Occhio per occhio
«Io odio Wattpad.»
«Oh no.»
«Dico davvero! Perché ogni dannata volta che penso di aver trovato una storia d'amore decente lì, si rivela sempre non un romance bensì un toxic romance?»
«Oh no.»
«Credevo di aver finalmente scovato un romance degno di questo nome! Ti giuro che lo credevo sul serio! La trama non lasciava intendere nessun elemento tossico! E invece no! Il protagonista è un bastardo pezzo di merda! E la protagonista... Ohhh, la protagonista! Persino questa tazzina di caffè ha più profondità emotiva di quella protagonista!»
«Sì, ma non sollevarla così nell'aria, c'è ancora il caffè dentro, Meg, rischi che ti si rovesci addosso.»
Con un sospiro affranto, Meg riabbassa la mano che stringe la povera e innocente tazzina bianca e prende un sorso. Quando la riposa sul suo piattino, le guance a pagnotta della mia amica sono ancor più rosse a causa della rabbia. «E sai qual è stata la cosa peggiore?» mi domanda con voce funesta.
«Non sono sicura di volerlo scoprire.»
«La storia è piena, pienissima, di errori grammaticali! A stento si capisce cosa c'è scritto! C'è trans al posto di trance, propio invece di proprio! Mancano persino le virgole per i nominativi! Tutte le frasi sono in stile: Hai mangiato nonna? Non sapevo di star leggendo una storia sul cannibalismo!»
Sono consapevole che in questo momento è più seria che mai, ma la sua indignazione è talmente comica che è capace di far ridere persino me. Ha lo sguardo super crucciato, come se avesse appena vissuto l'onta più grande di tutta la sua vita. Le sopracciglia sottili sono aggrottate al massimo per l'ira, gli occhi scuri, di un nocciola che sfuma nel nero, si sono trasformati in una fonte di collera, il viso rotondo e morbido è livido per l'oltraggio. «E se anche solo osi far presente questi errori, nella speranza che l'autore possa poi correggerli in revisione, i fan ti assalgono e ti insultano in ogni modo dicendo che sei una stronza invidiosa del suo successo!»
«Te l'ho detto: i fandom di Wattpad sono tremendi» le faccio presente, mentre lei prende un grosso sorso di succo d'arancia dal bicchiere accanto alla sua tazza. «Sei sulla piattaforma da dieci anni, ormai, com'è che non ti arrendi?»
«La speranza è l'ultima a morire» dichiara decisa. Un lungo boccolo dorato le finisce sul viso e lei sbuffa, riportandolo dietro l'orecchio. «Anche se, in questo caso, è più probabile che a morire sarò io. Ad uccidermi non sarà la mia obesità, ma leggere l'ennesimo protagonista maschile che "scherza"» fa le virgolette nell'aria con le dita, «sul fare violenza sessuale a Hope e Hope che invece che dargli un calcio ai coglioni o mandarlo a fanculo, si eccita perché spaventata.»
«Oh no.»
«Oh sì» conferma Meg. Di nuovo, il boccolo le finisce sul viso, con un altro sbuffo inizia a sistemarsi la sua lunga chioma dorata per legarla in una coda bassa che le arriva al sedere, solo una ciocca sfugge alla trappola dell'elastico, restandole ferma a contornarle il viso rotondo e ridiscendendo sul suo petto come una scala a chiocciola. «E non solo!» squittisce poi, sempre più indignata, battendo la mano sul tavolino in legno a cui siamo sedute. Ho fatto bene a scegliere quello più lontano dagli altri, fuori dal bar che ci ha consigliato Reid, in questo modo gli altri commensali non possono sentirla mentre continua a incazzarsi a causa della sua nemesi mortale: le storie trash. «Hope continua a chiamare tutte quelle con cui lui è andato prima zoccole o puttane! Perché? Perché ci sono andate a letto subito solo perché è gnocco! Perché non hanno valori morali, secondo lei! Lei che è la stessa che se l'è scopato al capitolo sei dopo averlo incontrato per la seconda volta! E poi perché sono sempre le altre ad essere le puttane e non lui?! Voglio dire, è lui che infila il suo pipo di vagina in vagina, loro almeno usano lo stesso!»
«Meg, io non sono Hope» le faccio presente, visto che ha puntato l'indice contro di me quasi fossi la colpevole. Lei sospira mesta, fa ricadere la mano sul tavolino e inizia a tamburellare le lunghe unghie rosa sul ripiano in legno.
«Se solo le Hope di tutto il mondo potessero essere un po' come te...» guaisce ferita, vere e proprie lacrime a scalfirle gli occhi. «Lo sai cosa penso sempre, quando leggo quelle scene tossiche al massimo?»
Prendo un sorso dalla mia tazzina. Reid aveva davvero ragione: il caffè di questo posto è ottimo. «Devo avere paura?» le domando tra il divertimento e la preoccupazione.
«Mi chiedo sempre: "Come reagirebbe Ash davanti a uno stronzo così?"» mi ignora lei. «E così sopperisco all'agonia della tossicità immaginandomi te che prendi il ramo più grande che trovi per strada e glielo ficchi nel culo.»
«Incredibile, quindi sono diventata una sorta di terapia psicologica per te» commento, prendendo un altro sorso di caffè. «Mi spiace però dirti che la mia arma preferita resta e rimarrà per sempre il tirapugni.»
Meg storce un po' la bocca, per poi sghignazzare sottovoce, sono certa che nella sua testa sta fantasticando su di me che prendo a pugni in faccia l'ultimo Toxic Boy che ha letto fino a devastargli i connotati. Essere usata in questo modo per l'immaginazione della mia migliore amica mi dona uno strano senso di orgoglio.
Megan si rigira il bracciale che ha al polso destro, una piccola catenina dorata con al centro un cuore rosso. Il regalo che le feci il giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta fisicamente, al di fuori di Wattpad, per il suo compleanno, cinque anni prima. Oggi indossa uno dei suoi soliti abiti svolazzanti, una sua passione: rosso vermiglio, dalle maniche corte e la scollatura a v che lascia scorgere appena il suo seno prosperoso. Le sta d'incanto, non posso negarlo, raffina il suo viso rotondo e le modella il corpo alla perfezione. Ma sono sicura che se glielo dicessi, lei non mi crederebbe. Perché quando Meg si guarda, la prima cosa che vede di sé è la sua obesità, e solo in alcune occasioni, piuttosto rare, il resto. A differenza mia, non scorge la bellezza dei suoi lunghi boccoli dorati, né l'incanto delle sue labbra piene o quello del suo nasino alla francese, vede solo ciò che tutti gli altri le recriminano sempre, quel grasso in più contro cui ogni giorno lotta per potersene sbarazzare.
«Pensandoci» commenta all'improvviso, distraendomi da questi pensieri. «Anche tu ora stai vivendo la classica storia Wattpad col Toxic Boy.»
Sapevo che lo avrebbe detto. Lo sapevo. «Non saprei» mormoro alla fine, finendo l'ultimo goccio di caffè. «Ulyscemo parte senz'altro da una posizione troglodita e tossica, ma non sono ancora certa di poterlo definire in tutto e per tutto un Toxic Boy.»
«Ti ha imposto particolari divieti?»
«No, diciamo che senza dircelo abbiamo fatto la separazione dei beni. Ci sono le mie zone e le sue zone, sia in bagno che in cucina, e sappiamo entrambi che non possiamo sconfinarle.»
«Quindi non ti ha ordinato di non entrare mai in camera sua?»
«No, è piuttosto scontato come divieto, come lui non può entrare in camera mia.» Mi acciglio, quando la vedo quasi... delusa. «Cosa c'è?»
«Ammetto» soffia con voce teatrale, «che mi sarebbe tantissimo piaciuto se tu fossi entrata in camera sua, lui ti avesse beccata per poi dirti: "Entri nella caverna del milionario e ti aspetti che non ti insulti?"»
La guardo sempre più perplessa. «Di che diavolo stai parlando?»
«Non toccarmi con tutta questa femminilità!» cinguetta ancora con fare melodrammatico, con tanto di braccia strette tra loro, ad abbracciarsi, occhi chiusi e scuotendo la testa come se stesse soffrendo tantissimo.
«Ok, mi sto davvero perdendo.»
«Quindi non vuoi davvero infrangere il divieto?»
«Certo che no, non ho motivi né desiderio di scoprire com'è la camera di Ulyscemo. Ho paura di ritrovarmi poster di Andrew Tate ovunque, dubito potrei trattenermi da un coinquilinicidio se dovessi vederli.»
Megan schiocca la lingua, rinunciando alla sua carriera di attrice per tornare seria. La bocca a cuore si distorce in una smorfia di riflessione. «Un po' mi ha stupita, sai?» mi dice alla fine. «All'università non è così, lui.»
La guardo sorpresa. «Davvero?»
«Sì. Cioè, ha l'aria di essere un ragazzo tradizionalista, questo sì, ma non un bigotto» ammette. «Anche quando si è saputo della sua fidanzata, non ha mai parlato male di lei, anzi.»
Sono sempre più smarrita. «La sua fidanzata?»
«Oh.» Storce di nuovo le labbra. «Lui è stato fidanzato per praticamente quasi tutta la sua adolescenza con Rachel Geenstone. È la figlia di un grosso avvocato dalla fama gigantesca quanto quella di Thomas Redmond. Non saprei dire se fosse un fidanzamento voluto dai due o dai genitori, fatto sta che sono stati insieme per quasi cinque anni ed era una cosa molto seria, fino a quando Rachel, l'anno scorso, ha fatto coming out.»
Lo stupore non fa che aumentare, non posso negarlo. «Mentre era fidanzata con lui?»
«Sì, mentre era fidanzata con lui» replica decisa. «Ha fatto la dichiarazione, le valigie e se n'è andata via dalla città. Credo che la famiglia l'abbia proprio diseredata.»
Sbatto le palpebre. Non mi aspettavo una storia del genere, in stile telenovelas, proprio per uno scorbutico e troglodita come Ulyscemo. «E lui non ha commentato in merito a ciò?» domando.
Meg scuote la testa. «No, neanche una parola. Come puoi immaginare, visto che è "l'erede al trono" dell'impero di suo padre, sono in tanti quelli che cercano di avvicinarsi a lui, anche per via del suo aspetto. Lui li lascia fare, ma se tirano in ballo Rachel, ordina subito di tacere e farsi i cazzi loro.»
Tintinno l'indice contro il bordo in ceramica della mia tazzina vuota. «Non è detto che lo faccia per proteggerla, però» faccio notare. «Magari non vuole che se ne parli perché si sente profondamente ferito nel suo orgoglio da maschio alfa.»
«Possibile, sì» conferma, prendendo un altro sorso di succo. «Non saprei, è un tipo difficile da comprendere, il tuo Ulyscemo» ammette alla fine. «Si fa avvicinare, ma non si lega mai in maniera profonda a nessuno. Frequenta un sacco di ragazze, nessuna ha mai parlato male di lui, ma non diventa mai una cosa seria. Ha degli amici, sì, ma nemmeno con loro sembra avere chissà quale legame. A me pare più il tipo che vuole farsi i cazzi suoi, se devo essere onesta.»
Aggrotto la fronte. Possibile, in effetti. «Pensi che sia una specie di misogino?» le domando a quel punto. «Che magari il trauma vissuto con Rachel, esser stato "ingannato" per così tanti anni da lei, lo abbia indotto a odiare tutte le donne?»
Meg ci riflette su, con le dita a tamburellare ancora sul tavolo. «Non saprei, non ci ho mai parlato per davvero. Le ragazze che l'hanno frequentato hanno detto che è più che altro un tradizionalista, di quelli che non permetterebbe mai a una donna di pagare a un appuntamento, ma non a livelli da affermare che la donna deve stare zitta in cucina a sfornare pargoli. Vede il mondo in bianco e nero, sì, ma non è così categorico come tanti altri. Ma di nuovo, sono solo voci, nulla di confermato.»
Eppure con me è stato categorico eccome, nel rimarcare il mio aspetto androgino e "suggerirmi" di sistemarlo così che smettessi di esser scambiata per un maschio. Riflettendoci, però, la confusione che ha mostrato davanti alle mie risposte... non riesco proprio a spiegarmela. Non è certo il primo tizio a random che mi ha fatto discorsi bigotti del genere, ma è stato il primo in assoluto che sembrava smarrito per quel che gli stavo dicendo.
«Ad essere onesta, all'università ci sono elementi molto più tossici di Ulyscemo» prosegue la mia amica, e davanti al mio sguardo confuso, si affretta a spiegare: «L'anno scorso una studentessa denunciò un altro studente, Terrence Harrington, di subire stalking e molestie continue da parte sua. Lui negò, dicendo che lei si stava inventando tutto per attirare le attenzioni e fregargli soldi, dato che era di buona famiglia mentre lei con una borsa di studio. Poi, qualche settimana dopo, non si sa né come né quando di preciso, men che meno per via di chi, iniziarono a circolare per tutto il campus le chat di lui con i suoi amici.»
Mi irrigidisco sul posto. Posso già immaginare il contenuto di quelle chat. «Si vantava con loro?»
Meg storce di nuovo la bocca, disgustata. «Già» ammette. «Abominevoli, te lo giuro. Penso che neanche le bestie potrebbero scrivere o pensare cose del genere. Quelle conversazioni erano delle prove inconfutabili su quanto stava facendo alla ragazza, c'erano persino le foto che le faceva mentre la seguiva di nascosto. E così lui ha fatto la fine che si meritava. Gli unici che purtroppo se la sono cavata sono i suoi amici.»
«La ragazza invece?»
Meg si stringe nelle spalle. «Non lo sappiamo. Ha chiuso tutti i contatti, una volta che c'è stata la condanna, e si è trasferita lasciando l'università.» Un sorriso amaro le pittura le labbra. «Un peccato, se devo essere sincera. Non la conoscevo di persona, ma era famosa per il suo hobby, all'università.»
«Il suo hobby?»
«Le piaceva fare bambole di pezza» mi spiega. «E non solo, le realizzava così che tra le mani di pezza reggessero un cartoncino di legno con sopra frasi motivazionali come "Non arrenderti mai!" o "Amati sempre!". Erano davvero bellissime, le vendeva a prezzi stracciati sia al campus che su internet. Ecco, guarda» prende il telefono abbandonato sul tavolo e, dopo qualche minuto passato a cercare sullo schermo, me lo mostra. «Questa è quella che ho comprato io.»
Sorrido a mia volta nello scorgere la bambolina di pezza che ho davanti, dagli occhietti piccoli e neri, le guance di stoffa bianca con due cerchi rosati a colorarle proprio al centro, le labbra sollevate, il nasino disegnato. I capelli biondi sono legati in due codine che le arrivano alle spalle e indossa un abito tutto in tulle, porpora. Tra le mani, una piccola insegna rettangolare e di legno dove è stata incisa la scritta:
Sii bella per te prima di esserlo per gli altri!
«Come si chiamava?» domando.
«Tabitha Newman.»
Gran parte delle cose che Meg mi ha detto in merito ad Ulyscemo si sono rivelate, almeno in apparenza, corrette.
È uno che predilige farsi i cazzi suoi.
Condivido con lui solo una lezione, il corso di astronomia a cui sono stata costretta a iscrivermi per i crediti, ma mi è capitato di scorgerlo di tanto in tanto in giro per il campus o tra i corridoi dell'università.
Non sembra un asociale, spesso anzi lo vedo circondato da tante persone, ragazzi e ragazze, e con loro mostra il classico sorriso cordiale che con me probabilmente non tirerà mai fuori, ma nonostante ciò, non sembra mai sbilanciarsi con gli amici che lo circondano. Non è uno di quelli che ride sguaiatamente, che si lascia toccare con buffetti sul capo o spintoni, mantiene sempre una patina sottile a separarlo dagli altri.
Come immaginavo, le volte in cui ci siamo incrociati, lui ha fatto finta di non vedermi e di risposta io l'ho ignorato a mia volta. Certo, l'ho studiato di sottecchi, perché se c'è una cosa che ho imparato è che è sempre meglio farsi un'idea sulle persone con la testa tua, non con le voci che ti sono giunte dalle bocche altrui, non importa quanto amiche siano, e dato che io e Ulyscemo viviamo sotto lo stesso tetto, ho ritenuto opportuno provare a inquadrarlo di mio.
Non ci sono riuscita del tutto, o almeno, non credo di esserne stata in grado. Mi è difficile stabilire se il sorriso che mostra con gli altri è sincero o frutto di anni e anni di recitazione, certo è che non è un maleducato con gli altri, né con le donne né con gli uomini. A lezione di astronomia ero seduta a pochi banchi più dietro di lui, e prima che il professore entrasse una ragazza gli si è fiondata contro, dopo essersi seduta al suo fianco, serrandogli il braccio con il proprio e iniziando a parlargli a raffica. Le intenzioni di lei erano palesi come la luce del sole e l'allergia di nonna Titti agli animali, ma lo stesso Ulyscemo l'ha lasciata fare, continuando a mantenere la sua espressione cordiale senza sconfinare oltre.
A metà lezione, però, se n'è andato. Ha guardato il suo cellulare, si è alzato e, scusandosi con il professore sempre con un sorriso affabile, ha lasciato l'aula senza più tornare, abbandonando la fanciulla che lo stava fiancheggiando.
Per essere figlio del multimilionario che dichiara che la transessualità e l'omosessualità sono malattie mentali e il troglodita che mi ha fatto la predica sessista sul mio aspetto, ammetto che lo immaginavo molto più pallone gonfiato, di quelli che si rifiutano di respirare la stessa aria dei plebei e che creano la loro comitiva di figli di papà con cui spargere in giro odio e maschilismo. Invece tende sì a farsi i cazzi suoi, ma non ha problemi a interagire con gli altri, non importa di che ceto o a quale gruppo appartengano.
In aula mensa, l'ho letteralmente visto parlare vicino alle vetrate di ingresso con un ragazzo che indossava una t-shirt nera con la scritta arcobaleno "Cisn't", e non sembrava né particolarmente turbato né particolarmente disgustato. Quindi o è bravo davvero a recitare o sul serio non se ne preoccupa, a differenza del padre.
Se è l'ultima opzione, allora non mi spiego il discorso sessista che mi ha fatto quel mattino. Era davvero tutta una tattica per convincermi a smammare? Si è finto uno stronzo più di quanto in effetti è nel tentativo di indurmi a cambiare appartamento?
Difficile da stabilire.
La mia valutazione su di lui per ora resta in stand-by. Per quanto infatti si sia comportato da troglodita a colazione, non ho ancora abbastanza elementi per poter dire di averlo inquadrato del tutto e di conoscerlo sul serio. Le poche cose su cui sono sicura è che io non gli sto simpatica, così come lui non sta simpatico a me, ma non è sufficiente perché possa definirlo all'istante un pezzo di merda assoluto. Per ora rimarrà sul gradino Stronzo, se ascenderà all'insulto massimo Figlio di puttana o scenderà invece all'insulto minimo Cretino, dipenderà tutto da come si svilupperà la relazione tra noi due.
Tra le tante cose che il mio psicologo, il dottor Travis, mi ricordava sempre nelle nostre sedute, c'era di non tendere mai a categorizzare una persona subito, all'istante, dopo i primi incontri.
«È giusto farsi un'idea su di lei, ovviamente» mi ha detto una volta, «ma non fossilizzare mai quest'idea sul marmo. Quella che ai primi incontri può sembrarci la persona più buona e gentile del mondo dopo si può rivelare la più tossica e viceversa.»
«E se fa la stronza ai primi incontri?» gli ho chiesto allora io.
Il dottor Travis ha sorriso, con la luce dalla finestra che andava a illuminare il suo capo calvo e i baffoni giganti color pepe a coprirgli tutta la bocca. «Rimettila al suo posto. Solo perché si può rivelare qualcuno di diverso e migliore dopo, non vuol dire che non possa ferirci sul momento né che tali ferite non siano valide e non facciano soffrire. Non si giustifica niente, Ash, nella vita, specie quando si è fatto del male a qualcuno, ma ogni azione ha la sua causa, e spesso comprendere tali cause ci aiuta a comprendere non solo noi stessi ma anche il mondo.»
«Quale sarebbe la differenza tra comprensione e giustificazione?»
«Comprendere serve a capire perché una persona si comporta in un certo modo o ha determinati pensieri e ideologie, positive o negative che siano. Giustificare significa invece usare tali motivazioni per discolparla dalle ferite che ha provocato.»
«È davvero necessario comprendere il perché una persona fa la stronza?» gli ho chiesto a quel punto.
«Beh, per me è anche il mio lavoro» ha ammesso lui con una risata. «Ma può servire a tutti in realtà. Gran parte del male ha le sue radici, Ash, e capire quali sono ci aiuta ad impedire che si piantino anche nelle nostre vite o quelle delle persone che amiamo. Un esempio può essere fatto nel rapporto genitore-figlio. Se un genitore abusa del figlio a causa del suo passato violento, il figlio, riconoscendo tali radici del male nel padre o nella madre, avrà più possibilità di riuscire a spezzare la catena, di evitare di diventare abusivo come il genitore. Certo, ci sono anche altri fattori in mezzo, come il carattere innato, la genetica e l'ambiente, il mio è un discorso molto generale e approssimativo.»
Lui mi ha guardata in silenzio, mentre riflettevo sulle sue parole, e con il suo solito sorrisetto gentile, quello per cui avevo imparato ad amarlo negli anni, mi ha domandato: «Qualcosa non ti torna?»
Mi sono stretta nelle spalle. «Non saprei...» ho ammesso. «Non vedo perché sforzarsi a comprendere uno stronzo, ad essere sincera.»
Il dottor Travis ha ridacchiato, sistemandosi il colletto della sua camicia a quadri. «Se non vuoi farlo, non devi, ovviamente» ha risposto. «Ma ricorda sempre che nessun essere umano è solo o bianco o nero, Ash, ognuno ha le proprie sfumature. A volte per alcuni prevale il bianco, altre il nero, altre ancora invece i due colori si trovano in equilibrio. Comprendere serve, più che altro, per evolvere.»
«Evolvere?»
«Esattamente. Persino le rocce cambiano nel corso degli anni, figurarsi noi uomini che ogni giorno incontriamo persone diverse, ambienti diversi, lingue diverse. La vera morte non è quando smettiamo di vivere, ma quando ci fossilizziamo su un'idea e un concetto assoluto, senza più permetterci di mutare, rinchiudendoci nella nostra posizione e così precludendo a noi stessi la possibilità di comprenderci, comprendere gli altri e migliorarci.»
«Quindi secondo lei alcuni stronzi possono cambiare?»
«Alcuni sì, ci sono molti esempi che lo dimostrano, per altri, invece, è difficile o proprio impossibile. Tuttavia, se rimanessimo tutti uguali dal giorno in cui siamo nati, la psicologia non servirebbe a niente, saremmo tutti condannati ad essere sempre gli stessi, e se da un lato per alcuni significa restare persone buone, da un altro per alcuni implica non poter mai migliorarsi e maturare.» Si è fermato un istante, prima di riprendere a parlare: «Ciò però non vuol dire che è chi li circonda a doverlo fare per loro. Il cambiamento principale deve avvenire sempre da sé stessi, non da fuori, specie per problemi e ferite che non possono essere guariti in alcun modo se non con una terapia psicologica.»
«Quindi» ho detto io a quel punto, «mi conviene aspettare, prima di giudicare qualcuno uno stronzo massimo e assoluto, giusto?»
«Non è mio compito dirti quello che devi o non devi fare, Ash, perché sono tue le scelte e tue le emozioni. Di stronzi ne hai conosciuti fin troppi nel corso degli anni e hanno fatto quello che hanno fatto, purtroppo. Ciò che mi preme ricordarti è che siamo tutti diversi e non per forza gli stronzi che incontrerai in futuro saranno identici a loro. Alcuni sì, senz'altro, altri no. Spetterà a te e soltanto te stabilire se varrà la pena provare a comprenderli o meno, capire se sono stronzi al 100% o se hanno altre sfumature da mostrare. Il che non implica che ti dovrai sacrificare per loro, perdonarli per come sono stati stronzi e men che meno che avrai l'obbligo di aiutarli. Come detto, comprendere non equivale a giustificare, e dolori del genere non possono essere guariti con il semplice affetto.»
Riflettendoci, mi domando se Ulyscemo potrà essere considerato uno stronzo del genere o se invece rientrerà nella lista di Stronzi-Che-Non-Voglio-Comprendere-Manco-Per-Le-Cisti-Delle-Mie-Ovaie, in cui ho ficcato anche quelli del mio periodo nero, da me rinominato L'incubo.
Ma fissarmici non ha granché senso, lo scoprirò vivendo con lui sotto lo stesso tetto. D'altro canto, ho sempre la soluzione con me, nel caso rientrasse nella seconda categoria:
I miei tirapugni.
Finite le lezioni, Meg mi suggerisce di passare la serata insieme, per festeggiare finalmente il giorno in cui non solo sono riuscita ad iscrivermi all'università, ma ho potuto anche condividere con lei questa vita scolastica che invece prima mi era preclusa. E così, alla fine, ci ritroviamo ad andare insieme sul lungomare, a goderci l'oceano calmo di questa sera, così pacato che avrà deluso molti surfisti della zona.
«Ehi, senti» mi chiama all'improvviso Meg, seduta accanto a me sulla sabbia, a pochi metri dalla costa che viene baciata dalle onde. «Quando diventerai una personal trainer e nutrizionista come tanto desideri, posso essere la tua prima cliente?»
«Guarda che sono molto sadica, io» la avverto, e lei ridacchia. Ha una bella risata, Meg, di quelle che di rado si sentono in questi tempi: cristallina e sincera, una campana limpida che si sposa a meraviglia con i suoni naturali dell'oceano. «E sarò anche cara.»
«Andiamo, sono la tua migliore amica, non me lo puoi fare uno sconticino?»
«Solo se il libro che pubblicherai lo dedicherai a me.»
Le labbra di Meg si sollevano ancora. Di profilo, vista da dove mi trovo, è davvero bella. I boccoli biondi le cadono addosso e le carezzano il viso come onde dorate, la pelle rosata sembra di porcellana, le ciglia lunghe petali veri e propri. Come me, anche lei ha sofferto per quasi tutta la vita del giudizio basato sulla sua apparenza, su quei centoventi chili che ha addosso e solo in percentuale minuscola, infinitesimale, dicono qualcosa sul suo conto; ma ciò che gli occhi di chi la guarda vedono sono sempre solo e soltanto quei chili, nient'altro.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, trovo la forza di domandarle il quesito che entrambe sappiamo prima o poi avrei dovuto farle: «Hai di nuovo litigato con tua madre?»
Meg sbuffa, un ghigno amaro a sollevarle le labbra. «Voleva che le mandassi la foto della bilancia» mi dice. «Così può rimproverarmi se vede che ho messo su altro peso ora che sto ai dormitori.»
Una morsa mi stringe lo stomaco, infilo le dita nella sabbia ancora tiepida per sfogare la rabbia. «Vuoi che usi il mio tirapugni?» le domando, e lei scoppia ancora una volta a ridere.
«Non ne vale la pena» risponde, la voce roca. «E so che non mi crederai, ma nella sua testa lei lo fa perché mi vuole bene.»
«Non significa che non sia tossica.»
«È vero anche che non sono più riuscita a perdere un grammo, nelle ultime settimane.»
«Non significa che ha diritto di fare la stronza così.»
Un altro ghigno amaro. «Ha ragione, però, a dire che devo dimagrire. Non penso lo si possa negare.» Si indica tutta quanta, il suo corpo, quel grasso che eccede e straborda, come lei sempre afferma.
«Sì» ammetto alla fine. «Anche io sarei felice, se dimagrissi, non lo nego. Ma non basta certo dire "Perdi peso!" perché tu riesca a farlo, soprattutto dimenticandosi delle varie patologie che hai. L'obesità non significa come tutti credono che si divora cibo dalla mattina alla sera.»
«Non saprei...» commenta alla fine. «Certe volte sono tentata di lanciare il frigo dalla finestra, chiudermi a chiave in camera e non uscire più per i prossimi mesi fino a quando non sono dimagrita.»
«Questo rientra senz'altro nel manuale "Come autodistruggersi in poche e semplici mosse"» commento, strappandole un'altra risata. «È per questo che ancora non accetti il mio invito di andare a casa mia per pranzo o cena, una volta?»
Un rossore adorabile le tinge le gote a pagnotta. «Lo so che la tua famiglia non mi direbbe niente...» gracchia alla fine. «Ma sì, insomma... Ho visto i tuoi genitori e i tuoi fratelli, su internet, siete praticamente il simbolo assoluto della salute e del fitness. Non sono sicura... che mi sentirei... a mio agio... in mezzo a voi.»
Mi lancia un'occhiata preoccupata, forse temendo di avermi offesa in qualche modo, di risposta le do un buffetto sul capo. «Prenditi tutto il tempo che ti serve» rispondo con serenità. «Anzi, forse è un bene. Sebastian ti direbbe che ti risparmi il rischio di vomitare cuori nel vedere mamma e papà che fanno i piccioncini per tutto il tempo.»
Ridacchia ancora. «Lui non è un tipo romantico, eh?» domanda.
«Oh, lo è eccome, ma si rifiuta di ammetterlo» rispondo sicura. «Io e Reid siamo sicuri che quando si prenderà sul serio una sbandata per una ragazza, diventerà peggio di papà. Uno di quelli che non appena capisce di essersi innamorato va a tatuarsi il nome di lei sul petto, proprio come ha fatto papà.»
«Sa tanto di storia Wattpad, non lo nego.»
«La vita è un pendolo che oscilla tra Wattpad e dolore.»
Ridiamo insieme, cullate dal vento e l'odore di salsedine. Meg si sistema di nuovo una ciocca finitale sul viso dietro l'orecchio. «Che ne dici di eliminare questi pensieri tossici con qualcosa di ancora più tossico?» le suggerisco a questo punto. Meg mi scruta confusa. «Birra.»
Le labbra le si sollevano di nuovo, malefiche. «Lo sapevo che l'avresti proposto.»
«Ogni scusa è buona per bersi un po' di birra.»
«Preferisco il vino, ad esser sincera.»
«Non so se possiamo più essere amiche, con questa tua confessione.»
«Sentine una peggiore: adoro alla follia il vino rosato.»
«Ti butto in acqua subito.»
Tecnicamente, la serata avrebbe potuto concludersi alla perfezione.
Il pub che abbiamo scelto è poco fuori dal campus, dal nome Red Moon, ed è tra i più frequentati dagli studenti dell'università. È un luogo davvero meraviglioso, con un lungo bancone a L di legno pregiato e inscalfibile, scaffali colmi di bottiglie che sembrano lì sia per esser vendute che per abbellire il luogo, luci soffuse che sfumano dall'arancio al vermiglio, musica sì alta ma non tanto da impedirti di avere una conversazione normale, un pavimento in parquet lucidissimo in cui puoi anche specchiarti e una terrazza a piano terra che si affaccia su una delle piazze minori della citta, la St. Paris, piena di tavolini dello stesso legno del bancone, quadrati e dalle sedie coi cuscini più comodi che abbia mai sentito.
Persino la birra alla spina è di ottima qualità, ha un sapore che ti esplode in bocca come un fuoco d'artificio.
Il primo problema è che ho notato che, purtroppo per me, sono molti gli studenti che hanno avuto la stessa idea di festeggiare il primo giorno di semestre qui. Solo per botta di culo abbiamo trovato un tavolino libero fuori.
Il secondo problema è che tra quegli studenti c'è anche Ulyscemo. Quando siamo arrivate, l'ho subito individuato seduto al bancone con uno degli amici con cui l'ho scorto durante le lezioni, un tizio più basso di lui, dai capelli dal taglio militare neri e un fisico tozzo, stretto in una polo azzurra e un paio di jeans. Attorno a loro c'erano anche altre persone, un paio di ragazzi e ragazze, una di loro era la stessa che gli si era avvinghiata come un polpo durante la lezione di astronomia. La ammiro per la sua perseveranza, ma non saprei proprio dire se prima o poi riuscirà ad essere ricambiata da Ulyscemo.
Non è poi così sorprendente, riflettendoci. Meg mi aveva detto che il Red Moon era il pub più in voga tra gli studenti del campus, visto che il più vicino ad esso e migliore tra gli altri, quindi sì, le possibilità che l'avrei beccato c'erano e ne ero anche consapevole, ma Dio mio, che sfiga immensa che ho alle volte. Lui non sembrava aver notato la mia presenza, preso com'era a parlare con il suo gruppetto ed io mi sono assicurata di non finire nel suo campo visivo, mentre uscivo in terrazza con Meg. Adesso Ulyscemo è dentro il pub, mi dà le spalle, dovrebbe voltarsi del tutto e guardare oltre le vetrate che fanno da pareti al locale per potermi notare tra gli altri, e non sembra intenzionato a farlo, quindi, almeno su questo, per ora posso stare tranquilla.
Ma c'è il terzo problema, il secondo a livello di gravità dopo il quarto.
Il mio boccale di birra è finito.
E c'è il quarto problema, che ha il primato assoluto di gravità.
Al tavolino alla nostra destra, distante di qualche metro, uno stronzo sta palesemente molestando la cameriera.
Ho lavorato come cameriera per tre lunghi anni, e per questo so bene che è uno degli ambienti in cui le molestie spesso sono fin troppo comuni, non solo da parte dei clienti ma anche dei colleghi, in alcune occasioni. Raramente gli uomini pervertiti le facevano su di me, convinti com'erano che io fossi un uomo e probabilmente anche spaventati dalle mie dimensioni, ma le mie colleghe non erano altrettanto fortunate. I primi tempi, il capo ci diceva sempre di chiudere un occhio, perché erano pur sempre clienti e i tocchi si potevano tollerare, in qualche modo.
Alla fine, l'occhio l'ho chiuso, sì.
Quello del cliente che aveva palpato il culo della mia collega e poi anche l'occhio del capo.
Conosco talmente bene tale dinamica da riconoscerla subito, non appena si ripresenta alla mia destra. Il coglione, un trentenne o poco meno, dai boccoli castani, il naso aquilino e il sorriso deficiente, ha iniziato a dar fastidio alla cameriera continuando a farle ordini su ordini per costringerla a tornare al suo tavolo. Ogni volta che lei gli porta quello che gli ha richiesto, lui ne chiede altro ancora, approfittando della cosa per iniziare a farle complimenti lascivi che, al solo sentirli, mi fanno desiderare di chiudermi le tube da sola con un paio di pinze da cucina e degli elastici per capelli.
«A che ora finisce il tuo turno, dolcezza?»
«Non lo so.»
«Andiamo, avrai degli orari.»
«Non lo so.»
«Posso aspettarti fino a quando non finisci, così ci godiamo insieme la serata.»
«No, ti ringrazio, mi viene a prendere il mio fidanzato.»
Chiudo gli occhi. Prego con tutto il cuore che lui non tiri fuori la battuta stupida e scontata di-
«Ah, ma mica io sono geloso!»
Meg, davanti a me, con il suo calice di vino in mano, fa una smorfia disgustata.
Di per sé, benché l'irritazione dopo questa battuta di merda sia massima, so ancora di non poter intervenire. La cameriera - una ragazza che mi sarà coetanea, coi capelli legati in una lunga coda di cavallo, il corpo a clessidra, con fianchi e seno pronunciati, e la divisa addosso, gonna nera che le arriva a metà polpaccio e maglia a maniche corte rossa - se la sta cavando anche piuttosto bene. Mantiene un'espressione severa, non si lascia intimorire e ignora volutamente quanto lui continua a proporle con quel tono vomitevole, mentre i suoi due amici ridono da bravi coglioni.
La questione è che a quanto pare solo io e Meg ce ne siamo davvero accorte, perché siamo le uniche vicino al tavolo. I restanti clienti sono tutti sparpagliati sulla terrazza, sì, ma troppo distanti per notarlo, considerando anche il volume della musica e le luci rosse che filtrano tutta la visione dell'ambiente. Inoltre, la mia ormai conoscenza del mondo mi induce a dubitare che se anche si fossero accorti della situazione, proverebbero a fare qualcosa.
La scelta di intervenire viene presa nell'attimo in cui lo stronzo, dopo aver ordinato di nuovo degli stuzzichini che tutti quanti sanno non ha alcuna intenzione di mangiare, mentre lei è inclinata con il busto per posarli sul tavolo, le palpa palesemente prima il sedere, intrufolandole la mano sotto la gonna, e poi, prima ancora che la cameriera possa indietreggiare spaventata, le stringe il seno destro con l'altra mano.
Scatto in piedi nell'attimo stesso in cui la povera retrocede con un sussulto, facendo cadere il vassoio a terra, il viso a cuore arrossato per la vergogna e l'imbarazzo, con il trio dei dementi che ride sguaiato per lo spavento di lei. Sembra una scena da libro, ma so fin troppo bene quante volte, purtroppo, capita nella realtà.
«Meg?» la chiamo.
«Tiro fuori il cellulare?»
«Non perdere neanche un secondo.»
Non ho bisogno di guardarla per sapere che un sorriso sadico le sta curvando le labbra ora. Raggiungo in fretta il tavolo accanto, dove ora il coglione sta commentando la vergogna e la paura della cameriera con battute dementi. Non appena la raggiungo, lei solleva il capo smarrita nello scorgermi, così alta e imponente rispetto al suo corpicino minuscolo. Ha degli occhi nocciola meravigliosi, ambrati, dal taglio orientale, ed è ancora vittima dei tremori.
«Ti dispiace se intervengo?» le domando e la ragazza sussulta sul posto, per poi, dopo un attimo di esitazione, annuire in silenzio.
Spero che presto potrò tirar fuori i tirapugni.
«Ehi, amico, che c'è?» La voce di Stronzo è più stomachevole che mai, voltarmi per guardare la sua faccia da schiaffi è un vero e proprio stupro, ma mi costringo a farlo. Ha un sorriso demente che gli va da un orecchio all'altro, probabile che la scimmia che ha al posto del cervello gli stia facendo gli applausi credendolo un gran figo. «Guarda che stavamo solo chiacchierando.»
I suoi due amici, seduti dietro il tavolo, così dementi che neanche voglio guardarli in viso, continuano a sghignazzare. Non so dire se lo fanno solo per dargli retta e non adirarlo o se davvero trovano comica la situazione, ma in entrambi i casi meriterebbero tanti calci in culo quanto Stronzo davanti a me, che si è addirittura messo sulla sedia con le gambe accavallate, uno sguardo si sfida addosso.
Non ho dubbi.
Lui rientra nella lista di Stronzi-Che-Non-Voglio-Comprendere-Neanche-Per-Le-Cisti-Delle-Mie-Ovaie.
«Davvero?» domando. «Da quel che sapevo, chiacchierare implica solo l'utilizzo della voce, non certo delle mani.»
Stronzo solleva un sopracciglio, il ghigno da faccia da schiaffi sempre più marcato. «Cosa c'è, è la tua ragazza?» mi domanda, sollevando le mani in aria con innocenza.
«Deve essere la mia ragazza, perché io voglia difenderla?»
Una risata lo attraversa. «Difenderla?» ripete, quasi avessi fatto la battuta dell'anno. «Amico, guarda che non le ho fatto nulla.»
«L'hai letteralmente molestata.»
«Ma per piacere! Ah, capisco, sei uno di quei simp, non è vero?» Trattengo il verso di disgusto. «Uno di quelli che prende sempre le parti delle donne per riuscire a portarsele a letto.»
La ragazza, adesso dietro di me, lancia un singhiozzo a malapena udibile. Anche gli altri clienti ora, nei tavoli attorno e persino dentro il locale, stanno iniziando a notare la situazione, ed è meglio così. Sarà un orgasmo umiliare Stronzo davanti a tutti. «No, solo una persona a cui stanno sul cazzo le molestie» lo correggo. «Quello che vede le donne come oggetti da scoparsi sei solo tu, qua.»
«Oggetto?» ripete ancora, sempre più divertito. «Guarda che le ho fatto un complimento! Hai visto che tette che ha? Era impossibile resistervi, specie se così in mostra con quella maglietta.»
«Oh, ora comprendo» commento. «Quindi tu non sei un uomo, solo un animale.»
La sua fronte si corruccia, l'ironia svanisce dal viso. «Come?»
«Era impossibile resistervi» ripeto laconica. «Se non sei neanche capace di tenere le mani a posto davanti a una misera scollatura, vuol dire che hai perso o forse non hai mai avuto un minimo di raziocinio con cui tenere a freno i tuoi impulsi, ciò che davvero ci distingue dagli animali che agiscono seguendo gli istinti. Quindi sì» concludo, «non sei un uomo, sei solo un animale.»
«Come, prego?»
«Taci. Gli animali non parlano.»
Serra la mandibola squadrata, il primo lampo di irritazione a scavargli gli occhi. Fa scendere il suo sguardo su di me, mi analizza dalla testa ai piedi. Non ho dubbi che sia convinto che anche io sono un uomo, ma stavolta sfrutterò la cosa a mio vantaggio. «Datti una calmata, amico, una palpata non ha mai fatto male a nessuno.»
«Molto bene. Perciò posso palpeggiarti allo stesso modo, vero?» domando ancora, serra ancor più la mascella. «Sulle palle, però, visto che non hai un seno come lei. Alla fine, una palpata non ha mai fatto male a nessuno, giusto? Quindi non farà male neanche a te.»
«Non tocco e non mi faccio toccare dagli uomini, io.»
«Perché? È solo una palpata, alla fine.»
Il disgusto lo attraversa, si sta innervosendo, è palese. «Ehi, stronzo» mi chiama ancora. «Ti vuoi mettere a litigare adesso? Non puoi semplicemente tornartene a farti i cazzi tuoi?»
«Lo farò. Basta che chiedi scusa alla cameriera.»
Sussulta sul posto, e così i suoi amici. «Chiedi scusa» ripeto. «Ammetti di averla molestata e di aver fatto lo stronzo, chiedile scusa, ed io me ne tornerò al mio tavolino per ordinare il mio secondo boccale di birra ghiacciata.»
«Sei serio, per davvero?»
«Per davvero. Ti sconvolgerà, ma al mondo esistono ancora persone come me, abbastanza decenti da non tollerare le violenze.»
«Violenze?!» esclama ancora, gli occhi sgranati. «Mi prendi per il culo? Le ho solo dato una palpata, eh?! Non l'ho mica stuprata!»
«Va bene, allora io posso palparti allo stesso modo, giusto?»
«Perché cazzo torni su quest'argomento?»
«Per farti vedere che ipocrita di merda sei. Se tu tocchi una donna, non è violenza e anzi lei dovrebbe apprezzarlo. Se io ti tocco, invece, è violenza e ne rimani disgustato.»
Sbatte le palpebre, è evidente che si rifiuta di comprendere. «Ti rendi conto che stai facendo una sceneggiata per nulla?» domanda, la sua voce si sta facendo sempre più stridula. Indica con la mano i vari tavolini, da dove praticamente tutte le teste si sono voltate nella nostra direzione. Mi domando quando il titolare del locale deciderà di intervenire. Spero non prima che abbia preso a pugni Stronzo. «Le ho dato solo un paio di palpate, vestita com'è doveva aspettarselo!»
A differenza della mia famiglia, sono una delle poche Ellis che ha sempre avuto la capacità di trattenersi dal ricorrere subito alla violenza, pur desiderandolo con forza.
Ma se c'è una cosa che ho imparato a mie spese, nel corso de L'incubo, è che con persone come Stronzo la pazienza non serve a nulla. Non si smuoverà mai dalla sua posizione, è incapace proprio di farlo. Non riesce neanche a realizzare il torto che ha provocato alla cameriera, perché ai suoi occhi lei non è una persona, solo un corpo femminile su cui sfogarsi.
Sospiro, mi volto alle spalle, dove la ragazza, la vera vittima di questa situazione, si trova. È spaventata al massimo, è evidente, e subito scorgo i segnali dei sensi di colpa che la stanno attraversando: si sta smaniosamente controllando la sua divisa da lavoro, la scollatura appena accennata, la lunghezza della gonna. I suoi occhi gridano condanna e colpevolezza per aver indossato una mise del genere.
Conosco quegli occhi, li conosco molto bene.
«Ragazza» la chiamo, e lei trasalisce. Solleva il capo per guardarmi smarrita, il viso pallido, emaciato. «Qual è il tuo nome?»
Esita per qualche secondo, prima di bisbigliare a bassa voce: «L-Lucy.»
Ammicco un sorriso, il più gentile che una come me possa mostrare senza sembrare minacciosa. «Piacere, Lucy, io sono Ash» mi presento, provando a stirare la voce per quel che posso, nel tentativo di ridurne la cavernosità. «C'è una cosa che devi sapere su di me: quando il dialogo non funziona, ricorro al caro e vecchio codice "occhio per occhio".»
Le sopracciglia sottili di lei si aggrottano confuse. «Occhio per occhio?»
Annuisco. «Esattamente. Ma dato che la vittima di questa situazione sei tu e non io, spetta a te decidere come applicarlo. Ti ha palpeggiato seno e sedere, perciò hai tre opzioni.»
È incredula più di tutti, qua dentro. Dubito pensasse che una situazione del genere le sarebbe mai capitata nel corso di tutta la sua vita, forse addirittura crede di star sognando, e non potrei biasimarla per questo, perché anche io una volta pensavo che miracoli simili mai sarebbero venuti al mondo.
Fino a quando non ho capito che potevo essere io stessa a realizzarli.
Inizio ad elencare con le dita, mostrandogliele. «Opzione A: un pugno in piena faccia. Dato che non ha un seno e le sue palle sono minuscole, il cervello vuoto che ha in testa è la sola cosa che possiede per compensare. Opzione B: un calcio così profondo nel sedere da farlo cagare dalla bocca.»
È sempre più incerta, sempre più insicura, gli occhi ambrati continuano a tremare. Si guarda attorno spaesata, alla ricerca di qualche indizio che possa garantirle che è tutto vero, che è reale, e lo scorge, infine, nel mio sguardo, nella serietà che mi legge negli occhi. I tremori che la stavano assalendo svaniscono d'improvviso. «L'opzione C... quale sarebbe?»
Speravo lo chiedesse.
Infilo la mano nella tasca dei miei jeans, sfilo veloce ciò che porto sempre con me e glielo mostro. Lei sbarra lo sguardo, non appena scorge il grosso tirapugni che dondola dalla catenella avvolta al mio indice. L'ultimo regalo di Reid e Seb, prima di quello di Barbie. Ma Barbie non merita di sporcarsi col sangue di certi stronzi, perciò ho preferito sfilare questo. Dorato e con le lettere D - I - E sul bordo dei tre anelli centrali.
È il più "delicato" tra tutti i miei tirapugni, non essendo dotato di arpioni, ma a volte la violenza peggiore è proprio nella gentilezza più assoluta.
Non riesco a trattenermi: le mie labbra si arcuano sadiche al solo pensiero di come il metallo dorato presto si macchierà di rosso.
«Opzione C» sillabo bene. «Gli faccio supplicare sua madre e suo padre di tornare indietro nel tempo e non metterlo al mondo.»
«Ehi, bastardo» tuona alle mie spalle Stronzo. «Mi prendi per il culo?»
«Allora?» domando a Lucy, rigirandomi il tirapugni tra le dita. «Quale opzione scegli?»
«Smettila di fare il figo! Che pensi che solo perché sei uno stangone, allora puoi minacciarmi così? Che non te le darò di santa ragione perché ho paura di te?»
«Opzione A, B o C?» continuo.
Alle spalle, sento il chiaro segnale della sedia di Stronzo che viene spostata con furia, un sibilo che non sa ancora essere il preannuncio di un'agonia, sì, ma di sicuro non la mia. Infilo veloce il tirapugni sulla mano sinistra.
«Ti ho detto di smetterla, bastardo!»
«A, B o C?»
Lucy guarda dietro di me, e so bene chi sta guardando, perché i suoi passi pesanti sfondano alla grande il volume della musica, il viso di lei si impallidisce ancora, e di getto urla: «C! Scelgo l'opzione C!»
Avverto il braccio di Stronzo avvolgermi il collo l'attimo dopo e piegarmi col busto in basso nel tentativo sia di soffocarmi che azzittirmi, spingendo la mia testa contro il suo fianco destro, ma non fa in tempo a chiudere la presa con l'altro braccio. Anni e anni di allenamenti mi hanno insegnato a non perdere neanche un secondo in situazioni del genere. Approfitto dell'istante in cui le sue mani stanno per chiudersi sotto il mio mento per stringergli quella sinistra con le mie, usare la spinta del capo e del suo corpo per sgusciar via la testa dalla sua presa, così da portargli e torcergli il braccio sinistro all'indietro e costringere lui a piegarsi in avanti col torace, stavolta, nel tentativo di non patire la sofferenza che gli sto provocando.
La mia mano sigilla le dita sul retro del suo capo, lo spinge con furia in basso, inducendolo a inclinarsi ancor più verso terra, al livello del mio ginocchio.
Il mio ginocchio che lo colpisce l'attimo dopo, proprio al capo, con tutta la violenza e la forza che dispongo.
Ed io ne dispongo tantissima.
Un urlo rauco scatta dalla testa nascosta di Stronzo, ma non gli do tempo di reagire. Le mie dita lo serrano per i ricci castani, lo costringono a risollevarsi, così da obbligarlo a guardarmi in viso. È davvero molto più basso di me, si aggirerà sul metro e settanta e pesa come una piuma in confronto a Reid e Sebastian. Quasi mi dispiace picchiarlo in questo modo.
Nah, scherzavo.
«Giusto perché tu lo sappia, amico» gli sibilo bene, mentre lui sgrana gli occhi, ancora confuso dalla ginocchiata con cui gli ho sfondato la tempia, un rivolo di sangue già a blandirgli il contorno del viso. «Io sono una donna.»
L'attimo dopo, schianto la sua faccia contro il legno del tavolino, e tutti gli stuzzichini inutili che lui ha usato come scusa per continuare a infastidire Lucy iniziano a cadere o a rompersi contro il suo viso. Il rimbombo è così forte da far urlare tutti e scattare in piedi, spaventati e impauriti, i due coglioni che ridevano con lui, fin troppo magrolini per poter anche solo pensare di poter difendere il loro caro amico. Fissano la scena con orrore, mentre continuo a far rimbalzare la faccia di Stronzo sul tavolo. Conto fino a dieci, prima di passare alla mia arma preferita.
Il tirapugni funziona alla grande. Colpisce in pieno viso Stronzo non appena prova a risollevarsi dal tavolo già sporco del suo sangue e la sua bava. Un gancio destro in piena guancia che so per certo renderebbe più fieri che mai mamma e papà - per non parlare di Reid - tanto era perfetto nella forma e nella meccanica, capace persino di farlo cadere a terra l'attimo dopo, a provare a camuffare l'immenso segno che gli ho lasciato con quel solo tocco.
Le lettere DIE che adesso sono proprio stampate e incise col sangue nella sua carne.
La musica nel locale si è spenta e così le luci, non ho bisogno di guardarmi attorno per sapere di essere al centro dell'attenzione, ora. Chiunque ormai starà fissando tra paura e stupore la scena, non potrà più fingere nulla, ma poco importa.
Do il tempo a Stronzo di riprendersi abbastanza per potersi rimettere in piedi, sputarmi insulti dalla sua bocca già imbratta di sangue e corrermi incontro per assalirmi. Una speranza che gli dono solo per spezzargliela di nuovo, la mia gamba si infila in un istante tra le sue e lo sbilancia in avanti mentre io mi volto per farlo atterrare su tutta la mia schiena. Con le mani serrate sul braccio che prima gli ho torto e lui aveva proteso per assalirmi e facendomi leva sulle gambe e sul mio peso, uso il mio corpo come trampolino per rivoltarlo nell'aria e farlo poi cadere a terra di schiena con un altro grido e lamento da parte sua, proprio davanti a me.
Sollevo il piede destro, la mano ancora stretta al suo braccio torto, e lo pianto contro la sua faccia ormai troppo gonfia, sporca e rossa per poter esser riconosciuta in quella di Stronzo di poco fa.
«Spero che tu abbia imparato la lezione» dichiaro a gran voce. «La prossima volta che ti verrà voglia di molestare qualcuno, pensaci due volte. Perché ce ne sono molti altri come me al mondo. Almeno quattro.»
Sono sul punto di calciarlo per bene in faccia, quando una voce ormai a me nota mi frena. «Fermati.»
Non resto poi così sorpresa, nel trovarmi Ulyscemo accanto con la sua solita espressione incollerita. Ciò che però mi sorprende è che non sembra incazzato con me, il che posso considerarlo un'altra sorta di miracolo, ormai. «Cosa c'è?» gli domando. «Devo adeguarmi al mondo anche ora?»
Lui passa lo sguardo da me a Stronzo, ancora a terra e con il viso livido, troppo tramortito per dire qualcosa, per poi risollevare gli occhi sugli altri clienti, stupefatti e senza parole. Eh sì, è incazzato, ma davvero non sembra che io sia la causa, stavolta. Proprio non lo comprendo, questo ragazzo.
«Se continui, finirai in carcere» mi ricorda. «Non so quanto ti convenga.»
«Il carcere per aver picchiato un molestatore è una medaglia d'onore» replico con voce ferma e serena. Stronzo è davvero stato troppo facile da battere, non mi sento neanche un po' affaticata. Lascio andare il braccio così che ricada sul bastardo ancora sdraiato a terra, scorticato in viso e distrutto, e voltò il capo dove ancora, dietro il tavolo rovinato, si trovano i suoi due amici, che ancora guardano la scena tra lo spavento e la vergogna. «Pensate di essere così diversi?» gli domando contro. «Che solo perché gli davate ragione ridendo, allora non meritate anche voi i pugni che si è preso lui?»
Entrambi sussultano. Avranno la stessa età di Stronzo, mi è difficile comprendere come si possa essere così bastardi a trent'anni, ma si sa, lo si può essere anche a novanta, in fondo. «L'unico motivo per cui non prendo a calci in culo pure voi è perché non mi va di sporcarmi troppo i vestiti di sangue» proseguo, indicandomi i jeans già macchiati sulle ginocchia. «Tacere davanti a un'ingiustizia o darle adito perché non la ritenete così grave non vi rende meno colpevoli di quelli che la perpetrano.»
Avverto Ulyscemo accanto a me trasalire, ma sono troppo presa a guardare i visi di entrambi che impallidiscono per capire se è successo qualcosa. Un singhiozzo si solleva da terra, chino il capo per vedere Stronzo che, miracolosamente, si è ripreso abbastanza da risollevarsi in ginocchio e mostrare a tutti le condizioni pietose del suo viso. Il naso è gonfio e così gli occhi, sangue copioso cade dalle sue narici e gli imbratta le labbra, il corpo a malapena riesce a tenersi seduto sul pavimento.
«Basta così.»
La voce di Ulyscemo è forte e decisa, mi blocca prima che possa di nuovo fiondarmi contro Stronzo. Lo guardo allucinata: «Se hai intenzione di difendere questo pezzo di merda-»
«Ti sto fermando perché sta arrivando il titolare» mi tuona contro, la fronte sempre più aggrottata. Indica davanti a sé e realizzo che ha ragione. Un uomo tarchiato di mezz'età, vestito con camicia blu e pantaloni di una tonalità più scura sta correndo verso di noi con l'affanno, facendo zig zag tra i vari tavolini e i volti stupefatti dei clienti.
Si ferma di fronte a noi, ha gli occhi a palla allucinati, passa lo sguardo da me, Ulyscemo, Stronzo e Lucy, che è indietreggiata così tanto da aver raggiunto la parete opposta della terrazza.
«Cosa sta succedendo?»
«Il suo cliente» rispondo feroce, indicando con la mano Stronzo, ancora inginocchiato a terra, «stava molestando una delle sue dipendenti.»
Il titolare sussulta, si passa una mano sul capo calvo, per poi rivolgere gli occhi a Lucy, ancora tremante. «Mi dispiace per l'inconveniente, ma-»
«Inconveniente?» ripeto, bloccandolo. «È questo che pensi di una molestia? Che sia un inconveniente?»
Lui sussulta un'altra volta, mi guarda indeciso. «Non intendevo questo, ma alcuni clienti sono più difficili di altri, si sa, e-»
«Avresti detto la stessa cosa, se avesse palpato il culo a te?» gli domando con un sibilo, lui ammutolisce. «O pensi che un uomo non può essere molestato perché uomo? Che al contrario ne sarebbe felice?»
Di nuovo, Ulyscemo accanto a me trasalisce. Lo fa con così tanta forza che riesco a sentirlo anche senza che lo guardi. Non ho modo però di capire che sta succedendo.
«Giusto perché tu lo sappia, mio caro titolare, la mia amica là sta registrando tutto.» Con un cenno del capo, indico il mio tavolino, lo vedo sgranare gli occhi non appena guarda alle mie spalle. Avrà visto senz'altro Meg e soprattutto la telecamera del suo cellulare puntata su di noi. «Ha registrato sia l'ammissione di colpevolezza di questo stronzo che il mio gancio destro meraviglioso, per non parlare del tuo inconveniente. Perciò se finiremo dietro le sbarre o con una bella denuncia in testa, lo faremo tutti e tre insieme appassionatamente.»
«Non intendevo giustificare la molestia, ovviamente» blatera il cialtrone. «Ma purtroppo sono cose che capitano e spero che si renderà conto che non si può reagire in-»
«Sono cose che capitano perché siete voi che le fate capitare senza muovere un dito» lo interrompo ancora. «Se adesso andassi da tutti i tuoi dipendenti e chiedessi loro, uno ad uno, se è la prima volta che succede una cosa del genere, puoi garantirmi che mi risponderanno di no o che se è successo, tu li hai tutelati a dovere sbattendo fuori i clienti molestatori?»
La colpevolezza gliela si legge negli occhi, non ha bisogno di parlare perché sappia già la risposta.
«Se non vuoi che la gente reagisca in questo modo davanti a una molestia» tuono di nuovo, «allora assicurati di tutelare i tuoi dipendenti che le subiscono, prima del tuo bisogno di soldi. Non esiste denaro al mondo che può guarire le ferite nel cuore di una persona.»
«Elijah.» La voce di Ulyscemo mi blocca ancora, quando mi volto per guardarlo, il suo viso si è rasserenato in parte, ma c'è qualcosa che non mi convince minimamente. Sta fissando il titolare senza mostrare alcun tipo di emozione, e davvero non lo capisco. «Vieni un attimo con me.»
«Signorino Redmond-»
«Vieni con me» lo blocca di nuovo, per poi chinare il capo dove stanno gli altri due cretini amici di Stronzo. «Vi conviene portare via il vostro amico, ora» gli consiglia, ma la freddezza nella voce lascia intendere chiaramente l'ordine velato.
Quando posa gli occhi su di me, proprio non saprei dire cosa leggo in essi.
«Tu» pronuncia con tono incolore, «sei davvero pericolosa.»
Non ho tempo di chiedergli qualcosa o di insultarlo, l'attimo dopo inizia a muoversi veloce verso l'interno del locale, seguito prontamente dal titolare Elijah.
Di una sola cosa mi accorgo, persino nella confusione che abbiamo - io soprattutto - creato.
La sua mano destra, stretta in un pugno serrato, sta tremando come non mai.
Non ho ben chiaro cos'è successo esattamente dopo. Stronzo è stato scortato via dai suoi amici e il titolare e Ulyscemo sono scomparsi nel nulla, nessuno è sopraggiunto per cacciarmi e Lucy, la cameriera, mi ha ringraziato ancora e ancora.
«È un cliente che mi tormentava da settimane» mi ha confessato, mentre le persone provavano a riprendersi dallo shock e a ritornare a chiacchierare ai tavoli come se nulla fosse. «Ma spende un sacco di soldi ogni sera e quindi il capo continuava a dirmi di lasciarlo fare.»
«Posso andare subito a picchiare anche lui, se vuoi» le ho suggerito e lei è scoppiata a ridere, con le lacrime agli occhi, in piedi davanti a me, all'angolo della terrazza.
«No, ti ringrazio» ha sussurrato. «Era da un po' che stavo pensando di licenziarmi, comunque.»
«Pensi che ti licenzierà lui?»
«Probabile, è difficile che mi lascerà il posto, dopo quanto successo. È uno di quei capi che trova sempre la colpa nel dipendente e mai nel cliente» ha ammesso con voce roca. «Ma la soddisfazione di vedere quello stronzo con la faccia martoriata ne è valsa la pena eccome, rifarei tutto da capo, se tornassi indietro, e sceglierei sempre l'opzione C» ha ammesso alla fine, con un sorrisetto quasi imbarazzato che mi ha scaldato il cuore.
A quel punto, le ho lasciato il mio numero di telefono, scritto su un tovagliolo del tavolino. «Non è una avance, sia chiaro» l'ho rassicurata e lei ha ridacchiato di nuovo. «Solo... Se non sai con chi parlare, puoi chiamarmi.»
«Non correrai rischi che... quel tipo provi a vendicarsi su di te?» mi ha domandato intimorita, mentre prendeva il tovagliolo tra le mani.
«Penso tu lo abbia ormai intuito, ma io sono una macchina da guerra. Liam Neeson in Taken è un bambino che gioca coi gavettoni, rispetto a me.» Un altro sorriso da parte sua, ero felice della cosa. «Perciò sentiti libera di chiamarmi, se quello stronzo dovesse ripresentarsi. Sono anche un ottimo bodyguard.»
Lei ha riso di nuovo.
«Mi è sembrato di star vivendo un film» ha sussurrato a bassa voce. «Di solito è solo nei film che succedono cose del genere.»
«Un'altra mia capacità innata: so compiere miracoli.»
Alla fine della chiacchierata, Lucy è tornata alle sue mansioni, la birra ghiacciata che mi ha portato dopo, con un sorriso gigante, è stata la più buona che abbia mai bevuto.
Quando rincaso, alle tre e mezza di notte, l'appartamento è allagato nel buio. Di Ulyscemo non c'è la minima traccia, ma sono sicura che sia tornato anche lui. C'è la sua giacca di pelle nera appesa all'appendiabiti nel corridoio di ingresso, la scorgo non appena accendo la luce soffusa delle lampade a parete.
Mi domando che diavolo abbia detto al titolare, per scomparire in quel modo tutti e due per il resto della serata. È evidente che si conoscono, visto che l'ha chiamato per nome, forse ha qualche connessione col padre? Non sarebbe sorprendente, dà l'aria, quel titolare, di avere imbrogli ovunque.
Non capisco quel ragazzo, non lo capisco proprio, continuo a domandarmi quale razza di problema abbia, le parti di chi stesse prendendo durante quella discussione, se la mia, della cameriera, di Stronzo o del titolare.
Non capisco, non capisco.
Ma una cosa la capisco.
La capisco non appena entro in bagno per lavarmi. Un bagno in piastrelle azzurre, amplio e iper moderno come il resto dell'appartamento, con due lavandini bianchi di porcellana dalla forma triangolare e uno specchio gigante appeso sopra di essi, una doccia e vasca da bagno che sembra una mini piscina e una finestra a due ante sulla parete opposta a quella della porta di ingresso.
La capisco non appena mi accorgo che la finestra, stavolta, è stata lasciata aperta.
Non appena sento il profumo di lavanda, quel genere di profumo terribilmente soffocante, di deodorante per ambienti, che si usa per mascherare gli odori più spiacevoli e stagnanti.
Non appena inspiro con forza e nell'effluvio deciso e profondo della lavanda avverto il pizzicore leggero ma inequivocabile di un altro odore a me fin troppo noto.
Vomito.
Nota autrice
Me devo stare zitta perché sul serio corro il rischio de favve spoiler immensi.
Mortacci di Ulyscemo.
Vabbuò, alcune cose le dico perché sì.
Capitolo lunghissimo pt.686973?
Sì.
Stocazzo?
Ovvio che sì.
Poi.
Alcuni dettagli dell'ultima parte sono molto importanti.
Finestra aperta.
Odore di lavanda.
Odore di vomito.
Sottolineo il: Finestra aperta stavolta.
Famo come Dante di Ignobili affetti ade': trasfomamoci in Detective Conan.
Quel stavolta fa intuire che fino ad ora la finestra MAI era stata lasciata aperta.
E dato che quando Ash è rientrata, Ulyscemo era già in casa...
Non so se a voi è mai dovuto capitare di dover nascondere degli odori forti, a me sì, ad esempio, e no, non il vomito, ma da brava BADDE BOIH con la 🥔 quello de sigarette (da patreh e matreh). E per farlo la soluzione più rapida è far arieggiare il più possibile la stanza e cercare di sopperire all'odore spiacevole con un profumo.
Non per dire, ma i profumi nacquero proprio per questo. Perché i francesi zozzoni puzzavano da schifo (pensavano che lavasse facesse male alla salute) e quindi se cospargevano de profumo come io cospargerei de Nutella i pettorali de Jason Momoa.
TRAUMA CHE NESSUNO VOLEVA SAPERE (semicit. Barbascura X)
Le parrucche nacquero per non fare vedere i pidocchi.
Francesi zozzoni.
Quindi se può giungere alla conclusione tragggikah:
Ulyscemo ha vomitato in bagno -> Ulyscemo NON VOLEVA che Ash sapesse che ha vomitato -> Ulyscemo ha lasciato la finestra aperta e cosparso de J'adòr Lavandòr l'aria per mascherare J'Adòr Vomitòr.
Sarà na cosa importante.
Ci tengo a farvi presente che Ash, nel sentire J'Adòr Vomitòr dice che è un odore a lei ben noto.
Ve ricordo che sebbene questa storia non sarà TRAUMATICA come le mie altre, comunque i suoi TRAUMIH li avrà.
Perché na storia de Sasha Nye senza TRAUMI non è na storia de Sasha Nye.
Scrivete qui le vostre teorie in merito a ciò.
N'altra cosa.
"Simo, ma non l'hai resa troppo cliché la scena della molestia alla cameriera? Voglio dire, mica un molestatore davvero parlerebbe così da coglione."
La sola e ahimè brutta risposta che vi posso dare è questa:
La scena della molestia alla cameriera è basata su fatti reali al 100%.
I miei.
Ho lavorato come cameriera per quattro anni e purtroppo ho perso il conto pure delle molestie che ho subìto nel corso di quel tempo.
L'ultima l'ho subìta proprio da un mio collega e mi ha costretta a licenziarmi.
Le parole che Stronzo dice sono le stesse che mi sono state dette svariate volte quando presentavo il problema agli altri o ai molestatori in questione.
Purtroppo, però, io non ho avuto una Ash a difendermi e sempre purtroppo io non ho avuto la forza di Ash di proteggermi da sola.
I miei titolari non solo mi dicevano di chiudere un occhio su queste molestie, uno di loro, il primo, addirittura, mi chiedeva di andare a lavoro truccata e vestita bene, con le gonne, così da attirare più clientela maschile possibile, dato che c'ho le tette stratosferiche che Dory tanto desidera.
Se non mi credete, potete anche guardare su qualsiasi video/tiktok/notizia che parla di notizie del genere.
Leggerete NA MAREA de commenti che le giustificano, che dicono che non sono molestie/violenze, che una palpata al culo/seno non ha mai fatto male a nessuno.
E non le leggerete solo da parte di uomini, ma anche da parte di donne.
Leggerete uomini e donne che diranno come Stronzo che gli uomini non sanno resistere agli impulsi proprio perché uomini, e che anche per questo non possono subire violenze/molestie, perché automaticamente a loro piacerebbero in quanto uomini.
Leggerete uomini e donne che diranno che sono cose che capitano e non ci si può fare niente.
Leggerete uomini e donne che non riconosceranno il danno subìto dalle vittime, al contrario diranno che è un'esagerazione, che una volta tutte queste violenze non esistevano ma anzi venivano considerate complimenti.
Leggerete tutto questo.
Perché benché la società si stia evolvendo, molti rimangono fermi al passato, alla cultura della donna-oggetto e dell'uomo-possessore.
Bene, ho detto tutto, fatemi sapere che pensate!
Un bascinoh ❤️
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