Mono neurone

Una volta Einsten disse: «Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità dell'uomo, ma sull'universo ho ancora dei dubbi.»

Io e Reid abbiamo rielaborato questa sua dichiarazione a modo nostro per applicarla all'incurabile sindrome da mono neurone del mezzano di famiglia: «Due cose sono infinite: la fissa di nonna Titti per i Koala e la scemenza di Sebastian, ma sulla fissa di nonna Titti abbiamo ancora dei dubbi.»

Crudele da parte nostra prenderlo in giro così, ma c'è da dire che, pur essendo nostro fratello e amato tantissimo da noi, bisogna sempre mantenere una sorta di oggettività, e l'oggettività con Seb è quella che è:

Dispone e disporrà per sempre di un solo neurone.

A riprova di ciò è quanto mi sta dicendo proprio in questo momento, al nostro classico pranzo domenicale a casa di nonna Titti. Ci troviamo nel grande soggiorno del suo appartamento pieno di foto di cuccioli di koala, panda e bradipi, seduti al gigante tavolo ovale imbandito con una tovaglia bianca, piatti stracolmi dell'anatra all'arancia preparata da papà, calici forniti di vino e posate d'argento che vengono usate solo per queste domeniche e le altre festività più importanti. Il mono neurone in questione è seduto proprio davanti a me, con lo sguardo allucinato che aveva in viso quando provò a guardarsi Donnie Darko, il film di cui mai ha capito "nemmeno una palla del mio cazzo" - citandolo testualmente - e che l'ha indotto a pensare che le droghe sono davvero un orrore abominevole, perché certissimo che il regista fosse fatto al massimo quando l'ha ideato.

Le sopracciglia folte sono aggrottate con l'evidente segnale che non ha capito niente delle mie parole, la forchetta con il pezzo d'anatra è ancora a metà strada tra il suo piatto e la sua bocca. A peggiorare questa sua condizione sono anche i vari cerotti che ha in viso, che coprono le ultime ferite che si è procurato con i match del campionato a cui ha partecipato e che ha stravinto. Nel vederlo qualcuno crederebbe che ha provato a studiare i vari calcoli e studi per lanciare un missile nello spazio e invece...

«"Non posso presentarvela perché teme si sentirebbe a disagio?"» ripete con tono sbigottito, quasi avessi appena detto che i ragni non esistono e sono solo frutto della sua mente folle. Reid, seduto accanto a lui, rischia di strozzarsi col bicchiere d'acqua che stava mandando giù. «Che diavolo significa che si sente a disagio? Come fai a sentirti a disagio con qualcuno che neanche hai mai incontrato?»

Sapevo che non avrebbe capito, dannazione, lo sapevo bene. Speravo però in una sorta di miracolo in cui il suo unico neurone sarebbe stato sufficiente per compensare all'assenza di tutti gli altri. Sospiro, massaggiandomi la tempia nel disperato tentativo di trovare un modo per fargli comprendere la situazione. «Megan ha molte difficoltà per via del suo peso» provo a rispiegare con il mio tono più pacato, «lotta contro la sua obesità da quando è bambina e per questo motivo se conoscesse te e in generale la nostra famiglia ha paura che, nel vederci, si sentirebbe ancora più sbagliata.»

Nonna Titti, seduta alla mia sinistra, annuisce più volte, il problema è che l'unico che avrebbe dovuto capire tutto ciò non è lei, ma proprio il mono neurone che ho davanti, che invece di comprendere si sta smarrendo sempre di più. «Ma perché dovrebbe fregarmene qualcosa di quanto pesa? Mica voglio parlare con la sua bilancia!»

Daisy, la compagna di Reid, seduta proprio al fianco di quest'ultimo, spruzza il vino rosso che stava sorseggiando dalla bocca, travolta dai colpi di tosse che la stanno devastando. La capisco, davvero, perché in un'altra situazione anche io avrei fatto così, il problema è che ora l'idiozia di mio fratello coinvolge la mia migliore amica.

Reid provvede ad asciugarle subito le labbra imbrattate ancora di vino, mentre lei cerca di tamponare le lacrime agli occhi con il tovagliolo.

Gli unici che sospirano in questa situazione sono mamma e papà, alla mia destra, ormai entrambi incapaci di provvedere all'assenza di cervello del loro secondogenito.

«Seb» lo chiama Daisy, tra un colpo e l'altro, mentre Reid la aiuta a sistemarsi una ciocca rossa che le è finita in viso dietro l'orecchio, così da riportarle il caschetto a una forma naturale. «In questo caso il problema non sei tu.»

Sebastian sgrana gli occhi. «Sul serio?! Adesso pure tu mi dici le frasi con cui tutte le ex mi hanno sempre mollato?!»

«Anche perché non è vero: il problema sei proprio tu» dichiara nonna Titti, crudele e spietata come al suo solito. Sebastian le lancia un'occhiataccia, di risposta nonna gli dà un calcio sotto il tavolo che lo fa imprecare.

Ero stata tentata di evitare questo pranzo domenicale, ad esser sincera, proprio per colpa di Sebastian. Sapevo che, una volta scoperta la passione di Megan per i ragni, avrebbe fatto di tutto per conoscerla, come sapevo benissimo che non avrebbe mai capito le varie difficoltà della mia amica al pensiero di incontrare lui e tutti quanti i membri della nostra famiglia. Non sa nemmeno che per anni lei ha continuato a proseguire la nostra amicizia in forma telematica proprio perché si vergognava a morte di farsi vedere da me, colei che ai suoi occhi è il suo esatto opposto in quanto in forma, in salute e allenata, e che solo dopo un immenso atto di coraggio ha accettato il mio invito di vederci dal vivo, un paio d'anni fa. È il motivo per cui nei suoi social non posta una sola foto di sé stessa, accontentandosi di lasciare le recensioni dei libri che legge e film che si guarda con le loro immagini, spaventata al pensiero che qualcuno potrebbe farle qualche commento crudele sul suo peso.

«Granchietto» lo chiama papà, nel disperato tentativo di aiutare il figlio a concepire questa situazione per lui così assurda, «non tutti sono come te che se ne fregano sempre dell'aspetto degli altri, molte persone vi danno un grande valore, giusto o sbagliato che sia, e perciò agiscono di conseguenza.»

Oddio, Sebastian si sta facendo sempre più confuso, si potrebbe credere che ha appena assistito all'arrivo degli alieni, la situazione sta degenerando. «Non è un problema se dà valore al suo aspetto, quello che non capisco è che c'entro io! Voglio parlare con lei di ragni, non della dieta chetogenica!»

Nonna Titti inspira a fondo, il primo segnale che sta per lanciare un'altra delle sue frecciatine. Fissa papà e mamma con il fuoco negli occhi. «Ditemi che l'avete adottato» tuona, «mi rifiuto di accettare che un idiota simile è nato anche per merito del mio sangue.»

«Ehi!» Sebastian le scocca un altro dardo con gli occhi.

«E comunque» lo interrompe Reid, prima che possa darsi agli insulti con nonna Titti, «hai già dimenticato una delle regole principali? Mai frequentarsi con le amiche di tua sorella, men che meno le migliori amiche.»

Di risposta, lui si fa più smarrito che mai. «E che diavolo c'entra Ash, ora? Non stanno insieme! A lei non piacciono nemmeno le donne!»

Daisy rischia di nuovo di soffocare, stavolta a causa del pezzo d'anatra che non è riuscita a mandar giù sempre per colpa delle risate. Gli occhi nocciola le si stanno riempiendo di lacrime, Reid provvede subito ad asciugarglieli con un altro tovagliolo.

«Seb, amore mio» lo chiama mamma, stavolta è il suo turno di provare a dare un po' di cervello al secondogenito, «Megan è una ragazza molto dolce ma anche molto fragile, non ha un buon rapporto col proprio corpo e come tanti per questo motivo tende a sentirsi a disagio con le persone che incarnano ciò che lei non riesce ad essere.»

«Troppo complicato, Marianne» sibila nonna Titti, sempre più velenosa, «non capirà mai.»

«Ehi!»

«Ascoltami bene, idiota di un nipote, te lo dirò nella maniera più semplice possibile» lo rimbecca nonna con fuoco negli occhi. «Quella ragazza è obesa e si vergogna di esserlo, perciò se incontrasse te, allenato, in salute e muscoloso - e purtroppo solo questo - si vergognerebbe ancor più di sé stessa e della sua obesità. E se anche desiderasse incontrarti, sicuro come la morte non accetterebbe mai di frequentarti.»

Avrà capito?

Ovvio che no.

Mai sperare con Sebastian.

Mai.

«Ma come fa a sapere che si vergognerà se non mi ha mai conosciuto?»

Reid sospira, Daisy continua a tossire, mamma e papà scuotono la testa, nonna Titti gli dà un altro calcio sotto il tavolo, facendolo sussultare.

«Per davvero» tuona lei, «come diavolo fai ad essere un mio discendente?!»

«Come diavolo fai tu ad avere così tanta forza ad ottant'anni suonati, vecchiaccia?!»

«Ringrazia che ho anche il cervello, oltre che la forza, nipote idiota, se no a quest'ora il tuo encefalogramma sarebbe piatto quanto le tette di tua sorella!»

Odio dirlo, ma ha ragione.

«Nemmeno conosci quella ragazza» gli fa presente Reid, ed io annuisco, più che concorde. «Perché sei così desideroso di incontrarla?»

Sebastian lo fissa come se avesse detto l'assurdità più ridicola al mondo. «Adora i ragni» specifica quasi fosse un'ovvietà. «Non solo li adora, ma ritiene che Aragog è fighissimo! Hai idea da quanti anni sogno una ragazza che dice queste cose?! Con tutte finora ho sempre dovuto evitare di discutere di quest'argomento perché si impressionavano, lei sarebbe la prima con cui potrei parlarne senza problemi! È la mia anima gemella!»

«Ti basta poco per definire qualcuno la tua anima gemella» fa notare Daisy, tutti a tavola annuiamo tranne, ovviamente, Sebastian.

«A te è bastato il septum insanguinato di tuo fratello in mano a Reid» ribatte lui. Una delle rare occasioni in cui fa canestro.

«Ci conoscevamo già da prima» replica secco Reid. «Io non sono certo così stupido da andare da una totale sconosciuta che sa di me solo per bocca d'altri dicendole: "Ehi, ti piacciono i ragni? Anche a me! Vogliamo uscire insieme stasera? Sento che sei la mia anima gemella!

Seb si acciglia ancora. «Cosa c'è di male in una domanda simile?»

«Che la fanno i bambini di prima elementare» risponde nonna Titti, ancor più crudele di prima.

«Granchietto» lo richiama ancora papà, «non mettere il piede sull'acceleratore, vacci con calma. Megan è una ragazza dall'animo delicato.» Mamma, accanto a lui, annuisce, stringendogli la mano e posando il capo contro la sua spalla, già in fase di adorazione per il marito. «Prima o poi comunque la conoscerai, quando lei si sentirà pronta di incontrarci, quindi non andare di fretta.»

«Esatto, amore, esatto» concorda mamma, già avvinghiata a papà come un polpo, «rischi di farti odiare da lei, così. Vacci piano, bambino, per queste cose bisogna andarci coi piedi di piombo.»

«Non le sto chiedendo di sposarmi» fa presente Sebastian. Nonna Titti gli dà un altro calcio da sotto il tavolo.

«I cuccioli di koala sono più intelligenti di te!»

«Ha parlato quella che vuole andare in Madagascar per morire asfissiata con le sue tremila allergie!»

«Io almeno morirò con il cervello e cullando degli adorabili pelosetti, tu morirai con solo i muscoli che ti pompi!»

«Io non mi pompo niente, è tutto allenamento sano!»

«Allena il solo neurone che hai mai avuto, ne ha più bisogno!»

La litigata parte ovviamente senza che nessuno possa fermarla, il tipico pranzo domenicale della famiglia Ellis, c'è però da dire che stavolta nonna Titti ha ragione come non mai, benché Sebastian non abbia chissà quali colpe.

Lo conosco bene, mio fratello, lui e il suo unico neurone. È incapace di comprendere non per cattiveria, ma perché è proprio nella sua natura quella di non concepire la gran parte dei disagi psicologici che le persone hanno con il loro aspetto e la loro autostima.

Era uno dei motivi per cui, da adolescente, lo invidiavo tantissimo, al punto da detestarlo. Sebastian vive nel suo mondo, sì, ma è grazie a questo se mai le etichette degli altri gli si sono incollate addosso e mai ha notato quelle delle persone che lo circondavano.

Quando guarda qualcuno, guarda la persona, non le sue apparenze. Il suo interlocutore potrebbe pure avere i capelli più sporchi e unti mai concepiti al mondo, indossare un sacco della spazzatura, avere i denti marci, e comunque a lui non fregherebbe niente, si interesserebbe soltanto alla sua personalità e al suo carattere e da lì stabilirebbe se volerlo al proprio fianco o meno. È la ragione per cui tutte le sue precedenti ragazze erano completamente diverse l'una dall'altra tanto per l'aspetto quanto per il carattere. Rientra in quei rari casi che non possiede un "tipo" a cui va dietro. Che sia alta, bassa, magra, in carne, a lui non importa affatto, se n'è sempre sbattuto le palle e sempre continuerà a farlo.

Non nego che una parte di me quasi è tentata all'idea di presentargli Megan come lui desidera davvero, proprio per via di ciò, al di là di quanto potrebbero traumatizzarmi due appassionati di ragni messi insieme; al tempo stesso, però, è anche per questa caratteristica da parte sua che non voglio che si incontrino.

Di per sé, il fatto che lui se ne freghi altamente di queste cose potrebbe essere un aspetto positivo, avrei la sicurezza assoluta che mai si permetterebbe di giudicare Megan per la sua obesità e potrei star tranquilla che la apprezzerebbe sul serio per la persona che è. Non noterebbe neanche tutti i chili in più che ha, la potrebbe persino aiutare con l'attività fisica e a sviluppare una forma di autostima più ferrea.

Il problema principale è che Megan non concepirebbe mai la possibilità che mio fratello possa interessarsi a lei, a causa del pessimo rapporto che ha col suo fisico, e Sebastian non ha gli strumenti necessari per comprendere il suo disagio interiore, rischierebbe sul serio di scatenare un pandemonio con il suo unico neurone.

È già successo in passato, quando andava al liceo, in fondo. Aveva iniziato a frequentare la ragazza che era evitata da tutti a scuola poiché incredibilmente povera e con un aspetto non curato dovuto proprio a tale povertà, e per questo motivo varie voci si erano sparpagliate sul suo conto, insulti denigratori sui suoi pessimi gusti in fatto di donne a cui però Sebastian non badava minimamente.

Ma la sua ragazza sì.

Era stata travolta da tremendi sensi di colpa, si era sentita sempre più sbagliata nel loro rapporto e quando aveva provato a parlarne con Sebastian, di risposta il mono neurone era andato a pestare a sangue tutti quelli che li stavano insultando.

Il risultato era stata una sospensione di tre settimane dalla scuola, la sua reputazione totalmente crollata e la ragazza che lo aveva mollato perché si era sentita ancora più in colpa adesso che tutti lo consideravano un toro scatenato per causa sua, secondo lei.

Ad oggi Sebastian ancora non comprende perché è stato lasciato.

Con Megan il rischio di ricreare una dinamica simile è molto elevato. Stiamo parlando di una ragazza che ha subìto sin da piccola pesanti forme di bullismo, che è sempre stata condannata da tutti, inclusa la sua stessa madre, per la sua obesità. Tra le sue certezze di vita c'è che mai piacerà romanticamente a qualcuno perché obesa e che finché non sarà in forma nessun ragazzo la considererebbe da quel punto di vista; se si ritrovasse un omaccione come Sebastian - uomo delle caverne tutto muscoli e niente cervello, sì, ma anche affascinante proprio per questo suo lato - a dirle che è interessato a lei, sicuro come la morte e la permalosità di Ulyscemo la prima cosa che penserebbe è:

Non appena mi vedrà nuda, scapperà via con la coda tra le gambe.

Cosa che non accadrebbe mai con Sebastian, perché lo conosco bene, il mio mono neurone preferito, ma Megan no, per quanto sappia di lui tramite i miei racconti. Può darsi persino che penserebbe che Seb la stia prendendo in giro, se lui le chiedesse un appuntamento. Figurarsi poi se lui se ne uscisse fuori con qualche idiozia come "Ami Aragog quindi io amo te".

E se anche lei provasse a spiegarglielo, Sebastian non comprenderebbe minimamente le sue difficoltà. Considerando le varie perle che lancia da che è nato, è super probabile che risponderebbe così:

"Ma guarda che ti voglio scopare, non pesarti su una bilancia!"

Tremendo da parte mia aver così poca fiducia nei confronti del mio stesso fratello, me ne rendo conto, ma devo restare imparziale. Sebastian è lo stesso che se gli chiedi "Questo vestito mi ingrassa secondo te?" ti risponde "Come può un vestito ingrassarti? Non pesa così tanto! L'importante è che ti piace!" Non posso pregare in un'improvvisa presa di coscienza da parte sua sulle difficoltà che alcuni hanno con il proprio corpo, lui che se n'è sempre sbattuto le palle dell'aspetto.

Certe volte è più difficile lui, nella sua semplicità, che Ulyscemo con i suoi mille misteri da Severus Piton, ciò in parte mi preoccupa e neanche poco.

Finito il pranzo, mentre il mono neurone è preso a litigare con Reid in merito alla situazione - il primogenito mi ha dato il cambio per provare ad aiutare il mezzano di famiglia a capirci qualcosa - vado in cucina ad aiutare nonna Titti per lavare i piatti. Tecnicamente avrebbe la lavastoviglie per farlo, ma nonna Titti ripudia qualsiasi tipo di agevolazione tecnologica, se possibile, perché farlo per lei significherebbe ammettere che è stanca, e mai nella vita accetterebbe di dichiararsi così.

Mi metto al suo fianco, davanti al ripiano del lavandino in acciaio, mentre lei strofina la spugna sui vari piatti dentro quest'ultimo, per poi passarmeli così che io li asciughi con la pezza. È una bella donna, nonna Titti, chiunque nel guardarla le darebbe dieci anni di meno: la sua altezza, rara per le ottantenni come lei, e la sua età non sono andate minimamente a deturpare il fisico tonico e allenato che sempre ha avuto, persino adesso. È da lei che io, papà e Reid abbiamo ereditato gli occhi azzurri, mentre i nostri capelli corvini, condivisi anche da Sebastian, erano tutti di nonno Marcus. Il suo viso è affilatissimo, spigoloso solo lungo la mandibola, rivestito da rughe che le solcano lo sguardo rendendolo ancor più austero e duro, i capelli ormai bianchi le cadono sulla schiena pettinati e più curati dei miei, in una treccia perfetta che io non saprei mai fare e che le arriva quasi al sedere.

Come al solito, essendo oggi domenica, pranzo condiviso dalla famiglia e per questo evento di estrema importanza per lei, indossa i suoi abiti migliori, un vestito lungo che le arriva a metà polpaccio, dalla manica corta e la fantasia floreale che rievoca ogni forma di colore, dallo scollo a cerchio si intravede subito la collanina dorata che indossa sempre: quella che conserva la sua fede e quella di nonno Marcus.

«Come sta andando l'università, Ash?» mi domanda con la sua voce roca, continuando a fissare i piatti che lava a velocità assurda e in modo impeccabile, per poi passarmeli.

«Abbastanza bene» rispondo serena. Dietro di noi, dalla porta aperta, si leva la voce di Sebastian super indignato perché mamma e papà hanno ripreso a fare i piccioncini e lui sta cercando un sacchetto per il vomito. «Qualche difficoltà con il coinquilino, ma penso di poterla risolvere, almeno spero.»

Nonna Titti sbuffa, passa la spugna su uno dei calici sporchi di vino, ripulendolo alla perfezione in 0,0001 secondi. Andrebbe d'accordo con Ulyscemo, non ho dubbi, hanno anche la stessa lingua velenosa. «Mi è stato detto qualcosa da quell'idiota di tuo padre» dichiara, prima di passarmelo.

«Quell'idiota di mio padre è tuo figlio» le faccio notare divertita.

«L'avranno scambiato in culla, mi rifiuto di accettare come figlio uno scemo che all'età suonata di sessant'anni continua a pomiciare con la moglie come se ne avesse quindici.»

«Ma se nonno Marcus era identico a lui.»

«E infatti era pieno di lividi e non certo per il lavoro che faceva.»

Ridacchio dentro, nonna sbuffa ancora, lascia scorrere l'acqua sulla teglia da forno dove è stata cucinata l'arancia così da far cadere tutto il sapone con cui l'ha lavata. «Quindi sei arrivata ad avere rapporti decenti col tuo coinquilino sessista?»

«Non proprio, e in realtà non è sessista, ha provato a fingere di esserlo» spiego, lei inarca le sopracciglia bianche e folte, sorpresa. «Lo so, lo so, è un po' un mistero, il mio Ulyscemo.»

«Il tuo Ulyscemo?»

Gongolo. «Mi sta simpatico» ammetto. «Ha un'arte oratoria niente male per gli insulti, forse persino più di te, nonna, ed è molto divertente ascoltarli, il problema è che a lui ancora non sto granché simpatica.»

«Mmm» mugugna, passando la spugna su una forchetta, per poi passarmela. «Portalo qui, una di queste domeniche, apprezzo sempre chi è bravo a insultare, lo sai, soprattutto se mi aiuta a insultare quello scemo di tuo padre e quel senza cervello di tuo fratello.»

«Lo farei, sarebbe molto divertente, ma al momento Ulyscemo ha ricominciato ad evitarmi» ammetto quasi con amarezza. Dalla nostra serata Barbie, pizza e birra, ha ripreso la sua arte della fuga e in maniera straordinaria, non riesco neanche a spiegarmi come ci riesca, davvero. «Temo di averlo spaventato, ma mi è difficile stabilirlo. È incredibilmente espressivo, a differenza mia, eppure capire quello che pensa è quasi impossibile. Ancora adesso non mi spiego perché prova a fingersi un sessista con me.»

Nonna storce la bocca, il lavandino ormai vuoto, inizia a ripulire anche questo con la spugna e il getto d'acqua. «Ci possono essere tante ragioni» replica fredda. «Così come la tua amica potrebbe sentirsi a disagio con noi, così lui potrebbe esserlo con te, ma il suo modo di esprimerlo è attaccando per primo. Considerando il tuo aspetto molto raro per una donna, avrà capito che un discorso sessista era il modo più sicuro e veloce per farti male e allontanarti e così l'ha sfruttato subito.»

Serro le labbra, è una possibilità estremamente elevata, non posso negarlo. «Secondo te...» domando. «Perché qualcuno si finge chi non è davvero?»

Nonna sbuffa per l'ennesima volta, dopo aver richiuso il lavandino. Afferra il panno asciutto sotto di esso, appeso alla maniglia del cassetto, per asciugarsi le mani. «Ci possono essere mille motivazioni dietro. Anche tu per anni ti sei finta una persona che non eri, nipote scema.»

Un'altra frecciatina da parte sua, ma ha ragione da vendere, indignarmi non avrebbe senso.

«Una volta» riprende a parlare, gli occhi ancora fermi sul lavandino ora pulito, «quando lavoravo come cameriera, c'era una mia collega che mi stava terribilmente sul cazzo.»

«Ma non mi dire.»

«Giuro, la odiavo a morte, avrei pisciato sulla sua lapide con un pene finto, se fosse morta» continua, diretta e senza filtri come a suo solito. «Faceva sempre l'ochetta con tutti i clienti, si strusciava su di loro, passava il tempo a flirtare e a sedurli invece che a lavorare, fregandosene altamente di marito e figlio. A me questo non importava granché, poteva farsela pure con mezzo mondo, per quel che mi riguardava, il problema era che poi il carico maggiore di lavoro finiva sulle mie spalle. La detestavo, ogni giorno mi svegliavo col desiderio di sfondarle la faccia con uno dei miei ganci destri. Litigavamo sempre per questo motivo, ho davvero corso il rischio di omicidio in quel periodo.»

«Non sono per niente sorpresa.»

«Dopo che mi misi con quel rincoglionito di tuo nonno, lasciai il lavoro, quindi non la rividi più. Fu una vera e propria liberazione per me. Poi, un paio d'anni più tardi, la rincontrai nell'ultimo posto dove mi aspettavo di vedere una ragazza come lei.»

«Ovvero?»

«Un centro antiviolenza.»

La guardo sorpresa, nonna sbuffa ancora. «Lavoravo lì come volontaria» mi spiega. «E me la ritrovai un giorno con suo figlio di dieci anni che le si nascondeva dietro la gonna lunga, entrambi avevano i visi pestati così tanto a sangue che neanche la riconobbi, all'inizio, capii chi era solo quando lessi il suo nome nei documenti.» La fronte le si corruccia, andando così ad aumentare in maniera copiosa le rughe attorno gli occhi azzurri. «Il motivo per cui faceva l'ochetta con i clienti era perché il marito le consumava i soldi nel giro di pochissimo tempo per l'alcool e lei non sapeva cosa dar da mangiare al figlio, così si trasformava in una seduttrice per indurre i clienti a sganciare più banconote per le mance. All'inizio lui era sì violento con lei fisicamente, ma stava attento a non lasciare tracce. Poi, dopo che mi ero licenziata, aveva perso del tutto il controllo perché aveva scoperto come lei si comportava a lavoro, e da lì era iniziato l'inferno più grande.»

Serro la mandibola, sorpresa, nonna Titti esala un sospiro, rimettendo il panno al suo posto. «Quando la incontrai là, in quel centro antiviolenza, ero scioccata non solo per questo, ma anche perché parlando con lei era completamente diversa da come la conoscevo. Era timida, vergognosa, persino imbranata. Nulla a che fare con la femme fatale con cui litigavo sempre a lavoro. Un giorno le chiesi perché non mi aveva mai parlato di questa sua situazione, così almeno non me la sarei presa così tanto con lei, avrei provato a capirla o anche aiutarla, e lei di tutta risposta mi disse: "Non lo sapevo nemmeno io quanto stavo recitando, Portia, mi sembrava la cosa più naturale da fare e basta".»

Inspiro a fondo, nonna Titti scrolla le spalle. «Che fine ha fatto? È riuscita a liberarsi del marito?»

«Certo che sì, il pezzo di merda è finito in prognosi riservata per merito di un angelo custode improvviso non appena lui ha provato a minacciarla.»

Un sorriso sadico le solleva le labbra, non ho bisogno di chiedere chi era l'angelo custode in questione, e so per certo che non si tratta di nonno Marcus.

«Il tuo Ulyscemo forse non ha una storia del genere alle spalle, ma non dar per scontato le motivazioni che ci possono essere dietro alla sua recita, nipote scema» dichiara alla fine.

«Ho le mie teorie» ammetto. «E una è più brutta dell'altra.»

Nonna fa una smorfia accennata, presa ancora a guardare il lavandino pulito. «Lascia perdere le teorie, nipote scema» dichiara alla fine. «Le teorie possono essere utili, sì, ma in casi come questi ti inducono a giudicare senza volerlo e a comportarti in maniera diversa per rispettarle, quando queste potrebbero essere sbagliate. Ricorda sempre il mio insegnamento: non farti fottere dalle apparenze, agisci per ciò che sai esser certo, mai per ciò che ipotizzi. La verità la conosce solo lui e spetta sempre solo a lui decidere se rivelartela o meno, proprio come tu hai fatto con noi quando hai ammesso quello che ti stava succedendo a scuola.»

Mi irrigidisco sul posto, nonna Titti storce ancor più la bocca. «Non impietosirti per le tue ipotesi tragiche sul suo conto, guarda quello che è davvero e comportati in base a ciò e a quel che desideri. Non lo aiuterai, intenerendoti così per qualcosa che neanche sai esser sicuro, e non lo porterai a fidarti di te, se gli mostrerai pietà. Non è la pietà a smuovere il cuore delle persone per indurle a credere in noi, è la nostra presenza stabile e costante nel corso del tempo, la sicurezza che noi resteremo anche quando pensano di aver perso tutto e tutti. Questa è la vera fiducia che si cerca nell'altro, l'unica che vale la pena provare ad ottenere.»

La guarda, guardo quest'ottantenne che ha collezionato più risse di quante ne abbia collezionate mai io e i miei fratelli messi insieme, la prima radice della nostra famiglia, la più forte e vigorosa di tutte, quella che anni dietro mi ha dimostrato di esserci.

La prima a cui abbia mai detto la verità.

La prima che mi ha indotto a pensare: "Posso smettere di mentire."

«Guardami negli occhi, Ash, guardami negli occhi. Ti sembrano gli occhi di una donna che rimarrebbe inorridita?»

«Non è questo, nonna.»

«Sì che è questo, invece. Te lo ricordo: io sono tua nonna e tu sei mia nipote. Non me ne frega niente del resto, quindi ora guardami negli occhi e dimmi la verità.»

«Non c'è nulla da sapere, è colpa mia se sta succedendo.»

«Me ne sbatto i coglioni se è colpa tua, voglio saperlo lo stesso.»

«Perché?»

«Perché stai soffrendo, e se soffri io ti sto accanto, non me ne frega un cazzo che è colpa tua, ti sto accanto lo stesso. Ora dimmi cosa sta succedendo.»

Sorrido.

«Sei davvero il guro della famiglia, nonna.»

«Verissimo, ricordatelo per il futuro: per il prossimo compleanno voglio un biglietto aereo per l'Australia. Ho un'Atlantide da cercare.»

Come previsto, parlare con Ulyscemo è impossibile.

Non riesco nemmeno a incontrarlo, e abitiamo sotto lo stesso tetto. Non ho la più pallida idea di come faccia, riesce sempre a rincasare quando io non ci sono, avrà a sua volta un potere simile alle botte di culo della famiglia Ellis, non mi spiego altrimenti come ci riesca.

Ammetto di esser stata tentata all'idea di entrare direttamente in camera sua - la sua Ulycaverna - senza alcun tipo di convenevole, così da porre per sempre fine a questo ridicolo teatrino di io che provo a incrociarlo e lui che mi evita come Reid evita i caffè americani, ma sono più che cosciente del fatto che peggiorerei la situazione, facendo così, invece che migliorarla.

All'università parlare con lui è fuori discussione, non accetterebbe mai l'idea di venir accostato a me, probabilmente perché teme che la sua facciata di uomo perfetto e prodigio assoluto si rovinerebbe al mio fianco, e forzare così la mia presenza nei suoi confronti sarebbe un altro modo per rientrare nelle sue ire che già conosco bene.

In mensa, all'edificio centrale del campus, fisso il mio piatto di spaghetti al sugo con un tremendo senso di sconfitta addosso.

«Non cambierà niente anche se continuerai a fissarli» mi ricorda Megan, seduta davanti a me, mentre apre il contenitore con la sua insalata. «Non sarà certo un piatto di spaghetti a darti l'illuminazione per convincerlo a smettere di evitarti.»

«Non ci posso credere, come diavolo ci riesce? Ha il senso di Ulyscemo che pizzica ogni volta che sono nelle vicinanze?»

Meg scoppia a ridere, gli orecchini giganti a forma di mezzaluna nera le dondolano tra i boccoli dorati. «Ha talento, questo è vero» conferma. «E qui all'università non puoi neanche avvicinarlo.»

«Anche se potessi, non ci riuscirei comunque. È sempre circondato da altri studenti, davvero, lo venerano quasi fosse una divinità. Tutto questo mi spaventa.»

Lei fa una smorfia. «Sì, lo fanno praticamente tutti. Il conto in banca del padre è motivo di grande interesse per la maggior parte delle persone, ma c'è da dire che è anche figo.»

Sbuffo, con il vapore degli spaghetti che si solleva dal piatto e mi inumidisce il viso. «Pensi che siano tutti degli approfittatori? Non ce ne è neanche uno che davvero è interessato a lui?»

Meg si stringe nelle spalle. «Non li conosco personalmente, perciò mi è impossibile stabilirlo. C'è da dire che però va d'accordo con tutti, tranne con te che sei stata la sola eccezione nel corso degli anni. Ah, no» si blocca all'improvviso, attraversata da un pensiero. «C'è stata un'altra eccezione, prima di te, proprio qua al campus.»

La guardo sorpresa. «Chi?»

«Terrence Harrington.»

Schiudo le labbra. «Lo stalker pezzo di merda di Tabitha Newman?»

Meg annuisce. «Agli inizi dell'università, parlava anche con lui, ma non l'ho più visto vicino dopo che è scoppiato lo scandalo di Tabitha.» Prende un sorso dal bicchiere d'acqua. «Non si è più avvicinato nemmeno agli amici di lui, quelli delle chat.»

Sento il mio corpo impietrirsi, perché di nuovo, per l'ennesima volta, realizzo di essere stata ingannata da Ulysses Redmond.

"Non li conoscevo, né lei né lui" mi aveva detto categorico quella sera, quando avevo citato il fattaccio.

«E Tabitha?» le domando. «Conosceva Tabitha?»

Megan ci riflette su. «Sì. Tutti e due frequentavano lo stesso mio corso di scienze politiche e hanno pure fatto un progetto assieme. Certo, non so dire se fossero grandi amici o amici veri e propri, ma di sicuro hanno parlato tra di loro più di una volta.»

Quindi non me l'ero immaginata, c'era davvero qualcosa di troppo nella sicurezza con cui aveva risposto al mio quesito.

Mi stava rifilando l'ennesima bugia.

Ma perché? Non lo capisco proprio. Non ha il minimo senso. Non penso lo abbia fatto perché temesse qualche forma di accusa da parte mia, del tipo che avesse collaborato con Terrence in quello stalking costante ai danni di Tabitha, soprattutto visto che ormai già avevo smascherato la sua recita da sessista, perciò perché negare così fermamente di conoscere entrambi?

Persino Tabitha, la vittima della situazione?

«Ash, ti sta uscendo il fumo dalle orecchie.»

«Perché le persone dicono sempre che siamo noi donne quelle complicate e impossibili da comprendere?» esalo con un sospiro.

«Patriarcato, baby.»

Ahimè, temo abbia davvero ragione, faccio ricadere lo sguardo sulla sua insalata, un cumulo di foglie verdi colorato soltanto da qualche pomodoro qua e là. Mette tristezza solo a vederla. Ha più tonalità il tavolino in legno a cui siamo sedute che il suo pranzo, un nuovo e orrendo sospetto emerge nella mia mente, affogando i mille dubbi su Ulyscemo, e benché sappia che questo è un argomento spinoso per lei, non posso fare a meno che chiederglielo: «Hai di nuovo discusso con tua madre, vero?»

Megan sussulta, un rossore profondo va a colorarle tutto il viso, le guance rotonde e a pagnotta. «Come fai a saperlo?»

«Ogni volta che discuti con tua madre, torni alle tue diete restringenti fatte di insalate e aria.»

Lei discosta lo sguardo per non incrociare il mio, colpevole, sistemandosi meglio i boccoli biondi sul viso nel tentativo di snellirlo un po'. «Meg» la chiamo, «ti fai solo male così, lo sai bene.»

«È soltanto un'insalata.»

«Appunto: soltanto. Patire la fame per giorni rientra nel libro "Come autodistruggersi in poche e semplici mosse".» Sospiro, avrei voluto parlarle di Sebastian, oggi, almeno provando a spiegarle la posizione di lui così che possa in parte comprenderlo nel suo unico neurone, nell'eventualità che lo incontri in futuro, ma dovrò rimandare la questione a dopo. «Che ti ha detto quella stronza?»

Megan si morde il labbro carnoso, sempre più rossa in viso. «Non è stronza, è solo-»

«Una stronza.»

Arrossisce ancora, richiude l'insalata con un sospiro. «Diciamo... che c'è stata qualche parola cattiva da parte sua» ammette alla fine con voce carica di sofferenza.

Chiudo gli occhi per qualche secondo. «Non mi dire: davanti all'ipotiroidismo che le hai ricordato di avere, lei se n'è uscita fuori con uno dei suoi commenti di merda alla "Ci sarà stato qualcuno con ipotiroidismo anche nei campi di concentramento, eppure restavano magri, sai perché?

Sento una vena rischiare di scoppiarmi nel collo, quando trovo conferma dei miei sospetti nel suo sguardo corrucciato. Uno dei tanti motivi per cui non ho mai conosciuto sua madre è proprio questo: se la incontrassi di persona, il rischio di spaccarle la faccia a sangue è elevatissimo, soprattutto perché so bene che questa è solo la punta dell'iceberg delle cose che le dice, convinta com'è di spronarla.

«Hai ragione» ammette alla fine, «lo so che non devo dar retta a quello che dice, però, sai...» Esita. «È pur sempre mia madre.»

Un moto di sconforto mi assale nel realizzare la sofferenza che le sta riempendo gli occhi chiari. Il desiderio di omicidio ai danni della signora Johns si sta facendo sempre più grande, stamperò la sua foto e la appiccherò sul sacco da boxe della palestra per potermi illudere di star massacrando lei. Faccio cadere lo sguardo sull'abito che Meg indossa oggi, marrone e di nuovo incredibilmente largo. So benissimo chi è la causa di questa sua scelta di vestiario. Ci giocherò a freccette, con quella foto, e al posto delle freccette userò i coltelli.

«Ti va un po' della mia pasta?» le suggerisco. «Facciamo a metà, non puoi certo resistere tutta la giornata solo con un po' d'insalata.»

Lei guarda con dubbio i miei spaghetti, la tentazione di cedere le illumina gli occhi. «Solo metà» si arrende alla fine.

«Solo metà» le garantisco. «La mangio io e poi passo il piatto a te, ok?»

Annuisce imbarazzata, la vorrei stringere in un abbraccio fortissimo, ma è meglio di no per il momento. «Stavo pensando... di provare di nuovo... a iscrivermi in palestra, in realtà» mi dice alla fine, mentre io inizio ad arrotolare gli spaghetti tra i denti della forchetta. «Ma... ho un po' di timore.»

Non ho dubbi su cosa ha timore, visto che conosco bene le sue precedenti esperienze in quei luoghi. «Ci sono palestre che vietano l'uso di videocamere» la rassicuro. «Vuoi che ti aiuti a cercarle?»

«Non è solo quello» risponde. «È solo che non... non mi piace molto... stare in mezzo a tutta quella gente. Lo so che ci va ogni genere di persona, in palestra, ma le mie esperienze passate non sono state molto... piacevoli» storce un po' la bocca davanti a quest'eufemismo. «Però non voglio nemmeno andare a correre fuori, mi vergogno troppo, e in palestra almeno avrei qualcuno a cui poter chiedere se sto svolgendo bene l'allenamento.»

«Vuoi che venga con te?»

«Tu hai la tua palestra dove abiti, Ash, al Central Flower.»

«Poco importa, posso iscrivermi anche a un'altra.»

Scuote la testa decisa. «Non voglio farti sprecare soldi così» dichiara. «È un problema mio.»

«E io sono amica tua.»

«Mi ripaghi già pestando a sangue i Toxic Boys. A proposito, quand'è il prossimo massacro?»

«Non mi distrarre con queste tentazioni, Megan» la riprendo, ma sono contenta di vederla sghignazzare, adesso. Un orribile pensiero mi attraversa la mente, mentre rifletto su quanto appena discusso e al pranzo domenicale di qualche settimana fa, bloccandomi con la forchetta a mezz'aria che mi schizza tutto il sugo sulle maniche corte del top bianco - Ulyscemo mi odierebbe a morte. Un pensiero che non dovrei nemmeno concepire, perché so che potrebbe essere un'immensa stronzata, ma...

Conosco qualcuno che frequenta una palestra adatta a lei.

Qualcuno che sicuro come la morte si assicurerebbe che lei non ripeterà mai le esperienze già vissute in passato nelle palestre precedenti, quand'era adolescente. Che se dovesse mai scorgere un iscritto provare a registrarla per prenderla in giro, oltre che spaccargli il cellulare gli spaccherebbe anche i connotati.

Qualcuno che non solo se ne intende alla grande di attività fisica e che potrebbe aiutarla nello svolgere gli esercizi senza farsi male, ma è anche un ottimo sostegno emotivo, visto che mai ti critica pesantemente, ha anzi l'innata capacità di risollevarti l'umore pure quando sei in fin di vita dopo un'ora di corsa massima sul tapis roulant.

Qualcuno che da settimane mi tormenta proprio perché vuole conoscerla, da quando ha scoperto della sua passione per i ragni.

«Ash?»

Risollevo lo sguardo su Megan, è confusa davanti alla mia faccia di pietra ancor più di pietra del solito, a causa dei mille dubbi che mi stanno affliggendo.

No, non per forza devo chiedere aiuto al mono neurone, potrei farlo con Reid...

Ma Sebastian non me lo perdonerebbe mai.

E soprattutto Reid è spesso via in viaggio per i vari incontri, in questo periodo, Sebastian adesso, dopo che ha avuto l'ultimo ad Aspen, si sta concedendo una pausa prima di riprendere per il campionato invernale.

Il problema però resta sempre lo stesso.

Il suo unico neurone.

«Ash, mi stai spaventando adesso» mi informa Megan.

«Meg» la chiamo. «Ti ricordi quando mi hai detto che non te la senti ancora di conoscere la mia famiglia?»

Il suo sguardo si fa ancor più smarrito. «Sì?»

«Intendevi tutta la mia famiglia insieme? Se fosse... un solo membro, uno soltanto, pensi che ti potrebbe andar bene? Soprattutto visto e considerato che non ha cervello?»

Un vecchio proverbio dice: «Se la montagna non va da Maometto, Maometto andrà dalla montagna.»

Come per Einstein, ho rielaborato questo proverbio a modo mio, solo che stavolta l'ho fatto per il mio rapporto travagliato con Ulysses Redmond alias Ulyscemo.

«Se Ash non va da Ulyscemo, Ulyscemo andrà da Ash.»

Ad aiutarmi a ideare il mio ennesimo diabolico piano con cui incastrarlo è stata proprio la conversazione avuta con nonna Titti in merito al mio coinquilino evaso, cioè di affidarmi sempre e solo alle cose certe che so su di lui e sul suo conto.

E le cose certe che so su Ulysses Redmond alias Ulyscemo sono tre:

La prima è che è un attore da Oscar.

La seconda è che è un perfezionista (molto rompipalle, ma lo si adora per questo).

La terza è che è permaloso.

Molto, molto permaloso.

È proprio su quest'ultimo punto che ho deciso di concentrarmi per tessere la mia ragnatela con cui fotterlo di nuovo, dando così vita al secondo crudele e sadico piano.

Mi sono ispirata ai vecchi fotoromanzi di Barbie, quelli che collezionavo come un'ossessa da bambina e che tuttora si trovano in perfetto ordine nella libreria di camera mia a villa Ellis. Il motivo per cui non li ho portati qui, nel mio nuovo appartamento, è perché non li volevo in alcun modo rovinare, dato che alcuni sono vecchissimi e hanno la carta super fragile.

Ma con Ulysses Redmond non avrò bisogno di loro.

Mi bastano le Barbie che già ho.

Sufficienti per poter dar vita a un nuovo fotoromanzo di Barbie, tutto mio, realizzato con grande sudore, impegno e passione nel corso di un'intera giornata, scattando costantemente foto con il mio cellulare alle varie Barbie che mettevo nella loro casa gigante e rosa - regalo di mamma e papà di quando avevo undici anni - in pose sempre diverse, per poi modificare tali foto con un'app apposita così da aggiungere le vignette.

Il piano parte oggi, venerdì mattina. Non ho lezione, stavolta, perciò posso poltrire beatamente in casa, e da fonti certissime e indiscutibili - Megan Johns - sono certa al mille per mille che nemmeno Ulysses Redmond ha lezione.

Il problema, come al solito, è che è scomparso più della dignità di J.K. Rowling dopo che si è scaricata Twitter, non è proprio in casa. Non c'era quando sono uscita alle cinque e mezza per andare a correre, rinchiuso in camera, e non c'era neanche quando sono tornata, ha approfittato della mia assenza per scappare.

Poco importa, però, perché Ulysses Redmond sarà pure un prodigio in tutto quello che fa, sì.

Ma io sono un prodigio nel fottere la gente.

Alle undici di mattina, si avvia il mio piano malvagio, da me rinominato:

Fotoromanzo di un finto sessista.

Il proprietario dell'appartamento mi ha dato il numero di Ulysses e così decido di mandargli un semplice messaggio di saluto, all'inizio, ben consapevole che mai mi risponderà, anzi, è probabile che fingerà di non averlo mai letto.

Di fatto, mezz'ora dopo, da parte sua non c'è ancora risposta.

Molto bene, Ulyscemo, molto bene.

Quando gli evitamenti si fanno duri, i duri iniziano a giocare con Barbie.

Seduta sull'immenso sofà testimone del nostro momento cinematografico intenso e profondo, schiaccio il pollice sull'icona dei documenti nella tastiera da scrivere e inizio l'opera.

La prima foto è di Barbie Dottoressa – vestita ovviamente da dottoressa, con tanto di camice bianco e stetoscopio al collo – che ritorna a casa dalla sua coinquilina Barbie Castana – in una maglietta rosa semplice e un paio di jeans – da me chiamata Sidney (amavo la città di Sidney da bambina), che, seduta al tavolino dell'ingresso, presa a sorseggiare il suo tè, le domanda: «Cos'è quella faccia, Barbie?»

Barbie risponde: «Non ci crederai mai, Sidney, ma oggi in ospedale ho incontrato un uomo afflitto da una malattia orrenda

Sidney si porta una mano alla bocca. «Oh no, che malattia?»

Barbie si asciuga gli occhi aperti e azzurri con un fazzoletto, mi sono premurata persino di farle cadere un po' di gocce d'acqua sul viso di plastica per assicurarmi il realismo della scena: «La evita-le-coinquiline-perché-odia-perderinite

Sidney si tappa la bocca con entrambe le mani, stavolta, stupefatta: «Oddio, non avevo mai sentito parlare di una malattia del genere!»

Barbie si soffia il naso. «È rara, rarissima, in pochi la hanno, solo lo 0,0001% della popolazione mondiale. Si manifesta quando una persona perde in maniera plateale contro il suo coinquilino e ha paura di perdere allo stesso modo se lo sfidasse un'altra volta.»

Sto lasciando passare un quarto d'ora tra una foto e l'altra, per dare il tempo a Ulysses di concepire bene i messaggi che sta ricevendo da parte mia.

Sidney chiede: «E c'è modo di guarirla, questa malattia?»

La spunta blu compare, a conferma che ha ceduto alla tentazione e sta leggendo tutto.

Sento il sorriso curvarmi le labbra.

Mando la foto successiva.

Barbie sta piangendo a dirotto, ora, seduta al tavolino, le mani a coprirle il viso distrutto dai singhiozzi. «No!» esclama. «Purtroppo... la evita-le-coinquiline-perché-odia-perderinite è una malattia incurabile

Tra una foto e l'altra mando anche le varie canzoni tragicomiche da ascoltare per commuoversi meglio, in questo caso O fortuna di Carl Orff.

Sidney è così sconvolta che si rovescia il tè addosso, per fortuna era già freddo. «Oh no!»

«Sì!» squittisce Barbie Dottoressa, soffiandosi ancora una volta il naso. «Sanno benissimo che mai potrebbero vincere contro i loro coinquilini, sono così consapevoli dei loro stessi limiti... che non possono fare altro che ricorrere alla fuga e all'evasione. Questo paziente aveva dovuto sorbirsi due film Barbie per aver perso la sfida... è stato devastante per lui, una punizione intollerabile, non riuscirebbe mai e poi mai a rivivere un'esperienza del genere una seconda volta, così evita apposta la sua coinquilina terrorizzato dal pensiero di doversene vedere altri ancora.»

Sidney si avvicina a Barbie, le accarezza la schiena ricurva per consolarla. «Ci sono persone che non sono capaci di comprendere Barbie, Barbie» le dice. «Bisogna esser predisposti a queste cose, non è per tutti capire l'incanto di simili film...»

«Ha persino detto che l'ametista che la principessa Annalisa dà a Julian è un insulto e non una scena romantica!» esplode Barbie, con tanto di trucco sciolto (da me aggiunto nel dettaglio) e mani tra i capelli.

Sidney lancia un urletto stridulo. «Ha un menhir al posto del cuore, non c'è da sorprendersi se non sa riconoscere i lati positivi dei cartoni Barbie.»

Barbie annuisce, asciugandosi il viso imbrattato di mascara. «E pensa... che la sua coinquilina... avrebbe tanto voluto fargli vedere Barbie Raperonzolo e Barbie e la magia di pegaso, i suoi due film preferiti.»

La sua amica scuote la testa con un sospiro, carezzandole sempre la schiena tremante. «Meglio di no, Barbie, non avrebbe mai potuto comprendere, lui. Non è neanche colpa sua, è proprio un suo limite umano, ognuno di noi li ha.»

Barbie singhiozza ancora. «Infatti, oltre che soffrire di evita-le-coinquiline-perché-odia-perderinite soffre di un'altra malattia ancora più grave.»

«Oddio! Quale?»

Lei si soffia il naso. «Odio-mangiare-la-pizza-con-le-manite

Dieci minuti dopo, proprio mentre sto per mandargli una delle ultime foto, quella in cui Sidney lancia un urlo sconvolto tale da provocarle un infarto e farsi salvare la vita da Barbie Dottoressa con un cavatappi e un po' di scotch, la porta d'ingresso alla mia sinistra si spalanca con un rimbombo così forte da farmi sussultare sul divano, una vera e propria deflagrazione.

Mi volto per guardare il colpevole - già consapevole di chi sia - e trattenere il sorriso gigante è praticamente un'impresa di Ercole, perché Ulysses Redmond, in camicia e pantaloni firmati come al solito, ha un'espressione talmente irritata che è addirittura comica, e non per motivi denigratori, ma perché è persino senza fiato e sudato, tanto ha corso per poter arrivare qui il prima possibile.

Non ho dubbi.

C'è cascato.

C'è cascato alla grande.

«Che sia chiaro» tuona, e tutto il viso mi fa male per la violenza con cui mi sto trattenendo dal sorridere, «non ho alcun problema a vedermi i tuoi cartoni animati orrendi e men che meno limiti che mi impediscono di accettare altre tue sfide.»

Ulysses Redmond, io ti adoro.

«Ma davvero?» domando con il mio tono più tranquillo, mandando giù le risate che mi stanno facendo implodere dentro. «Quindi accetteresti se ti proponessi un'altra sfida, anche se stavolta io non dovessi sloggiare da qui, pur perdendo, ma pagando in un altro modo?»

«Sì.»

È talmente alterato che neanche ci riflette un secondo prima di rispondermi, ho bisogno di aria, non respiro più, ma devo mantenere la mia classica faccia da pietra, o rovinerò tutto il mio impegno. «Sicuro? Guarda che se perdessi dovresti rivederti Barbie, non sono certa sapresti tollerare altri suoi cartoni, non ti voglio sulla coscienza in que...»

«So tollerare benissimo un cartone animato orrendo.»

Lo voglio come amico, subito, ora.

«Non saprei...» proseguo con fare riflessivo, fingendo un improvviso interesse per una ciocca della mia frangia corta e laterale. «Non credo saresti capace di sopportare non una ma ben due perdite di seguito dovute alla tua folle, delirante e mezzo-uomo coinquilina che è dedita ai pestaggi e colleziona tirapugni...»

«Ehi.»

Mi volto a guardarlo, le guance mi bruciano per la furia con cui sto costringendo la bocca a restare immobile e a non sorridere, davanti al fuoco che gli si è incarnato negli occhi grigi.

«Scelgo io la sfida, stavolta.»

Barbie, tu sei sempre la risposta giusta a tutto.

Nota autrice:

Mi trattengo dal dire qualcosa perché as always rischio di farvi IMMENSI spoiler, posso però dire che questo capitolo mi ha divertito un casino, pur essendo "di passaggio" rispetto agli altri.

Ci sono però delle cose che mi preme voi ricordiate di quanto detto in questo capitolo:

- La questione Ulysses presentata da nonna Titti, cioè di non guardare solo alle ipotesi che si fanno su di lui ma a quello che si è certi sul suo conto

- La questione Tabitha

- La questione Rachel

- La questione "menzogne" da parte di Ulysses

Perché secondo voi Ulyscemo ha mentito ad Ash sul non conoscere Pezzemmerd' Terrence (secondo solo alla mamma di Agatha) e Tabitha?

E sempre secondo voi...

Sebastian riuscirà a non combinare danni con Megan a causa del suo unico neurone?

Bene, detto questo, vi avviso:

Vi ho fatto ridere con questo capitolo sul mono neurone Sebastian e i fotoromanzi di Barbie, perciò, per compensare alle GIUOIE...

Mi dedicherò al prossimo capitolo di "Ignobili affetti"

Che farà MALE.

Certo, forse non male quanto quello prima "Miserabile vita", ma lo sapete, ormai, con Agatha e Dante non c'è mai fine al TRAUMA (e alla FRIENDZONE di Dante, anche se dopo l'ultimo capitolo... chissà...)

Bene, ho detto tutto, un bascinoh!

Ci vediamo!

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