26. Antinomie

IT: antinomia

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30 maggio 2023
Montecarlo, Principato di Monaco

Il caffè bollente appena servito in camera mi bruciò le papille gustative, facendomi sussultare.

Nemmeno sul balcone dell'ultimo piano dell'Hermitage riuscivo a godermi il silenzio. Tra il fruscio delle acque di Port Hercule e il rombo dei motori delle auto potenti che risalivano verso il casinò, la quiete era un concetto difficile da afferrare.

Eppure la bramavo, perché neanche la mia mente mi lasciava scampo.

Sospirai e abbandonai la tazza ormai vuota sul tavolino da esterno. I pensieri mi stavano soffocando e, forse, l'unico modo di sopprimerli era ucciderli con il tabacco. Rassegnato, estrassi una sigaretta dal pacchetto e la infilai tra le labbra; al primo tiro dopo il clic dell'accendino, iniziai a rilassarmi.

Distrarmi, però, era arduo. Mia figlia era all'asilo e avevo concesso a Kira di godersi del tempo libero in assenza della bambina. Sicuramente l'avrebbe sfruttato per perlustrare gli angoli ancora inesplorati del Principato, mentre io avevo deciso di rintanarmi nella suite per schiarirmi le idee.

Impossibile, dopo ciò che era successo la domenica precedente.

Se tornavo a concentrarmi su di lei, il mio corpo non poteva evitare di irrigidirsi, e non era a causa del fascio di nervi in cui mi ero trasformato. Era colpa delle sue curve prosperose, finalmente prive dei vestiti che separavano quel concentrato di desiderio dai miei occhi; del suo sapore dolciastro rimasto sulle mie labbra, delle sue dita incastrate tra i miei capelli. La testa continuava a ripropormi la sua pelle olivastra, la sensazione impagabile della morbidezza accarezzata dai miei polpastrelli.

Uno stato di trance onirica che venne interrotto da un bussare insistente. Stavo persino gettando la cenere sul pavimento del balcone senza rendermene conto, ma la scalciai via con fare incivile, finché non volò via trasportata dal vento. Abbandonai il mozzicone nel posacenere e, seppur controvoglia, mi avviai verso la porta d'ingresso della suite.

Poteva trattarsi di chiunque, da Kira di ritorno dalla sua passeggiata a un dipendente dell'hotel, ma dietro l'uscio si nascondeva l'unica persona con cui avrei evitato volentieri ogni interazione.

«Buongiorno, fratellino!» strillò Michael. Mi salutò con un sorriso divertito e, senza ricevere il permesso di entrare, mise piede nella stanza. Gli bastarono pochi passi per raggiungere una delle poltrone del salottino, sulla quale si lasciò sprofondare, le braccia allargate sui braccioli. «Il sole è alto in cielo ed è tempo di splendere!»

Confuso dalla sua improvvisa esplosione di energia, mi tenni a debita distanza e incrociai le braccia. Un paio di metri ci separava e, da lontano, lo guardai interrogativo.

«A cosa devo la tua visita?» gli domandai.

Si sporse in avanti e afferrò una monoporzione di biscotti che mia figlia non aveva finito per colazione. Se li gustò senza premurarsi del decoro, ricoprendo di briciole la t-shirt nera e i pantaloni della tuta del medesimo colore. Gli stessi con cui si era addormentato la sera prima, probabilmente.

«Fare gossip tra fratelli non è più un'usanza?» rilanciò il quesito, biascicando le parole tra un boccone e l'altro. «Insomma, sappiamo tutti chi è stato il vero vincitore della gara di domenica», e mi dedicò un occhiolino eloquente.

Digrignai i denti e mi lasciai scappare un ringhio di disappunto. Che mi piacesse o meno, Michael era dotato di quel sesto senso gemellare che gli faceva capire tutto di me, anche ciò che non avrebbe dovuto sapere. Sventolai la bandierina bianca e mi tirai i capelli con le dita, liberando uno sbuffo.

«Cos'è quello stress?» mi domandò, spazzando via le briciole con le mani e lasciandole cadere sul tappeto. «Se fossi in te, in questo momento avrei conquistato il Guinness dei primati per numero di atti di autoerotismo in un'ora» ridacchiò, seppur fulminato dalla mia occhiata torva. «Orgasmi compresi» aggiunse, ma il sorriso si spense quando scorse la mia espressione seria e i lineamenti induriti. Alzò le mani per dichiararsi innocente. «Scusa, mi correggo: vuoi sentire solo i suoi».

«Ti piace mangiare gli affari miei per colazione, vero?» gli restituii il sarcasmo, tagliente.

Agitò la confezione di plastica, ormai vuota, nell'aria. «In realtà, erano biscotti» precisò prima di lanciarla sul tavolino su cui l'aveva trovata. Rilassò la schiena contro il cuscino della poltrona e finse di stiracchiarsi, intrecciando le mani dietro la nuca. Mio malgrado, rimasi la calamita della sua attenzione. «Andiamo, Isaac: non dirmi che la tua cotta secolare per Giselle è finita nel momento in cui hai visto Desirée» mi canzonò con un ghigno. «Mi sentirei un po'... come dire...» rifletté e, dilettato, mimò con le dita lo spezzarsi di un cuore.

Dovetti rassegnarmi alla sua presenza seccante e invadente e, purtroppo, mantenere le distanze non era la soluzione al problema. Compii qualche passo nella sua direzione e mi accomodai sulla poltrona libera accanto alla sua, felice di aver interrotto il contatto visivo insostenibile.

Ringraziai il Cielo quando lui si preparò a proseguire con il suo monologo derisorio, ma venne interrotto dallo squillo del mio cellulare. Frettoloso, lo estrassi dalla tasca del pantalone.

Giselle era il nome che comparve sullo schermo. E il mondo mi cadde addosso.

Michael gettò un'occhiata al display e contenne una sonora risata portandosi una mano alle labbra. Si comportava come un adolescente assetato di gossip, con il solo scopo di usarli contro di me.

«Parli del diavolo...» mormorò.

Risposi dopo un paio di minuti e mi portai il cellulare all'orecchio. Mi servì ogni briciolo della mia forza di volontà per compiere quel gesto senza pentirmene: sentire la voce di Giselle dopo le ultime notizie e dopo quanto accaduto nei giorni precedenti non sarebbe stato semplice, perché la mia testa era comandata dalla confusione.

Era amore, quello che provavo per lei, o era la paura costante di perdere una persona che mi aveva salvato dall'oblio? Un timore da cui cercavo di fuggire, probabilmente, rifugiandomi in distrazioni proibite e soddisfando l'istinto.

Qualsiasi cosa fosse, il peso che mi impediva di respirare regolarmente non scomparve. Si adagiò sul mio stomaco e aumentò quando, dall'altro lato della cornetta, la voce di Giselle fece capolino.

«Hey, Isaac» mi salutò gioviale, nonostante la voce roca. Gettai uno sguardo all'orologio: da lei era ormai tardo pomeriggio, quasi il termine di un'intera giornata. «Ti sembra giusto sparire dal nulla?» ridacchiò. «Non ci sentiamo da quando sei a Monaco ed è già passato un mese. Mi fai preoccupare».

Sospirai e chinai il capo all'indietro, appoggiandomi allo schienale della poltrona e contemplando le modanature del soffitto. «Sto bene, Ellie» ridacchiai anch'io per smorzare la tensione. «E sta bene anche Erin, tranquilla» la rassicurai. «Come va?» chiesi.

Tirò un sospiro di sollievo e potei immaginare le sue labbra arcuarsi in un sorriso, ma il cuore mi si strinse. Al mio posto, c'era un altro uomo a godersi quella visione paradisiaca che per me era solo un ricordo. L'ira non sfogata si riversò nel pugno che strinsi sulla coscia.

«Bene, sono solo un po' stanca» ammise. «Alla Walker Buildings è stato affidato un vecchio complesso residenziale nel centro di Melbourne. Io e papà lavoreremo fianco a fianco nel progetto, dalla ristrutturazione all'arredamento degli appartamenti» spiegò. «È una faticaccia, ma per la prima volta mi occuperò degli interni di un intero palazzo e non mi sembra vero».

Conoscevo bene la sensazione di fierezza che traspariva dalla sua voce. L'avevo sentita anche a Londra, quando mi raccontava dei suoi studi e dell'entusiasmo che ne ricavava. Lavorare nella Walker Buildings – lo studio di architettura fondato dal nonno paterno – a stretto contatto con la sua famiglia non era solo il suo sogno o il suo futuro già scritto, ma la sua vocazione.

Non si aspettò una replica da parte mia e, approfittando del silenzio, riprese la parola: «E tu non mi racconti nulla?» curiosò. «Ho visto che sei stato sul red carpet del Festival di Cannes, Isaac! Sono cose che capitano una volta sola nella vita» quasi esclamò.

«Per fortuna» risposi sarcastico. «Questi miliardari appassionati di feste e lustrini mi stanno dando alla testa» confessai.

E non solo loro, ripeté il mio inconscio.

Michael, al mio fianco, fece schioccare la lingua ed esibì l'ennesimo ghigno. Lo stesso pensiero gli aveva attraversato la mente e non aveva potuto evitare di palesarlo.

«E tutta quella chimica che ho visto tra te e la figlia del capo?» ridacchiò Giselle. «Dai, non mentirmi».

La maniera amichevole con cui stava indagando sulla situazione fu un impatto violento contro la verità dei fatti. Ellie era davvero andata avanti e per me non provava altro che un sincero affetto. Le importava sapere come ce la cavavamo io e la bambina, ma non aveva mai accennato a gelosie o mancanze.

Mi voleva bene e accettava che io andassi oltre, quando lei era l'unica a riuscirci.

«Fingere davanti alle fotocamere è facile» dichiarai divertito. Tra me e Desirée non poteva esistere alcuna chimica: eravamo agli antipodi, uniti da una mera attrazione fisica che superava i confini designati dalla nostra rivalità in affari.

All'improvviso udii la sua risata, prima ancora che mi rispondesse. Giunse ovattata, come se avesse allontanato il cellulare dalla bocca; altri rumori indistinti mi riverberarono nei timpani e la sua voce tornò a suonare chiara solo quando pronunciò: «Dove vai? Vieni a salutare Isaac», riferendosi a un'altra persona presente nella stanza.

Rafforzai il pugno, tanto che le unghie mi si conficcarono nel palmo. Sapevo già chi si trovava dall'altro lato della cornetta, ma non potevo nascondere quell'accenno di gelosia che ancora risiedeva in me, come sale sulle ferite aperte.

Michael, che riuscì a origliare la telefonata grazie al silenzio, continuò a prendermi in giro: simulò un saluto militare e finse di avere occhi sognanti, come faceva dal giorno in cui aveva scoperto della nuova relazione di Giselle.

«Ciao, Isaac!» urlò la voce del suo Nash, dall'altra parte della stanza, come se si fosse già allontanato.

Flebile, ricambiai il saluto.

«Perdonagli la fretta, è appena tornato dalla base» spiegò. Come se le fosse venuta in mente l'ennesima notizia da recuperare, poi, alzò il tono della voce. «Oh, ci sposiamo!» trillò. «Non te lo avevo ancora detto, lo so, ma mi sembra il momento migliore per farlo».

A comunicarmelo, suo malgrado, ci aveva già pensato Instagram qualche settimana prima. In mancanza di tempo aveva creduto che mi sarebbe bastato scoprirlo da una foto pubblicata, ma faceva male che me l'avesse detto solo in quel momento, come se fossi stato una persona qualunque.

Dolse così tanto che, realizzai, ogni atto sessuale con Desirée smise di sembrarmi una scappatoia penosa.

In perfetto equilibrio tra distruzione e distrazione.

«Congratulazioni, Ellie» mi sforzai di augurarle. Tentai di rallegrare il tono e di sorridere per accentuare la contentezza che, nel profondo, provavo per lei. Nonostante le mie sensazioni contrastanti, ero fiero del fatto che fosse stata capace di guarire dai miei errori e andare oltre. «Sono felice per voi» ammisi.

«Diciamo che l'organizzazione del matrimonio si è aggiunta al lavoro di entrambi, e poi abbiamo pianificato un...»

Smisi di ascoltarla nel momento in cui il mio telefono riprese a vibrare per segnalare una telefonata in arrivo. Il nome che lampeggiava, quella volta, fu quello di Alyssa, un'amica di vecchia data che viveva a Londra e aveva frequentato la mia stessa università.

Sapevo che, quando arrivava una sua chiamata, non era mai per una casualità: Alyssa era solita informarmi di tutte le iniziative benefiche che si svolgevano nei dintorni, essendo a conoscenza di quanto mi importasse e lavorando lei stessa a contatto con gli enti benefici. Non potevo non risponderle, o avrei perso l'ennesima occasione di fare del bene.

«Scusami, Ellie, devo rispondere a una telefonata importante. Ci sentiamo, va bene?» la congedai in fretta.

«Stai tranquillo, avremo tutto il tempo» dichiarò. «A presto, salutami Erin» si raccomandò prima di attaccare.

Dopo che Giselle riagganciò, nell'altoparlante riecheggiò la voce gioviale di Alyssa.

«Isaac!» esclamò. «Che fine hai fatto?»

Esattamente come accadeva con Ellie, faticavo spesso a mantenere stabili i contatti con le persone. Non avevo notizie di Alyssa da mesi, complici il lavoro e le responsabilità genitoriali, e tantomeno avevo avuto occasione di prendere parte ad altre iniziative benefiche all'infuori delle semplici donazioni.

Ancora teso dalla chiacchierata avuta con Giselle, attivai il vivavoce e appoggiai il cellulare sulla coscia per accendere una sigaretta. Dopo il primo tiro, liberai il fumo dalle labbra.

«Sono nel Principato di Monaco, in realtà» confessai. «È una storia lunga, c'entrano mio padre e la sua azienda» continuai, abbandonandomi a un sospiro che soffiò via un altro nugolo tossico. «Tu? Che mi racconti?»

«Niente di nuovo, conduco la più monotona delle vite» ridacchiò. Si ricompose in pochi secondi, riacquisendo la serietà. «Porto delle notizie interessanti, però» annunciò.

Gettai uno sguardo a Michael che, al mio fianco, alzò gli occhi al cielo. Senza proferire una singola parola, stava comunicando la sua seccatura nei confronti del mio spreco di denaro per i meno fortunati.

«Sono tutto orecchi, Aly».

Udii un fruscio di carta, come se lei stesse rispolverando una manciata di appunti, dopodiché riprese a parlare. «Ho due eventi da proporti» esordì. «Il primo si terrà a Venezia: è stata organizzata un'asta di beneficenza nel salone da ballo di Ca' Rezzonico, su Canal Grande» spiegò, attirando la mia attenzione. «Vi si terrà anche un ballo in maschera. Il soggiorno è programmato dall'uno al quattro giugno presso il Gritti Palace, mentre l'evento sarà il due. Qualora accettassi l'invito, sono coperte tutte le spese» spiegò, «e il ricavato dell'asta sarà devoluto per finanziare dei centri antiviolenza».

Ci riflettei su, scacciando il fumo dell'ennesimo tiro di sigaretta.

Venezia era una città mozzafiato e non era ancora spuntata nella mia lista personale. In più, la mia permanenza nel Principato mi concedeva di trovarmi vicino all'Italia, facilitando l'impresa.

Ciò che mi zittì, tuttavia, fu la causa di quell'asta. Finanziare i centri antiviolenza della nazione mi avrebbe riempito il cuore di gioia e avrebbe curato le ferite del passato. E, soprattutto, era il modo migliore di portare a termine il mio compito: avevo giurato su di lei che avrei aiutato le donne che erano ancora in tempo per essere salvate dalla meschinità e da una violenza inaudita.

Senza dare un'immediata conferma ad Alyssa, mi schiarii la voce: «E quale sarebbe la seconda iniziativa?»

«Un aiuto concreto alle banlieue di Parigi, in particolare alla zona di Aulnay-sous-Bois» rispose. «È stata organizzata una raccolta di alimenti e beni di prima necessità da distribuire ai cittadini che vivono in condizioni economiche precarie. Il soggiorno sarà dal cinque al sette giugno presso l'Hotel Ritz, e raggiungerai Parigi direttamente da Venezia perché l'ente benefico offre un paio di biglietti per l'Orient Express» proseguì. «Allora? Che ne pensi?»

La povertà dei quartieri popolari parigini era un altro argomento che mi toccava da vicino. Mia madre aveva piantato le radici della sua vita, lì; conoscevo quella quotidianità grazie ai suoi racconti e agli anni trascorsi a Hackney.

«Oh» aggiunse, «come sempre, dovresti solo organizzare il viaggio di andata e di ritorno, ma credo che con il jet privato a tua disposizione non sarà un problema».

Prolungai il silenzio per spegnere il mozzicone e abbandonarlo nel posacenere sul tavolino da caffè, dinanzi alle poltrone occupate da me e mio fratello. Non avrei trascorso altri minuti per pensarci su: erano due iniziative imperdibili, che avrebbero alleggerito i pesi gravosi che schiacciavano la mia coscienza.

Sistemandomi contro lo schienale per ritrovare la comodità perduta, riafferrai il cellulare e me lo avvicinai alle labbra.

«Non dovrei avere impegni importanti qui nel Principato, quindi perché no» accettai. «E sì, per il trasporto non c'è problema».

Alyssa emise un mormorio indecifrabile, pensierosa, ma rispose nell'immediato: «C'è solo un piccolo dettaglio che ho tralasciato...»

«Ovvero?» indagai.

«Il ballo in maschera a Venezia implica che tu ci vada con qualcuno, e le camere d'hotel prenotate sono entrambe per due persone» spiegò. «Credi di riuscire a trovare un'accompagnatrice?»

La sua domanda mi bloccò per l'ennesima volta. Lì a Monaco non avevo stretto troppe amicizie e le possibilità si riducevano a un'unica persona. Il nome di Desirée fece capolino tra gli anfratti della mia mente, ma cercai invano di scacciare quell'ipotesi.

Michael, dal canto suo, tornò a infastidirmi con il suo sesto senso gemellare. Mi scoccò un'occhiata eloquente e un ghigno divertito, consapevole che non avrei impiegato troppo tempo a cedere.

Avevo già fallito nella missione di starle lontano e resisterle. Avevo ceduto al suo fascino tentatore, perdendomi tra le curve pronunciate del suo corpo mozzafiato e tra le sue bugie. Superare la sua maschera di perfezione, però, si era rivelata una condanna.

Ero convinto che anche lei si stesse sforzando nel mantenere le distanze da me, pur essendo entrambi succubi l'uno dell'altro. Chiederglielo sarebbe stata l'ennesima sfida, ma il mio inconscio sapeva già che l'avrebbe accettata.

D'altronde, doveva ancora restituirmi il favore del Festival di Cannes.

«Conta su di me, Alyssa» sentenziai con decisione. «Non mancherò».

«Grandioso!» esultò la ragazza. «Ti inoltro per email i biglietti, gli inviti e le prenotazioni degli hotel» aggiunse. Le parole si susseguirono celeri, visto l'entusiasmo, e il tono alto di voce mi sfondò i timpani. «Grazie della partecipazione, come sempre».

«Grazie a te» replicai con sincerità.

Ignaro di come portare avanti la conversazione, controllai l'ora sul Rolex. A breve Erin sarebbe tornata dall'asilo in compagnia di Kira e volevo dedicarle tutta l'attenzione, ragion per cui iniziai a liquidare Alyssa nella speranza di riuscire ad allontanare anche Michael.

«Ora ti lascio, Alyssa» la informai. «Vorrei trascorrere un po' di tempo con mia figlia. Non verrà con me a Venezia e a Parigi, quindi meglio approfittarne». Un accenno di tristezza colorò la mia voce, ma scacciai quel pensiero.

«Tranquillo» mi rassicurò. «Grazie ancora per la disponibilità. Ci sentiamo» mi congedò.

«A presto» ricambiai il saluto.

Quando la telefonata terminò e la schermata scomparve, mio fratello non perse un solo secondo per importunarmi con la sua fastidiosa presenza. Fece schioccare la lingua contro il palato e, rilassato sulla poltrona, diede voce alle sue opinioni frivole.

«Giselle ti fa del male giocando la carta del matrimonio e tu curi la ferita pensando alla beneficenza?» mi derise. «Che metodo originale» commentò.

Seccato, mi alzai e iniziai a vagare per il salottino a passo lento. Non mi curai di non pestare i tappeti con le scarpe, né di ignorare le sue parole: volevo solo che quella mattinata finisse per accogliere Erin tra le mie braccia e dimenticarmi dei problemi e delle responsabilità.

«Potresti andartene?» implorai Michael, sconfitto. «Tra poco torna mia figlia e, se non ti dispiace, vorrei stare con lei senza pensare a niente» ammisi. «E tu non sei d'aiuto».

Alzò le mani al cielo per dichiararsi innocente di fronte alla mia accusa, ma acconsentì alla mia richiesta. Si alzò dalla poltrona e iniziò ad avvicinarsi alla porta della suite. Ne afferrò il pomello e la tirò verso di sé, ma si fermò senza voltarsi e senza rivolgermi sguardo alcuno.

«So che mi comporto sempre come il coglione che sono» premise, improvvisamente austero, «ma quando ti consiglio di andare avanti è perché dovresti farlo sul serio, Isaac. Ellie non avrà un futuro con te. Accettalo e basta» consigliò.

Lasciò la stanza senza che io potessi replicare, ma le sue parole vorticarono nella mia testa fino a farmi impazzire.

Aveva ragione, per una volta. Giselle non era più mia, forse non lo era mai stata; forse meritava una libertà che il mio dolore e la mia rabbia non le avevano concesso, e poteva conquistarla solo con la nuova vita che stava costruendo.

Con o senza di me.

Rimasi prigioniero di quel silenzio riflessivo, alternando lo sguardo dagli arredi della suite al panorama all'esterno della finestra, incapace di capire come agire. Da una parte, Giselle era l'ancora che mi teneva saldo a un passato che non volevo lasciare; dall'altra, Desirée era la distrazione e la liberazione dai pensieri che mi ossessionavano. Erano abitudine e cambiamento, consuetudine e rischio. E io, ancora, non ero in grado di capire quale strada avrei percorso.

Il chiarimento ai miei dubbi non tardò ad arrivare. Una notifica trillò e lo schermo del cellulare si illuminò, quindi lo guardai. Fu quel dannato messaggio di Giselle a farmi capire che, ormai, era giunto il momento di lasciarla andare. Provare a starle accanto ostacolato dal suo futuro marito avrebbe riaperto le ferite, invece di ricucirle.

Così come fecero le sue parole.

"Prima non ho avuto il tempo di dirtelo, ma io e Nash abbiamo organizzato una breve vacanza in Costa Azzurra a giugno. Dormiremo a Nizza, ma raggiungeremo te ed Erin lì a Monaco. A presto!".

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Nota dell'autrice
Ciao a tutti amici, come state? <3
È da praticamente un mese che non aggiorno e tra il lavoro (che ho finito, per la mia gioia) e una piccola pausa in Toscana, ho scritto questo capitolo quando avevo il tempo materiale di farlo. Si tratta di un capitolo di passaggio, in cui non succede nulla di eclatante ma abbiamo delle informazioni importanti per il futuro dei nostri protagonisti.
Oltre alla confusione di Isaac riguardo i pensieri contradditori che spaziano da Giselle a Desirée (e un Michael che coglie la palla al balzo per infastidirlo), ci ritroviamo davanti a due viaggi imminenti in cui ne vedremo delle belle (ma anche dopo): Venezia e Parigi. Siete curiosi?
Veniamo anche a sapere che presto ci faranno visita Giselle e Nash direttamente dall'Australia. Non vedo l'ora di presentarvi quest'ultimo, credetemi. È un personaggio che fareste bene a tenere a mente perché potreste ritrovarlo in una nuova avventura...
Detto ciò, vi ringrazio anche oggi per la lettura e vi dico che ci vediamo al prossimo capitolo. Saremo di nuovo i protagonisti di una sfarzosa festa al Jimmy'z con Desirée, e Isaac tornerà a sfiorare i limiti della distanza e del lavoro.
A presto! <3

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