Balena

Megan Johns, venticinque anni, è stata la mia prima, vera e sincera amica.

Pur essendo piuttosto alta per la media di noi ragazze, sfiorando il metro e settanta, pur possedendo deliziosi boccoli dorati per capelli, così incantevoli da farti dubitare esser naturali, due grandi occhi nocciola intensi e caldi, come di un bambino appena nato, dalle ciglia lunghissime, labbra carnose e il nasino all'insù, curve estremamente voluttuose, le persone, non appena la vedono, guardano subito la sua stazza.

Se chiedessi a Megan Johns di descriversi con una sola parola, la risposta istantanea che le uscirebbe dalle labbra sarebbe 119.

119 chili.

Di tanto in tanto la risposta cambia e invece che 119 diventa 117 o 109, a seconda delle varie diete che fa e del periodo che sta vivendo, certo però è che il numero sarà sempre la prima parola che le verrà in mente, ne modificherà solo il quantitativo.

Io, però, non ho conosciuto Megan Johns attraverso gli occhi e quindi mai mi è successo di associarla all'istante alla cifra sulla bilancia che per lei, purtroppo, corrisponde al suo disvalore nel mondo.

Megan Johns, infatti, non è un'obesa, bensì una persona, ed è proprio la persona che io conobbi, a diciannove anni.

Su Wattpad.

A discapito delle apparenze - a riprova di quanto poco funzionino nella realtà - io sono una gran romanticona. Non sarò smielata come papà e mamma, ma sono pur sempre loro figlia, ascoltare per anni la loro straordinaria storia d'amore mi ha indotta, sin dalla prima infanzia, a sognare di viverne una a mia volta.

Solo che, nella mia testa, io sarei stata il principe azzurro.

Proprio per questo motivo, a diciotto anni, poco dopo la fine de L'incubo, mi scaricai Wattpad nella speranza di potermi distrarre dalla tremenda agonia che ancora stavo vivendo, reclusa in casa e senza più coraggio dentro; tuttavia, nel giro di poche settimane mi ritrovai già sul punto di disinstallarlo. Le storie d'amore narrate lì, invece che farmi sognare come desideravo, aumentavano a dismisura l'odio per me stessa. Tutte le protagoniste erano simbolo indiscusso della donna e della femminilità che io non ero in grado di rappresentare: minute, aggraziate, delicate, timide e sempre a farsi salvare dal Toxic Boy di turno (dopo che questo le aveva bullizzate o molestate, ma tali dettagli le protagoniste se ne dimenticavano sempre, un'altra ragione per cui mi irritavano subito).

Nel leggere romanzi del genere la mia indole all'epoca autodistruttiva trovava nuove accuse da rivolgere a me stessa, metri di paragone con cui affossare ancora una volta la mia vita e la mia persona. Non fantasticavo, con loro, scorgevo solo i miei troppo.

Almeno fino a quando, proprio su Wattpad, non trovai un romanzo particolare.

Storia di una balena

Era una storia che tuttora presenta pochissime visualizzazioni, ma mi interessò all'istante per tanti motivi: il primo perché era ambientata nella mia città, il secondo perché aveva una scrittura straordinaria e priva quasi del tutto di errori grammaticali - cosa non così scontata nel mondo dell'editoria, figurarsi su Wattpad - e il terzo perché la protagonista era una ragazza terribilmente sovrappeso, alta un metro e ottantacinque e con un carattere che adoravo.

Era sfacciata, diretta, arrogante, non si lasciava mai mettere i piedi in testa da qualcuno, che fossero i suoi genitori o i suoi compagni di classe, se ne fregava di tutto e di tutti, odiava sé stessa per il suo aspetto, sì, ma disponeva ancora di abbastanza forza da impedire a qualcuno di usarlo come arma per ferirla. Invece che innamorarsi del Toxic Boy che la molestava, lo prendeva a calci sulle palle e alla fine, quando lui si dichiarava a lei, gli diceva chiaramente "Scusa, ma la mia vagina non merita stronzi" per poi mettersi insieme al Golden Boy che invece l'aveva sempre trattata coi guanti e apprezzata per quel che era, persino prima che perdesse tutti i suoi chili di troppo.

Capii che mi sarei innamorata all'istante della storia nell'attimo in cui, nel sesto capitolo, la protagonista, ritrovandosi davanti il Toxic Boy a petto nudo - colui che l'aveva maltrattata fino ad allora, colui che vedeva tutte le altre ragazze con cui era andato a letto come trofei, colui che l'aveva minacciata di farle violenza giustificando il tutto come uno "scherzo" - invece che dar vita a ottocento pagine in cui descriveva i suoi magnifici e sodi pettorali, prova palese che già si stesse innamorando, pensò all'istante "La merda può essere pure ricoperta di vernice dorata, ma resta merda."

L'autrice di quel romanzo purtroppo ancora sconosciuto su Wattpad si chiamava Megawhale.

Colei che in futuro avrei scoperto essere Megan Johns.

Le scrissi all'istante, folgorata, per spiegarle quanto mi emozionava aver trovato una storia come la sua. Da quel giorno in poi, non avremmo mai smesso di comunicare, arrivando a contattarci anche telefonicamente. Scoprii così che Megan abitava come me lì, motivo per cui aveva scelto di ambientare la sua storia nella nostra città, e che avevamo tantissime cose in comune con cui poterci sostenere l'un l'altra.

Megan Johns fu la prima persona esterna alla mia famiglia e al mio psicologo a cui parlai di quanto vissuto a causa de L'Incubo, fu la prima persona esterna alla mia famiglia che venne a scoprire che la famosa vittima di quell'atto abominevole di bullismo alla Strauss High School ero proprio io, fu la prima persona esterna alla mia famiglia che mi disse, chiaramente, "Non è colpa tua". A sua volta Megan mi parlò di sé, della sua obesità, anch'essa causa di isolamento forzato e prese in giro da parte dei suoi compagni di scuola, in passato, e della sua stessa madre.

Come me, Megan ha l'ovaio policistico, ma se con me la sindrome si è mostrata attraverso l'irsutismo dilagante e un'irregolarità profonda del ciclo, con Megan si è mostrata sin da subito ostacolandole il percorso di dimagrimento e anzi, peggiorando la sua situazione. Unendosi al suo ipotiroidismo e al suo DCA, nel giro di poco tempo l'ha fatta arrivare allo stadio ufficiale di obesità, alla giovane età di quindici anni.

Fu strano scoprirlo, il giorno in cui me lo disse. Quando il mio ginecologo mi aveva spiegato della sindrome di PCOS, mi aveva anche detto che le sue conseguenze cambiano da donna a donna, che spesso, in alcuni casi, la sindrome comporta un aumento notevole del peso, si aggrava proprio per tale aumento, ma al tempo stesso impedisce il dimagrimento.

«È un serpente che si morde la coda» mi aveva spiegato. «È uno dei fattori principali del sovrappeso e della difficoltà a dimagrire, ma il solo modo che finora si conosce per diminuirne gli effetti è proprio il dimagrimento. Lo so, è assurdo, ma è così, ciò, inoltre, è dovuto anche al fatto che i corpi femminili hanno iniziato a venir studiati molto più tardi rispetto ai corpi maschili. È il motivo per cui tante patologie di cui soffrono le donne tuttora non hanno una cura definitiva o addirittura alcuni pensano non esistano proprio, come l'endometriosi.»

Fisicamente io e Megan eravamo agli opposti, ma le nostre agonie e sofferenze erano uguali: eravamo troppo in un mondo che pretendeva il giusto, io col mio aspetto androgino e lei con la sua obesità. Venivamo con costanza giudicate e umiliate affinché tagliassimo le nostre parti in eccesso, affinché fossimo di meno per non dar fastidio agli altri, occupare spazio nelle loro menti fissate con uno schema immortale che in alcun modo avrebbe dovuto esser distrutto dalle nostre presenze.

Lei era quella a cui scrivevo, nel cuore della notte, dopo essermi ripresa da un attacco di panico o un incubo orrendo in cui avevo ricordato quanto subìto durante il liceo. Io ero quella a cui lei scriveva all'alba, dopo esser stata scoperta da sua madre ad aprire il frigo a cui quella stronza aveva apposto in segreto un sistema d'allarme, proprio per smascherare la figlia nell'eventualità che non rispettasse una delle mille diete dittatoriali che le imponeva con frequenza.

Lei era quella che chiamavo al ritorno a casa, dopo aver provato a uscire fuori dal mio rifugio sicuro di villa Ellis ed essermi ritrovata a tremare al pensiero di esser giudicata o insultata dai passanti, io ero quella che lei chiamava tra i singhiozzi ogni volta che aveva una litigata furiosa in cui sua madre, per l'ennesima volta, le ricordava che c'era un motivo se al liceo tutti la chiamavano Balena.

Perché io ero Orso per il pelo, Megan era Balena per il peso, questa erano le nostre verità assolute.

Era strano e al tempo stesso confortante riuscire a consolarci in quel modo. Non sempre chi è sfigurato dalle stesse cicatrici riesce a scorgersi nell'altro, al contrario c'è la tendenza immutata a crollare e annegare insieme nell'oceano di dolore che accomuna entrambe le parti, ma non fu questo il caso per me e Meg.

Non ci salvammo a vicenda, ma ci consolammo. Non ci sacrificammo l'una per l'altra, ma ci sostenemmo per mano. Non affogammo a furia di trascinarci giù, ma imparammo insieme a galleggiare. Non eravamo che sconosciute, a conti fatti, ma nella marea di persone che ci avevano circondato per anni e che conoscevamo eccome, fu proprio nella nostra estraneità che ritrovammo empatia.

Megan scoprì in me un'amica disposta ad ascoltare i suoi aspetti secondo lei più abominevoli: l'odio profondo per il cibo, la follia di dover ingurgitare tutto insieme, nei momenti di crisi, la sofferenza di passare ore e ore ad allenarsi in casa, riempiendosi la pianta dei piedi di vesciche sanguinanti, ma ritrovare lo stesso numero sulla bilancia ogni volta. Io scoprii in Megan la mia prima cheerleader, un'amica che se ne fregava alla grande di ciò che avevo tra le gambe o dei miei cromosomi, la prima persona che quando le dissi "Sono una ragazza" per telefono, con la mia voce maschile e cavernosa, non dubitò di me neanche un istante, nemmeno dopo aver visto le mie foto.

Anche così, però, la nostra amicizia rimase telematica per tantissimi anni. Né io né Megan ce la sentivamo di fare il passo successivo e incontrarci di persona, nonostante ne avessimo la possibilità. Dopo l'esplosione dell'Incubo, per me era già una difficoltà estrema uscire di casa con la mia famiglia per raggiungere l'appartamento di nonna Titti, non ero nelle condizioni mentali di vedere nessuno; al tempo stesso Megan stava vivendo un atroce periodo a causa di sua madre. L'aveva manipolata con forza affinché rinunciasse al suo desiderio di iscriversi subito all'università per poter iniziare un percorso di disintossicazione dal cibo - così lo chiamava quella lurida bastarda - in un centro medico e privato, specializzato proprio per casi come i suoi. Un centro dalla natura dubbia, visto che estremamente criticato da moltissimi medici, e che infatti, nel giro di un paio d'anni, portò a un aggravamento delle condizioni di Megan.

Le sue condizioni mentali.

Perse circa settanta dei suoi - all'epoca - centotrenta chili, ma soprattutto perse sé stessa. La sua parlantina, la passione per i gossip, la voglia di leggere, scrivere, amoreggiare per i romance, le battute e risatine. Non era più obesa, ma non era più neanche Megan. Quando ci sentivamo per telefono, il suo tono era sempre freddo e distaccato, come se tutto ciò che le veniva detto, tutto ciò che provava e sentiva, le scivolasse addosso. Come se il mondo, la gente, le emozioni fossero ruscelli dilaganti ma la sua anima, ormai, idrofoba, era incapace di assorbirli. Al telefono a volte temevo di star comunicando con un fantasma, le sue risposte non coincidevano mai alle domande che facevo, le sue domande non coincidevano mai ai miei racconti. Erano tardive, tiravano fuori argomenti che erano stati citati ben prima, quasi solo in quel momento fosse stata in grado di digerirli e comprenderli appieno.

Era lì, ma non c'era davvero, era sana ma non era Megan.

Tuttora, Meg preferisce non parlare di quel periodo. Non mi ha mai voluto spiegare nel dettaglio cosa fosse costretta a fare in quel centro - cosa le dicessero - e cosa fosse obbligata a sentirsi dire da sua madre, ma posso immaginarlo da sola. Una perdita profonda di peso, accompagnata da uno stato depressivo così improvviso, è sufficiente per farmi intuire che la famosa disintossicazione dal cibo tutto è stata tranne che salutare e corretta.

La sola a capirlo, però, fui io.

Perché una volta dimagrita così tanto, a quasi tre anni dall'esplosione dell'Incubo, dopo averla di nuovo sentita per telefono in quello stato, in me preponderò il desiderio assoluto di far qualcosa, qualunque cosa, pur di poterla sostenere davvero, stavolta con molto più che delle parole telematiche. Megan ripeteva sempre di star bene, ma era una menzogna palese anche attraverso le nostre chiamate, e così, dopo molte sedute col dottor Travis, con quella volontà viscerale di poter esser forte abbastanza da poter stare accanto alla mia prima, vera e sincera amica, trovai il coraggio di chiederle di incontrarci di persona.

E lei trovò il coraggio di accettare.

Vederla non mi portò alcuna gioia; nonostante fosse palesemente dimagrita rispetto alle foto che mi aveva mostrato, nonostante fosse magra come tutti pretendevano, così tanto da aver reso sua madre orgogliosa di lei come mai lo era stata fino a quel momento, nonostante fosse in salute come quella stronza desiderava, Megan non era felice per niente.

Era il nostro primo incontro dal vivo, avremmo dovuto sprizzare entrambe di felicità nel poterci vedere così, eppure nessuna delle due ci riuscì. Al bar in cui ci incontrammo, scorsi subito l'immensa paura che la attraversò nel momento in cui ordinai una cheesecake alle fragole e lei una semplice spremuta d'arancia, quell'ossessione di non dover mangiare che andava contro al bisogno altrettanto forte di nutrirsi.

Le diedi così il mio regalo, preparato apposta per quell'evento: un bracciale dalla catenina dorata con un grande cuore rosso al centro, un rubino finto. Un rimando a Storia di una balena, alla frase più bella detta dalla protagonista:

"Sarò sovrappeso, sarò grassa, schifosa, gigante, lardo e strutto come dite tutti quanti, sarò balena come affermate, ma il mio cuore batte come il vostro, il mio cuore è rosso come il vostro, il mio cuore pompa sangue come il vostro, il mio cuore è vivo come il vostro. La sola differenza è che il mio sa ancora amare, il vostro soltanto odiare. Cos'è meglio, allora, il cuore immenso di una balena immensa che dona amore immenso o il cuore piccolo, viscido e schifoso di un bell'uomo che produce solo cancro e giudizio? Se è così, allora, se per smettere di essere odiata devo essere piccola anche dentro, odiare a mia volta, mi scelgo immensa, mi scelgo balena."

Lo stesso bracciale che anche ora Meg non si toglie mai dal polso destro, lo stesso che, non appena lo vide, scoperchiando il suo cofanetto, la fece scoppiare in un mare di lacrime e così trovare la prima forma di sollievo da quella perfezione che aveva raggiunto solo agli occhi degli altri, ma non ai suoi.

Da lì, cominciammo a vederci sempre con più frequenza. Meg riuscì a mandare a quel paese sua madre e non frequentare più quel centro abominevole e pur riprendendo gran parte dei chili che aveva perso, ritrovò il sorriso, merito soprattutto dello psicologo che iniziò a frequentare a sua volta. Puntò i piedi per riuscire a iscriversi come desiderava alla Margory University, a ventun anni, tirando fuori con sua madre - su mio suggerimento - la carta infame di contattare il padre in Montana per poter ottenere i soldi necessari per andarci. Poiché per quella stronza non esiste cosa più abominevole dell'ex marito, alla fine, dopo mesi interi di discussione, accettò.

Di per sé, da quanto Megan mi ha detto, sua madre non era contraria all'idea che la figlia andasse all'università, pretendeva però lo facesse solo dopo esser diventata normopeso. A suo dire perché non voleva che la figlia subisse altri atti di derisione come al liceo, dal mio punto di vista, invece, è perché è una pezza di merda infame e ossessionata con Megan, che si finge sua salvatrice per sentirsi superiore, umiliandola costantemente per la sua condizione. Una viscida bastarda che vuole continuare a tenersi vicina la figlia proprio per non perdere il "piedistallo" con cui ergersi al mondo.

Sotto certi aspetti, rispetto al periodo in cui andava in quel discutibile centro medico privato dalla dubbia affidabilità, Megan sta certamente meglio. Molti direbbero che non è affatto così, visto che non è più normopeso come allora e anzi è rientrata di nuovo nell'obesità, ma io non concordo. Si tende a pensare che corpo e mente siano completamente staccati tra di loro, due entità a sé stanti che convivono nello stesso fisico, è uno dei tremendi motivi per cui gran parte delle persone è convinta che l'obesità sia un semplice mangiare troppo ed essere estremamente pigri, nonostante i milioni di studi al riguardo che hanno dimostrato essere invece una malattia multifattoriale.

Ma non è così.

Corpo e mente sono due facce della stessa medaglia, il loro è un legame viscerale, oserei dire primitivo, in cui entrambi si contagiano a vicenda senza alcun tipo di freno: se si ammala uno, in automatico si ammala anche l'altro, non c'è modo per recidere la parte marcia così che non intacchi la parte sana, in qualche modo quest'ultima verrà per forza contaminata. Quando penso al loro rapporto unico e singolare a seconda della persona, lo scorgo come un unico, grande e rigoglioso torrente: se inquinato da sostanze tossiche, non ci sarà una sola particella d'acqua che rimarrà intatta. Ma poiché al mondo esistono ancora persone che negano l'esistenza dei cambiamenti climatici, non c'è da sorprendersi se ci sono anche quelle che ripudiano tale vincolo estremo tra fisico e mente.

Non sono così ipocrita da dire che non voglio che Megan perda peso, ma senz'altro la preferisco com'è ora a com'era a quei tempi. Il mio desiderio non è di vederla magra e bella, il mio desiderio è di vederla felice e sana, perché solo così sarà davvero in salute.

Al momento, però, devo accantonare tale desiderio, perché c'è un'altra cosa di Megan Johns che la gente non sa su di lei, presa com'è a condannarla per il suo aspetto.

Ha la cotta facilissima.

E soprattutto, ha una sola regola di vita per le sue cotte: adorarle e venerarle da lontano come se fossero delle superstar irraggiungibili.

A dimostrarlo è il modo in cui sta andando in panico davanti a me, dopo avermi letteralmente rapita per portarmi nel bagno del piano terra, strappandomi via da Ulyscemo e Sebastian, e il modo in cui sta andando in panico davanti ai miei occhi.

«Lo sapevo che tuo fratello era figo» mi sta dicendo dentro la cabina in cui mi ha rinchiusa, seduta sulla tazza del water, le mani sulle guance a pagnotta già accaldate, «voglio dire, si capiva dalle foto che ho visto, ma le foto non rendono minimamente! Hai visto che muscoli? E che petto! E poi ha la barba così curata! E i capelli lunghi legati! Lo sai che adoro i capelli lunghi sugli uomini! Oh, e quel tatuaggio! Quel tatuaggio meraviglioso! Perché non mi hai mai detto che ha il tatuaggio di una cyclosa insulana sul bicipite, Ash?! Perché? Almeno mi sarei potuta preparare mentalmente prima! Mi avevi detto che aveva la fissa per i ragni anche lui, ma non pensavo fino a questo punto! Dalle foto non l'avevo visto! Vero che in tutte le foto è praticamente a petto nudo quindi mi sono concentrata su quello, però diavolo! Perché non mi avevi avvertita, Ash? Perché non mi avevi detto che lui è proprio il mio tipo?! Non si fa così! Sei una vergogna di amica!»

Difficile per me trovare una risposta adatta. Sì, sapevo che il suo tipo di bad boy preferito nei romance è l'uomo delle caverne un po' tontolotto, dal fisico esplosivo, capace di issarsi sulle spalle qualunque cosa, non importa quanto pesi, certo però non pensavo che tale gusto per i libri si riflettesse anche nella vita reale e men che meno col mio stesso fratello. Nei romanzi rosa, il mio tipo preferito è sempre stato il protagonista un po' infame, quello che non è né una red flag né una green flag, che è sì malefico nei suoi piani di corteggiamento, ma al tempo stesso rispetta sempre la volontà della protagonista (Meg ha definito tali personaggi Orange Boys), ciò però non si rispecchia affatto nei miei gusti reali, visto che sono sempre andata dietro ai ragazzi un po' timidi e impacciati.

Suppongo sia dovuto anche al fatto che a mia volta, se necessario, sono un po' Orange Girl.

«Meg-»

«Cosa devo fare? Mi sono messa a sparlare a caso sui ragni all'improvviso! Avrà pensato senz'altro che ci stavo provando con lui! Oddio, che vergogna! No, no, no!» Scuote la testa con furia, quasi temo che trasformi il cervello in una poltiglia cremosa nella scatola cranica, tant'è violenta. «Ok, la prima cosa che farò sarà specificare che era solo un argomento di conversazione, solo e soltanto un argomento di conversazione, così non penserà male di me.»

«Mega-»

Solleva la mano per bloccarmi, mostrandomi il palmo e le dita chiuse. «Sta' tranquilla, Ash» mi garantisce con voce così sicura e decisa da spaventarmi, «conosco la regola: mai provarci con i fratelli delle tue amiche, men che meno le migliori amiche. Non che io ci abbia mai provato con qualche ragazzo, chiaro, ma puoi star sicura che non ci proverò mai e poi mai con tuo fratello. Giuro che non gli sbaverò dietro.» Tre secondi di silenzio. «O meglio, gli sbaverò dietro, ma da lontano, lontanissimo, lontanissimissimo, lo prometto. Quando lui non mi guarderà, ovviamente. Modestie a parte, sono egregia a non farmi sgamare, sul serio. Nessuno dei ragazzi per cui amoreggiavo in passato ha mai scoperto nulla. Per me lui sarà come James Dean era alle sue fan: inavvicinabile.»

«Ti prego, Meg, James Dean è morto giovanissimo.»

«Allora come Matt Damon.»

«Matt Damon si è sposato con una tizia che ha incontrato a caso in un bar.»

«Cerca di venirmi incontro, andiamo! Questa cosa potrebbe rovinare per sempre la nostra amicizia, te ne rendi conto?»

«Impossibile: il mono neurone è troppo mono neurone per possedere tutto questo potere.»

Lei non sembra affatto convinta, d'altro canto non ha ancora avuto modo di capire quanto è mono neurone Sebastian, benché già lo sappia dai miei racconti. Tuttavia, un conto sono le mie storie, un conto è vederlo dal vivo. Sospiro, posando la schiena contro la porta chiusa della cabina del bagno. Non oso neanche immaginare cosa stiano pensando le ragazze fuori che potrebbero sentirci.

«Meg, devi ricordarti sempre questa cosa: Sebastian ha un solo e unico neurone. Lo amiamo profondamente per questo, perciò, se dovesse dirti qualcosa di...» mi fermo per soppesare la parola adatta al contesto, «particolare, non darci troppo peso, ok? Il motivo per cui ti ho suggerito di incontrarlo è perché lui, strano a dirsi ma è così, è un vero e proprio genio della palestra. Non esiste una macchina e un allenamento che non conosca, sa riconoscere subito quando stai facendo male un esercizio, all'istante, e sa guidarti a dovere per correggere l'errore. Tuttavia, è lo stesso mono neurone che è convinto che il body count sia il numero delle vittime di un assassino e lo stesso che a stento si accorgerebbe se io mi facessi i capelli arcobaleno, perciò prendi tutto quello che ti dice al di fuori degli allenamenti per quello che è: il suo unico neurone. Se per caso dovesse dire o fare qualcosa di... particolare che ti infastidirà, chiamami così lo abbatto all'istante con un german suplex

Si acciglia. «Non sei un po' troppo crudele nei confronti di tuo fratello?»

Buon Dio, lo sta già difendendo, mi sto seriamente preoccupando.

«Io lo conosco da ventisei anni, credimi, non è crudeltà, è pura descrizione dei fatti. Lo amo alla follia anche perché è così.»

Lei ci riflette su per qualche secondo, storcendo le labbra, le guance ancora arrossate per il delirio. «Comunque puoi star tranquilla» ripete, «non ci proverò mai con tuo fratello, non corri rischi.»

Non ho il coraggio di dirle che a correre rischi non sono io, è proprio lei, visto che Sebastian probabilmente farà partire la marcia nuziale nella sua testa, non appena lo raggiungeremo e la rivedrà.

In verità, glielo direi anche, il problema è che non mi crederebbe mai. Posso già immaginare che direzione prenderebbe la conversazione:

Comunque Seb ha detto che ti ama e fidati, è serio.

Ma se ci siamo a stento presentati.

Sì, ma gli si è rizzato dopo che ha visto i tuoi orecchini e tu hai fatto i complimenti al suo tatuaggio, e lui capisce che una ragazza gli piace quando gli si rizza.

Smettila di prendermi per il culo.

Giuro, è così che funziona per lui.

Sarà pure mono neurone come dici, ma non fino a questo punto, e poi a nessuno gli si rizzerebbe mai così in fretta per un'obesa come me.

Credo non abbia nemmeno notato la tua obesità, Meg.

Basta con le battute, ora, Ash.

No, davvero, una volta Reid, a diciassette anni, si è messo le tette finte per vedere se Seb se ne sarebbe accorto, prima o poi, e indovina un po'? Non se n'è accorto mai. Per una settimana intera. Ed erano una quinta di tette finte.

«Oddio» l'imprecazione di Meg, espirata con uno squittio, mi ridesta dalla mia immaginazione, torno a guardarla: si sta coprendo l'intero viso con le mani, in preda a un altro momento di panico. «Non posso, non ce la faccio. Mi vedrà sudare, faticare, disperare... Gli sembrerò senz'altro patetica.»

«Impossibile, Sebastian praticamente vive in palestra, è la sua terza casa dopo la villa di famiglia e il suo monolocale, e ti ricordo che è un lottatore di MMA, ha visto ben peggio di una ragazza che suda per degli allenamenti.»

«Sì, ma io sono una balena che sud-AHIA, ASH!» Si strofina il capo sul punto in cui l'ho colpita con la mano. «Ok, va bene, niente più citazioni a balene, però... No, non ce la faccio!» Torna a coprirsi il volto. «Morirò prima per la vergogna, santo cielo! Senti, io torno ai dormitori. Di' a Sebastian che ho avuto un'urgenza, così-»

«Meg, persino un mono neurone come lui capirebbe che è una scusa.»

«Una colica renale.»

«Dubito sappia cos'è una colica renale.»

«Il ciclo?»

«Ecco, questo potrebbe funzionare, ma ti avviso che Seb è molto accorto con le donne per quanto riguarda il ciclo. Quando da piccoli mamma e papà ci spiegarono cos'era, Seb rimase particolarmente traumatizzato al pensiero che noi donne sanguiniamo da quella zona per giorni interi e spesso con grandi dolori. Da allora, si è imposto l'obbligo morale di assicurarsi sempre se una donna che lo sta avendo sta bene e se ha bisogno di qualcosa come una medicina, una borsa d'acqua calda o anche solo un po' di cibo.»

Evito di riferirle la parte in cui, davanti alla spiegazione dei nostri genitori, Seb, all'epoca undicenne, guardò mamma stupefatto per poi esclamare: Ma quindi voi donne siete delle eroine! Io piuttosto che perdere sangue dal pisello per una settimana preferisco tagliarmelo direttamente!

«Dio, no, ti prego!» squittisce disperata, tornando a scuotere la testa. «Che vergogna, penserà di star avendo a che fare con una balena fuori dall'oceano.»

«Continua a insultarti così e al massimo Seb penserà di star avendo a che fare con un cadavere.»

«Andiamo!»

Sospiro ancora, mi inginocchio davanti a lei di modo che le nostre teste siano allo stesso livello e possa guardarmi bene in viso. «Se non te la senti più, non ci sono problemi» la rassicuro con voce ferma. «Troverò io la scusa da usare con Seb, non voglio che tu ti costringa a fare qualcosa per cui senti di non essere pronta.»

Lei mi fissa per un minuto intero senza dire niente, il viso ancora rosso per l'imbarazzo e la vergogna. «Mi prometti» domanda alla fine, «che se tuo fratello dovesse infastidirsi a causa mia, tu me lo dirai subito?»

Sospiro. Quanto vorrei poterle dire che in questo momento Sebastian quasi di sicuro sta già scegliendo i nomi dei loro sette figli, se solo mi credesse...

«Meg, hai presente l'unica regola che ti ho imposto per la nostra amicizia?»

«Intendi, puoi parlare di ragni con me solo due volte al giorno? Quella crudele, spietata e sadica regola?»

«Esatto, proprio quella. Con Seb cancellala. Anzi, parla quanto vuoi di ragni. Di ogni specie esistente. Non lo annoierai, credimi, e sicuro non correrai mai il rischio che lui ti consideri fastidiosa.»

Gli occhi nocciola di lei si illuminano emozionati, proprio come quelli di Seb quando finalmente qualcuno gli concede tale permesso. Forse sono davvero anime gemelle come sostiene il mono neurone.

«Lui ha mai visto il film La tela di Carlotta

«Certo che sì, se c'è un ragno, sicuro l'ha visto.»

Rizza in piedi in un attimo, emozionata al massimo. «Era il mio film preferito da bambina, anche il libro! Carlotta era una ragna così saggia! Avrei tanto voluto chiamarmi anche io Carlotta, altroché Megan!» Si blocca di nuovo, si fissa la tuta che indossa, nera e fin troppo larga per le attività fisiche che dovrà svolgere. I pantaloni le strisciano sui piedi, non importa quanto cerchi di arrotolarli, ma so che al momento non è ancora pronta a indossare tute più aderenti e adatte, si vergognerebbe a morte.

Il problema è che dubito che il mono neurone, notando la cosa, capirà anche questo problema.

«Giuramelo, Ash» tuona all'improvviso, guardandomi dritta negli occhi. «Giurami che se tuo fratello mi troverà irritante, tu me lo dirai subito

Incrocio le braccia al petto, attraversata da un altro sospiro. Non importa quanto le dirò che una cosa del genere non accadrà mai, è incapace di credermi. Sarebbe come chiedere a Ulyscemo di pranzare senza sottobicchieri.

«Te lo giuro.»

Seb, mi dispiace.

Soffrirai un casino.

Riposa in pace, te e il tuo unico neurone.

«Comunque, prima di entrare ti ho vista mentre battibeccavi con Ulysses.»

«È meraviglioso quando fa la diva dalla lingua velenosa, vero?»

«È fantastico guardarvi litigare, si vede che entrambi vi divertite un mondo, anche lui.»

«Soprattutto lui, ma permaloso com'è si rifiuta di ammetterlo.»

«Mi avevi detto che era completamente diverso da com'è all'università, ma non mi aspettavo fino a questo punto. E si ricordava persino come mi chiamo! È vero che abbiamo frequentato molti corsi uguali, ma insieme a un casino di altri studenti e mai ci siamo messi a parlare sul serio tra noi due. La sua memoria mi spaventa, non lo nego.»

«Sospetto che come io l'ho osservato nel corso dei mesi, facendo le mie ricerche, così lui ha osservato me e si è fatto ricerche a sua volta. Ma di nuovo, è troppo permaloso, non lo ammetterà mai.»

«Sbaglio o il tuo tono si sta facendo di vanto, Ash?»

«Non nego che La Diva Ulysses ha conquistato un pezzo del mio cuore. Sogno il giorno in cui potrò clonarlo in versione tascabile per portarmelo in giro sulla spalla e ascoltare le sue battute piccate sempre e comunque.»

«Ehhh... Interessante. Di solito i tipi che ti piacciono sono sempre i timidi e impacciati, hai proprio un fetish per loro.»

«Non è fetish, i timidi e impacciati sono i migliori, soprattutto quando sviluppano con te abbastanza intimità da tirar fuori e scatenare i loro desideri più profondi sotto le lenzuola. Ciò però non vuol dire che non posso apprezzare anche altri tipi. Non si smette mai di scoprire sé stessi, diceva sempre il dottor Travis, e io ho da poco scoperto di avere un debole per gli aristocratici di Versailles.» Mi blocco per un secondo. «Certo, sempre che Seb e il suo neurone non abbiano combinato danni mentre eravamo assenti.»

Il mio timore si rivela piuttosto fondato, a dirla tutta, non appena accediamo al primo piano della Sport Zone Academy. Tale piano è dedicato interamente alla sala pesi nella zona sinistra e al tennis alla zona destra, dove si trovano il campo che ho noleggiato per me e Ulyscemo. La divisione delle due zone è tanto netta quanto sfumata, poiché i colori del pavimento in gomma mutano con tonalità a malapena percepibili all'occhio nudo: nella zona pesi sono un grigio perla, nella zona tennis sono invece un grigio fumo. La prima è la più affollata, ovviamente, con i vari iscritti che già si stanno allenando ai vari attrezzi accatastati lungo le pareti e messi in fila indiana all'interno dello spazio adibito; la seconda, invece, poiché noleggiata da me, è completamente vuota. Il campo da tennis è recintato per isolare i futuri giocatori ed impedire alla palla di volare fuori e dar fastidio al mondo del fitness là accanto. Solo a vederlo, con i suoi colori forti e accesi, il pavimento di un blu intenso delineato dalle linee bianco latte, in attesa di essere usato da me, sento il cuore sussultare per la frenesia.

È da parecchi mesi che non gioco a tennis, tra tutti gli sport al di fuori di quelli del combattimento è uno dei miei preferiti, e Megan mi ha detto che Ulyscemo è un vero e proprio prodigio in tale ambito. L'idea di poterlo sfidare mi fa venir voglia di saltellare sul posto. Non nego che ho alte aspettative per questa partita.

Ma come per i miei desideri per Meg, è meglio che riponga tali aspettative da parte, perché Ulyscemo e Sebastian, fermi ad aspettarci poco dopo la porta d'ingresso, stanno dando vita a quella che per Ulyscemo è senz'altro un'altra follia della mia famiglia, per me la quotidianità del mono neurone.

Una gag comica.

Da un lato Sebastian, uomo delle caverne alto un metro e ottantaquattro, un concentrato di muscoli esplosivi, la barba a levigargli la mascella squadrata, i capelli lunghi legati in una coda bassa, le braccia dal diametro quasi uguale a quello delle cosce. Dall'altro invece Ulyscemo, proporzione perfetta di virilità, allenamento e fascino, un principe azzurro a prima vista con i suoi capelli biondo miele e gli occhi grigi, il fisico armonioso tanto nei muscoli quanto nell'eleganza, senza mai sfondare nell'eccesso.

«Se adesso tu mi dicessi che il cielo è verde, lo sapresti che è una bugia, vero?»

Ulysses guarda Seb con occhi allucinati, stavolta, tuttavia, non posso dargli torto, soprattutto perché Seb lo sta fissando con una serietà mostruosa, ha davvero preso a cuore l'obiettivo di capire com'è possibile che una persona menta non sapendo di mentire. Mi sto quasi commuovendo, di rado Sebastian si spinge a tanto per poter comprendere qualcosa che gli è del tutto inconcepibile, la maggior parte delle volte ci rinuncia con la frase "Vabbè, sono cazzi loro" e torna ai suoi amati ragni.

«Dico sul serio» prosegue il mono neurone, la voce sempre più severa. «Prova a dire "Il cielo è verde".»

Veleno puro inonda gli occhi grigi di Ulyscemo. «Quale demone infernale ha preso possesso della tua anima?»

«Giuro, sto solo cercando di capire, nessuna offesa. Tu sai cos'è una menzogna, non è così?»

«Certo che sì, ho la più grande mai concepita al mondo proprio davanti a me: un cervello bucato che si finge un essere umano.»

Seb aggrotta la fronte. «I cervelli non possono essere bucati, altrimenti la persona morirebbe.»

Non se scoppiare a ridere o piangere per l'idiozia di mio fratello, non lo nego. Almeno, però, questo può aiutare anche Meg a capirlo, dato che sta ridendo sotto i baffi davanti alla sitcom che abbiamo davanti; può persino esserle d'aiuto per superare il suo disagio: già si è nascosta in parte dietro di me, non appena ha scorto Sebastian.

«Mi correggo, non è nemmeno un cervello, è uno scolapasta che per ragioni ancora ignote ha occupato il vuoto cosmico nel tuo cranio.»

Non pensavo Ulyscemo avrebbe liberato la Diva che è in lui così in fretta, senza ricorrere subito al filtro del gentleman professionale a cui si appiglia ogni giorno all'università, mi domando se è perché Sebastian è mio fratello - e quindi sospetta già che sia a conoscenza del suo vero carattere - o se il solo neurone del granchietto di famiglia lo induce per istinto a rivelarsi per com'è veramente.

Quel che però è certo è che non si aspettava la risposta di Sebastian davanti ai suoi insulti palesi. Non appena realizza che il famoso scolapasta è proprio il suo cervello, Seb scoppia in una fragorosa risata, tappandosi addirittura la bocca per trattenersi. «Adesso capisco che intendeva Ash, i tuoi insulti sono fantastici.» Ulysses non è neanche capace di celare lo stupore davanti all'evidente gongolamento di Seb. «Nonna Titti ti amerebbe alla follia

«L'amore da parte di un membro della vostra famiglia equivale a un destino persino più tragico di quello di Anna Bolena quando ha attirato le attenzioni di Enrico VIII, me lo risparmio volentieri.»

Dai cocchieri è passato ad Anna Bolena e la sua testa decapitata, non c'è da stupirsi se si comporta come un aristocratico, la sua mente probabile rimpiange quei tempi (e le loro condanne a morte).

«Anna Polenta

Sono addirittura emozionata di scoprire che Seb si sta sforzando così tanto per comprendere Ulyscemo, specie perché Storia era la materia in cui faceva più schifo, a scuola.

Ulysses assottiglia lo sguardo. «Di un po', come diavolo hai fatto tu ad ottenere il diploma?»

«Studiando.»

«È proprio questo che non concepisco: che tu abbia le capacità di studiare.»

Il sorriso di Seb s'ingigantisce. «Nonna Titti disse la stessa cosa, il giorno del mio diploma.»

«Allora qualcuno di sano esiste nella vostra famiglia.»

«Nonna Titti è il guru della famiglia» intervengo, raggiungendoli a passo svelto. Sento Meg subito approfittare della mia statura da gigante per nascondersi meglio dietro di me, nonostante a sua volta stia sghignazzando per il siparietto comico che Sebastian e Ulysses hanno creato insieme. Entrambi mi guardano, uno col suo sorriso da classico coglione qual è, l'altro con il disgusto da classico nobile aristocratico qual è. «Ma io non mi affiderei troppo a lei, fossi in te, Ulysses Redmond. È la stessa che sostiene che le trappole mortali nelle piramidi in realtà erano solo allenamenti estremi per gli sportivi, come scusa per convincere mamma e papà a regalarle un biglietto per l'Egitto.»

Sebastian annuisce con vigore. «La leggenda narra che quando una vipera la morse, fu la vipera a morire, mentre lei ne uscì del tutto indenne.»

«Quella non è una leggenda, Seb, è successo davvero.»

Ulysses mi fulmina con gli occhi. «Chiederò un ricovero immediato per tutta la tua famiglia.»

«Hai poco da parlare, il tuo sangue è composto al 50% di cicuta e l'altro 50% di arsenico. Se una vipera ti mordesse, non solo morirebbe lei, ma prenderebbe direttamente fuoco.»

«E il tuo è 100% glitter rosa di Barbie, almeno il mio mi sarà utile a tutelarmi, i tuoi glitter, invece, solo ad abbellire i cadaveri che ti lasci alle spalle e a provocarti un colesterolo brillantinoso con cui ti farà scoppiare il cuore, si spera in maniera fatale.»

Sebastian sghignazza di nuovo. «Mi piace lui» commenta, rivolto a me. Ulysses, al suo fianco, sussulta, lo guarda con palese stupore, ma Seb, mono neurone com'è, a stento se ne accorge. «Ancora non capisco un cazzo di quel che pensa, però mi piace, quindi è tutto risolto.»

«Ti ringrazio, ma non mi fido di una persona che stabilisce se un'altra le piace a sentimento

Seb corruccia la fronte, mentre lo osserva. «E su cos'altro bisognerebbe stabilirlo? Se una cosa o persona ti piace, ti piace e fine. Mica bisogna starci sopra ad arrovellarcisi, altrimenti poi non capisci più niente. Se ti rende felice, tanto basta, no?»

Sono quasi sul punto di abbracciarlo per quanto lo sto adorando in questo momento, quando finalmente si accorge di Meg che è nascosta, tuttora, alle mie spalle. Le sue sopracciglia si aggrottano confuse.

«Meg» la chiamo e subito la sento sussultare, smarrendo i suoi sghignazzi. Dopo qualche secondo di esitazione, trova finalmente il coraggio di mostrarsi e uscire dal mio corpo-scudo, mettendosi al mio fianco. Non appena lo fa, gli occhi di Seb tornano a brillare come stelle di Natale, fissi sugli orecchini che lei indossa. «Seb» lo richiamo. «Ti ricordi quanto ti ho detto l'altro giorno, vero?»

Lui mi fissa con aria torva. «Certo che sì.»

«Bene, rispetta la promessa.»

Storce un po' le labbra, prima di tornare a guardare Megan. «Ash mi ha detto che hai bisogno di una mano per allenarti.»

Lei sussulta, già rossa ovunque in viso, posa lo sguardo sulla punta consumata delle sue scarpe da ginnastica. «Sì, ecco...» balbetta. Di rado mi è capitato di vederla in modalità timida - la maggior parte delle volte è sempre in modalità gossip - e mi si stringe il cuore nello scorgerla in questo stato. «Vorrei provare... ad allenarmi un po', ma diciamo che... non sono molto efferata in ambito sportivo. Pensavo di farmi un'oretta di corsa, così-»

«Mettersi a correre subito se non si è abituati è una pessima idea, si deve sempre iniziare pian piano, altrimenti ci si fa solo male, e bisogna evitare di concentrarsi su un unico tipo di attività, per assicurarsi che nessun muscolo venga trascurato. Se il tuo è un allenamento finalizzato alla perdita di peso, la corsa è sì utile, ma non conviene che ti fossilizzi solo su quella: oltre che stancarti, ti annoierebbe tantissimo, dopo un po' arriveresti addirittura ad odiarla. Per questo è sempre conveniente variare ogni giorno.»

Scoppierei quasi a ridere davanti allo sguardo sconvolto di Ulysses nel sentire parlare Seb così. Per quanto mono neurone, in ambito sportivo ha un ottimo fiuto, il mio fratellone. Megan, più che sorpresa, è molto imbarazzata e confusa. «Beh, comunque... Dato che mi dovrò allenare a lungo... è normale che un po' mi ritroverò ad odiare quell'allenamento.»

«Per niente. Che senso ha fare qualcosa che si odia ed è faticosa? Le cose faticose le si fanno solo se ci si diverte e ti piacciono. Anche perché, se poi arrivi ad odiarle, non ti va neanche più di farle, quindi ci rimetti e basta. Costringersi a fare qualcosa che detestiamo porta solo a svantaggi e ti induce a detestare tutto ciò che la riguarda» Sono così fiera di lui che sto per abbracciarlo, ma purtroppo il mono neurone si preoccupa subito di aggiungere una delle sue perle da coglione assoluto: «Mi è successo quando ho provato a capire ad ogni costo la trama di Evangelion, adesso ho gli incubi non appena vedo un paio di occhiali da sole come quelli del papà strano del protagonista depresso.»

Megan ridacchia, però, davanti a tale perla, un buon segno, suppongo, il problema è che il mono neurone, proprio adesso, si accorge della tuta che indossa e di come i pantaloni le striscino sul pavimento. Il panico mi assale all'istante, non appena vedo le sue labbra aprirsi di nuovo: «La prossima volta ti suggerisco di indossare qualcosa di più aderente, così potrai star più comoda.»

Temo che il momento del german suplex ai suoi danni si sta facendo più vicino. Megan avvampa in maniera plateale, rendendolo ancor più confuso. «Ecco... sto bene... sto bene con questa tuta...»

Lo sguardo di Seb si acciglia. «Ma i pantaloni ti arrivano a terra.»

«Sono comodi, davvero.»

«Come fa qualcosa che ti sta largo in questo modo ad essere comodo?»

«Suppongo... sia una questione di prospettiva?»

«I pantaloni hanno una prospettiva?»

«È solo che... Mmm... sono convenienti?»

«No, dico sul serio, è meglio una tuta più ader-AHIA, ASH!»

Non ho potuto trattenermi, l'ho colpito col piede al ginocchio, ho cercato di essere il più delicata possibile, a mia discolpa. Mi guarda di nuovo irritato, di getto gli dico: «Ricorda il patto, Granchietto

«Ma non ho detto niente di-AHIA!»

«Ash, così gli fai male» interviene all'istante Meg. Mio Dio, lo sta sul serio difendendo di già.

«Ricorda» le ordino, «appena dice qualche stronzata, fai un fischio e lo abbatto in un attimo.»

A dire il vero, sono in ansia al massimo al pensiero di lasciarli da soli ad allenarsi, ma certo non posso fare la stalker che li pedina e ho il mio lavoro da sbrigare con Ulyscemo per la partita di tennis. Avrei dovuto portare un walkie talkie, così Meg avrebbe potuto contattarmi a distanza.

«Io non dico stronzate» si difende prontamente Sebastian, ignaro dell'apocalisse che può scatenare col suo unico neurone.

«Fa' silenzio, uomo granchio.»

«Preferisco l'uomo ragno.»

«Non esistono granchi ragni, perc-»

«In realtà sì» mi blocca Megan all'istante, la guardo confusa, dal modo in cui sta già gongolando, so riconoscere che sta per sciorinare le sue conoscenze in ambito aracnidi. «Ci sono i ragni granchi brasiliani! Sono straordinari per il loro mimetismo animale! Ognuno di loro ha colori e forme diverse per somigliare a un fiore, così possono attirare le attenzioni degli insetti impollinatori e al tempo stesso allontanare gli altri predatori!»

«Confermo: li chiamano così perché hanno due zampe rivolte in avanti e perché avanzano spesso di lato come i granchi.»

Mio Dio, se pensavo che il più grande incubo della mia vita sarebbe stato il peluche di tarantola che Seb mi aveva fatto trovare sotto il cuscino, a sedici anni, nel cuore della notte, adesso so che è l'accoppiata Sebastian e Megan ad esserlo. Seb, poi, è già ammaliato alla grande, dalla sua faccia demente non ho dubbi che, mentre scruta Megan, la sta già immaginando con l'abito da sposa. Di risposta, invece, Megan si irrigidisce, sempre più imbarazzata.

Eh sì.

Provo quasi pena per il mio fratellone. La mia mano va a posarsi sulla sua spalla da sola, di propria iniziativa, per dargli delle pacche di conforto. «Che diavolo c'è, ora?» mi domanda smarrito.

«Ne avrai di strada da fare, granchietto, eccome

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