Incastro

Adoro ammetterlo.

Così come io ho fregato Ulysses Redmond, così lui ha fregato me.

Noi Ellis, inclusa nonna Titti, il che già dice tanto, concordiamo sul fatto che io sia quella che è stata graziata con più pazienza in assoluto all'interno della famiglia.

Ci sono solo tre cose al mondo che tendono a farmi perdere le staffe in un solo istante.

La prima sono le persone tossiche ai massimi livelli, non inteso in termini di tossicodipendenza quanto di personalità, non importa se uomini o donne, come quella volta, quando lavoravo come cameriera, in cui una delle mie colleghe, Molly, era stata presa di mira dalla fidanzata di un ragazzo con cui lei si era divertita in una notte di passione senza sapere che lui era impegnato. Il signorino si era "dimenticato" di farglielo presente.

La fanciulla, invece che prendersela con il suo compagno traditore, aveva deciso di sfogarsi con l'amante inconsapevole: era giunta al nostro ristorante dopo l'orario di chiusura, mentre stavamo risistemando la sala, e aveva fatto una scenata a Molly davanti a tutti noi dipendenti, accusandola delle peggio cose, tra cui il fatto che per colpa sua adesso sia lei che il suo aitante maschio alfa che era stato corrotto dalla sensualità di un'altra donna, poverino, dovevano fare i controlli per assicurarsi di non avere MST.

Molly era rimasta atterrita, sia perché solo in quel momento aveva scoperto che lui era fidanzato sia per le accuse che le stavano venendo rivolte, e quando le aveva assicurato che lei era sempre attenta a prendere le precauzioni dovute, la deficiente le aveva detto "Con tutti quelli che ti scopi, non mi sorprendo che i ragazzi con te usino il preservativo! Chissà che malattie ti porti!"

A quel punto non ci avevo visto più, specie dopo aver visto la vergogna rovinare il viso già pallido di Molly. Avevo issato quella Toxic Girl sulla mia spalla, l'avevo portata sul retro del ristorante e l'avevo gettata dentro il gigantesco e profondissimo cassone dell'immondizia, per poi chiuderlo con forza.

Era rimasta là dentro un'ora intera, con io seduta sopra il coperchio gigante della spazzatura per assicurarmi che capisse appieno le conseguenze delle sue azioni e soprattutto gli orrori che aveva appena riversato su una ragazza che non c'entrava niente e solo perché non aveva il coraggio di prendersela con la vera causa del suo male: il suo fidanzato Toxic Boy traditore seriale.

Nel mentre, mi ero anche preoccupata di farle una spiegazione dettagliata sull'importanza fondamentale dei preservativi e di quanto fosse stupido provare a umiliare una persona perché li utilizzava, quando a vergognarsi avrebbe dovuto esser lei che non aveva mai badato a tale accortezza, considerando che il suo amato Toxic Boy aveva una tendenza innata a metterle le corna con costanza e la giovincella si rifiutava di lasciarlo.

Giorni più tardi, Toxic Boy in persona era sopraggiunto al ristorante, sempre dopo l'orario di chiusura, per minacciarmi e vendicarsi di quanto avevo fatto alla sua dolce metà.

Anche lui era finito nel bidone dell'immondizia, chiuso là dentro per un'ora intera, e dato che aveva provato pure a spaccarmi la faccia, io avevo spaccato la sua. Avevo fatto lezione di educazione sessuale pure a lui, già che c'ero, perché non sono mai abbastanza in questo mondo.

"Legge del contrappasso, baby" aveva detto poi Megan, una volta che le avevo raccontato la vicenda.

La seconda cosa che mi fa perdere subito le staffe sono i geni che si rifiutano di accettare che sono una donna, dopo che io gliel'ho detto. Di per sé ignoro la maggior parte di essi, se qualcuno mi commenta sotto le mie foto sui social in maniera disprezzante mi limito a bloccarlo dopo avergli mandato l'emoticon del terzo dito, ma se ciò avviene nella realtà, ho davvero molte difficoltà a mantenere la calma. Soprattutto quando se ne escono con frasi come "Essere una donna non è un sentimento, non basta pensare di esserlo per diventarlo, maschio eri e maschio rimani" o "Le ossa degli uomini sono diverse da quelle delle donne, e le tue sicuro non sono quelle di una donna, hai persino il pomo d'Adamo!" o ancora "Sì, nei tuoi documenti ci sarà pure scritto che sei donna, ma adesso la teoria del gender permette di tutto e di più, quel che conta sono i tuoi cromosomi, quelli non li puoi cambiare, il DNA non mente mai."

Se poi questi simpaticoni non solo si mettono a farmi discorsi del genere, ma mi impediscono persino di usare il bagno delle donne, al punto da chiamare la sicurezza, la mia pazienza scompare come il restante 99% dei neuroni di Sebastian quand'è nato.

La terza cosa, addirittura più rapida delle due precedenti a distruggere in pochi attimi la mia pazienza, è un orrore che credevo non avrei mai più rivisto, dopo che l'ultimo l'ho letteralmente buttato nel camino acceso di nonna Titti, a sedici anni, con Seb che mi incitava e applaudiva accanto perché pienamente d'accordo con me.

Ovvero...

Il rompicapo.

Non ci posso credere.

Pensavo fossero ormai una leggenda, i rompicapi, un mito che si tramanda via social sui profili TikTok nati appositamente per parlare solo di essi, pensavo che nessuno più al mondo fosse sul serio disposto ad affrontarne uno nella vita reale.

E invece sì.

Ulysses Redmond sì.

Me l'ha messo di fronte con uno scatto deciso, dopo cena, sul tavolino davanti al mega-divano del salotto, ancora chiuso nel suo scatolone mai stato aperto, con tanto di etichetta fresca d'acquisto e l'immagine orripilante di ciò che già so mi farà ammattire nel giro di 0,00000001 secondi.

Il nome del rompicapo?

L'elica di Da Vinci.

Non ci credo.

Non so se scoppiare a ridere fragorosamente o iniziare già a strapparmi i capelli.

«Per davvero?» gli domando, mentre lui si siede al mio fianco, ben attento a mantenere una certa distanza tra noi due, a braccia conserte sul petto. «Di tutte le cose che potevi trovare, di tutte le sfide che potevano venirti in mente, hai scelto un rompicapo

È tornato nella sua modalità Severus Piton: sguardo da serpente e veleno raffinato nella voce. La differenza sostanziale che lo contraddistingue dal personaggio più amato di Sebastian in Harry Potter è che almeno Ulysses è figo - come direbbe Megan - e soprattutto ha i capelli puliti. «Mi rendo conto che per te non esiste alcun tipo di attività che non contempli l'uso della forza e della violenza, ma si dà il caso che al mondo ci sono persone capaci di affidarsi al loro intelletto.»

«Non mi sconvolge l'utilizzo del tuo stabile e sano intelletto, mi stupisce che per una sfida tu sia ricorso a un rompicapo!» mi difendo, indicando con la mano quella bestia del demonio. «Ci sono tantissimi altri modi con cui sfruttare la mente. I giochi di carte, ad esempio, poker!»

Schiocca la lingua, sempre più in fase serpente. «Lo sapevo, hai davvero una ludopatia incurabile. Lo dirò ai medici che ti avranno in cura quando finalmente qualcuno che hai pestato a sangue avrà la decenza di denunciarti come pericolo pubblico, forse loro saranno capaci di compiere il miracolo

È inviperito al massimo, lo si capisce sia dalla voce che dall'espressione in viso, se l'è davvero legata al dito la mia provocazione con il fotoromanzo di Barbie e l'oltraggio di essersi sentito dire che ha dei limiti umani.

Non ho più dubbi, ormai: se gli dicessi che secondo me non sarebbe capace di guardarli, accetterebbe pure di fare la maratona di tutti gli episodi di Peppa Pig.

Adoro sempre più ammetterlo: è stato bravo. Mi ha fottuta alla grande, proprio come io ho fottuto lui stamattina. Fisso la scatola ancora chiusa, con tanto di plastica a coprirla, nella speranza che prenda fuoco da sola. «È un tuo hobby?» gli domando con sincero interesse. «È praticamente nuovo, quando diavolo l'hai comprato?»

«L'altro ieri» risponde con tono secco. «E quali sono i miei hobby non è affar tuo.»

«Beh, molte cose mi tornano, adesso.»

Un fulmine negli occhi da parte sua. «Come, prego?»

Non lo nego: sfotterlo così che lui continui a insultarmi con i suoi commenti piccati sta iniziando a diventare una sorta di piacere perverso, perché più lo vedo impermalosirsi, più gongolo dentro.

O forse sto sviluppando una forma di masochismo, proprio per causa sua. Come diceva sempre il dottor Travis: non si smette mai di conoscere sé stessi. C'è anche da dire che io ho sempre preferito esser comandata che comandare sotto le lenzuola, quindi magari è un masochismo innato che sto ampliando anche al di fuori della sfera sessuale?

«Considerando che non riposi mai, non mi sorprende che tra i tuoi hobby ce ne sia uno che invece di rilassarti ti sovraccarica la mente.»

«Io riposo» tuona ancora.

«I minuti che passi in bagno non contano come riposo e nemmeno le poche ore di sonno che ti fai ogni notte.»

«Cos'è successo, i pestaggi non ti bastavano più e così sei passata allo stalking?»

«Niente stalking, Ulyscemo, solo ottimo spirito d'osservazione.»

Un altro dardo da parte sua, avrebbe potuto fare l'arciere in un'altra vita. Biondo com'è, poi, sarebbe stato un Legolas perfetto. «Sapere di essere il destinatario di tale spirito d'osservazione da parte tua mi rende felice quanto un cocchiere davanti all'invenzione dei locomotori.»

Gli mostro il numero 8 con le mani, i fulmini nei suoi occhi grigi aumentano a dismisura. Non ho dubbi che mi sta immaginando crocifissa all'incontrario, ma al tempo stesso sono certa anche che, pur non riconoscendolo a sé stesso - perché forse non ne è ancora in grado, sta iniziando ad apprezzare a sua volta i nostri battibecchi.

Benché infatti rigido come sempre e velenoso come sempre, c'è più scioltezza nella sua voce e così nel linguaggio del corpo, nonostante sia una scioltezza minima, a malapena intravedibile. È un bene che abbia imparato a studiare i miei interlocutori, nel corso degli anni, altrimenti non me ne sarei mai accorta.

«Non c'è nulla di male ad avere i rompicapi come hobby» chiarifico. «Dico solo che, vista l'occasione, sarebbe meglio qualcosa con cui svagarsi.»

«Non c'è nessuna occasione, c'è solo una coinquilina folle e fastidiosa quanto un'infestazione di formiche sul letto.»

«Andiamo, davvero non ti è venuto in mente nient'altro?»

«Mi rendo conto che pretendere che tu usi il cervello per almeno più di un minuto e trenta secondi sia una richiesta impossibile, ma i patti erano questi: io scelgo la sfida. La sfida è quel rompicapo. Se non sai tollerarlo, sei liberissima di dichiararti sconfitta e pagare la penale.»

Ora è il mio turno di schioccare la lingua e guardarlo torva. «Non lo sto dicendo per il mio cervello soltanto, lo sto dicendo anche per te, Ulyscemo. Stiamo facendo una sfida, una sfida tra due ventenni! Conosci almeno il concetto di divertimento o passi la tua intera vita a sovraccaricare quei poveri neuroni che hai in testa fino a farli esplodere?»

Mi dà fuoco con il semplice sguardo, le braccia ancor più conserte al petto, le sopracciglia corrugate al massimo. «Non accetto critiche da una i cui neuroni sono stati capaci di produrre uno scempio come quelle foto. Se lo facessi, verrei infettato dal gene della demenza senile che scorre nella tua famiglia. Non me lo merito ad appena ventidue anni.»

Assurdo, trova sempre nuovi modi con cui insultarmi. «Guarda che io ne ho ventisei, non sono una vecchia. E comunque quelle non erano semplici foto, era un vero e proprio fotoromanzo. Ci ho investito tutta la giornata a farlo e renderlo perfetto, con che coraggio lo insulti?»

Mi guarda con la sua espressione più disgustata, vorrei troppo fargli una foto, è bellissima. «Ventisei anni in corpo, ma a capacità di logica ormai sei allo stadio di un centenario afflitto da Alzheimer e demenza. E il fatto che tu abbia sprecato tempo da dedicare allo studio per quella orrenda versione fumettistica della tua già raccapricciante Barbie mi fa capire quanto ho sottovalutato la tua incapacità di intendere e di volere.»

Di nuovo, sono a rischio esplosione risate.

«Mio Dio, hai veleno al posto del sangue.»

«Impossibile, se l'avessi lo avrei già usato per liberarmi di te.»

Non esita neanche un nanosecondo a rispondere, non ho la più pallida idea di come ci riesca, ma tanto vale provocarlo ancora, perché sta sul serio diventando un mio fetish quello di ascoltare le sue risposte risentite, le adoro troppo. «Guarda che lo so che ti sei anche divertito mentre leggevi quel fotoromanzo. Scommetto che fremevi impaziente in attesa della prossima foto, sghignazzando dentro, con il telefono in mano.»

Il disgusto si fa ancor più palese, ma so bene di averlo beccato, per quanto possa infatti tentare di camuffarlo. Se l'avessi oltraggiato oltre ogni modo, sono piuttosto sicura che non si sarebbe limitato soltanto alle sue classiche frecciatine, avrebbe ripreso in mano la recita da stronzo, cosa che non sta facendo, per quanto si sforzi di irritarmi. «All'Alzhaimer e la demenza senile si aggiunge una nuova diagnosi: la schizofrenia. Sempre e solo sorprese orrende con te, sarà per questo che morirò presto o d'infarto o pestato a sangue: per colpa tua.»

Dio mio, non mollerà la questione pestaggio a sangue fino alla fine dei suoi giorni. Tuttavia, oltre che a farmi ridere dentro, ciò mi dice molto, quindi ne sono in parte contenta. Come notato anche alla nostra ultima sfida, durante la visione di Barbie, non ha davvero alcuna difficoltà a tirare fuori l'argomento, non appare minimamente infastidito o intimorito nel rievocare la mia minaccia e le botte che ho dato a quello stronzo al pub, le usa davvero soltanto come arma per schernirmi.

Le possibilità che il trigger di quella notte sia stata la violenza iniziano a diminuire, andando così ad aumentare le altre.

«Saresti dovuto nascere a Versailles, tu» commento alla fine, prendendo in mano lo scatolone con la reincarnazione del demonio che la gente ad oggi chiama rompicapi. «Ti ci vedo benissimo, accanto a Re Luigi XIV, mentre insieme insultate quei poveracci della plebe dal vostro balcone, con tazze di tè in mano e pasticcini.»

«Impossibile di nuovo, quell'uomo si è lavato due volte in tutta la sua vita. Non tollererei mai una presenza del genere al mio fianco, è già un miracolo che sopporti la tua.»

Ma tu sentilo! «Ma se mi lavo sempre e anche quattro volte al giorno!»

La risposta gli esce di bocca in un attimo, non appena io concludo la mia frase: «È la tua anima ad essere sporca, quei cartoni abominevoli di Barbie in particolar modo l'hanno macchiata irreparabilmente, nemmeno l'anima di Belzebù è danneggiata come la tua. Attendo con impazienza il giorno in cui Satana ti chiederà di fare le sue veci e ti porterà con sé all'inferno, liberandomi dalla croce di una coinquilina pazza.»

Sono stupefatta, lo ammetto. «Per davvero?! Come diavolo ti escono queste uscite senza che tu debba neanche pensarci? Ti scrivi le frecciatine la notte sul tuo diario segreto invece che dormire e poi le impari a memoria?!»

«Nulla del genere, è solo l'utilizzo sano e cosciente della mia mente e delle sue doti. Abilità che tu non hai mai appreso da che eri in fasce, presa com'eri a rimirare il sangue che collezioni della gente che pesti.»

Lo adoro.

«Beh, Signor Abilità, c'è però un problema alla sua geniale idea» replico, indicando lo scatolone ancora in mano. «Il rompicapo è uno, come facciamo a sfidarci?»

«Semplice» risponde subito. «Lo usiamo uno alla volta. Ciascuno ha dieci minuti per risolverlo. Chi lo risolve nel tempo più breve vince.»

«E se nessuno dei due riuscisse a risolverlo in dieci minuti?»

Mi guarda come se avessi detto una castroneria gigantesca: accusarlo di non esserne in grado. Ogni giorno che passa mi dimostra sempre più quanto immensa può essere la sua permalosità. Dovrò presto rielaborare una seconda volta il detto di Einstein per applicarlo non solo al mono neurone ma anche a lui: tre cose sono infinite, la fissa di nonna Titti per i koala, la scemenza di Sebastian e la permalosità di Ulysses Redmond. Ma sulla fissa di nonna Titti ho ancora dei dubbi.

«Se si andasse in pareggio» sibila con voce abietta, «la vincitrice sarai tu, dato che, a differenza mia, non sei abituata a questi rompicapi. È un vantaggio che ti concedo.»

«E tu come fai a sapere che non ci sono abituata?»

Di nuovo, mi fissa con il classico sguardo dell'aristocratico di Versailles che osserva la plebe povera e malnutrita oltre la sua reggia, da capo a piedi. Le braccia ancora conserte, le sopracciglia appena aggrottate in un'espressione quasi di pietà miserevole. Non ho dubbi: non ci crede manco morto che io sono solita giocare ai rompicapi. Stavolta, però, ha ragione. Odio ammetterlo, ma è proprio così. In questo caso le apparenze confermano la realtà dei fatti.

«Quale sarebbe la mia penale, se perdessi?» domando, mentre inizio a rompere la plastica dello scatolone chiuso per liberare il kraken.

«Sarai costretta a non poter aprir bocca in mia presenza per la settimana successiva. Sette giorni su sette.»

Sospettavo avrebbe usato una penale simile, un sorriso malevolo mi calca le labbra. «Tu mi sottovaluti, Ulysses Redmond» lo avviso. «La parola è solo una forma di comunicazione, in questo caso verbale, non l'unica che esiste al mondo.»

«Ripudio anche quella telematica.»

«È giunta l'ora di tirar fuori i vecchi campanellini che collezionavo da bambina.»

Oh santo cielo, ha proprio l'aria oltraggiata al massimo, impedirmi di scoppiare a ridere è un'impresa titanica, nemmeno Percy Jackson ci riuscirebbe, sono fiera di me per esser stata capace di compierla. Libero il kraken dopo un attimo di tentennamento, tirandolo fuori dalla sua scatoletta di metallo, l'orrore mi travolge nel realizzare che è uno dei miei incubi peggiori in quanto a rompicapi.

È uno di quei rompicapi dove ci sono più pezzi incastrati e tu devi trovare un modo per liberarli.

In questo caso, si tratta di una croce di legno a cui è stato incastrato un quadrato ben più piccolo della croce stessa, non ho la più pallida idea di come siano riuscito a ficcarlo là, e anche senza leggere le istruzioni, non ho dubbi che l'obiettivo è quello di separarli.

Oh no.

«Ulyscemo.»

«Ti arrendi?»

«Non hai altri rompicapi da propormi?»

Il suo viso si fa confuso davanti alla mia palese preoccupazione.

«Mi sembra... sì, insomma...» Dopo un istante di esitazione, ammetto il mio dubbio più grande, rigirandomi il kraken tra le punte delle dita: «Mi sembra molto fragile, questo rompicapo.»

È ancor più confuso di prima. «Quello ti sembra fragile

Non gli si può dar tutti i torti, in effetti. La croce e il quadrato sono fatti di un legno spesso e duro, molto resistente, a conti fatti anzi potrebbe risultare uno dei giochi più sicuri.

Ma non per me.

Soprattutto, non per me quando perdo le staffe poiché ho i neuroni in ipersensibilità.

«Tendo ad essere... brusca... quando mi irrito» provo a spiegare nella maniera più pacifica possibile, di modo da non passare per un vichingo che squarta coi denti le viscere dei suoi nemici dopo esser impazzito. «Non vorrei... romperlo... per sbaglio in preda alla... passione del gioco. Ho il difetto di non saper calibrare bene la mia forza... se perdo le staffe.»

È palesemente allucinato, riderei se non fosse per la mia vergogna, perché sì, ammettere di essere un'idiota che impazzisce per via di un banale rompicapo è un'onta immensa per me, io che sempre mi sono vantata di essere la più paziente della famiglia. È tra l'altro l'unico gioco che mi fa ammattire, il rompicapo, gli altri, per quanto intellettuali, non mi inducono a crisi d'irritazione così profonde, nemmeno quando gioco a scacchi con nonna Titti, regina indiscussa.

È una delle rare occasioni in cui comprendo appieno Sebastian e il suo solo neurone, anche io sento di non averne altri, davanti a kraken del genere.

«Allora la mia teoria è vera: sei un vampiro» replica deciso, ottenendo da me un'occhiataccia. «Manderò una lettera alla scrittrice di Twilight per chiederle di aggiungerti alla famiglia del protagonista pedofilo.»

«Ehi! Guarda che lo sto dicendo per te! Non voglio romperti il gioco per sbaglio!» mi difendo indignata. «E comunque, io uno come Edward Cullen l'avrei buttato giù dalla finestra nell'attimo stesso in cui me lo fossi ritrovata in camera a fissarmi come uno stalker mentre dormivo, ed ho decisamente più cervello di quel comò di Bella che si eccita mentre lui la pedina.»

Serra ancor più le braccia al petto. «Peccato tu non possa dire lo stesso della mimica facciale, in quanto persino quel muso pietrificato di Bella ne ha più della tua.»

Questo sì che è un colpo basso! Ne sono certa: nonna Titti lo adorerebbe alla follia.

«Mi sto solo preoccupando per l'incolumità del tuo amato rompicapo e di tutta risposta ottengo ancora le tue frecciatine, sul serio?!»

«Quel rompicapo è fatto con legno di teak, è impossibile che tu possa romperlo» replica fermo, non ho cuore di dirgli che una volta, in preda alla rabbia più folle e grande mai concepita al mondo, ho letteralmente smembrato un cubo di Rubik a mano nuda. E il fatto che lui sappia di che tipo sia il legno che va a costruire il suo amato spacca-cervelli - così Seb ha rinominato i rompicapi e io concordo - in parte mi preoccupa, ma non ne sono sorpresa, perfezionista e stacanovista com'è. Davanti al mio silenzio, segnale inequivocabile della mia sfiducia, inarca un sopracciglio. «Non eri tu quella che si vantava di esser dotata di grande pazienza, signora Coinquilina?»

Un altro colpo basso, ma ha ragione, non posso replicare. «I rompicapi nascono apposta per far ammattire la gente» faccio però presente.

«I rompicapo nascono per farti allenare il cervello, ma suppongo che tu di allenamenti conosca solo quelli dei tuoi muscoli e delle armi da brandire.»

«Per quanto ancora hai intenzione di rinfacciarmi i miei pestaggi agli stronzi?»

«Non rinfaccio, io, descrivo

L'ipotesi che si appunti queste risposte nel suo diario segreto durante la notte si fa man mano più reale. Se non lo fa, ha davvero un cervello straordinario, io non riuscirei mai a inventare frecciatine simili in così pochi secondi. C'è del talento.

Gli farò vedere Il diario di Barbie, prima o poi, come sadica vendetta. Non vedo l'ora di ascoltare le sue critiche oltraggiate sulla CGI orripilante di quel film e sulle scelte più che discutibili della protagonista.

«Posso iniziare io?» gli domando. Via il dente, via il dolore. «Cercherò di essere il più delicata possibile.»

Sospira, scrolla le spalle, un gesto d'assenso. Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e apro l'applicazione del cronometro. L'attimo dopo, lui chiude gli occhi, lasciandomi sempre più perplessa. «Perché non guardi?»

«Se tu risolvi l'enigma davanti a me, barerei, perché avrei visto già la soluzione» mi fa presente quasi fosse un'ovvietà, ed in effetti lo è, se non fosse che io, al posto suo, non sarei capace di ripetere la soluzione neanche dopo averla vista coi miei stessi occhi.

«Potrei approfittarne andandomi a cercare la soluzione su internet» faccio notare.

«Strano ma vero, voglio illudermi che tu abbia un minimo di spirito sportivo, il solo e unico vantaggio di usare i muscoli al posto del cervello, probabilmente.»

Per quanto la sua sia una presa in giro, mi fa sorridere il fatto che si fidi di me in questo modo, che già abbia intuito uno delle mie caratteristiche: apprezzare qualunque tipo di attività senza ricorrere a mezzi infami.

«Ok» dico alla fine, prendendo con una mano il kraken e posando il telefono con il cronometro pronto sul tavolino davanti a me. «Ci sono. Lo avvio tra tre, due, uno...»

I dieci minuti partono e così la mia più grande tragedia.

L'elica di Da Vinci.

Sebastian la chiamerebbe: L'elica dei miei coglioni.

E non avrebbe torto.

La osservo, rigirandomela tra le dita. Com'è che mi aveva detto Reid, una volta, davanti a uno di quei rompicapi?

"Non partire subito con la forza bruta, Ash, devi prendere in considerazione ogni elemento che fa parte dell'enigma, non solo le ovvietà."

Ok.

Gli elementi qua sono due.

La croce e il quadrato che è incastrato tra i due lati della croce.

La croce è una croce greca, con quattro bracci della stessa misura.

Il quadrato...

È un quadrato.

Sembra quasi fasciare la croce, e sarebbe pure capace di uscirne fuori da un lato, ma sbatte proprio con la punta di uno dei bracci.

Sento subito i miei neuroni liquefarsi, e sono solo passati un minuto e trentasei secondi.

«Senti» lo chiamo, mentre lui è ancora seduto al mio fianco, le braccia conserte e gli occhi sempre chiusi, «ma... e se non ci fosse una soluzione?»

«Non sono passati neanche due minuti e già dai colpa al gioco per le tue incapacità intellettive? Non molto sportivo da parte tua, ritiro anche quel poco di positivo che avevo detto sul tuo conto.»

«Ti sei messo persino a contare il tempo?!»

«Non ho mai detto di fidarmi davvero di te.»

Gli lancerei la dannata elica in testa, magari per miracolo il suo cranio duro riuscirebbe a liberare quest'incastro d'orrori.

Ok, Ash, calma e pazienza.

Afferro il quadrato, provo a muoverlo, a spingerlo tutto in avanti e poi indietro nella speranza che possa sgusciare via, ma niente, il braccio della croce continua a bloccarlo. E la cosa assurda è che lo fa di pochissimo, se fosse più corto anche solo di un paio di centimetri...

Forse potrei segarlo.

Ok, no, no, Ash, non è così che funziona, è ovvio che non è questa la soluzione.

Il problema è che non me ne vengono in mente altre.

C'è letteralmente un croce greca e un quadrato, che diavolo dovrei farci?

L'irritazione sta risalendo, la percepisco proprio mentre mi intorpidisce tutti i muscoli e raschia le cervella, sto per perdere la calma, lo sento, lo noto nell'istante stesso in cui le mie mani, automaticamente, iniziano a far sbattere a ripetizione un lato del quadrato contro il braccio della croce che lo ferma.

Mi rimangio tutto: ti detesto, Ulyscemo.

«Sei minuti.»

Non ci posso credere! Ci ha persino azzeccato! Il cronometro conferma i sei minuti! «Sei un sadico» sibilo a denti stretti, con la rabbia che si sta facendo sempre più strada in me.

«Io sarei un sadico? Ti sento che stai sbattendo il quadrato contro la croce con forza. Povero rompicapo, maltrattato da una pestatrice seriale. Non se lo merita.»

Stavolta sono io a fulminarlo con gli occhi, e anche se ancora ha le palpebre abbassate, non ho dubbi che ha sentito eccome la freccia che gli ho scoccato contro. Dannato Ulyscemo.

«Dieci minuti sono troppo pochi» mi lamento, mentre la follia inizia a predominare sulla razionalità, a segnalarmelo è il fatto che le mie dita stanno facendo di tutto e di più per far risalire il quadrato dalla punta del braccio e così liberarlo. «Non sono nemmeno un'esperta, questo gioco non è leale.»

«Se sfruttassi il tuo cervello per studiare il rompicapo invece che per lamentarti inutilmente, non avresti perso ben sette minuti e quarantasei secondi.»

Di nuovo, rimango allibita: ci ha azzeccato per la terza volta! «Tu sei peggio di un film horror, Ulyscemo.»

«Parla per te, donna che dorme con una mannaia sotto il cuscino.»

«Nessuna mannaia, io non-» Dannazione! Perché diavolo non si vuole spostare da lì, questo maledetto quadrato! Saranno massimo due centimetri di braccio, ci vuole pochissimo, com'è che non esce proprio? Tutti i muscoli dei bicipiti cominciano a bruciare con furia, mentre mi sforzo di liberarlo. «Io non ho alcuna mannaia sotto il cuscino.»

«Giusto, passi direttamente alla falce. Riesco a vederti benissimo, nel cuore della notte, vestita di nero, a interpretare il ruolo di Thanatos. Avrebbero dovuto chiamarti così i tuoi genitori, quando sei nata e hanno visto la morte nei tuoi occhi.»

La vena nel collo rischia di scoppiare, e la causa non è lui, è il maledetto rompicapo, solo che ascoltare le sue frecciatine mi impedisce ancor più di riflettere con lucidità. «Non... sono... così... crudele... io...» sbuffo, mentre mi impegno al massimo per far scivolare la croce dal braccio.

«Otto minuti e dodici secondi.»

«Non mi stai aiutando!»

«Non ti voglio aiutare, infatti.»

«Non vale così, non puoi disturbarmi in questo modo, ho bisogno di usare tutte le mie energie per pensare!»

«Impossibile per la terza volta: tu non pensi, attacchi

La sua ultima frecciatina è talmente perfetta che mi ritrovo a perdere quel pochissimo di senno che mi era rimasto e così anche la forza che sto applicando alle mie braccia. Mi volto per guardarlo e rispondergli, ma proprio mentre dico «Per quanto ancora hai intenzione di-» l'impossibile - da me tragicamente previsto quand'ero ancora capace di intendere e di volere - accade.

Il rompicapo esplode.

Ho usato senza rendermene conto troppa violenza nel tentativo di far superare quei due centimetri di braccio al quadrato e così, d'un tratto, un rumore forte e schioccante, come quello di un osso che viene rotto con furia o della plastica quando viene accartocciata, esplode all'interno del salotto. Schegge di legno partono nell'aria con la velocità di proiettili vaganti e la povera croce che stringevo tra le mani ricade sulle mie cosce.

Spezzata a metà.

Il quadrato è finalmente libero, stretto ancora tra le mie dita, ricade sopra la croce spezzata pochi secondi dopo a causa della mia perdita di presa.

Un silenzio pesante e profondo sussegue il fragore della rottura, quando scorgo l'innocente rompicapo ormai defunto sulle mie gambe.

Il panico mi assale.

Oh merda.

Sollevo il capo, realizzo con grande orrore che Ulysses ha aperto gli occhi e sta guardando la scena a sua volta, per la precisione sta guardando il suo rompicapo, comprato due giorni fa precisi, ormai deceduto sulle mie cosce. Gli occhi sgranati, il corpo di marmo, le braccia toniche indurite dai muscoli contratti.

Oh cazzo.

«Io...»

Giuro, non ho idea di come giustificarmi, quasi mi vergognerei, ma ho il timore di aver commesso un errore imperdonabile ai suoi occhi: rovinare così uno dei suoi giochi e hobby personali. Non riesco a capire neanche cosa sta pensando, visto che gli occhi grigi sono ancora fissi sul trapassato rompicapo, certo è che si sta irrigidendo come mai prima d'ora e dubito ciò sia un buon segnale.

«Te lo ricompro subito!» mi ritrovo a blaterare disperata. «Lo giuro, ho i soldi! Ne ho tanti, sul serio!»

Sbatte le palpebre, forse nemmeno lui ha la più pallida idea di cosa sta provando e pensando.

«Non l'ho fatto apposta, davvero!» provo a difendermi disperata. «È solo che ho perso la pazienza... e, come ti ho detto, quando perdo le staffe non mi controllo molto bene e...»

Oddio, sembro un Toxic Boy, ora che mi riascolto.

Ulysses sbatte ancora una volta le palpebre, si irrigidisce di più, il timore di averla combinata troppo grossa, danneggiando irreparabilmente il nostro rapporto appena iniziato e già burrascoso mi pervade, specie quando gira la testa dall'altro lato, di modo che io non possa vedere l'espressione che ha in viso, e il suo intero corpo comincia a tremare con forza.

Oh cazzo.

«Lo ricompro, davvero!» ritento. «Basta che mi dici qual è il negozio dove l'hai preso e in un attimo te lo prendo! Mi dispiace, non-»

Le parole mi muoiono in gola, ma non per la preoccupazione, bensì per lo stupore assoluto, non appena realizzo che i tremori che stanno travolgendo il suo intero corpo non sono dovuti all'irritazione, la rabbia o addirittura a una collera profonda.

Tutt'altro.

Sta tremando perché sta cercando in ogni modo di non ridere.

Il petto, celato sotto l'ennesima camicia bianca, si rialza e riabbassa a velocità sempre più assurda, con sorsi d'aria minuscoli e costanti, le spalle vibrano come se scosse con violenza da due mani invisibili, le braccia sobbalzano, stringendosi tra di loro per mantenere una rigidità che però non sono capaci di produrre davvero.

Il motivo per cui ha voltato lo sguardo è per non farsi vedere, per non farmi vedere le sue labbra che si stanno arcuando in alto.

Sono stupefatta, non me lo aspettavo proprio, addirittura arrivo a credere di star avendo le allucinazioni, ma poi lui si schiarisce la gola, torna a guardarmi, posa ancora una volta gli occhi sull'infausta fine che il suo rompicapo ha avuto, e all'improvviso esplode proprio, con un fragore tale da superare alla grande quello della croce quando l'ho rotta per sbaglio.

Il suo intero viso muta, le risate che lo incarnano gli aprono la bocca e mostrano i denti bianchi, ingioiellando il suo sguardo con una luce che mai gli avevo visto finora, talmente accecante da darmi la sensazione di star sognando. Lo sdegno proverbiale che lo caratterizza ad ogni nostro incontro abdica il suo trono a favore del divertimento sincero, sotto gli occhi grigi alcune rughe d'espressione vanno ad abbellirlo, pieghe soffici d'ilarità, rendendolo così semplice e al tempo stesso magnifico che mi lascia senza parole.

Ulysses Redmond, quando ride, ha l'innocenza di un bambino; la sua è quella risata che non ti capita spesso di incontrare: talmente autentica da non aver dubbi sul fatto che mai possa esser stata programmata in anticipo o per finzione. Non è la famosa risata profonda e baritona dei protagonisti dei libri di Wattpad, è leggiadra e sciolta, suona simile al rumore di un ruscello che s'ingorga su una cascata chiusa per poi esser finalmente liberato dal supplizio di esser stato prigioniero così a lungo. Benché il suo corpo continui a restare contratto con tanto di braccia incrociate al petto, la libertà che si ode in queste sue risa è tale che stento a crederci; eppure è reale, più reale che mai, non ho dubbi su questo, e così com'è reale, così è rara per lui mostrarla o sentirla.

All'università varie sono state le ragazze che ho sentito parlare in merito a Ulysses Redmond, durante le lezioni o nei corridoi. Il modo in cui lo descrivevano come un uomo magnifico, sempre raffinato ed elegante, un gentleman incredibile che si vede solo nei romanzi; di bell'aspetto, ricco, prodigio, chi mai chiederebbe di più? È praticamente perfetto.

Eppure, per me, è in questo momento, proprio ora, mentre ride come un bambino, con tanto di lacrime agli occhi e sopracciglia sollevate per lo stupore, con questa faccia così espressiva che alcuni potrebbero addirittura accusarla di essere esagerata e immatura, troppo emotiva, teatrale e infantile, che Ulysses Redmond è perfetto.

Perché è topo, non più farfalla.

«Non sei una donna, tu» mi accusa all'improvviso, con le risate che ancora lo travolgono, «sei un gorilla, ti rinominerò King Kong nella mia rubrica.»

La bocca mi si spalanca da sola. «Ti avevo avvertito, io! Perdo facilmente il controllo con i rompicapo!»

«Nemmeno Burt è mai riuscito in una simile impresa, non mi spiego come tu ne sia stata in grado.» Un'altra risatina lo scuote, non riesce a smettere di tremare, sobbalza proprio seduto sul divano.

«Chi sarebbe Burt?»

«Era il cane di mio padre» risponde. «Aveva la brutta abitudine di rubare tutti i rompicapo con cui giocavo, ma mai era stato capace di romperne uno in questo modo.»

Sono sorpresa che mi parli così di una parte - seppur minuscola - del suo passato, ma credo sia dovuto al fatto che, preso com'è dal divertimento, non lo realizza neanche. «Un conto è un cane, un conto è un essere umano alto e in forma come me!» mi difendo.

«Burt era un terranova addestrato alla caccia.»

L'ennesimo colpo basso, la sola differenza è che stavolta, nel farlo, sorride da un orecchio all'altro.

«Burt non aveva i pollici opponibili!»

«Appunto.»

Sto per lanciargli metà della croce spezzata in testa, ma voglio godermi appieno il momento, il suo sorriso, perché so che sarà difficile farglielo riprodurre di nuovo.

Nuova missione per Ashley Ellis: far ridere più spesso Ulyscemo.

Farlo ridere davvero.

«Però, se ci rifletti... il rompicapo l'ho risolto, no?»

Sbatte le ciglia, mi guarda allibito, di risposta io prendo le spoglie della povera elica di Da Vinci, facendole volteggiare nell'aria come fossero bandiere. «Vedi? È libero» dichiaro fiera, mostrandogli il quadrato adesso non più imprigionato. «Più libero di Dobby dopo che Harry gli ha dato il suo calzino! Da un punto di vista puramente pragmatico ho risolto l'enigma, solo con un espediente non previsto.»

Il suo viso è così comicamente esterrefatto che adesso sono io che rischio di esplodere, ben consapevole delle stronzate che sto dicendo e che sono degne del solo neurone di Sebastian, ma per la seconda volta Ulysses Redmond mi lascia senza parole: scoppia di nuovo a ridere con la stessa identica luce sincera e viva di prima, che gli arricchisce gli occhi grigi, la vera bellezza che non sfuma in alcun tipo di crudeltà, è semplice fascino e umanità, soltanto questo.

«Tu hai un modo deviato di ragionare» è il suo commento, ed io non posso trattenermi dal sorridere a mia volta.

«"Nessun metodo come metodo, nessun limite come limite"» replico, papà sarebbe fiero di me.

Un'altra risatina gli scuote le spalle. «La risposta che ti dà un eroinomane quando gli suggerisci di disintossicarsi.»

«A dirla non è stato un eroinomane, ma Bruce Lee, come osi insultare così un mostro della cinematografia e delle arti marziali?»

«Hai detto bene, un mostro.»

«Non meriti neanche di pronunciare il suo nome, tu.»

«E tu di prendere in mano qualsiasi oggetto.»

«Te l'ho detto che non mi so controllare con i rompicapo!»

«Non provare a difenderti, donna che ha superato in forza persino un terranova addestrato alla caccia.»

Vorrei davvero lanciargli il legnetto spezzato addosso, ma temo che ancora non siamo arrivati a un livello simile di intimità, decido però di correre il rischio e porgli il quesito che mi grava in testa da quando per la prima volta mi ha parlato di lui: «Quindi giocavi con Burt, quand'eri bambino?»

Le sue spalle hanno un sussulto, non dovuto alle risate, però. Il sorriso gli si spegne, e pur non ritornando alla sua faccia inviperita di sempre, perde del tutto l'ilarità che lo caratterizzava fino a pochi attimi prima. «No, non ci giocavo. Era un cane da caccia, non gli era consentito entrare in casa. Semplicemente, di tanto in tanto, quando uscivo in cortile, aveva il vizio di rubarmi qualsiasi cosa lasciassi incustodita.»

Ne parla con freddezza, come se la questione non lo scalfisse affatto, ma la rigidità che ha ripreso a irrobustirgli il corpo mi lascia intendere che c'è ben altro dietro. Sono certa più che mai che lui giocasse eccome con Burt, anche solo inseguendolo per tutto il cortile dopo che quest'ultimo gli aveva fregato uno dei suoi giochi, ma come per gran parte delle cose che mi dice, è altamente probabile che non realizzi nemmeno di star mentendo. Forse ai suoi occhi stare in compagnia di un cane in quel modo non può essere considerato nemmeno un "gioco", forse addirittura la considera un'altra vergogna.

Scelgo però di non approfondire il discorso, dubito ne sarebbe felice e non voglio rovinare il momento. «Da piccola sognavo di avere un cane» confesso alla fine. «Ma dato che mia nonna è allergica praticamente ad ogni animale mai esistito al mondo, specialmente quelli domestici, i miei non hanno mai voluto. Si accontentarono di comprarmi un acquario pieno di pesci.»

«E non l'hai distrutto? Qualche calcio volante? Un tirapugni improvviso?»

È tornato: Ulysses l'Aristocratico.

«Mi spiace per te, ma no, anzi. Li trattavo come dei principi, i miei pesciolini, al punto che quando uno di loro, Nerino, morì, piansi per una settimana intera.»

Le sue spalle hanno un altro sussulto, impercettibile, sì, ma io l'ho notato.

«Suppongo ti rivedessi in loro: l'assenza di pensiero razionale vi accomunava.»

Schiocco la lingua, riponendo i resti martiri dell'enigma sul tavolino, lo guardo torva. «No, mi ci ero semplicemente affezionata. Ogni giorno mi prendevo cura di loro, gli parlavo per ore e ore, e quando iniziarono a morire ne soffrii atrocemente. Erano pesci, sì, e di sicuro non capivano molto su chi fossi e cosa gli stessi dicendo, ma per me erano importanti, è questa la sola cosa che conta. Gli volevo bene, e quando perdi qualcuno o qualcosa a cui vuoi bene, fa sempre male, non è necessario che quell'affetto sia ricambiato dall'altra parte.»

Si fa più rigido, non risponde, la luce vivace negli occhi è del tutto scomparsa. Non ho idea di cosa stia pensando, vorrei poter aprire la sua testa in due e guardargli nel cervello per risolvere i mille misteri che si porta dentro.

Lui è il mio più grande rompicapo.

L'enigma che non comprendo e il solo contro cui, però, mi rifiuto di perdere.

So che non posso permettermi il rischio di soluzioni alternative come accaduto con l'elica, di perdere le staffe in quel modo, perché non sarebbe una soluzione, per lui, solo un'altra croce.

Non conosco ancora nulla di vero sul suo conto, non ho la più pallida idea di com'è stata la sua vita ben prima che mi conoscesse, le informazioni che ho, la gran parte di esse, mi sono state fornite da fonti che non lo riguardano minimamente e sono lo stesso, comunque, molliche, nulla di stabile e sicuro, nulla che possa aiutarmi a smascherare l'enigma.

Un'unica certezza ho su Ulysses Redmond.

È un incastro.

Come quell'elica, a sua volta è intrappolato da una croce che gli impedisce di smuoversi dal luogo in cui si trova, la sofferenza che prova. Può ribellarsi, infastidirsi, ma quei due centimetri di troppo del braccio continuano a bloccarlo, a incarcerarlo sempre più.

È la prigione di sé stesso, in cui è stato trasformato da qualcuno, forse molto più di qualcuno, e che ormai considera troppo naturale perché possa apparirgli nemica, al contrario la guarda con gli occhi di un animale nel suo habitat: abituato ad essa, quasi avvezzo alla propria detenzione, incapace per natura di immaginare un mondo senza più quei due centimetri di croce e di troppo a contenerlo.

Ma che non lo sappia o meno, che non se ne renda conto o meno, la libertà c'è in lui, il desiderio di sciogliersi dal suo incastro è vivo e presente, arde proprio.

Solo che non sa dargli voce, poiché lui stesso non è ancora in grado di sentirla.

«Dovrai trovare qualcos'altro come sfida, Ulyscemo» dichiaro alla fine, cambiando discorso, ho già indagato fin troppo, non voglio che risollevi di nuovo il suo muro. «O è una sconfitta da parte mia? In effetti-»

«Hai vinto tu.»

Lo stupore mi assale, lo fisso meravigliata, lui si stringe nelle spalle. «Io ho avuto una vittoria maggiore» afferma categorico. «Hai confermato ancora una volta la mia teoria che non sei una donna, solo un gorilla. La perdita del rompicapo ne è valsa la pena.»

Non riesco a frenare il sorriso empio che mi calca le labbra. «Ma davvero?» lo sfotto. «Non è dovuto per niente al fatto che ti sei divertito per merito mio?»

«Non era divertimento, bensì una totale beffa ai tuoi danni» specifica deciso, sia mai che mi dia ragione, anche solo una volta.

«Beh, poco importa» sghignazzo, accavallando le gambe. «Tu avrai vinto con gli insulti, ma io ho vinto due volte.»

«Ah sì? Mi sfugge la tua seconda vittoria.»

«Ti ho fatto ridere.»

Il sorriso aumenta quando il suo sguardo si posa stupito su di me.

Un nuovo strike.

Ashley Ellis, sono fiera di te.





















«Cosa diavolo è quest'orrore?»

«Il film è appena cominciato e tu già hai da ridire?»

«Certo che ho da ridire: letteralmente Barbie ha tirato fuori la fiaba di Raperonzolo per spiegare a una bambina incapace cosa può dipingere, che diavolo c'entra Raperonzolo con la pittura?»

«Se seguissi la storia, invece che lamentarti dal primo fotogramma, capiresti.»

«Non ci credo neanche morto, questo film è appena iniziato e ha già un buco di trama grande quanto il buco dell'ozono.»

«Per davvero, sei capace di guardarti qualcosa senza doverla criticare? Scommetto che appena ti svegli la prima cosa che fai è iniziare a cercare i buchi di trama e le incoerenze dei tuoi stessi sogni, te li scrivi sul tuo diario segreto dove scrivi anche tutte le tue frecciatine velenose.»

«Non ho alcun diario segreto e gli unici sogni che analizzerei con così tanta devozione sono quelli in cui compari tu, così da potermi far rinchiudere al più presto in una clinica psichiatrica per guarire.»

«Quindi mi sogni la notte? Sto iniziando ad emozionarmi.»

«Ci avevo visto giusto: schizofrenia. E a uno stadio gravissimo.»

«Taci, Ulyscemo, goditi la magia di Barbie.»

Dopo qualche altro minuto, ovviamente, una volta che sono stati presentati quasi tutti i personaggi principali, Ulyscemo, seduto accanto a me sempre nella sua posizione da soldato militare pronto a marciare per la guerra, non può fare a meno che lanciare la sua ennesima battuta piccata.

«Quindi abbiamo una Barbie Raperonzolo che passa il tempo a dipingere e servire una vecchia strega che indossa l'aborto di una nutria viva di nome Otto e la cui coda usa persino come mascherina per dormire la notte, fregandosene altamente delle possibili malattie. A far compagnia a questa sciagurata protagonista c'è un coniglio dagli occhi innaturalmente azzurri e che ha delle antenne telefoniche al posto delle orecchie e un drago cucciolo e femmina, ovviamente viola, perché sia mai che in un film Barbie ci sia un personaggio positivo che non indossi qualche sfumatura del rosa, che non sa sputare fuoco, non sa volare perché soffre di vertigini ed è stata messa nella storia solo come deus ex machina con cui far uscire la sfortunata Raperonzolo dalla torre grazie a tutti i danni che combina perché non sa controllare la sua forza. Capisco, mi è chiaro ora: è in quel drago disgraziato che ti rivedi tu, non è così?»

Sto correndo il rischio di soffocamento. «Ulysses Redmond, hai la più pallida idea di cosa significhi la frase godersi un film

«Hai la più pallida idea di cosa significhi la frase avere un po' di buon senso

Parlerà tanto di buon senso, ma purtroppo per lui, anche se cerca di celarlo in ogni modo, sta iniziando a sua volta a sprofondare nel magico mondo di Barbie, visto tutto l'impegno e interesse che sta investendo pur di smontarlo immagine per immagine. Seduto accanto a me, ora, nonostante stia ancora accuratamente a distanza, sembra un po' più a suo agio rispetto alla nostra prima serata Barbie, la quale era senz'altro meglio di questa, visto che presentava la compagnia di birra, pizza, patatine e popcorn, mentre quella di oggi ha solo acqua.

«Perché diavolo quel fallimento abominevole di una nutria sudicia si insospettisce di Raperonzolo quando lei non ha letteralmente fatto nulla di sospetto?» è il suo quesito poco dopo. «E perché diavolo tre sorelle principesse, per altro bambine, se ne vanno in giro senza una sola guardia a controllarle?»

Detesto dargliela vinta, ma stavolta ha ragione, era una domanda che mi ero posta anche io a otto anni. «Non lo so, saranno scappate di nascosto.»

«Tre bambine che avranno al massimo sei anni sono riuscite ad evadere tutte le guardie reali di un intero castello?»

«La magia di Barbie non ha limiti.»

«Nemmeno la sua incapacità di scrivere storie coerenti e sensate ce l'ha.»

Mando giù le risate con dei colpi di tosse, mentre rimiro la scena del principe che si innamora di Raperonzolo, ovviamente anche questa deve essere criticata smaniosamente da Ulyscemo.

«Letteralmente non si sono neanche parlati» nota con fare deciso. «Si sono guardati un istante, non sanno nemmeno i loro rispettivi nomi, e già sono innamorati? Sai come si chiama questo?»

«Vero amore?»

«Auto illusione.»

Sto iniziando ad apprendere l'arte delle occhiatacce velenose proprio da lui e sempre per rivolgerla proprio a lui. È davvero un prodigio.

Tuttavia, mi piace la situazione che si sta creando tra di noi. Forse non lo ha ancora realizzato, ma dopo la mia prova con quel rompicapo bestia del demonio, ha fatto cadere uno dei tanti muri che lo circondano e che erge soprattutto quand'è in mia compagnia. Gli altri restano, ovviamente, sempre stabili e sicuri, impietriti davanti a me, eppure in qualche modo riesco in parte a scorgere un quadro più chiaro delle cose su di lui, su di me e su noi due quando comunichiamo davvero.

Non posso che gongolare dentro, mentre riprendo la visione del film.

«Cos'è quest'orrore?» domanda di nuovo e per poco non rischio di soffocare, perché il suo quesito è dovuto alla scena del sogno in cui Raperonzolo ha i capelli lunghissimi e li scioglie dalla finestra per aiutare il principe a raggiungerla. Il problema, però, è che la CGI di quei tempi era messa molto male, i capelli sembrano del pongo allungato, neanche si capisce come il principe riesca ad aggrapparcisi.

«Ehi» lo rimbecco. «È un film del 2002, ti ricordo, hai poco da criticare, la tecnologia era quella che era.»

«CSI era del 2000 e comunque persino i primi episodi erano messi meglio di quest'obbrobio.»

Trattengo le risatine. «Ecco, guarda, questo è il mio momento preferito in assoluto» lo informo, quando la spazzola bianca che Raperonzolo ha trovato, regalo dei suoi genitori, si trasforma in un pennello magico, con la musica da ninnananna ad accompagnare la trasformazione. «Adoro questa canzone, chiedevo sempre a papà di cantarmela quando andavo a dormire.»

«Tuo padre?» Sembra stupefatto.

«Mio padre ha la voce da usignolo, mia madre...» Una smorfia mi storce le labbra. «Diciamo che quando canta molti vetri si rompono, ma non per le sue doti canore. La sola canzone che le riesce bene in maniera decente è Crystal Ballerina, ma perché ne è una grandissima fan.»

C'è un attimo di silenzio, mi volto a guardarlo, sembra... confuso, ma è di nuovo impossibile stabilirlo: tant'è espressivo in viso, tant'è intraducibile in cuore. «Di' un po'» mi chiama poi, e per un attimo la speranza che voglia aprirsi con me mi solleva le labbra, per poi precipitare all'istante quando domanda: «Non verrà mai spiegato fino alla fine del film perché diavolo quella spazzola si è trasformata in un pennello, non è così?»

«Sul serio, Ulyscemo?! Adesso non solo critichi i buchi di trama, ma persino i buchi di trama futuri

«Si chiama avanguardismo.»

«Si chiama essere un rompipalle immenso.»

«Cosa sarei io?»

Di nuovo, ho sottovalutato la sua permalosità, mi darebbe fuoco col pensiero, a giudicare come mi sta fissando ora. Sbuffo, continuando a ghignare dentro. «Comunque c'è una risposta.»

«Ah sì? E quale sarebbe?»

«Magia.»

«La stessa che ti ha trasformata in King Kong?»

«Avrebbe potuto trasformarmi in una rompipalle come te, pensa quanto sono stata fortunata

«Intanto a rischio ergastolo sei tu, non io.»

«Verrà mai il giorno in cui non mi recriminerai i miei pestaggi agli stronzi?»

«Certo, sarà lo stesso giorno in cui il sole sorgerà ad Ovest.»

«Vedrai, Ulyscemo» affermo sicura, «un giorno riuscirò non solo a farti guardare Barbie senza bisogno delle mie sfide, ma addirittura tu stesso vorrai regalarmene una.»

«Schizofrenia acuta, vedo, avvertirò il tuo psichiatra così che aumenti il dosaggio dei tuoi farmaci.»

Il battibecco procede a lungo, costringendomi a fermare e a far ripartire il film ancora e ancora proprio perché Ulyscemo ha sempre qualcosa da dire, ma è bello, non ho alcun motivo di negarlo. È divertente, mi fa ridere, al di là di quanto lui speri io lo detesti per le sue costanti critiche.

Verso la fine del film, all'improvviso, mi chiama di nuovo, stupendomi: «Ellis.»

«Puoi chiamarmi Ashley o Ash, sai?»

«Ellis» ripete deciso. «Questo fine settimana torni di nuovo a casa dai tuoi?»

Un altro quesito che mi smarrisce. «Sì, perché lo chiedi?»

Lui è ancora nella sua posa rigida, mostra un'evidente sollievo, con il capo rivolto al televisore. «Mi pare ovvio» risponde. «Per poter brindare per l'assenza della coinquilina più irritante mai concepita al mondo.»

Qualcosa non mi quadra, qualcosa di troppo, eppure non riesco a capire cosa, mi è impossibile.

«Tu non torni mai...» esito. «Non torni mai dalla tua famiglia?»

Sorprendendomi ancora, la sua risposta arriva all'istante: «Questo weekend tornerò da loro, devo partecipare a un ballo di beneficenza. Ti sarei perciò grato se mi risparmiassi altre tue idee folli come quell'album fotografico ridicolo su Barbie.»

Non so perché, ma sento la bocca dello stomaco chiudersi all'istante e una patina di acido rivestirmi l'interno della gola. Non ha detto nulla di particolare, considerando l'ambiente straordinario e assurdo da cui proviene, ma il fatto che si ritrovi a tornare a casa proprio per questo ballo mi instilla il dubbio che siano i soli motivi per cui lo fa. Senza di essi, rimarrebbe sempre qui, in quest'appartamento.

O forse... è ancora peggio.

Nonna Titti mi ha detto di non esagerare con le teorie, di non affidarmi ad esse, in quanto pericolose, eppure non posso che ipotizzare, mio malgrado, visto i tanti troppo che ho scorto in lui, nella sua voce, nel suo comportamento, nella sua vita, da quando l'ho conosciuto. Quei troppo che mi fanno percepire chiaramente la stortura di cui Ulysses stesso è ignaro in parte e che ignora volutamente.

«Perciò...» dico alla fine, felice che la voce cavernosa riesca a mascherare la mia preoccupazione, «non ti posso mandare fotoromanzi, ma ti posso scrivere?»

Silenzio da parte sua, per un lungo minuto.

«Solo se l'appartamento ha preso fuoco» risponde alla fine.

Un sorriso mi solleva le labbra.

«Non mi hai detto che ne pensi delle musiche del film» faccio notare alla fine. «Anche queste sono buone, secondo te?»

Lui si acciglia, gli occhi ancora fissi sullo schermo, le braccia sempre conserte.

«Di tutte le menti che sono state capaci di creare quest'oscenità, le sole che salverei se stessero annegando sarebbero quelle che hanno composto le musiche.»

Sghignazzo.

«Stai sprofondando anche tu nel magico mondo di Barbie, Ulysses Redmond.»

«Il tuo psichiatra dovrà triplicare il dosaggio dei farmaci.»













Il giorno dopo, sabato mattina, prima di partire per andare a villa Ellis, faccio un salto al negozio di giocattoli in centro città, per poi ritornare al mio appartamento. Sono le nove e Ulysses è ancora in camera sua, spero stia dormendo e non studiando, almeno oggi.

Gli lascio il regalo incartato con la carta dal rosa più acceso che abbia trovato, proprio sull'isola della cucina, con sopra un post-it:

Il tipo del negozio mi ha detto che è il migliore per farti mandare i neuroni in setticemia.

Non lo saluto, non ho tempo per farlo e in verità non so ancora se lui riprenderà ad evitarmi come prima o se invece vorrà fare un piccolo passetto in avanti, dopo quanto successo, non mi è possibile stabilirlo, perché Ulysses Redmond è, tra tutti quanti, il rompicapo che mi fa impazzire di più.

La risposta a tale dilemma, però, arriva proprio quando parcheggio davanti al cortile di casa. Scendo dalla mia macchina e nell'attimo stesso in cui vedo papà aprire il portone della villa, già in lacrime per quanto gli sono mancata, e correre verso di me, avverto la vibrazione del cellulare in tasca.

Lo sfilo sorpresa, un sorriso immenso mi sboccia sulle labbra prima che papà mi investa.

Non mi stupisce vedere che è di metallo, stavolta. È confortante realizzare che tu stessa sei consapevole del tuo animo da bestia. Per precauzione, comunque, King Kong come sei, lo metterò nella cassetta di sicurezza ogni volta che sei in casa.

Ulysses Redmond, persino per messaggio riesci a trasmettere il tuo veleno.











Nota autrice

L'avete notato, vero?

CRYSTAL BALLERINA!

Sì, volevo a tutti i costi citarla, perché mi mancano un casino Callisto e Jesse, non lo nego.

Per chi non lo sapesse, Crystal Ballerina è un cartone animato da me inventato di sana pianta e che è uno dei fulcri principali della mia altra storia Apologia di Callisto.

Se non sapete che leggervi in attesa di un nuovo capitolo di Ulyscemo e Ash, potete darle un'occhiata. È completa e benché MOLTO traumatica sotto certi aspetti, sotto altri fa sganasciare dalle risate.

Idem Ignobili affetti, storia che non è completa e ancora in aggiornamento ma che ha una FRACCA di capitoli e soprattutto...

Un bad boy (poi diventato Orange Boy) che paga amaramente le conseguenze delle sue azioni martellandosi ripetutamente le 🥥🥥

Tornando a Ulyscemo...

Posso dirvi solo una cosina cosuccia cosetta:

Il prossimo capitolo sarà MOLTO importante.

Ricordatevelo.

Questo capitolo lo volevo pubblicare da quando uno di voi lettori, infamissimo (ma ti lovvo), mi ha mandato sto post su Instagram:


Cioè, NON POTEVO non fare uscire il nuovo capitolo con un anniversario del genere, oggi, dai!

Ulyscemo, ti lovvo!

Fatemi sapere che ne pensate di questo, sciau!

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