inizio del film Barbie e lo schiaccianoci, con musiche che ormai conosco a memoria e mi ascolto ogni giorno quando vado a correre.

La voce di Ulyscemo alle mie spalle, appena uscito dal bagno, è profonda come al solito, ma non può celare l'irritazione che la sta scavando.

Sono solo le nove di sera, sono tornata dal mio weekend a casa dei miei da poche ore e già se n'è accorto. Un peccato, speravo di avere un altro po' di tempo.

Lo sento alle mie spalle, la sua presenza è in grado di occupare spazio nella mente degli altri anche senza vederla con i tuoi occhi, c'è senz'altro del talento in tutto ciò.

Accavallo le mie gambe chilometriche, ora avvolte dal mio pigiama sempre di Barbie – rosa confetto e pieno di cuoricini – e prendo un sorso dalla bottiglia di birra ghiacciata che sto reggendo nella mano destra.

«Oh, ciao» lo saluto, gli occhi ancora fissi sullo schermo, mentre il televisore mostra l'albero di Natale della scena iniziale del film. «Ora mi parli, vedo. Che strano, quando sono tornata hai finto di non sentirmi.»

«Smettila.»

«Di fare cosa? Guardarmi Barbie e lo schiaccianoci?» domando, per una volta grata della mia faccia di pietra e la mia voce cavernosa. Sento il suo intento omicida persino ora che mi dà le spalle.

«Non mi sto riferendo a Barbie» tuona Ulyscemo e potrei giurare di vedere il suo volto irritato al massimo davanti a me, nonostante lui continui a darmi le spalle. Affogo il sorriso nella birra ghiacciata. «Che ti sta prendendo adesso?»

«Intendi il fatto che avrei potuto guardarmi il cartone in camera mia? Mi dispiace, lo schermo in soggiorno è più grande e Barbie merita solo il meglio.» Prendo un altro sorso, riesco a sentire la sua irritazione aumentare e aumentare ancora.

«Intendo come hai trasformato il bagno.»

«Trasformato?»

«Smettila di fare l'innocente. Hai fissato poster ovunque di Hello Kitty, cambiato tutti gli asciugamani con asciugamani rosa e così gli accessori, applicato adesivi con cuori e fiori su tutti i pensili, sostituito il tappetino con uno delle principesse Disney, hai persino cambiato le tende della doccia e ne hai messa una di La sirenetta

«Ho esagerato con La sirenetta?» domando con il tono più casto possibile. «In effetti, Ariel è troppo intraprendente: addirittura è lei che salva Eric al primo incontro e lotta per realizzare il suo sogno d'amore a costo di fare un patto con la strega del mare, invece che aspettare in silenzio, da brava principessa, di essere salvata e scortata da lui. Non è abbastanza femminile, hai ragione, mi dispiace, domani provvederò subito a comprare la tenda da doccia di Biancaneve, lei sì che era una vera donna, sempre attenta a cucinare e lavare le case degli uomini.»

«Sei per caso ammattita?»

«Strano, non sei tu lo stesso che mi ha suggerito di femminilizzarmi un po' così da non indurre la gente alla confusione? Mi sono messa persino il pigiama rosa, guarda! E il rosa, si sa, è solo e soltanto per le femmine. Ah, anche se, a dire il vero, il rosa ha iniziato ad essere considerato un colore "per femmine" solo nel secondo dopoguerra, lo sapevi? Prima era usato principalmente dagli uomini. Che cosa curiosa, non trovi? Come se in realtà oggetti o abiti non abbiano mai avuto un sesso di appartenenza, ma siano a discrezione dei gusti individuali di ciascuno di noi. Ma sarà sicuramente un'ipotesi mia assurda, dovuta senz'altro al mio non riuscire ad adeguarmi al mondo, cercherò di recuperare, lo giuro, farò del mio meglio.»

Silenzio per qualche secondo, ne sono sicura, sicurissima: sto riuscendo nel piano.

«Mi prendi in giro?»

«Sto facendo esattamente quello che mi hai detto tu di fare, la settimana scorsa: provare a sembrare più donna. Non dovresti esserne felice?»

Di nuovo silenzio. Non ho bisogno di guardarlo per saperlo.

La recita sta iniziando a spezzarsi.

«Giusto» commenta laconico. «Quando mi hai anche minacciato di pestarmi a sangue per questo.»

«Ho cambiato idea, avevi ragione su tutto» replico ferma. «In fondo, sono una donna, no? Com'è che si dice? Ah, sì, giusto: cambiamo idea come cambiamo scarpe.»

Ancora tre secondi di silenzio, prendo un altro sorso di birra. Davanti a me, Re Topo ha appena reso minuscola la protagonista Clara.

«Perché stai facendo tutto questo, ora?»

«Per quello che mi hai detto tu, mi pare ovvio» ripeto. «Sei stato proprio tu a farmi notare che confondo le persone col mio aspetto, perciò sto cercando di rimediare partendo prima dall'esterno, pian piano ci riuscirò anche su me stessa. Secondo te la permanente mi starebbe bene, se mi facessi crescere i capelli? O è meglio se ricorro subito a delle extension?»

«Non avevi detto che te ne sbattevi i coglioni delle opinioni del mondo?»

«Siamo fatte così, noi donne, troppo, troppo emotive, tendiamo alla drammaticità e a vedere tutto in maniera esagerata e approssimativa, sarà colpa degli estrogeni che ci impappinano il cervello. Ah, però io ho l'ovaio policistico che mi causa un aumento considerevole del testosterone... Vale lo stesso?»

«Smettila di prendermi in giro.»

«Non ti sto prendendo in giro, ho sul serio l'ovaio policistico, me l'hanno diagnosticato a quindici anni, è il motivo per cui ho la barba sul collo e sul mento, devo farmela con la ceretta ogni volta. Sono sicura che l'hai vista anche tu, in questi giorni. Ehi, forse è proprio per l'ovaio policistico se ho quest'aspetto! Chiederò al mio ginecologo la prossima volta.»

«Non ho idea di cosa vuoi ottenere con questi giochetti, ma non ci riuscirai.»

«Sto solo facendo quello che tu mi hai detto di fare» ribadisco. «Non dovresti essere contento?»

«Contento di cosa? Di avere una coinquilina più folle di quanto già temessi?»

«Contento di avere una coinquilina che sembrerà una donna vera

L'assenza di suoni da parte di entrambi esplode con violenza nel soggiorno.

«Non l'avevi detto apposta?» continuo, dopo aver permesso a questo grido di silenzio di assopirsi nei cuori di tutti e due. «Così non confondo più gli altri. Meglio, no?»

«Questa recita non–»

«Giusto, una recita.» Prendo l'ultimo sorso dalla mia bottiglia di birra, per poi posarla sul tavolino basso e in legno davanti a me. Torno a guardare Clara che assiste alle fatine dell'inverno che ballano il loro valzer nell'aria. «Le recite possono far male comunque, lo sai?»

Di nuovo silenzio.

«Non importa che motivi ci sono dietro, quali scopi le hanno indotte, se altruistici o egoistici, le parole hanno sempre un peso. Anche se chi le pronuncia le considera menzogne, chi le riceve le può percepire come verità innegabili e ne può rimanere profondamente ferito, al punto da fargli dubitare tutto, persino sé stesso. Credi davvero che le tue non abbiano questo potere solo perché sei tu? Puoi affermare con certezza assoluta che se ad ascoltare il discorso che mi hai fatto quel giorno fosse stata un'altra ragazza, lei sicuramente non si sarebbe comportata in questo modo? Che ti avrebbe solo mandato a fanculo e se ne sarebbe andata via in un altro appartamento, com'era nei tuoi piani?»

Il suo voto di silenzio è una risposta sufficiente a ogni mio quesito.

«Eccoti la verità, Ulysses Redmond» dichiaro. «Questo che hai appena visto con i tuoi occhi è quello che può succedere davanti al potere delle parole. Perciò non importa quali motivi ci sono dietro ad esse, se non sei pronto a tollerarne le eventuali conseguenze da te non programmate, non pronunciarle proprio, perché ad ogni azione c'è una reazione e se tu non sei in grado di accettarlo, farà solo male a te e alla controparte. Perderete entrambi la partita.»

Batto il piede con la mia ciabatta rosa sul pavimento in parquet lucido, un rintocco d'avvertimento tanto per lui quanto per me.

«Per sfortuna tua e fortuna mia, però, o forse per fortuna di entrambi» aggiungo alla fine, «io non mi spezzo davanti a queste cose, perché ho imparato ad assorbire i colpi che mi vengono inferti senza più rompermi.»

Lo sento inspirare con forza, e non so perché, ma arrivo a credere di averlo fatto io al suo posto, sento sul serio l'aria spalancarmi i polmoni. Il ticchettio del mio piede che batte sul pavimento si fa più forte insieme alle voci di Clara e lo schiaccianoci che continuano a parlare.

«Tu non mi vuoi come coinquilina, questo mi è ormai chiaro. Non so perché, non capisco la vera causa dietro né i motivi per cui non puoi cambiare appartamento. Ho però compreso che, nella tua testa, più mi starai sul cazzo che non ho, più le possibilità che io sloggi da qui aumentano. E magari in realtà davvero ti do fastidio, magari in realtà davvero ti sto sulle palle, chi lo sa, ma di certo non è per i motivi sessisti che tu affermi, per quanto tu possa continuare a dichiararlo.»

«Non sapevo della tua laurea in psicologia.»

La sua voce si è fatta affilata, un vero e proprio coltello. Sento l'angolo destro delle mie labbra sollevarsi.

«Niente laurea in psicologia, mi dispiace, ma ammetto che farmi otto anni di sedute di terapia ha senz'altro aiutato la mia mente ad avere una visione più amplia di certe situazioni. Come il mio vecchio terapeuta affermerebbe: Non é mai o solo bianco o solo nero, Ash, c'è un universo immenso di sfumature dietro. E non si riferiva affatto a Christian Grey, con grande delusione delle sue fan.»

Un ultimo colpo del piede contro il pavimento.

«Tu affermi di essere unicamente nero, e se io ti dessi retta, adesso, restando alla superficie che mi mostri, dovrei fare le valigie, andarmene e pensare solo e soltanto alla mia incolumità. Il che, non lo nego, mi converrebbe, visto che tra i miei motti di vita c'è "Metti te stessa al primo posto". Tuttavia, c'è anche un altro obiettivo di vita che ho e di cui non devo mai dimenticarmi: Migliorati come essere umano, sempre e comunque.» Mi blocco per qualche istante. «E se adesso io cedessi alla tua recita, non ho dubbi che sì, avrei messo me stessa al primo posto, ma senz'altro non mi sarei migliorata come persona, perché sarei rimasta solo e soltanto alle apparenze, e se c'è una cosa che detesto con tutto il cuore è farmi ingannare da esse, perché io più di tutti sono stata giudicata per le mie. Diventerei esattamente come tutti quelli che mi hanno condannata e continuano a condannarmi. Perciò ho preso la mia decisione finale, dopo ore e ore di riflessione.»

Prendo il telecomando al mio fianco, metto in pausa il film e mi sollevo in piedi, dandogli ancora le spalle, mentre mi sgranchisco la schiena. «Tu vuoi essere guardato dalla superficie ed esser giudicato per il nero che mostri, io però non voglio né oggi né mai diventare quel genere di persona che si ferma a delle etichette palesi. Il mondo intero lo ha fatto con me per anni, non sarei diversa in alcun modo da lui. Se lo facessi, se davvero restassi alle apparenze, perderei senz'altro, molto più di quanto perderei se andassi oltre esse e venissi ferita per questo. Perché un'altra cosa che ho imparato negli anni è che il dolore più grande che possiamo patire è quando tradiamo noi stessi, non quando veniamo colpiti da altri.»

Scrocchio le dita delle mani, una ad una, un tentativo di stemperare l'ansia che si respira a bocconi nell'aria.

«Ed io ho smesso di tradire me stessa, ho giurato che non l'avrei più fatto per nessuna ragione al mondo» dichiaro. «Perciò lascia che mi presenti di nuovo, Ulysses Redmond.»

Mi volto verso di lui, girandomi di schiena. È fermo oltre lo schienale del divano gigante, in camicia e jeans firmati, come al solito corrucciato dalla proverbiale irritazione e uno smarrimento che è palese ai miei occhi, non importa quanto provi a celarlo sotto l'ombra della stizza.

«Io sono Ashley Ellis, chiamata da chi mi vuol bene Ash. Ventisei anni. Matricola della Margory University. Il mio sogno nel cassetto è diventare una personal trainer nutrizionista e la più vera e sincera filosofia di vita che ho è che io sono io e così come sono mi basto e mi amo.»

Serra la mandibola, è confuso, più che alterato, il che ho deciso di considerarlo un primo passo in avanti per il nostro rapporto travagliato.

«E io sono una persona tenace abbastanza da poter andare oltre le apparenze con te e correre così il rischio di rimanere scottata. Perché se non lo facessi, se pensassi unicamente a salvaguardarmi solo per paura di rimanere ferita, restando ferma alla superficie come tu e il mondo intero fate e volete che faccia a mia volta, non sarei più Ashley Ellis, Ash, tradirei me stessa, e come ti ho appena detto: Io sono io e così come sono mi basto e mi amo.»

Serra la fronte, si irrigidisce ovunque, non posso fare a meno di sentire un sorriso malizioso carezzarmi le labbra.

«Mi dispiace, Ulysses Redmond» commento alla fine. «Ti sei beccato una coinquilina non solo poco donna, ma anche troppo egoista. Abbastanza da sbattersene i coglioni che non ha non solo del mondo ma anche di quello che a tutti i costi vuoi sembrare. Perciò ti consiglio di dare il meglio di te con la tua recita da stronzo, d'ora in poi.»

Gli sorrido del tutto, adesso, sfacciata. Il suo corpo si tende ancora.

«Perché io non mi faccio prendere per il culo così facilmente.»

Nota autrice

Ash ora:

Questo capitolo è stato importante per tantissimi aspetti, ovviamente li analizzerò uno per uno PERCHÉ SÌ, C'HO VOGLIA E SOFFRO DE LOGORREA.

Abbiamo modo di vedere in maniera approfondita il rapporto che Ash ha con la sua famiglia, tale da farla sentire a suo agio da poter parlare dei suoi problemi e i suoi dubbi su Ulyscemo sia coi fratelli che con sua madre.

Ci tengo moltissimo a farvi notare che la famiglia di Ash, pur essendosi mostra molto protettiva nei suoi confronti, nonostante sappia bene quant'è stato stronzo Ulyscemo con lei, a sua volta non lo sta categorizzando immediatamente come SOLO uno stronzo, ma sta provando insieme ad Ash a capirci di più sul suo conto, ad andare oltre la superficie.

Quindi, sebbene sì, siano protettivi, anche loro si rifiutano di fermarsi alle apparenze, vogliono provare a scorgere cosa c'è al di là di esse. Certo, questo non significa che giustificano il comportamento di Ulyscemo nei confronti di Ash, come Sebastian fa (e anche giustamente, direi) notare, non per forza lei è obbligata a provare a mettersi nei suoi panni, e il motivo principale per cui lo stanno facendo è proprio per sostenere Ash stessa, tuttavia dimostrano comunque una grande maturità. Come dissi in un commento, non sono quel genere di famiglia protettiva che corre a pestare a sangue chiunque guardi in maniera torva un loro membro, pur non disponendo della stessa pazienza della protagonista.

Ash e i suoi fratelli hanno un legame molto profondo, in loro Ash vede non tanto dei mentori quanto degli amici indissolubili con cui confidare le sue preoccupazioni e paure e farsi aiutare nelle varie teorie che ha su Ulyscemo. Si fa aiutare da loro ad avere una visione che va oltre la propria, a prendere una posizione diversa dalla sua - quella di Ulyscemo - per provare a comprendere di più quanto le sta accadendo.

Simil cosa si può dire con la mamma, Marianne, anche se il modo in cui Ash si confida con lei è molto diverso. È solo con Marianne che infatti lei trova il coraggio di ammettere che sente una sorta di affinità con Ulysses per come era stata un tempo, quand'era nella sua fase nera, cioè le accuse che faceva alla famiglia e l'odio che provava nei loro confronti. Il senso di colpa che prova nel ricordarlo è grande, pur consapevole di essere stata perdonata da loro e dei motivi che scatenarono quei suoi comportamenti, ma comunque permane e fatica ad uscirne, motivo per cui non vuole categoricamente condannare Ulysses per come ha fatto lo stronzo con lei, perché anche lei ha sbagliato in passato e benché avesse i suoi motivi e quella fosse la sua famiglia, ciò non la giustifica comunque, si può solo comprendere.

Nel caso non se fosse capito, la questione COMPRENSIONE ≠ GIUSTIFICAZIONE è un altro dei punti cardinali della storia, tra i più importanti in assoluto.

Abbiamo qui uno squarcio già intravisto in passato sul periodo nero di Ash, da lei rinominato L'incubo. Nonostante non ci sia stato mostrato nel dettaglio, si sono viste tante cose in merito ad esso:

Ash ha subìto per anni un bullismo costante, derivante non solo dagli stereotipi sessisti ma anche dalla transfobia e omofobia dilagante che purtroppo ancora persiste nel mondo e che ha la tendenza immediata a condannare chiunque non rientri negli standard estetici.

A causa di questo bullismo costante, Ash aveva sviluppato un odio profondo per sé stessa che poi proiettava sulla sua famiglia, ritenendola la causa dei suoi problemi in quanto sono stati proprio i suoi genitori a farla nascere donna. Ovviamente è un'accusa che non ha senso di per sé, perché non sono il padre e la madre a decidere il sesso del bambino, ma Ash era un'adolescente e non solo, era anche in uno stato emotivo terribilmente compromesso, dovuto ai giudizi costanti (e chissà che altro) subiva e che quindi la inducevano a cercare una ragione - logica o illogica che fosse - alle sue sofferenze.

Sempre per colpa del bullismo, Ash aveva una forte propensione a detestare/invidiare con forza le ragazze "femminili" e prosperose, proprio perché incarnavano il concetto di "donna" che invece lei sentiva di non riuscire a rappresentare. Anche per questo motivo, quando confessa alla madre che sospetta che uno dei motivi per cui sta sulle balle a Ulyscemo è proprio il suo aspetto, non se la sente comunque di detestarlo, pur non giustificandolo. Benché infatti lei sia un'estranea ai problemi di lui, il giudizio che lui le fa è diverso da quello superficiale del mondo, è derivato da un dolore che – almeno lei suppone – nasce da una forte sottostima di sé dovuta a una costante svalutazione del suo "essere uomo" da parte di chi lo circondava, in maniera terribilmente simile a quella che tormentava Ash.

Quindi, come dichiara alla madre, non lo vuole affatto giustificare, al tempo stesso però non se la sente di condannarlo in assoluto per il suo comportamento, perché lei più di tutti sa bene le cause che possono scatenarlo e anche perché si sentirebbe ipocrita a farlo, visto che in passato si era comportata in maniera molto simile.

E qui arriviamo a Marianne, Bloody Marianne. Il discorso che fa ad Ash sarà importantissimo nel corso della storia e per tanti motivi.

La questione che Marianne pone è sulla "salvezza" di Ash.

In questo caso non si riferisce più soltanto alla salvezza dal periodo nero che ha vissuto, ma anche a come ha intenzione di vivere la sua vita ora che ne è uscita del tutto, quale prospettiva vuole assumere davanti a situazioni del genere come quella con Ulyscemo. Perché facendolo Ash affermerà ancor più la persona che vuole diventare in futuro, la donna che vuole essere nel mondo.

Come detto anche da Marianne, la questione va oltre la "giustificazione" di Ulyscemo, perché la si guarda dalla prospettiva di Ash, cioè come lei si comporterà davanti alle evidenti fragilità di Ulyscemo che lui tenta di nascondere con le sue recite/menzogne: se voltarsi dall'altra parte e fingere di non vederle o se invece provare ad andare oltre le apparenze.

Che ripeto, non significa GIUSTIFICARE, significa, appunto, COMPRENDERE.

Marianne ricorda ad Ash il fatto che ora lei è diversa da com'era prima e che quindi, se anche dovesse rimanere delusa/ferita da Ulyscemo perché in realtà è davvero solo uno stronzo, ciò non significa che non possa sopportarlo. È resiliente abbastanza da sostenerlo e, soprattutto, avrà sempre e comunque la sua famiglia come cheerleader.

Perché anche questa è salvezza: decidere come comportarsi con gli altri nel mondo, perché nel farlo definiamo anche ciò e soprattutto chi siamo.

Sia chiaro, lo ribadisco perché non si sa mai, Ash non ha alcuna intenzione di "guarire" o "salvare" Ulyscemo dai suoi problemi, sa BENE che è una cosa che non può fare e non ha alcuna intenzione di sacrificarsi per una missione impossibile. Come detto e ripetuto, da certi TRAUMIH si esce solo con la terapia, non certo cor pipo o la patata, a discapito di quello che vogliono far credere il 98% dei dark romance/romance classici.

Quello che Ash è incerta se fare è se provare a restare ferma sulla soglia delle apparenze che Ulyscemo le mostra, garantendosi in questo modo un'incolumità totale, perché se lo considera solo e soltanto uno stronzo continuerà a detestarlo e basta e non ne rimarrà davvero ferita, o se invece provare a scavare più a fondo correndo il rischio di farsi del male non solo da lui ma anche da sé stessa.

Per questo Marianne le ricorda che loro, la sua famiglia, non la abbandoneranno mai.

La frase Tu pensa a salvarti, io penso ad amarti è molto importante. Di fatto si pensa che la salvezza equivalga in assoluto all'amore per sé stessi e sì, è così, ma NON SOLO.

Salvarsi significa correre rischi, affrontare i propri demoni, soffrire, piangere, cadere, rialzarsi, venir ferita più e più volte tanto da gli altri quanto da noi stessi. Garantisce quindi sì un amore per noi stessi da parte nostra, ma anche tanto dolore e tanta fatica. Come tutte le partite, non c'è mai sempre e solo la vittoria, ci saranno sempre incertezze e instabilità che ci sbilanceranno, nulla mai sarà sicuro e incorruttibile al 100%.

Tranne una cosa.

L'amore da parte di chi ci ama.

Che non è un amore che salva perché non può farlo e mai ne sarà in grado, ma è un amore che ci sostiene ed è sugli spalti a fare il tifo per noi qualunque risultato otteniamo: vittoria o sconfitta.

È perciò un bastone a cui sostenersi quando siamo acciaccati dalla partita che stiamo giocando, un affetto che andrà a colmare i momenti in cui non possiamo darcelo da soli e ad aumentare il nostro quando invece riusciamo a regalarcelo.

Una sicurezza.

Noi siamo i giocatori, chi ci ama le nostre cheerleader più accanite.

Sia per merito dei fratelli che per merito (soprattutto) di Marianne, Ash finalmente trova la forza di prendere la sua decisione con Ulyscemo, come si evince nel suo monologo/discussione con lui a fine capitolo.

Cioè decide di correre il rischio, di voler provare ad andare oltre le apparenze con lui per vedere se le sue teorie in merito sono giuste, se come lei anche lui soffre dei dolori dovuti a questi continui stereotipi patriarcali che ci consumano tutti dentro, chi più e chi meno.

SA che non ha la certezza assoluta che è così e che perciò ne può rimanere ferita, perché magari Ulyscemo DAVVERO è solo un pezzo di merda assoluto, ma vuole comunque provare a farlo perché:

1) Non è più come prima: è resistente abbastanza.

2) Se Ulyscemo davvero è come lei era una volta, si rifiuta di voltare lo sguardo e fingere di non vederlo

3) Se davvero si ferma SOLO alle apparenze con Ulyscemo, non sarà diversa dal mondo che l'ha condannata e tuttora la condanna per come è lei in apparenza e come era una volta (incluso il suo carattere "crudele")

4) Ha capito fino a fondo la differenza tra comprensione e giustificazione

Il punto 4 è molto importante, perché viene mostrato appieno con lo "scherzo" che Ash fa ad Ulyscemo in bagno, uno scherzo che in realtà scherzo non è.

Ash infatti, benché non fosse seria, gli ha mostrato quello che le parole di lui, sessiste e bigotte, davvero potrebbero causare in una persona più fragile e insicura – come lei era una volta e come lui si suppone è adesso.

Cioè indurla a cambiare sé stessa, tradire chi è dentro, modificarsi per piacere al mondo pur non piacendosi a propria volta.

Ha perciò dato una sorta di avvertimento a Ulyscemo:

Se DAVVERO sei un sessista come affermi, allora guarda, queste sono le possibili conseguenze di quello che le tue parole potrebbero causare in giro. Sei davvero sicuro di poterle accettare?

La teoria di Ash, infatti, è che Ulyscemo stia facendo il bigotto/sessista per cacciarla di casa, questo, secondo lei, è il suo piano. Ash gli ha mostrato in questo modo "ironico" quant'è stato superficiale con un piano del genere, perché non c'era alcuna sicurezza che avrebbe potuto funzionare e anzi, avrebbe invece potuto ferire profondamente una persona talmente tantk da indurla a tradire sé stessa.

Gli ha quindi detto: STOCAZZO DEI MOTIVI CHE HAI DIETRO, SEI COMUNQUE STATO UNO STRONZO

La conferma dai vari silenzi/parole di Ulyscemo dimostra anche che ci ha azzeccato in merito a una sua altra teoria fatta coi fratelli, cioè:

Lui non è del tutto consapevole – se non a livello inconscio – della propria sofferenza e di quello che certe parole/accuse possono fare a qualcuno, il che conferma anche che lui stesso quasi di sicuro subisce/ha subito tali parole/accuse ma dà per scontato che siano naturali e giuste e sia lui nel torto, non il contrario.

Sottolineo quel del tutto perché è molto importante. Ulyscemo, seguendo la teoria dei fratelli Ellis, sta a fare lo stronzo sessista per indurre Ash a cambiare casa, ciò vuol dire comunque che una parte di sé è consapevole che è sbagliato ed è davvero da stronzi fare discorsi simili, se pensa che chi li sente lo manderebbe a fanculo e se ne andrebbe.

Perciò si può dire che sta sì recitando, ma pensa in parte di NON farlo (meno male che Sebastian non può leggermi, sarebbe andato in coma)

Anche per questo Ash ci tiene a mostrargli le conseguenze delle sue azioni, per renderlo pienamente consapevole a livello COSCIENTE di quello che può fare con le sue parole.

Passando poi all'altro punto, cioè:

"NON ti giustifico affatto per come ti sei comportato, ma mi rifiuto di essere come il mondo, mi rifiuto di essere una che guarda solo alle apparenze come tutti fanno con me, perciò cercherò di capirti, di vedere il tuo punto di vista, i motivi per cui ti stai comportando in questo modo, di COMPRENDERTI, anche se so che rischio di rimanere scottata, perché sono una persona RESISTENTE e ho abbastanza coraggio e amore per me stessa da poter sopportare e superare queste ferite. Questo è il modo in cui scelgo di continuare a SALVARMI (autodeterminando ancora una volta CHI sono)"

Una sorta di dichiarazione di guerra, forse, agli occhi di Ulyscemo, ai nostri e quelli di Ash, invece, una dichiarazione di tentativo di pace.

Oltre le apparenze.

Bene, credo di aver detto tutto! Un bascinoh di nuovo ❤️

AH! Lo aggiungo ora perché non se sa mai.

Chi sta leggendo la mia altra storia, Ignobili affetti, forse potrebbe pensare:

"Simo, ma con Dante stai mostrando che non si può essere perdonati subito per aver fatto lo stronzo agli inizi!!! Com'è che qua invece succede? Ti stai contraddicendo! Povere palle rotte di Dante!"

Ah! Miscredenti lettori!

Non è così.

1) Ash NON perdona Ulyscemo per quello che le ha detto

2) Proprio col suo scherzo Ash MOSTRA ad Ulyscemo quali potrebbero essere le conseguenze delle sue azioni

3) La situazione Ash–Ulyscemo è COMPLETAMENTE diversa da quella di Dante–Agatha, a discapito di come lo sia in apparenza

– Dante non solo ha fatto lo stronzo, ha accusato Agatha di tutto e di più in pochissimi incontri: di essere una pluriomicida, di fottersene della morte di Betsy, di essere senza cervello perché va a trovare il padre e si è trasferita per farlo, di aver aiutato i gemelli con un secondo fine, di essere una cogliona e via dicendo, di star recitando ancora e ancora

– A differenza di questa storia, in Ignobili affetti è Agatha ad essere COMPROMESSA AL MASSIMO a livello emotivo (e in maniera ben più grave di Ulyscemo, oserei dire). Agatha ha zero autostima, si detesta ed è piena di sensi di colpa, ha il terrore primordiale di essere accusata di tutto e di più, è spaventata che anche il suo gesto più innocente venga visto come una recita, proprio per via del padre (cosa che Dante SOSPETTA agli inizi e Agatha sa bene). NON È COME ASH, che invece ha fatto un percorso emotivo e psicologico profondo e lungo che l'ha portata ad assumere una prospettiva più matura della situazione in cui è coinvolta, tale da farla NON giustificare Ulyscemo, mostrandogli le conseguenze delle sue azioni, ma provando a comprenderlo comunque.

– Agatha, benché sappia le varie motivazioni che c'erano dietro alla rabbia di Dante, è talmente compromessa da non poter neanche concepire la possibilità che qualcuno possa cambiare del tutto idea su di lei e ammettere di essere stato nel torto in passato con la sua posizione drastica. È CERTISSIMA di meritarsi di essere vista così e che è naturale che ciò continuerà ancora e ancora. SOLO con gli ultimi capitoli pubblicati sta realizzando appieno quanto è cambiato Dante nei suoi confronti, quanto lui è effettivamente pentito di come è stato stronzo, e quanto il suo rapporto con lui si stia stringendo.

– A differenza di Agatha, Ash ha il sospetto quasi sicuro che Ulyscemo stia vivendo una situazione molto simile o simile alla sua durante l'adolescenza, quindi anche per questo è più spronata a fare un passo in avanti nei suoi confronti. Sta cercando, in un certo senso, di comprendere meglio anche la Ash di una volta, quella de L'incubo.

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