9. Fissures

Premessa:
In questo capitolo saranno presenti cenni ad alcune misure del corpo molto ridotte.
Ci tengo a specificare che i valori indicati sono inseriti ai fini della trama e che non fanno riferimento a un corpo in salute.
Se per qualche motivo doveste essere sensibili a questo tipo di argomenti, vi chiedo di non procedere con la lettura e di dare un'occhiata alla nota dell'autrice, in cui riassumerò il capitolo nel modo più dettagliato possibile.
Vi voglio bene, prendetevi sempre cura di voi <3

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IT: crepe

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24 aprile 2023
Montecarlo, Principato di Monaco

La Salle Médecin del casinò non era tra le più illustri e memorabili, ma con il suo tripudio di colori - dal verde pastello che faceva da sfondo ai bassorilievi sormontanti le finestre, al rosso scuro della boiserie fino all'unione di viola e arancione del pavimento, conditi da particolari dorati e lampadari di cristallo - aveva il suo fascino. Senza dubbio, si trattava di uno sfondo perfetto per il servizio fotografico che mi avrebbe vista come protagonista: avrei donato la mia immagine ad APM Monaco, un brand originario del luogo, di cui ero una dei global ambassadors.

Tra i tavoli da poker e le roulette regnava il trambusto. Alcuni rappresentanti del marchio maneggiavano i gioielli della collezione da sponsorizzare, Erika sistemava le luci e controllava i parametri della fotocamera, mentre la mia agente Céline mi aiutava a prepararmi dietro un separé rigido.

Il primo abito scelto per il servizio era semplice, privo di fronzoli: nero, dalla profonda scollatura a V e particolarmente aderente, profilava le curve in maniera eccelsa. Il collo nudo era pronto per accogliere preziose collane d'argento, così come i lobi delle orecchie, lasciati scoperti dai capelli raccolti in un elegante chignon basso, che a breve avrebbero indossato un paio di orecchini.

Studiai la mia figura snella nel riflesso dello specchio, sfiorandomi i fianchi per liberarmi di alcune pieghe formatesi sul vestito. Céline mi dava le spalle, concentrata nell'analizzare la perfezione degli abiti successivi. Aveva un invidiabile occhio attento.

Armeggiando con il blazer bordeaux di un tailleur, capo d'abbigliamento appartenente al prossimo look, scoccò un'occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio. Aveva una linea di eyeliner così affilata da rendere lo sguardo serio, penetrante e al contempo segnato da un monito a cui non diede voce nell'immediato. Era consapevole di quanto ci tenessi ad apparire al meglio, soprattutto nei servizi fotografici, le cui immagini sarebbero arrivate davanti agli occhi degli sconosciuti. Confermando ogni mio sospetto iniziale, arricciò le labbra tinte di una tonalità neutra.

«C'è qualcosa che non va?» le domandai. Non lasciai trasparire alcuna traccia di nervosismo, visto il rapporto lavorativo di assoluta schiettezza e sincerità instauratosi tra noi. «Qualche problema con il vestito?» tirai a indovinare, chinando il capo per osservare quest'ultimo. Presentava ancora una manciata di pieghe che distesi con un gesto.

Céline scosse la testa in un cenno di diniego. «No» rispose, «non è il vestito, il problema».

Ero diventata una calamita per le sue pupille, che mi trapassavano nonostante stessero analizzando il riflesso nello specchio. Solo allora si posarono su di me, la chioma ramata che ondeggiò per il movimento repentino.

«Come va con la dieta?» indagò. Il quesito fu pronunciato con finto disinteresse, alla stregua di una chiacchierata superficiale tra amiche, mentre lei si impegnava ad appendere il blazer a una gruccia. Abbandonò quest'ultimo sullo stender che conteneva diverse combinazioni di capi pronti a essere indossati e sfoggiati.

«Bene» affermai con certezza. «La sto seguendo senza concedermi alcuno sgarro» le assicurai. «Perché?»

«Credo che dovremo cambiarla» replicò. Incredula, sbattei le palpebre e feci sfarfallare le ciglia. Seguivo la dieta vegetariana da lei consigliata da poco tempo, e mi sembrava improbabile e poco sano abituarsi a un nuovo regime. «Per il bene della tua immagine e di quella dell'azienda, è bene che i risultati si vedano il più presto possibile».

Avrei voluto replicare e giurarle che il fisico perfetto che lei esigeva sarebbe arrivato, ma mi cucii le labbra per evitare di mettere a repentaglio la nostra relazione professionale. Céline era un'agente invidiabile: riusciva a scovare occasioni in ogni angolo di quel mondo elitario, dalle campagne pubblicitarie agli eventi. La mia immagine, inoltre, era un grande ausilio per l'azienda di famiglia, perché invitava migliaia di miliardari nel nostro circuito turistico.

A salvarmi, tuttavia, ci pensò Erika con la sua voce squillante e la cadenza tedesca. Si sporse oltre il separé, macchina fotografica alla mano, e mi studiò con gli occhi vispi. «Sei pronta, Desi? Tra poco scattiamo».

Annuii con un cenno e un sorriso cordiale, che sparì nel momento in cui lei tornò dalla troupe di cui era la fotografa. Riportando lo sguardo su Céline, la trovai intenta ad aprire le confezioni dei gioielli della collezione da sponsorizzare.

Estraendo una collana da una delle scatoline, si avvicinò a me e si sistemò alle mie spalle per allacciarla. La catenina entrò in contatto con la mia pelle nuda, abbellendola grazie all'argento e agli zirconi bianchi con cui era decorata, e creò un ottimo contrasto con la carnagione olivastra. Il ciondolo a forma di goccia brillò alla luce dorata del casinò, abbinato ai pendenti degli orecchini che la donna mi infilò nei lobi. Le piccole pietre scintillarono a ogni ondeggiamento.

«Scatterai le prime foto qui, al tavolo da poker» mi informò, allontanandosi per richiudere con cura le confezioni dei gioielli forniti in anteprima dal marchio. «Dopodiché ci sposteremo all'esterno, chiaro?»

Confermai di aver compreso con un movimento del capo, quindi Céline mi invitò a raggiungere la troupe per mezzo di un gesto della mano. Superato il separé, andai a sedermi al tavolo da poker indicato da Erika, davanti a un set di luci accecanti che ammantavano la mia figura.

La mia amica si impegnò a scattare fotografie per una lunga ora, mentre i tecnici sistemavano l'illuminazione ogniqualvolta se ne presentava la necessità. Accomodata sulla sedia lignea, durante quel lasso di tempo seguii fedelmente le indicazioni di Céline circa le pose da assumere per far risaltare il mio lato migliore e la brillantezza dei gioielli, di cui furono realizzati anche dei close-up. Alcuni scatti mi immortalavano con un mazzo di carte da poker tra le mani - quelli per cui posai con maggior naturalezza, visto il contesto a me famigliare -, mentre altri mi vedevano intenta a sfidare l'obiettivo con lo sguardo assottigliato dal trucco. Affidare la mia immagine a Erika era una garanzia: compiva magie dietro la fotocamera, nonostante la giovane età e la poca esperienza. Aveva la stoffa della professionista innata.

Trascorsi quei sessanta minuti, Céline concesse a me e alla troupe una pausa, grazie alla quale potei alzarmi dalla sedia e allontanarmi dalle luci pallide e insistenti. Raggiunsi il retro del separé, afferrai una bottiglietta d'acqua da un tavolo su cui erano sparse diverse cianfrusaglie e ne presi un paio di sorsi. La mia gola secca mi ringraziò.

Nel silenzio calato sulla Salle Médecin, il ticchettio degli stiletti neri di Céline risuonò chiaro, man mano che compiva passi nella mia direzione. Si ravviò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e incrociò le braccia al seno per assumere una postura autoritaria. All'inizio, perlomeno, abbozzò un sorriso.

«Hai talento nel posare» constatò, nonostante fosse poco incline ai complimenti. «Sarebbe un peccato se lo sprecassi, non trovi?» aggiunse, e l'accenno di soddisfazione scomparve dal suo volto.

«Sto cercando di sfruttarlo, infatti» replicai. La sicurezza circa le mie doti non mi mancava, quindi non tentennai nell'asserirlo. «Credo che stia andando bene, no?»

«Non fraintendermi, Desirée, sei una bellissima ragazza, ma...» premise, il dubbio che si insinuò nella sua voce. «Devi portare la tua immagine a un livello ancora più alto, ora che sei vicina a essere la proprietaria dell'azienda di tuo padre» spiegò. «E per farlo, devi porre tutta l'attenzione sul tuo fisico».

«Lo sto facendo, Céline» le assicurai. «Me ne prendo cura ogni giorno».

«Togli il vestito, ti mostro una cosa» mi invitò.

Benché fossi confusa, iniziai a slacciare il vestito per sfilarlo, rimanendo in intimo; abbandonai l'abito ai miei piedi. Le pareti spesse del casinò conservavano un'aria fresca che disseminò un campo di brividi sulla mia pelle, ma mi concentrai sul mio riflesso nello specchio. Non capivo dove Céline vedesse il problema, vista la mia magrezza e gli allenamenti che praticavo per mantenermi in forma, ma una parte di me si fidava ciecamente dei suoi consigli sapienti. Perciò mi arresi quando la vidi afferrare un metro da sarta che campeggiava tra le cianfrusaglie sulla superficie del tavolo.

«Come ben sai, quando si parla di un corpo da esporre si prendono in considerazione tre misure: torace, vita e fianchi» esplicò, nonostante io ne fossi già consapevole. «Voglio controllare le tue, così che tu ti renda conto del lavoro che devi fare, okay?» chiese il mio consenso ma, anche in sua assenza, lei avrebbe proceduto.

Iniziò avvolgendo il metro al mio torace, misurando la circonferenza e includendo il seno. Mi immobilizzai come un soldatino, convinta che le sue affermazioni fossero incontestabili e veritiere.

«Ottantaquattro centimetri» dichiarò, e rimosse lo strumento. «La misura standard delle modelle si aggira intorno ai settantacinque centimetri, quindi dovresti perderne una decina». Si fermò per una pausa di riflessione. «Ma capisco che smagrire il seno non sia così semplice».

Abbassandosi all'altezza della mia vita, quindi, tornò a circondarmi con il metro. Il suo controllo minuzioso mi stava innervosendo, tanto che mi ritrovai a deglutire l'accenno di un groppo alla gola.

Scorsi Erika con la coda dell'occhio, ferma in un angolo della sala. Pareva interessata dallo spettacolo che si stava svolgendo dietro il separé, ma distolse l'attenzione non appena la guardai. Finse di occuparsi di altre mansioni, ma io non compresi il motivo di quel comportamento e decisi di sorvolare.

«Sessantatré centimetri per la vita, ma dovremmo puntare a cinquantasei» riprese Céline, e io scrollai il capo per ritrovare la concentrazione. «Serve una dieta che ti aiuti in questa zona del corpo, oltre a degli esercizi fisici specifici» mi informò. «Credi di poter intensificare gli allenamenti in palestra?»

«Se riesco a organizzarmi, sì» affermai. «Ci proverò» le promisi.

«Controllo i fianchi e abbiamo finito» proseguì senza degnarmi di una risposta. Spostò il metro poco sotto la vita, misurandoli con minuzia. «Qui la misura è perfetta» constatò. Finito il giro di ricognizione, si raddrizzò per guardarmi e parlarmi. «Devi lavorare sul torace e sulla vita, Desi» mi istruì. «Solo così potrai ambire alla perfezione, che per l'impero che condurrai sarà fondamentale».

La donna non lasciò spazio ad alcuna mia replica e si allontanò per riporre il metro sul tavolo. Dopodiché agguantò la sua bottiglietta d'acqua, e si abbeverò con qualche sorso.

«Céline, scusami» la disturbai, ma senza gettarle un'occhiata. Il mio sguardo era calamitato dal mio corpo apparentemente difettoso. Lei si voltò, il cipiglio serio era protagonista. «Perché devo insistere tanto sull'immagine, se l'azienda è incentrata sul turismo? Non sono più importanti le varie strategie di marketing, come dice papà?»

«Oh, chérie» scosse il capo sorridendo, intenerita come se fossi stata una bambina ingenua. «Stai per avventurarti in un mondo di uomini, in cui il solo fatto di essere maschi li rende invincibili. Tu, da donna, non devi giocare d'astuzia, ma d'apparenza».

Fu uno schiaffo all'intelligenza e alle conoscenze del campo maturate con lo studio, ma tacqui. Con una sola conversazione, Céline stava mirando a sgretolare la mia autostima, frutto di anni vissuti in condizioni di estremo privilegio. Fu l'ennesimo ostacolo da superare: testa alta e convinzione sarebbero stati i mezzi per sormontarlo.

Cogliendo la mia distrazione, l'agente ridestò la mia concentrazione porgendomi il pantalone del tailleur bordeaux con cui stava armeggiando in precedenza. Lo afferrai.

«Che questo sia un mondo maschilista, non è una novità» continuò la donna, mentre io mi accinsi a vestirmi per la prossima sessione di scatti che si sarebbe tenuta all'esterno del casinò. Il silenzio calato intorno a noi mi lasciò immaginare che i tecnici stessero già sistemando l'illuminazione. «Ciononostante, Desirée, tu hai tenacia e determinazione dalla tua parte. Ti torneranno utili, vedrai» mi assicurò.

Sul mio viso nacque un accenno di sorriso finalmente sincero, in seguito ai complimenti a cui Céline cedeva di rado. Fu così che finii di allacciare il bottone del pantalone, quindi afferrai la giacca.

«Aspetta, cara» mi interruppe ancora la rossa. Dall'insieme di abiti stirati alla perfezione, estrasse una gruccia a cui era appesa una bralette in pizzo bianco. «Metti questa, sotto la giacca. Farà un figurone in contrasto con la tua carnagione».

Abbandonai la parte superiore del completo sul tavolo che ospitava gioielli e cianfrusaglie, quindi indossai il capo da lei consigliato. Vantava uno scollo vertiginoso che delineò le mie curve già evidenti, la pelle olivastra visibile attraverso i ricami del materiale sottile. Dopodiché, infilai la giacca scura.

«Perfetto». Céline ammirò il risultato del suo abbinamento con un sorriso fiero, le sclere che brillavano per l'orgoglio e i palmi congiunti. «Ora passiamo ai gioielli».

Per la seconda sessione di scatti, mi erano state proposte altre novità della collezione, che indossai una a una con l'aiuto della mia agente. Passammo da un paio di orecchini le cui estremità curve simulavano la forma di una goccia tempestata di piccoli zirconi, a un anello a triplo cerchio che riprendeva l'elemento caratterizzante del set. Le pietre preziose brillavano sotto la luce artificiale della sala ormai silenziosa.

«La troupe è già all'esterno e ha preparato tutto» mi informò Céline, lo sguardo concentrato sul display del suo cellulare. «Andiamo?» mi invitò.

Annuii con un cenno del capo e la seguii, percorrendo a ritroso le vistose sale del casinò, fiancheggiando tavoli da gioco e slot machine. Ci ritrovammo quindi nell'atrio, in cui piovevano i raggi dorati della giornata soleggiata, e varcammo uno dei portoni imponenti per raggiungere la troupe.

I tecnici della luce avevano sistemato l'illuminazione, che puntava verso la breve scalinata dell'edificio, mentre Erika stava sistemando i parametri della sua macchina fotografica. Ravviò una cioccia di capelli rosa dietro l'orecchio e sollevò il capo, rivolgendomi un'occhiata e un sorriso gentile.

«Sei pronta, Desi?» mi domandò, mentre veniva affiancata da Céline. «Ultimi scatti per oggi, poi potrai riposare» mi promise.

«Sono instancabile, Rika» tessei le mie stesse lodi. «Non sarà un paio di fotografie a sfinirmi».

«Mi scusi, regina» scherzò, affibbiandomi un titolo ironico che, tuttavia, mi riempì di fierezza.

L'ultima sessione di scatti procedette senza problemi. Erika si concentrò sul mio viso e sui pendenti argentei che indossavo, secondo le indicazioni di Céline, poi passò ai close-up delle mani, utili per pubblicizzare l'anello che indossavo. Alcune immagini a figura intera, poi, servirono a immortalare l'edificio simbolo del Principato, luogo natale del marchio.

«Fine dello shooting» proclamò l'agente con un sorriso. Dopo aver congedato la troupe, che si accinse a smontare l'attrezzatura, si focalizzò su di me. «Desi, puoi tornare dentro e cambiarti, i tuoi vestiti sono lì. Erika può venire con te, se vuole. E lascia pure i gioielli nelle scatole, me ne occuperò io».

Cercai l'approvazione della mia amica con lo sguardo, che ottenni per mezzo di un sorriso cordiale.

Io ed Erika, pertanto, ci avviammo all'interno del casinò, in direzione della zona limitata dal separé dietro cui mi sarei cambiata per ritornare ai miei abiti quotidiani. Raggiungemmo la Salle Médecin in pochi minuti trascorsi nel silenzio, tra un ticchettio e l'altro sul pavimento pregiato.

Individuai il mio vestito della giornata - un semplice tubino verde effetto seta - e lo afferrai dallo stender, quindi iniziai a cambiarmi. Sfilai le scarpe e il tailleur, mentre Erika era intenta a studiare il display della macchina fotografica.

«Le foto sono stupende» commentò, analizzandone una a una con la sua sapienza. «Serve sicuramente del lavoro di post-produzione, ma tu sei un soggetto perfetto per questi scatti» si complimentò.

Le sorrisi per ringraziarla, ignara del risultato delle immagini. L'unica che mi concesse di vedere ritraeva la mia intera figura all'interno del casinò, distesa su uno dei tavoli di velluto e circondata da carte da gioco. La collana da pubblicizzare scintillava, impossibile da ignorare.

«C'è solo un problema» proseguì la mia amica, «ed è che Céline ha chiesto di lavorare anche sul modo in cui il tuo corpo appare. Ha chiesto di modificarlo e renderlo più magro, prima di pubblicarle». Non totalmente convinta dell'idea della mia agente, arricciò le labbra e fece spallucce. «Mi sembrava giusto che tu lo sapessi» aggiunse, spegnendo la fotocamera. La ripose nella sua custodia abbandonata sul tavolo e, colpita da un'ondata di calore improvviso, raccolse i capelli rosa in una crocchia bassa.

Sospirai, ma la notizia non arrivò come una sorpresa. Céline me ne aveva parlato poco prima e l'unica regola che dovevo seguire era adattarmi, senza esprimere lamentele. Fu così che mormorai un semplice, benché sconfitto: «Lo so, ma non importa».

Finii di rindossare i miei abiti, concludendo con i miei tacchi a spillo bianchi, in contrasto con la carnagione scura. Lasciai che i capelli mossi mi cadessero sulle spalle nude.

Il mio silenzio era un chiaro indizio circa il mio rimuginare assiduo sulla scomoda questione sollevata dalla mia agente, tanto che mi sforzai di proferire parola per non apparire scalfita.

«Ti va di prendere un caffè, Rika?» domandai alla ragazza poco distante, puntando lo sguardo nella sua direzione. «Ho bisogno di riposarmi». Ridacchiai per sdrammatizzare, mentre mi accinsi a riporre i miei averi nella pochette bianca che, in seguito, appesi a una spalla.

«Café de Paris?» propose con un sorriso smagliante, infilando la tracolla che conteneva la macchina fotografica. Ricevette un cenno d'assenso come risposta e, soddisfatta, riprese a far girovagare l'attenzione. «Viene anche Valentin?» curiosò.

«Non credo che possa» replicai. «Suo padre è venuto qui da Parigi e resterà per qualche settimana, quindi passerà più tempo con lui» le spiegai. «Non lo vede mai, non posso biasimarlo».

Il padre di Valentin - nonché il mio futuro suocero - era uno degli uomini più impegnati che conoscessi. Era una persona molto colta e un imprenditore degno di tale nome; da vero parigino, l'unica sua preoccupazione era gestire al meglio i tre musei più importanti della capitale francese: il Louvre, il Musée d'Orsay e il Musée de l'Orangerie. Tutti sotto la sua direzione, tra opere d'arte ed eventi.

«Lo capisco» sospirò Erika. «I miei genitori mettono piede fuori dalla Germania solo una volta all'anno, se non riescono a inventarsi una scusa in tempo. Io farei come lui, se la mia famiglia fosse qui».

La mia amica era come me: di rado si lasciava trascinare dalla vulnerabilità, che scacciò scuotendo il capo. Io, per abitudine, glissai sulla questione e decisi di tergiversare.

«Andiamo?» le domandai, incurvando le labbra verso l'alto per rassicurarla. «Ci meritiamo del sano riposo».

Quando lei annuì, ripercorremmo le famigliari sale del casinò per l'ultima volta in quella giornata. Raggiungemmo l'atrio e ne varcammo l'uscio, ritrovandoci nella piazza soleggiata e gremita di turisti. La troupe stava finendo di riporre l'attrezzatura, mentre Céline attendeva appoggiata a una delle ringhiere della scalinata.

«Noi andiamo al bar, Céline» la informai, distogliendo la sua attenzione dal cellulare. Con la coda dell'occhio, notai che era intenta a scorrere tra le numerose email. «Per qualsiasi cosa, ci sentiamo» le assicurai.

«Certo, cara» replicò con cordialità. «Ci vediamo nei prossimi giorni» mi congedò.

Dopo che io ed Erika finimmo di salutare lei e la troupe, scendemmo gli ultimi gradini e iniziammo a compiere la manciata di passi che ci separava dal prestigioso Café de Paris, affollato per l'ora del brunch. Nel dehors, tuttavia, rimanevano alcuni tavolini liberi.

Le nostre intenzioni furono tuttavia interrotte da un fischio vicino, che mi rimbombò fastidiosamente nei timpani. Io e la mia amica ci arrestammo nell'immediato sotto il sole caldo della primavera mediterranea, e mi protessi dai raggi insistenti con una mano per identificare l'origine di quel velato apprezzamento.

Movimenti disinvolti, assenza di tatuaggi sui dorsi delle mani, occhiali da sole e una camicia bianca in parte sbottonata: la mia mente registrò subito la presenza di Michael, il seccante gemello Woodward, presentatosi nel Principato solo per dare filo da torcere al fratello. Gli scoccai un'occhiata bieca e lui ricambiò con un ghigno, privandosi delle lenti scure e rivelando le sue iridi celesti.

«Bonjour, chérie» ostentò la sua conoscenza del francese, benché la sua pronuncia non fosse impeccabile come quella di Isaac.

Alzai gli occhi al cielo, infastidita dal suo atteggiamento confidenziale, e ripresi a fulminarlo con lo sguardo mentre appendeva l'astina degli occhiali alla camicia. Incrociai le braccia sotto il seno. «Secondo il mio vocabolario, "britannico" e "seccatura" sono sinonimi da...» finsi di riflettere. «Ora».

Erika ridacchiò, pur celandolo con una mano. Le mie battute erano puro diletto, per lei, soprattutto se condite dai miei scontri sarcastici con le persone che rappresentavano un intralcio.

«E secondo il mio, invece, sotto la voce "noiosa" compare il tuo nome» rincarò la dose. «Dai, Desirée, stai al gioco» mi esortò. «Sono qui per infastidire mio fratello, non te».

«Sarà». Tentai di liquidarlo aleggiando le dita nell'aria, per poi compiere un misero paio di passi in direzione della caffetteria. Tuttavia, la sua voce calda mi interruppe per una seconda volta. Mi voltai nella sua direzione, lasciando che un ringhio sfuggisse alle mie labbra.

«Hai degli impegni così importanti da cui escludermi?» continuò. Sentii il nervosismo serpeggiare nelle vene, bollente come il sangue. «Non mi dispiacerebbe passare la prossima ora a parlare male di Isaac».

Era scaltro, da parte sua, suggerire di spettegolare su suo fratello, conoscendo la posizione di rivale in affari che ricopriva nei miei confronti. L'atteggiamento da vipera era però attraente ai miei occhi, tanto che accolsi la sua idea con un ghigno malevolo.

Fu Erika a infiltrarsi nel silenzio, sussurrandomi un consiglio: «Dovresti farlo venire con noi. È suo fratello, non metto in dubbio che conosca i suoi punti deboli» ipotizzò. «Potrebbe giocare a tuo favore. E poi, è solo un caffè».

Mi schiarii la voce, pronta a cogliere l'occasione. «Per oggi offre la casa, Woodward, ma non farci l'abitudine».

Soddisfatto dell'invito ricevuto, si accodò a noi nella poca strada che ancora ci separava dalla hall del Café de Paris. Varcammo insieme il portone dorato, ritrovandoci circondati dagli ambienti del complesso illuminati dalla luce calda: alla nostra sinistra un negozio di souvenir, a destra l'ingresso alla caffetteria e dinanzi a noi regnava il secondo casinò del Principato, nonché ennesima proprietà degli Aubert. Ci incamminammo in direzione del bar, uno dei direttori di sala mi salutò con un cenno del capo e mi lasciò il via libera; in un altro paio di minuti, raggiungemmo la terrazza gremita e occupammo un tavolino.

Mi sentii a mio agio nel mio territorio, tanto che mi accomodai e appesi la tracolla della borsetta allo schienale della sedia. Il posto da me occupato risultò essere proprio tra Erika e Michael.

Prima di perderci in chiacchiere, fummo beati del servizio celere e impeccabile del locale. Un cameriere prese le nostre ordinazioni, lasciandoci successivamente godere della nostra pace.

«Che dire, Desirée» esordì Michael, a cui dedicai la mia attenzione dopo aver adagiato il cellulare sul tavolino. Il ragazzo si lasciò cadere contro il cuscino della sedia in legno, infilò una mano nella tasca dei jeans - che ben lo distinguevano dai completi gessati del gemello - ed estrasse un pacchetto di sigarette. Ne strinse una tra le labbra accendendone l'estremità, poi si beò del primo tiro; inclinò il capo e si godette il sole. «Sei riuscita a farti odiare da mio fratello, i miei complimenti». Il suo petto fu scosso da una risata. «Lui è una delle persone più buone e caritatevoli del mondo, per sua sfortuna» sottolineò, «ed è difficile farsi detestare».

Sbloccando lo schermo del telefono, feci spallucce con disinteresse. «Se penserà solo a odiarmi e lamentarsi di me, non avrà il tempo di concentrarsi su ciò che deve fare» appurai. «E ciò che è mio resterà mio».

«È solo un papino affettuoso ancorato al suo passato, non rappresenterà una minaccia» asserì lui.

Ma la sua risposta mi giunse ovattata, distante, così come non mi accorsi del cameriere che ci servì le nostre ordinazioni. Con lo sguardo incollato alla conversazione tra me e mio padre sul cellulare, sgranai gli occhi. Immaginai la dimensione delle sclere raddoppiata, e sul mio viso si dipinse un sorriso smagliante.

«Non ci credo» dichiarai all'improvviso, la mano che reggeva il cellulare scossa da un leggero tremolio.

Catturai subito l'attenzione di Erika, che mi osservò curiosa. «Che succede?»

Dimenticandomi della presenza di Michael, mi concentrai sulla mia migliore amica e lasciai che il mio entusiasmo esplodesse. Erika non mi vide mai emozionata come quella mattinata.

«Papà è riuscito a procurarmi gli inviti per il Festival di Cannes!» strillai, alla stregua di un'adolescente contenta.

«Scherzi?!» ricambiò l'euforia.

«Assolutamente no» risposi, benché fossi ancora incredula. Più fissavo la foto della coppia di inviti, più mi rendevo conto di aver realizzato il sogno di una vita.

Il Festival di Cannes, al di là del suo focus sul cinema, era una grande vetrina. Lo era soprattutto per chi, come me, doveva giocare con l'immagine ogni singolo giorno. L'evento rappresentava un nucleo di celebrità e pubblicità che faceva gola a chiunque tentasse di emergere e io, quell'anno, ne avrei fatto parte.

«Devo chiamare Valentin» dichiarai. Perché sì, era sottinteso che il secondo invito fosse destinato a lui. Era importante mostrarci insieme e avrei finto più del dovuto, se ciò avesse dato una mano alla mia carriera fiorente.

Selezionai il suo contatto sul display come una furia. Gli squilli echeggiarono nel mio timpano, in attesa di una risposta. La sua voce sostituì il suono monotono pochi istanti dopo.

«Ciao, amore» esordii nell'immediato, davanti a Erika, con il suo sorriso ormai spento, e a Michael, che abbandonò il mozzicone nel posacenere in vetro. «Ho una notizia da darti» quasi esclamai.

«Ti ascolto, ma fai presto». Non si dimostrò interessato alla mia letizia, ma non mi caricai del peso di quell'ulteriore cruccio.

«Papà è riuscito a farci avere gli inviti per il Festival di Cannes!» strillai. «Ci abbiamo provato per un sacco di anni, Val...» Fingere di essere emozionata nel condividere le esperienze con lui era la mia abilità meglio sviluppata.

«Frena, Desi» mi interruppe. «Ricordami che giorno si terrà». La sua serietà era glaciale.

«Il ventisei maggio» spiegai. «Allora? Non sei contento?»

«Ne sono felicissimo, credimi, ma...» iniziò a obiettare, freddo. «Io sarò a Parigi per tutta la settimana. Tornerò solo per il Gran Premio».

Sentii la speranza crollare come cocci di un vetro rotto. Papà non mi avrebbe mai lasciato andare da sola, perché non riteneva appropriato e conveniente per l'azienda che io mi pubblicizzassi in solitudine. Pensava che, con un uomo accanto, la credibilità sarebbe stata maggiore. Senza Valentin, dunque, sarebbe stato solo tempo perso da investire in attività più utili.

«A P-Parigi...?» tentennai. «Perché?»

«Mio padre ha organizzato un paio di eventi a cui vorrebbe che partecipassi» replicò, rimanendo sul vago. «Mi dispiace, Desi».

No, non ti dispiace. Ma per una volta fa male a me.

«Non fa niente» mormorai.

Non ebbi la forza necessaria di sentire il suo saluto, quindi attaccai senza aspettare. Non riuscii a munirmi di un sorriso nemmeno per non far insospettire Erika.

«È tutto okay?» mi chiese subito, l'espressione preoccupata.

«Valentin non verrà con me» sputai, acida. «Evidentemente, è impegnato a Parigi con delle faccende più importanti. Insomma, cosa può essere più importante di questo?» Gesticolando a mezz'aria, indicai la situazione circostante.

L'agitazione portò con sé un fastidioso velo di lacrime che si depositò sulle sclere, ma lo repressi.

«Mach dir keine Sorge, er wird mit jemandem besser als du sein» dichiarò la ragazza al mio fianco. «E, se te lo dico in tedesco, è da prendere come verità assoluta».

Le gettai un'occhiata torva. «Ti sembra il momento?» ringhiai. Ricordandomi di Michael, che silenzioso occupava la terza sedia intorno al tavolino, socchiusi le palpebre e provai a riconquistare la calma. «Traduci, per favore».

«Troverai qualcuno di migliore con cui andare» spiegò. «Ne sono quasi certa, sai?»

Michael, accanto a noi, si abbandonò a un risolino sprezzante. «Credo che il mondo sia pieno di esseri umani superiori al tuo biondino francese» commentò. Con le dita, spezzò la punta del croissant che aveva ordinato poc'anzi. Da me ottenne uno sguardo fulminante. «Senza offesa, chérie, ma sembra la versione in carne e ossa di Ken» scherzò. «Fuori produzione, aggiungerei».

Lasciai la sua considerazione non richiesta senza una risposta, quindi mi arresi contro lo schienale della sedia e abbandonai il cellulare sul tavolino. Incurante del trucco, mi sfregai il volto con le mani per scongiurare la frustrazione.

«Non so come fare...» mi lamentai sconfitta, e un sospiro mi accarezzò le labbra.

Erika rigirò il cucchiaino nella tazzina di caffè, pensierosa, ma il suo volto si illuminò quando un'idea le transitò per la mente. «Forse c'è un modo che non hai considerato». Munita di un sorriso soddisfatto, fece atterrare le pupille su Michael.

«No» sentenziai nell'immediato, incenerendola con le palpebre assottigliate. «Neanche per sogno».

Il viso di Michael, oggetto della conversazione, si contrasse in una finta smorfia di dolore. «Questa è una ferita aperta per il mio ego» dichiarò, continuando a simulare la sofferenza a denti stretti.

«Non parlavo di te» lo interruppe la mia amica. «Ma...»

«Doppiamente no, Erika!» quasi strillai, scioccata dalle sue fantasticherie repentine. «Sei pazza, se pensi che metterò piede sul tappeto rosso con Isaac». Per sottolineare la mia opposizione, incrociai le braccia al petto.

«L'immagine di mio fratello sul red carpet è degna del miglior film comico, se posso permettermi» si intromise ancora il gemello.

Non prendemmo in considerazione la sua battuta, perché la ragazza accanto a me riprese ad argomentare la sua trovata: «Pensaci, Desi: sarebbe una strategia vincente. Hai detto che la tua credibilità aumenta con un uomo accanto, giusto?» Annuii, così che lei potesse proseguire. «E quale uomo migliore, se non il futuro erede di una delle aziende più influenti del mondo come la Woodward Entertainments? Le persone capiranno che stai raggiungendo i piani alti e inizieranno ad apprezzarti, soprattutto se noteranno il tuo coraggio nello sfidare una persona così importante».

«Il futuro erede sarei io, comunque» rettificò Michael, e la sua autostima sanguinò realmente.

«Dio, taci» lo implorai. «Non se ne parla, Rika. Non mi farò vedere con lui».

Mi sentivo irremovibile dalla mia posizione, ma la possibilità di poter partecipare a un evento di quel calibro mi faceva gola. Aveva il dolce sapore di una conquista, lo sentivo sulla punta della lingua, ma percepivo anche il gusto amaro dell'ipotetica presenza di Isaac al mio fianco.

Tenere salde le ferme convinzioni o cedere alla tentazione?

Era un quesito insistente, nella mia testa. Un martellio assiduo che mi indusse a riflettere.

Da un lato, presentarmi a Cannes con Valentin avrebbe rafforzato l'opinione che gli altri avevano di noi, rendendo nitida l'immagine della coppia affiatata che dovevamo rappresentare. Dall'altro, si palesava il desiderio ardente di realizzare quel mio piccolo sogno, benché in compagnia del mio più grande ostacolo del periodo.

Era in atto una battaglia tra raziocinio e istinto, tra la sicurezza di non dare nell'occhio e il rischio di apparire insieme a uno dei Woodward sulle pagine di un giornale. Era già successo e i commenti erano stati chiari: non era una visione apprezzata.

Ma io ero nata per l'apparenza tanto quanto lo ero per tenere fede alle mie volontà.

Di conseguenza, il risultato fu il mio cedimento.

«Va bene» accettai con un sospiro, sollecitata dallo sguardo speranzoso di Erika. «Se deve andare così, sarà un favore che gli restituirò» mi arresi. «Forse» aggiunsi.

«Sapevo che non avresti resistito!» esclamò la ragazza, battendo le mani per la contentezza. «Goditi le celebrità e il red carpet anche per me». Emulò il suo dispiacere fingendo di asciugarsi una lacrima inesistente.

«Buona fortuna» proferì Michael, riacquisendo serietà. «Isaac odia questo ambiente. Non oso immaginare come possa reagire all'idea di andare a un evento di quella portata solo per accompagnare te, che rappresenti tutto ciò che lui detesta».

«So essere molto persuasiva, se voglio» asserii, il vanto accompagnato da un sorriso. «Soprattutto con i più vulnerabili».

«I miei più sinceri auguri, allora» continuò a deridermi il ragazzo. Sgonfiò il petto con un rumoroso sospiro. «È evidente che ancora non lo conosci».

La sua affermazione non mi intimorì. Avrei convinto Isaac a venire con me, anche se ciò avesse significato restituirgli la cortesia. Inoltre, per portarlo a sventolare la bandiera bianca della resa riguardo la mia azienda, avrei dovuto conoscerlo e individuare i suoi punti deboli. Potevo compiere quell'impresa solo trascorrendo del tempo con lui e scavare a fondo nelle sue insicurezze, per poi pugnalarle senza rimorso.

Non sarebbe stato arduo.

Era il momento di giocare sullo stesso campo con corpo e mente, di lottare da pochi centimetri di distanza, di combattere grazie a una vicinanza forzata.

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Nota dell'autrice
Buon sabato, amici, come state? <3
Eccoci qui con il consueto aggiornamento settimanale di AD. Un capitolo di passaggio che, forse, ci comunica delle notizie interessanti... Vediamone insieme i punti fondamentali 👀
Abbiamo visto Desirée impegnata nel suo set fotografico (ricordiamoci che lei fa tanto affidamento sul suo aspetto fisico, elemento che sarà fondamentale per lo svolgimento delle vicende future), e grazie a esso abbiamo conosciuto un nuovo personaggio: Céline, la sua agente. Lei non avrà un ruolo principale all'interno della storia, ma sarà la ragione dietro al modo in cui Desirée arriverà a sentirsi e soffrire, in modo quasi non più celabile (tenete bene a mente la questione del fisico e dell'alimentazione).
Dopo il set, arriva la notizia interessante: tra uno scambio di battute sarcastiche con Michael, il nostro gemello ironico ed egocentrico, Desirée scopre di aver ricevuto l'esclusivo invito per il Festival di Cannes. Valentin non potrà andare con lei per via di alcuni impegni personali, ma Erika la rassicura (vi consiglio di vedere la traduzione della sua frase tedesca qui sotto e di riflettere su ciò che, invece, afferma lei 👀) e le consiglia di chiedere al suo rivale principale.
Secondo voi, Isaac accetterà la proposta della nostra ereditiera e futura CEO? O le metterà i bastoni tra le ruote? Tenete a mente che, per Desirée, quell'evento è un'inesauribile fonte di pubblicità sui media.
Ma, soprattutto, quali saranno le mosse della nostra Erika? Aspetto le vostre teorie...
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!
Grazie per avermi tenuto compagnia anche oggi.
Ci vediamo sabato prossimo <3

IG & TikTok: zaystories_

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Note informative
- "Mach dir keine Sorge, er wird mit jemandem besser als du sein" = "Non preoccuparti, lui sarà con qualcuno migliore di te"

Salle Médecin, Casinò di Montecarlo

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