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26 maggio 2024
Montecarlo, Principato di Monaco

Una passata di gloss bastò per lucidarmi le labbra, aiutata dal riflesso nello specchietto retrovisore della mia auto.

Avevo parcheggiato dinanzi all'ingresso dell'Hermitage, nella quieta piazza Beaumarchais, per aspettare Isaac. Di lì a poco saremmo partiti per il Festival di Cannes, e la costrizione di dover trascorrere un'intera giornata con lui era svilente. Forse, però, era meglio dell'assenza di Valentin, impegnato con le questioni lavorative di suo padre a Parigi.

L'idea che il britannico stesse diventando un chiodo fisso non era concepibile. Freddezza, compostezza e nessun rapporto umano, era stata la raccomandazione di papà. Ma come potevo dimostrarmi glaciale, se lui appiccava le fiamme alle mie ceneri spente dalle oppressioni?

La sua presenza non era più irritante, quanto in grado di rendermi un fascio di nervi. I respiri mozzati con cui mi aveva lasciato su una spiaggia di Cap-d'Ail, una settimana prima, ne erano la dimostrazione. Era vicino e immobilizzante, prossimo a spogliarmi dei miei veli di falsità per accarezzare i miei intimi segreti.

E la cosa peggiore era che io, per lui, non ero opaca perfezione, ma lucida trasparenza.

Scacciai quel pensiero costante e riposi il gloss nella pochette, che abbandonai sul sedile posteriore. Proprio in quel momento, Isaac oltrepassò la soglia dell'hotel. Gli scoccai un'occhiata che sembrò durare in eterno, le pupille cristallizzate sulla camicia beige che indossava, infilata nei pantaloni neri, e sulla giacca del medesimo colore che reggeva con una mano, adagiata sulle spalle. Non capii se ricambiò il mio sguardo, perché le sue iridi azzurre erano celate da un paio di occhiali da sole che lo proteggevano dai pochi raggi che filtravano tra le nuvole di quel fine settimana.

Adocchiò la mia auto e non indugiò, raggiungendola in pochi passi. Caricò la sua piccola valigia nel portabagagli, impilandola sulla mia, per poi aprire la portiera. Si accomodò sul sedile del passeggero e si sfilò gli occhiali.

«Mi aspettavo un van o una limousine, Daisy» esordì. «Ma dovevo immaginare che avresti preferito il tuo giocattolino glitterato». Nell'attesa, allacciò la cintura di sicurezza.

«È un gioiello. Non troverai altre Aventador come questa, in circolazione» dichiarai con un ghigno fiero. Infilai i guanti in pelle che solevo indossare alla guida, seguiti dagli occhiali da sole. «E poi, mi piace avere il controllo al volante» aggiunsi.

Non attesi una sua risposta in merito alla mia affermazione e premetti sull'acceleratore, pronta a percorrere parte del Principato fino al confine, oltre il quartiere di Fontvieille. Tra le vie del centro, costellate da barriere metalliche e lavoratori all'opera, si respirava già l'adrenalina del Gran Premio imminente. Quello stesso pomeriggio si sarebbero tenute le prime due sessioni di prove libere, pertanto era fondamentale che lasciassimo il territorio prima della chiusura delle strade.

«La quantità di persone è assurda» commentò Isaac, osservando le tribune già gremite su Rue de la Piscine, prima che io svoltassi in direzione del confine.

«Non sei mai stato a un Gran Premio?» lo interrogai. «Sono tra gli eventi più frequentati al mondo».

«Sono stato a Silverstone, sì, ma non ha niente a che vedere con Monaco» asserì. «Questa gara è storicamente iconica, non si può paragonare alle altre».

«E pensare che odiavi il Principato, fino a qualche settimana fa» lo schernii.

«Sto avendo i miei buoni motivi per apprezzarlo».

Lo affermò abbassando il tono di voce, che divenne profondo, e una scarica di brividi mi attraversò la spina dorsale. Strinsi le mani intorno al volante, nervosa per la mia stessa reazione. Non sapevo se quella frase mi riguardasse o meno, ma ebbe il potere di lasciarmi attonita e zittirmi fino all'ingresso dell'autostrada.

Isaac, stanco dal mio silenzio, tergiversò per interromperlo: «Hai portato i vestiti, vero?»

«Ci hanno pensato Juliette e Céline, sono a Cannes da ieri sera» gli spiegai. «Soggiorneremo al Carlton, a pochi metri dal Palais des Festivals et des Congrès».

Percorsi altri metri di strada in compagnia del mero rumore del traffico che scorreva al mio fianco, nella speranza che Isaac non sollevasse questioni che riguardavano l'ultima serata trascorsa insieme, ma fu proprio quel desiderio ad attirare la sua curiosità.

Voltando appena il capo, mi guardò per ottenere considerazione. Io, tuttavia, rimasi concentrata sulla strada.

«Com'è finita con tuo padre, dopo quella sera?» indagò. Dal tono trapelava una sincera preoccupazione, e non l'intenzione di deridermi.

Feci spallucce, ostentando indifferenza. «Gli ho detto che ho dormito a casa di Valentin, dopo la cena. Spero che lui non dica nulla a riguardo» sospirai.

La paura che papà venisse a scoprire la verità mi dilaniava dall'interno, in realtà. Tra me e Isaac non era accaduto nulla di sconvolgente, ma ero certa che avrebbe ritenuto grave l'essere stata in mera compagnia dell'inglese. Aver dormito con lui su una spiaggia, inoltre, non sarebbe stato accettabile.

Irrequieta, saldai la presa attorno al volante e ridussi le labbra a una linea sottile, sfruttando la guida come unica soluzione.

Né mio padre, né Valentin erano a conoscenza di com'era andata quella serata, e provare timore nei confronti di entrambi era la sensazione più soffocante che io avessi mai percepito. Mi impediva di respirare, l'ossigeno che entrava solo annaspando e l'ansia che iniziò a prendere il sopravvento.

Solo per aver concepito un inutile pensiero.

Ma fu un tocco improvviso e famigliare a farmi riprendere fiato, tanto indesiderato quanto agognato. La mano di Isaac mi sfiorò la coscia scoperta, raggrinzendo il tessuto della gonna bianca che indossavo, e disegnò linee irregolari con il pollice. In quel modo mi regalò un sussulto e tutti i respiri perduti.

«Stai tranquilla, Daisy» sussurrò, roco. «Non dobbiamo parlarne, se non vuoi».

Deglutii il groppo formatosi in gola e non reagii al suo gesto, ma annuii per ringraziarlo in silenzio.

Da quando lui era nei paraggi, però, mi sentivo come se stessi perdendo il controllo sulla mia vita. Gli obblighi erano diventati difficili da rispettare, la distanza impossibile da mantenere persino per me, che ero cresciuta a pane e regole rigide senza lamentarmi mai.

Come se le mie paranoie non fossero abbastanza, il traffico riversato su una singola corsia stava contribuendo ad agitarmi. Dovevo liberarmi il prima possibile di quell'ennesimo fardello e riacquisire il comando sulla strada; con la mano di Isaac ancora intenta a carezzarmi la coscia, visto il mio mancato rifiuto, spinsi sull'acceleratore e affiancai l'intera fila di veicoli per superarla.

Sfiorando i duecento chilometri orari e incurante del limite massimo di velocità, abbassai il finestrino per permettere al vento di infilarsi tra i miei capelli e lenire i dispiaceri. Il ruggito del motore potente mi cullò come un canto soave; l'adrenalina mi rilassò e mi incurvò le labbra in un sorriso.

Isaac, sorpreso dalla repentinità di quel gesto, rinsaldò la presa sulla mia coscia e produsse un risolino nervoso.

«Pazza» mi etichettò, ironico.

Feci spallucce, ancora intenta a spingere sul pedale. Mancavano pochi chilometri all'uscita per Cannes.

«Ringraziami per aver sfogato tutto sulla guida. Sentirmi sbraitare sarebbe stato insopportabile» ghignai.

Scostò la mano lasciando che il vuoto si impossessasse di me, quindi controllò l'ora sul display del suo cellulare. «Siamo quasi arrivati?»

Annuii senza distogliere lo sguardo dalla strada, tornando nella corsia principale quando il traffico fu seminato. Imboccai lo svincolo in direzione del casello autostradale e finalmente, qualche chilometro dopo, raggiungemmo la costa della cittadina francese.

L'aria del festival traspirava dai manifesti pubblicitari affissi ai lati delle strade, l'esclusività emanata da ogni edificio e persona. Un'atmosfera in perfetto abbinamento con la mia indole e le mie abitudini, la zona di comfort da cui non avrei volutopotuto uscire.

Rallentai non appena raggiungemmo il Carlton, che in tutta la sua imponenza svettava al centro di altre strutture. Con la sua raffinata esagerazione e le cupole eleganti che sormontavano le torrette laterali, tra infissi e decori regali, era senza dubbio il protagonista della città.

Quando accostai al marciapiede, un valet dell'hotel attese che scendessimo dall'auto e che io gli consegnassi le chiavi di quest'ultima. Gliele porsi, ringraziandolo con un sorriso cortese.

«Le valigie sono nel bagagliaio. Le faccia recapitare in camera quanto prima possibile» ordinai, pur mantenendo un tono gentile e non troppo autoritario.

«Sarà fatto, mademoiselle» acconsentì.

Ricevuta la sua conferma, girai sui tacchi e mi voltai verso l'hotel, ma cercai Isaac con lo sguardo prima di entrare. Era intento a studiare i dettagli architettonici dell'hotel, proprio come aveva fatto il giorno del suo arrivo nel Principato.

«Andiamo?» gli domandai.

Lui annuì, avvicinandosi a me con disinvoltura. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni, mentre con l'altra tornò a nascondere le iridi sotto gli occhiali da sole.

Staccare gli occhi da lui era impossibile. Dal reticolo intricato di tatuaggi incisi sulla sua pelle ai suoi lineamenti decisi, fino all'accenno di barba che sottolineava la sua virilità di uomo in carriera, non c'era parte di lui che non fosse magnetica per la mia attenzione. Mi maledissi mentalmente, perché avrei dovuto essere lì con il mio futuro marito, e non con il mio affascinante rivale in affari.

«Ennesimo hotel, ennesimo capolavoro» constatò, riportandomi alla realtà. «Voi francesi non smetterete mai di stupirmi».

«Mi hai chiamato "francese"?» lo ammonii, guardandolo con finto disappunto, mentre ci avviavamo verso l'ingresso dell'edificio.

«Non oserei mai, Daisy» si difese.

Entrando nell'hotel, la sua immensa eleganza ci accolse nel suo abbraccio. Era impossibile non restare a bocca aperta dinanzi ai soffitti bianchi sorretti dalle colonne del medesimo colore, ai dettagli dorati dei lampadari fino al marmo lucido sotto i nostri piedi. Nemmeno la mia crescita in ambienti pressoché principeschi mi aveva preparato a un capolavoro del genere.

«Il me bambino che viveva in un bilocale di Hackney mi etichetterebbe come un ricco spocchioso, se mi vedesse» commentò Isaac.

«Beh, allora goditelo» gli suggerii. «Non è un privilegio di cui possono vantarsi tutti».

Impiegammo alcuni minuti a svolgere le procedure di check-in presso la reception, dopodiché un dipendente dell'hotel ci accompagnò fino alla stanza che ci era stata assegnata. Ci consegnò la chiave augurandoci un buon soggiorno e un buon festival, quindi tornò al piano terra per adempiere alle sue mansioni.

Sbloccai la serratura della porta con la chiave magnetica, pronta a spingere la porta per entrare nella nostra stanza. Non appena la aprii, la luminosità ci investì, accentuata dagli arredi bianchi e raffinati che la decoravano.

Percorsi i primi metri della stanza, resa mozzafiato dalla vista che ci regalava sul mare cristallino della Costa Azzurra. Non mi godetti il panorama per abbastanza tempo, però, perché il mio sguardo venne catturato da un altro dettaglio: alle mie spalle, infatti, vi era un letto matrimoniale. Un dannatissimo letto matrimoniale.

«No» sentenziai nell'immediato, fulminandolo con gli occhi. «Assolutamente no» ripetei, scossa da una risatina nervosa.

«Che problema c'è?» mi chiese Isaac, raggiungendomi dopo essere stato intento a dare un'occhiata al bagno.

«Questo», e indicai il letto. «Gli inviti erano per me e Valentin e, di conseguenza, quando Céline ha prenotato l'hotel ha chiesto una camera matrimoniale» spiegai. «E io, come una stupida, me ne sono completamente dimenticata».

«È inutile rammaricartene adesso, Desirée» mi fermò, precludendomi dal lamentarmi e innervosirmi. «Pare che dovremo dormire insieme. È solo una notte, in fondo». Fece spallucce, indifferente.

Ed è questo che non va bene, pensai. Perché tu mi stai sporcando di peccato solo con il pensiero, Isaac, e io avevo appena iniziato a ripulirmi.

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«Finito!» esclamò Juliette con fierezza.

Roteò la sedia girevole così che io potessi fronteggiare lo specchio e studiare il mio riflesso. La truccatrice aveva realizzato un trucco semplice ma impeccabile, che metteva in luce i lati migliori del mio volto. La sfumatura dell'ombretto che aveva scelto mi assottigliava lo sguardo, le labbra riempite dalla tinta nude erano delineate alla perfezione.

Aveva improvvisato una piccola postazione per il trucco nella stanza d'hotel in cui avremmo soggiornato io e Isaac, mentre lui aveva optato per prepararsi nel bagno della stessa. A breve ci saremmo diritti al Palais des Festivals et des Congrès, pronti a sfilare insieme su uno dei tappeti rossi più importanti al mondo.

«Hai fatto un lavoro impeccabile, Juliette. Non ti smentisci mai» mi complimentai.

Analizzai il perfetto abbinamento delle tonalità del trucco a quella del vestito, che creava un contrasto fantastico con la mia carnagione olivastra. Persino Céline non aveva sbagliato di una virgola nella scelta dell'abito: sapeva che con l'eleganza raffinata e delicata di Dior non sarebbe andata errando.

Contenta del risultato, mi alzai dalla sedia e sorrisi alla mia truccatrice, nonché mia amica, ormai. Sembrava l'unica a vedere una mia ipotetica bellezza, esteriore e interiore, e a instillarmi la medesima sicurezza che la mia agente, invece, mi sottraeva.

«Sono sempre più convinta che tuo padre ti tratti come una principessa perché è ciò che sei. Ti ha cresciuta come tale e sei diventata una donna di gran classe, a prescindere dal modo in cui vivi e da come ti vesti» commentò, facendo allargare il mio sorriso.

L'autostima non mi era mai mancata, ma la sua sincerità regalò un brillio emozionato alle mie sclere. Notando quell'accenno di sana vulnerabilità, la ragazza si sedette sul letto e mi guardò, ora dal basso.

«Come ti senti riguardo al fatto che Valentin non sia qui?» mi chiese, quindi, acquisendo maggiore serietà. Non era a conoscenza di molti dettagli di quella relazione, ma il modo in cui lo domandò mi portò a pensare che si fosse accorta di qualcosa. «Non voglio farmi gli affari tuoi, ma mi sembri... serena. Diversa dal solito, perlomeno» aggiunse.

Ignara di come replicare, feci spallucce e mi guardai intorno per non cedere. Faceva male pensare che lui non si dimostrasse interessato alle cose importanti per me, ma ciò alimentava il mio bisogno di stargli lontano per salvaguardarmi. Una parte di me lo voleva vicino per rattoppare le crepe del nostro rapporto e far sì che tutto filasse liscio, ma l'altra lo respingeva.

«È a Parigi per sbrigare degli impegni con suo padre» spiegai. «È stato la prima persona a cui avevo proposto di accompagnarmi, ma ha rifiutato e non posso costringerlo. Non sono quel tipo di persona».

Con la voce che iniziò a tremare, tentai di non crollare per una piccolezza di quel genere. Valentin, dal canto suo, mi avrebbe obbligato a piegarmi al suo volere se ciò avesse giovato alla sua reputazione e alla sua posizione, ma essere consapevole della sensazione che ne nasceva mi impediva di comportarmi nella medesima maniera.

La conversazione fu tuttavia interrotta dalla porta della stanza, che venne aperta da Céline. Fece il suo ingresso senza alzare lo sguardo sui presenti, impegnata a scorrere il dito sul display del cellulare muovendosi a passo svelto. Abbandonò la sua borsa sul pavimento e iniziò a dettare legge.

Per una volta le fui grata.

«Allora, la limousine sarà qui tra mezz'ora. È tutto pronto?» chiese, la voce squillante e fastidiosa. Non attese una risposta e proseguì in tutta la sua autorevolezza: «Ci saranno i fotografi di tutte le riviste più importanti, quindi dev'essere tutto perfetto».

Fu allora che mi guardò per accertarsi che la mia immagine fosse priva di difetti. Dal modo in cui apparivo dipendeva anche la sua paga, e una donna malata di denaro come lei non poteva permettersi di perdere un solo centesimo.

«Quel vestito è da sistemare» constatò, indicando il mio seno. La scollatura a cuore metteva in evidenza le mie curve pronunciate e le conteneva appena. Tentai di sollevare l'abito per nascondere il problema. «Grazie a Dio, la maggior parte delle foto sarà ritoccata» sospirò di sollievo.

La sua dichiarazione mi raggelò, e le lanciai un'occhiata fulminante che, però, fu captata solo da Juliette.

«Lasciala stare, Céline. Sta benissimo» mi difese.

La donna arricciò le labbra, contrariata. «Suo padre si è raccomandato di farla brillare, e chi sono io per non accontentarlo» asserì.

Mio padre. Nel momento in cui mi ricordai che proprio lei, la causa principale delle mie insicurezze, era nel pieno di una frequentazione con mio padre, un conato di vomito mi risalì l'esofago.

E se lui si fosse lasciato influenzare dalle sue idee e avesse iniziato a pensare che non ero abbastanza? Se anche lui avesse perso la fiducia in me?

Un respiro profondo fu il tentativo di liberarmi di quel peso adagiato sul petto, che tuttavia non si dissipò.

«Ad ogni modo» continuò con menefreghismo. «Dov'è Isaac?» mi interrogò, guardandosi intorno. «Deve darsi una mossa».

Superai la donna in silenzio, bloccata dalle sue affermazioni, e mi avviai verso la porta chiusa del bagno. Iniziai a bussare ripetutamente.

«Sbrigati» gli ordinai. «Non mi perderò il red carpet per colpa tua, Isaac».

Non si fece attendere e sbloccò la serratura della porta dopo una manciata di secondi. Spalancò l'uscio ma, invece di accelerare i tempi, riuscì a cristallizzare tutto.

Fu una calamita per la mia attenzione, che strisciò lungo tutto il suo corpo fasciato dal completo nero e perfettamente stirato. Quindi incagliai lo sguardo al suo viso nonostante la differenza d'altezza che intercorreva tra noi: era curato alla perfezione, privato dell'accenno di barba che aveva avuto fino a quella stessa mattina. E la nostra vicinanza, purtroppo, fu il culmine, perché distrarmi dalle sue iridi azzurre sarebbe stato impossibile.

Nemmeno un lungo respiro riuscì a tranquillizzarmi. Il profumo balsamico che emanava mi stordì, e dovetti mordermi l'interno di una guancia per tornare alla realtà.

Lasciò che un ghigno nascesse sul suo viso, incurante della presenza di Juliette e Céline. «La limousine arriva tra poco, ho capito» dichiarò in un mormorio, come se stesse parlando solo con me. «Sono pronto».

«Siete perfetti!» trillò Juliette, alzandosi dal letto. Batté le mani emozionata, ma io le scoccai un'occhiata torva.

«Valentin avrebbe fatto una figura migliore» commentò Céline, sprezzante, portandomi ad abbassare lo sguardo e a compiere un passo indietro. Sarebbe stata una lunga serata. «Anche Jules l'avrebbe preferito».

Mi trasformai in un fascio di nervi, in un nodo alla gola che rese doloroso il mero proferire parola.

«Iniziamo a scendere nella hall» proposi a Isaac. «È ora di andare».

Come aveva imparato a fare da qualche giorno, non si dimostrò indifferente al mio nervosismo. Lo combatté nella stessa maniera in cui l'aveva fatto durante il viaggio da Monaco a Cannes: gli bastò offrirmi il suo contatto fisico porgendomi il braccio, che io afferrai.

Guardai per l'ultima volta Juliette e Céline. «Ci vediamo dopo, se non direttamente domattina» le salutai.

«Buona serata, ragazzi» ci augurò la più giovane.

Céline, invece, ci ignorò, e noi uscimmo dalla stanza senza congedarla.

Io e Isaac rimanemmo finalmente soli, dopo esserci chiusi la porta alle spalle, impegnati nel tragitto che ci avrebbe condotto alla hall del Carlton. Separarmi da lui fu impossibile: la parte razionale di me l'avrebbe fatto senza rifletterci su, ma quella impulsiva mi obbligava a restare e a usarlo come scudo contro il nervosismo.

Il silenzio in cui ero rifugiata, per lui, era più eloquente di mille parole. Lo capii quando mi attirò a sé con uno scatto deciso seppur delicato, e la distanza tra di noi diminuì.

«Stai tranquilla, Daisy» mi sussurrò. «Vada come vada, è solo un giorno della tua vita. Non sarà la tua condanna».

Non compresi dove la sua rassicurazione volesse andare a parare, ma immaginai che si riferisse agli strascichi delle frasi di Céline che aveva udito prima di uscire.

Mi limitai ad annuire e sospirare, ma il peso che mi impediva di respirare persistette. Erano pensieri ossessivi che mi impedivano di ostentare sicurezza e autostima e che, al contrario di quanto detto da Isaac, avrebbero influito sull'intera serata.

Raggiungemmo la hall dell'hotel in pochi minuti, poi uscimmo per attendere la limousine di fronte all'ingresso. Il cielo nuvoloso e la brezza fresca sembravano annunciare un temporale imminente, che non ci preoccupò.

«Tra un impegno e l'altro, mi sono dimenticato di chiederti a quale première assisteremo», fu il tentativo di Isaac di intavolare un'altra conversazione.

«The Old Oak di Ken Loach. Dovresti esserne contento, è come se giocassi in casa» replicai, riferendomi al fatto che il regista fosse britannico.

«Ken Loach è una mente geniale, non ho dubbi sulla qualità del suo ennesimo film» commentò. «Ha già vinto due Palme d'oro, d'altronde».

Non fece in tempo a completare l'elenco degli elogi, che la limousine arrivò e accostò al marciapiede. L'autista – un uomo sulla cinquantina, curato e cordiale – scese dal veicolo per aprire la portiera posteriore e accoglierci al suo interno.

La luce violacea e soffusa illuminava appena gli interni bianchi, e la musica creava un sottofondo piacevole che ci avrebbe accompagnato per pochi chilometri. Da un cestello colmo di cubetti di ghiaccio spuntava una bottiglia di pregiatissimo Dom Pérignon, su cui mi avventai non appena la vidi.

La porsi a Isaac, ora seduto sul divanetto in pelle, insieme a un cavatappi, quindi afferrai due flûte.

«Brindiamo?» gli domandai con un sorrisetto che tentai di nascondere, scuotendo i calici.

Lui, in tutta risposta, stappò la bottiglia. Lo schiocco che emise fu musica per le mie orecchie, il suo colore giallognolo magia per i miei occhi. Porsi una flûte a Isaac non appena ebbe le mani libere.

«A cosa?» mi interrogò, il bicchiere fermo a mezz'aria e lo sguardo che insisteva su di me. Dannate iridi celesti.

In sottofondo, solo il rumore della limousine che sfrecciava costeggiando il mare. File di palme che scorrevano rapide e si fondevano con il cielo plumbeo.

«A una tregua temporanea» dichiarai. «E a una rivalità costante» aggiunsi, allungando il calice nella sua direzione.

Le flûte collisero e tintinnarono, dopodiché entrambi assaporammo l'alcolico. Il liquido dolciastro mi beò le papille gustative, poi bruciò all'inizio della gola annientando parte dei dispiaceri.

«A una rivalità costante, mia Daisy» ghignò.

Incolpai l'alcol e la mia incapacità di reggerlo per il brivido che mi serpeggiò lungo la spina dorsale. Irrigidita, sembrai sull'attenti per lui e le sue parole inaspettate, tanto da sentirmi avvampare.

Fortunatamente, la limousine accostò al marciapiede e si fermò un paio di metri dopo. Dai finestrini oscurati si intravedevano già le decine di fotografi, che con i loro flash immortalavano l'iconicità del red carpet, e si udivano le urla ovattate dei fan delle singole celebrità.

Io e Isaac riponemmo i calici nell'attesa che l'autista scendesse dal veicolo per aprire la portiera. Nel momento in cui lo fece, scorsi i primi centimetri di tappeto rosso.

Cresciuta in un mare di lusso e denaro, sfilare per una première al Festival di Cannes era uno dei punti più alti della mia vita. Il primo di una lunga carriera, che passo dopo passo avrebbe costituito l'eredità di mio padre.

Non potevo permettermi un singolo passo falso, pensai mentre Isaac scendeva dalla limousine. Eppure, non appena lui mi porse la mano per aiutarmi a replicare i suoi movimenti, udii la voce di Céline che come un tarlo invasivo si nutrì della mia autostima.

Devi dimagrire, la tua immagine è tutto. E se io non fossi stata all'altezza di quel tappeto rosso, delle fotocamere e dell'evento?

Deglutii il nodo che mi si formò alla gola e afferrai la mano di Isaac per scendere dal veicolo. A contatto con la sua pelle morbida, parte delle paranoie fu rimpiazzata da una tacita rassicurazione.

Stammi vicino, sussurrava il mio istinto. Forse, se crollassi, tu sapresti raccogliere i miei pezzi.

Scesi dalla limousine e mi guardai intorno, lo sguardo perso nella miriade di fotografi che assaltavano la transenna che li separava dal red carpet. Accennai un sorriso e salutai coloro che indirizzarono gli obiettivi a me e Isaac, quindi ci avviammo verso il centro del tappeto.

Pressoché chiunque, lì, mi conosceva per essere la figlia di uno degli uomini più facoltosi e influenti della Costa Azzurra. Tutti sapevano dell'erede di Jules Aubert, del suo imminente matrimonio e del futuro marito di cui notarono l'assenza. Un elemento così impattante da attirare centinaia di flash, quando io e Isaac ci fermammo per accontentare gli assetati di gossip.

«Desirée, di qua!» urlò uno di loro, nel marasma.

Scissi il contatto della mia mano con Isaac e posai, ma non riuscii a incurvare le labbra in un sorriso. Ogni timore instillato da Céline era un urlo assordante pronto a distrarmi.

Isaac, tuttavia, si dimostrò contrariato al mio gesto. Si riavvicinò a me e, inaspettatamente, la sua mano scese sul mio fianco. Feci del mio meglio per mantenere una distanza tale da permettermi di respirare e non soccombere all'ennesima scarica di brividi, ma lui mi attirò a sé e strinse la carne morbida tra le dita, il palmo a contatto con la seta dell'abito.

«Sorridi» sussurrò a denti stretti. «Chi vedrà queste foto si aspetta solo di vederti cadere per avere una storia da raccontare».

Concordai con lui e lo assecondai, portandogli una mano sul petto e sorridendo agli obiettivi.

«Avranno già abbastanza da dire, dato che Valentin non è qui con me» replicai.

«E tu lascia che parlino» sentenziò.

Il suo fu un invito al menefreghismo e a comportarmi con leggerezza nei confronti delle parole che, sapeva, mi avrebbero scosso, se non addirittura ferito. E l'aveva capito solo osservandomi per studiarmi e abbattermi nella nostra battaglia.

La sfilata sul red carpet terminò quando ci avviammo verso la scalinata d'ingresso del Palais des Festivals et des Congrès, pronti a goderci la première.

Separarmi da Isaac mi lasciò un vuoto inspiegabile che aveva reso pesanti persino i respiri. Nemmeno le sue dita mi sfioravano, ma lo facevano i suoi lemmi impressi nella mente e sulla pelle.

Mia Daisy. Mia.

Ed era in parte vero, realizzai mentre varcavamo la soglia dell'edificio. Si stava prendendo il mio desiderio ardente di libertà, e lo stava plasmando sotto le sue sapienti mani d'artista prigioniero delle costrizioni tanto quanto me.

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La proiezione durò poco meno di due ore, dopo le quali Isaac si intrattenne per congratularsi personalmente con il regista e alcuni attori del cast.

Condivisi i suoi complimenti senza controbattere: la storia di The Old Oak si era rivelata toccante, tra l'intreccio di vite drammatiche e il ritrovamento di una nuova famiglia capace di riportare a galla un vecchio pub dell'Inghilterra del Nord. Non solo un locale, ma un vero e proprio rifugio d'affetto incondizionato.

Successivamente, uscimmo dal Palais des Festivals et des Congrès e il buio ormai calato ci abbracciò. Sul lungomare soffiava una brezza più forte del solito, accompagnato dalle nuvole che velavano la coltre notturna, e mi strofinai le braccia con i palmi per proteggermi dal freddo.

Fu una fortuna trovare subito la nostra limousine ad attenderci accostata al marciapiede, con il solito autista ad accoglierci. Stanchi della giornata e quasi schiavi del sonno, ci rintanammo nell'abitacolo per rilassarci durante i pochi minuti che ci separavano dall'hotel.

Isaac si lasciò cadere contro lo schienale della seduta, dando libero sfogo a uno sbadiglio. Poi, distratto, afferrò il telefono e io mi concentrai sulla strada che scorreva fuori dal finestrino.

«Credo che sia uno di quei film da vedere più volte, per coglierne a pieno il significato» commentò. Non attese una mia risposta, tuttavia, poiché una risata amara gli scappò dalle labbra.

Compresi subito che si trattava di qualcosa che aveva visto sullo schermo del cellulare, e non esitai nel curiosare: «Che succede?»

«A proposito di recitazione, dovresti dare un'occhiata alle storie della tua amichetta» mi consigliò, riferendosi a Erika.

«Perché?» continuai. Mi affrettai ad agguantare il telefono a mia volta e ad aprire Instagram, ma nessun nuovo caricamento comparve sul profilo della tedesca. Il timore di scoprire cosa ci fosse dietro iniziò a divorarmi. «Non c'è niente, Isaac».

«Credo che ti abbia nascosto le storie, allora» dedusse, senza staccare gli occhi dallo schermo.

«Perché avrebbe dovuto farlo?» insistetti, dunque, tentando di placare il tremore che mi assalì le mani e frantumò la voce.

L'ennesimo mattone del mio castello di perfezione crollò quando Isaac indirizzò il cellulare verso di me, mettendomi faccia a faccia con la realtà. Erika aveva pubblicato un selfie scattato sotto la Torre Eiffel, con i suoi inconfondibili capelli rosa acconciati senza alcun difetto. Il problema, però, furono le ciocche bionde che si intravedevano nell'angolo dell'immagine; fu la guancia della mia amica sulla testa di Valentin, la sua espressione felice.

Il mio cuore impiegò un secondo a bruciare e ridursi in cenere. Non tanto per il gesto compiuto da Valentin, perché io stessa avevo sbagliato nella nostra relazione. A dolere fu l'indifferenza che aveva dimostrato verso il Festival di Cannes, a cui io tenevo da morire, giustificandosi con gli impegni di lavoro da sbrigare a Parigi. Mi aveva rifiutato per delle responsabilità inesistenti e trascorrere quei giorni con la mia migliore amica.

«Perché è con il tuo fidanzato nella città dell'amore» affermò Isaac, ridestandomi dalla trance. Nel silenzio, la sua voce mi giunse ovattata. «E tu ti ostini a fingere che tra voi non ci siano problemi».

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Nota dell'autrice
Ciao a tutti amici e buona domenica! Come state? <3
Aggiorno un po' senza preavviso (lo avevo solo notificato qui su Wattpad, anche se il capitolo avrei dovuto pubblicarlo ieri) perché sono riuscita a revisionare solo oggi. Eppure, eccovi qui servito un capitolo piuttosto succoso.
Facciamo un piccolo riassunto per non lasciarci sfuggire alcuna informazione: la nostra Desi è finalmente in direzione Cannes per prendere parte al Festival. Scorgiamo sempre di più i suoi punti deboli e il suo lato vulnerabile, esternati grazie alla presenza di Isaac (ammetterà mai di trovarla rassicurante??? Desi, muoviti) e capiamo che sono legati a due persone in particolare: suo padre e Valentin. Molti dei timori della ragazza sono basati su questo, ma in compagnia dell'inglese sembrano sparire. Che sia la perfetta miccia per un nuovo legame?
Nel frattempo, abbiamo scoperto che Valentin si trova a Parigi con Erika. Una mossa vile, da parte sua, ma che favorirà l'avvicinamento dei nostri protagonisti.
Nei prossimi capitoli ci aspetta un evento dopo l'altro, compreso il Gran Premio (il mio lato sportivo ((ferrarista)) non vede l'ora di addentrarsi proprio lì). E poi ci aspetta qualche viaggetto per l'Europa e tante, tantissime emozioni contrastanti.
Siete pronti? Vi aspetto nel prossimo aggiornamento...
A presto! <3

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Note informative

Hotel Carlton, Cannes

Palais des Festivals et des Congrés, Cannes

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