21. Évasion

IT: evasione

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19 maggio 2023
La Condamine, Principato di Monaco

Alla Collezione di automobili del Principe regnava il profumo dell'esclusività, quella sera. Persone di grande importanza popolavano la prima fila ai lati del corridoio adibito a passerella, tra le vetture d'epoca che regalavano ulteriore prestigio al Principato: fotografi, imprenditori, celebrità. Una lista a cui non potevano mancare i miei affetti e, inevitabilmente, il mio rivale.

Sospirai, lo scrollio delle mie spalle riflesso nello specchio del camerino, mentre Juliette mi ritoccava il trucco e mi intratteneva con chiacchiere frivole. Il mio cervello, però, era ancorato al pensiero assiduo di Isaac e dell'impossibilità di stargli lontano. Era diventata una simbiosi, la nostra: lui era dov'ero io, io dov'era lui. Non esisteva scampo al suo fascino pericoloso e proibito.

Juliette fissò il trucco con un'ultima spolverata di cipria, prima di allontanarsi da me per ammirare il risultato.

«Un giorno scoprirò la ragione per cui tu, anche con un makeup così semplice, riesci a essere divina» commentò con un sorriso soddisfatto.

La sua opinione mi rincuorò, come un balsamo che risanava le ferite dovute alle dichiarazioni contrastanti di Céline. Arrisi con sincerità, la sicurezza riacquisita prima di percorrere la passerella.

«Non mi prendo nessun merito, credo che sia... fortuna» replicai.

«Ora va' pure a indossare i primi abiti, dopo penseremo ai capelli» mi concesse, sistemando l'attrezzatura per il trucco sul ripiano dinanzi a me.

Annuii e mi alzai, ubbidendo alla sua richiesta. Gli abiti della collezione erano raggruppati su uno stender, accompagnati da etichette che riportavano i nomi delle singole modelle che avrebbero dovuto indossarli. Afferrai quindi il completo grigio, mi rifugiai dietro un separé e mi cambiai: indossai i pantaloni, il top a fascia e la giacca oversize. Gli ultimi furono i tacchi a spillo argento.

La parte superiore faticò a contenere il seno prosperoso e, con un sospiro, concordai mentalmente con Céline: non avevo perso i dieci chili che mi aveva chiesto, ma avrei fatto del mio meglio per evitare ulteriori inconvenienti con gli abiti. Scacciai tuttavia il cruccio e, una volta pronta, tornai alla postazione dove Juliette mi attendeva.

«Stupenda» commentò ancora, il sorriso onnipresente.

«Non è il mio outfit migliore» ridacchiai, la paranoia ancorata in testa.

«Taci» mi ammonì scherzosamente, agguantando un pettine per realizzare la mia acconciatura. Iniziò a tirare indietro i capelli per raccoglierli in una semplice coda bassa, in perfetto abbinamento con il trucco neutro. «Sei di una bellezza rara, Desi. Dovresti saperlo» diede per scontato.

Fissò l'acconciatura con la lacca, quindi mi permise di rialzarmi. Solo due ciocche mi incorniciavano il viso, libere.

«Desirée, sei la seconda» mi informò una delle organizzatrici, spuntando sulla soglia del camerino. «Inizia a prepararti».

Annuii e congedai Juliette con un sorriso, avvicinandomi alla porta.

«In bocca al lupo!» esclamò la ragazza, ancora raggiante.

Il mio ringraziamento fu breve e tacito, dopodiché mi diressi verso l'inizio della scalinata che mi avrebbe condotto alla passerella. Udivo la musica in sottofondo, il chiacchiericcio sommesso dei pochi ma illustri abitanti. Tra questi ultimi, anche i più importanti: mio padre, Valentin ed Erika. Averli lì era fonte di nervosismo e di voglia – forse persino obbligo – di apparire perfetta, al massimo della mia forma.

La ragazza che mi precedeva cominciò a sfilare quando le venne concesso il via libera e la seguii.

Poche regole, estrema concentrazione: il passo era deciso, lo sguardo puntato verso la telecamera che riprendeva le modelle, il ticchettio cadenzato seguiva il ritmo energico della musica. Ostentai sicurezza quando sfilai davanti a mio padre, al mio fidanzato e alla mia migliore amica, ma mi sentii vacillare nel momento in cui mi resi conto che l'unica attenzione davvero percepibile era quella della sola persona che non avrei desiderato fosse lì.

Le iridi azzurre di Isaac erano perforanti come una coltellata, ma non altrettanto dolorosa. Aveva l'innata – nonché seccante – capacità di rendere insignificanti tutti i presenti, come se l'edificio fosse stato popolato solo dalla sua figura imponente.

Era tutto, tranne che ignorabile.

Evitai di incagliarmi a quel pensiero, scacciandolo mentre ripercorrevo la passerella a ritroso, pronta a indossare un altro pezzo della collezione sponsorizzata.

Il tempo per il cambio d'abito era poco, motivo per cui, risalita la scalinata, accelerai per raggiungere il camerino. Pochi passi ben scanditi sui tacchi, ed entrai nella stanza lasciata in precedenza, ora priva della presenza di Juliette; a popolarla, solo i prossimi capi da indossare e un inaspettato tonfo emesso dalla porta che venne chiusa. Spaventata, mi voltai: notai Valentin appoggiato alla parete, le braccia conserte l'espressione apparentemente rilassata, in contrasto con il mio batticuore. Gli rivolsi un'occhiata infastidita.

«Che stai facendo?» gli chiesi, tornando a concentrarmi sulla sfilata. Mi avvicinai allo stender per cercare il prossimo completo. «Non puoi stare qui, devo lavorare» sbottai.

Un paio di passi gli bastò per azzerare la distanza che intercorreva tra noi; era così vicino da sentire il suo respiro sulla mia pelle scoperta, da farmi deglutire per il nervosismo.

Mi afferrò il polso e mi obbligò a guardarlo, strattonandomi con un gesto brusco e una presa stretta. Sentii il principio di un tremore alle mani, ma tentai di placarlo per rimanere lucida.

«Perché non mi hai detto cosa avresti indossato?» domandò, duro. Dalla mascella contratta e l'espressione ora rigida, traspariva una furia ardente in attesa di essere sfogata.

Sfogata su di me.

Abbassai lo sguardo, ma non lo feci per timore: il suo quesito non aveva risposta, perché non si trattava di una scelta che spettava a me.

Valentin mi rialzò il capo prendendomi il mento tra il pollice e l'indice, costringendo le nostre pupille a incontrarsi. «Rispondimi» ordinò perentorio, il tono che iniziava ad alzarsi.

«È il brand che sceglie i vestiti, non io» sputai, sostenendo la sua algida attenzione. Ebbi il coraggio di stringergli l'avambraccio per spezzare il nostro contatto. «Ora lasciami sola».

Il mio bisogno di solitudine fu messo a tacere da uno schiaffo che arrivò pochi secondi dopo. Capo voltato, guancia incandescente e arrossata. Fui incapace di tornare a guardarlo, indebolita dalla violenza del mio fidanzato.

«Col cazzo» imprecò, trattenendo le urla. «Hai finito di sfilare, per stasera. Non ti permetterò di vestirti da troia davanti a decine di persone. Questa», indicò il mio corpo da testa a piedi, «è roba mia» asserì. Fu rozzo anche nel riafferrarmi il polso, portando davanti al suo viso la mano a cui portavo l'anello della proposta. «Mia, Desirée».

Avvalendomi del briciolo di forza che mi rimaneva, lo spinsi via e lo guardai, gli occhi ridotti a due fessure e le iridi avvelenate dalla rabbia.

«Io andrò a sfilare vestita come voglio, davanti a chi voglio» puntualizzai, issando il tono per sovrastare il suo. «Sono stata chiara?!»

«Tu non fai niente, senza il mio permesso!» urlò di rimando, punendomi con un secondo schiaffo e il doppio dell'intensità.

Il dolore che si propagò sul mio viso mi fece sospirare e mi lucidò le sclere. Sentii i primi pezzi di me crollare al suolo, insieme alla maschera di forza che mi sforzavo di indossare in sua presenza.

Strinsi i pugni lungo i fianchi, l'impotenza sfogata con le unghie che si conficcarono nei palmi per contrastare il bruciore alla gota.

«Sono libera di fare quello che voglio» mormorai, la voce bassa ma decisa, l'attenzione ancora fissa sul pavimento del camerino.

La sua dimostrazione di dominio non terminò, ma rifece capolino quando mi strinse il viso tra le dita, costringendomi a concentrarmi su di lui. La fonte del mio male, il tassello incastrato a forza nella mia vita senza la possibilità di rimuoverlo.

«Ripetilo guardandomi negli occhi» ordinò a denti stretti.

«Sono libera di fare quello che voglio» ripetei, imponendomi di non scoppiare in lacrime per la pressione che esercitava su di me. «Esattamente come fai tu, quando esci con Erika pensando che io non lo sappia» lo sfidai.

Un tremolio nelle sclere bastò a farmi capire che vacillò, registrando la mia confessione. Tuttavia, rinsaldò la presa attorno al mio viso senza concedermi libertà; scacciò la vulnerabilità e riconquistò la durezza.

«Ascoltami bene» esordì, stentoreo. «Sarai mia moglie e ti sposerai con me perché tu, da sola, non sei credibile. Se l'impero degli Aubert rimarrà in piedi quando ne sarai al comando, sarà solo perché ti affiancherò» affermò. «Potrò fare ciò che mi pare con chiunque, ma non ti conviene allontanarti da me». Mi scansò da lui con una lieve spinta che mi fece indietreggiare. «Finisci il tuo gioco da ragazzina privilegiata, se ci tieni tanto, ma ti impedisco di mostrarti in quel modo un'altra volta».

Mi diede le spalle e iniziò a compiere dei passi in direzione della porta, per uscire dal camerino e tornare alla sfilata. Intascò una mano, disinvolto come se le sue azioni fossero già state cancellate, dissolte nel passato, ma lo pietrificai con la mia risposta pronta.

«Il tuo nome, qui, non conta niente se non è collegato al mio» asserii. «La gente conosce gli Aubert, non i Lamothe. E nell'azienda, se solo volessi, non ci sarebbe nulla di tuo. Sono decisioni che spetteranno a me, Valentin» sottolineai, indicando me stessa per mettere in evidenza la mia importanza. «E il vero privilegiato sei tu, dato che hai una rilevanza nel Principato solo grazie a me. Ho il potere di toglierti tutto al primo passo falso mosso in pubblico con quella sgualdrina che finge di essere mia amica».

Liberò una risata amara e fredda, fonte di umiliazione. «Ah, sì? E lo faresti senza preoccuparti del fatto che tuo padre sarebbe estremamente deluso da te?» mi interrogò, senza degnarmi di un solo sguardo. La sua ipotesi mi destabilizzò e, lontana dai suoi occhi, potei permettermi di vacillare; un altro velo di lacrime mi offuscò la vista. «Lui ci vuole insieme, Desirée, per il bene della sua azienda. Se tu distruggessi la nostra relazione, non ti rivolgerebbe più la parola».

Gli diedi ragione in un'ammissione tacita, ma che fu una pugnalata per l'ego. Papà, per quanto facesse male, vedeva il futuro della Société Aubert nelle nostre mani, non nelle mie. Pensava che il testimone sarebbe stato in pericolo, se lasciato a me, e la presenza di Valentin lo rasserenava.

Forse avrebbe tollerato la situazione, se le mie lacrime e il mio sangue avessero alimentato la prosperità dei suoi affari.

Mi risvegliai dalla trance grazie a un tonfo, che notificò la chiusura improvvisa della porta. Valentin se n'era andato, lasciandomi con i rimasugli della sua violenza ingiusta che ero costretta a sopportare, con i denti stretti e la testa alta.

In quel frangente di solitudine, però, non ne ebbi la capacità. Mi distrussi per il peso di quel carico emotivo eccessivo, sciogliendomi come le lacrime che presero a scorrere sul viso e sfogandomi come i singhiozzi violenti che mi graffiarono la gola. Le dita tremavano; una mano coprì la bocca per mettere a tacere i singulti, l'altra mi sorresse quando mi appoggiai alla toeletta.

Guardarmi allo specchio si rivelò la peggiore delle condanne e una sconfitta al contempo. Con il trucco colato sulle guance, i rivoli salati che disegnavano solchi neri dalle rime alle labbra e gli occhi arrossati, capii di essere l'ostaggio di una prigionia da cui non potevo fuggire. Una gabbia di strategia e perfezione che avrebbe giovato a un bene materiale, annullando il mio.

E io avrei deluso ogni parte di me stessa, per soddisfare le aspettative altrui e non fallire.

«Desirée» mi chiamò una voce dal lato opposto della porta, ovattata. Era Juliette che, cauta, bussò. «La sfilata deve continuare, ci sei?» mi chiese. Pregai di rimanere in silenzio e non destare sospetti, ma la paura di non riuscire a gestire ogni problema aveva sovrastato la lucidità. Nella stanza echeggiavano solo i miei singhiozzi, probabilmente udibili anche dall'esterno. «Desi, che succede?» si allarmò, di conseguenza.

«Fate sfilare un'altra» mi limitai a dire, tentando di parlare con chiarezza. «Non mi sento bene» mi giustificai.

Vidi la maniglia abbassarsi, Juliette che provò a entrare. «Posso–»

«Va' via, Juliette, per favore» la interruppi, implorandola. «Ho bisogno di stare da sola» ammisi.

Ringraziai il cielo nel momento in cui decise di non insistere, mollando la presa sulla maniglia che si risollevò. Non provò a proferire una parola di più e il silenzio calato mi confermò la sua resa. Ero di nuovo rintanata nella mia solitudine, desiderosa di isolarmi per il resto della serata seppur consapevole di dovermi mostrare smagliante.

Non potevo abbassare lo sguardo, o avrei perso di vista i miei obiettivi. Ero costretta a perseverare e sopportare, anche se quel carcere di dolore stava diventando troppo duro da non evadere.

✧✧✧

Dinanzi all'edificio del Méridien, uno dei migliori hotel monegaschi in cui si sarebbe tenuto l'after party della sfilata, scesi dalla mia auto. Consegnai le chiavi a un valet con spavalderia, affidandogli il mio gioiellino poiché fosse custodito con cura per tutta la durata della festa.

Avevo rifiutato la limousine, lasciando quel lusso a Valentin ed Erika. Erano due le ragioni che si nascondevano dietro il mio gesto: la scarsa voglia di condividere i miei spazi con loro e la speranza che, insieme, compissero dei passi falsi che avrebbero minato la loro reputazione.

Amici innocenti agli occhi degli ingenui, amanti infami per chi aveva scoperto la verità.

Così, dopo un cambio d'abito e un trucco improvvisato che non aveva nascosto il rossore degli schiaffi, mi ero recata alla festa senza commiserarmi.

Mi avvicinai all'ingresso dell'hotel a testa alta. Brillava nella notte mondana del Principato, con le sue luci e il suo atrio maestoso, e i miei ticchettii non fecero che alimentare la sicurezza che volevo ostentare. Non ci sarebbe stato litigio tanto intenso da farmi soccombere, né discussione tanto accesa da spegnermi.

Un odore pungente e improvviso di fumo mi pizzicò le narici, approcciando l'entrata dell'edificio, e attirò la mia attenzione: Isaac, con i suoi tatuaggi e una camicia più semplice dei suoi immancabili completi, stava consumando gli ultimi centimetri di un sigaro in completa solitudine. Mi adocchiò e ne spense l'estremità contro la superficie di un cestino della spazzatura, abbandonando il mozzicone.

«Sfilare per soli dieci minuti non ti ha reso la regina della serata, Daisy» esordì. «Obiettivo mancato» mi schernì, quindi, insaccando una mano nella tasca e avvicinandosi a me con disinvoltura, impegnato a studiare i dintorni.

Evitai di guardarlo negli occhi, tenendomi lontana dall'azzurro freddo e tentatore delle sue iridi. Indirizzai la concentrazione sull'atrio dell'hotel, oltre le porte a vetri.

«Colpa dei contrattempi. Me ne farò una ragione» feci spallucce, ostentando indifferenza.

Passo dopo passo, focalizzò il suo sguardo sul mio abito nero in pelle, corto e aderente. Era difficile fingere che l'avessi scelto per pura casualità, e non per gustarmi la prima fetta di una vendetta lenta, ma il suo sapore iniziò ad addolcirmi il palato quando l'attenzione di Isaac si incagliò a me.

«Non c'è bisogno di arrossire quando mi avvicino, sai?» domandò, in un mormorio proferito solo per me. L'esclusiva delle sue parole fu seguita da un gesto carezzevole e provocatorio al contempo, con cui mi sfiorò la gota arrossata dalla violenza di Valentin.

Con i riflessi pronti gli afferrai il polso, allontanandolo. Solo allora incrociai il suo sguardo e lo ricambiai con un'occhiata fulminante che lo paralizzò. «Non toccarmi senza il mio permesso» sbottai.

Non si scompose di fronte alla mia acidità. Al contrario, mantenne il suo algido decoro e piegò il gomito, offrendomi la sua compagnia nell'accedere all'after party.

«Lascia che io mi dimostri galante, perlomeno» mi invitò. «Il tuo ragazzo è già entrato con la vostra amica. Non puoi essere l'unica ad arrivare da sola, sbaglio?»

Mi arresi e accettai la sua offerta, rendendolo il mio nuovo sostegno. «Non ci vedo nulla di male, Woodward, ma se proprio insisti...» gli concessi.

Così varcammo insieme l'ingresso dell'hotel, accolti dai sorrisi cordiali dei portinai. Il sottofondo di chiacchiericci e raffinati ticchettii regnava sovrano, la musica della festa rimbombava ovattata dalla lounge poco distante.

«E, per la cronaca» aggiunse Isaac, la voce bassa e roca per non farsi sentire, «c'è una piccola parte di me convinta che otterrà quel permesso, prima o poi».

Mi irrigidii senza immobilizzarmi, ma la scarica di brividi che imperversò lungo la mia schiena non ebbe eguali. Non era tanto la cedevolezza al suo fascino o l'effetto del suo sussurro, quanto la soddisfazione che provavo nell'avere l'arma dell'attrazione nelle mie mani: Isaac era prossimo alla resa, facilmente manipolabile e pronto a essere giostrato secondo il mio volere. L'orgoglio si manifestò in un ghigno privo di contegno, mentre superammo la soglia dell'Amber Lounge colma di invitati.

Se al centro della pista danzava la folla, una quiete lussuosa si respirava nell'esclusività dei tavoli che la costeggiavano, tra divanetti e bottiglie di champagne pregiato. Presi il comando della situazione e indirizzai Isaac proprio dove sedevano Valentin ed Erika, insieme a un paio di amici di quest'ultima. Si godevano la serata tra risate e chiacchiere, che interruppi raggiungendoli.

Valentin si congelò sul posto, forse convinto che io non mi sarei presentata. Le sue pupille si alternarono tra me e Isaac, che avvicinai a me con un gesto repentino prima di chinarmi verso il tavolino e afferrare un calice di champagne. Ne bevvi un sorso, sotto gli sguardi insistenti del britannico e del mio fidanzato.

«Grazie di avermi aspettato» dichiarai con un sarcasmo sprezzante e un sorriso falso. «So che la festa non poteva iniziare senza di me».

Erika, prima distratta da una conversazione frivola, si voltò a guardarmi in silenzio; Valentin si alzò in piedi in quell'esatto momento e si avvicinò a me, gli occhi arrossati e le pupille dilatate confermarono un principio di ebbrezza.

«Siamo entrati solo per prendere posto. Ti stavamo aspettando tutti, amore» asserì.

Tentò di cingermi il fianco con la mano. Glielo impedii, e nel scostarmi azzerai la già scarsa distanza che separava me e Isaac. Il timore dei gesti del mio fidanzato era stato sostituito da un'ira ardente, arginato dall'imponente presenza di Isaac che si stava rivelando rassicurante.

Finsi di guardarmi intorno, studiando i piccoli divanetti occupati dal gruppo di amici della tedesca, che lei stava usando per ignorarmi. Erano bastati un giorno e un insieme di verità inaspettate a sconvolgere tutti gli equilibri, compreso quello della nostra amicizia tramutata in palpabile tensione.

«Non vedo nessun posto libero, qui» affermai di conseguenza, per poi analizzare i dintorni. Fu quel tavolo nelle vicinanze a catturarmi, pronto a essere usato come riserva per farla pagare a Valentin. «Ma non preoccupatevi, starò con i Woodward. Non si può combattere una guerra senza conoscere bene i propri nemici, vero?» domandai, spostando lo sguardo su Isaac.

Anche lui si dimostrò sorpreso dal mio atteggiamento ribelle, che per una volta ignorava la brama di perfezione. Tuttavia, mostrò accondiscendenza e annuì.

«Non vuoi stare davvero con loro, Desirée». Il tono di Valentin si indurì, la pazienza scemò trasformandosi nei pugni che strinse lungo i fianchi; un passo gli fu sufficiente per avvicinarsi a me. «Smettila di comportarti come una bambina e siediti qui» ordinò.

Tentò di svincolarmi da Isaac, ma la prontezza di quest'ultimo bastò ad allontanarmi da lui. Mi attirò ulteriormente a sé, la sua mano che piombò sul mio fianco in un gesto istintivo e gli occhi puntati al mio fidanzato.

Sospirai, sorpresa dalla repentinità della sua reazione e scombussolata dal suo tocco insistente, seppur non invasivo.

«E tu smettila di pretendere che lei rinunci alla sua libertà per piegarsi al tuo volere» sentenziò. Non attese la replica del biondo e iniziò a camminare in direzione del tavolo a cui sedeva il fratello, nella mera compagnia di un calice colmo di bollicine. «Andiamo, Daisy» si rilassò.

La strada non fu lunga e ben presto entrammo nel campo visivo di Michael, che ci salutò con un sorriso sghembo. Assaporò un sorso dell'alcolico senza distogliere l'attenzione, un braccio adagiato sullo schienale del divanetto.

«Barbie salvata dalle grinfie di Ken» dichiarò sarcastico. Strisciò sul divano per liberare il posto accanto al suo, invitandomi ad affiancarlo. «Il Woodward simpatico è qui per te.

«Più simpatico di Valentin, senza dubbio» concordò Isaac, nonostante l'opinione negativa che aveva del fratello. Si lasciò sprofondare sul divanetto vuoto di fronte al suo. «Se c'è una cosa che non sopporto, sono le persone autoritarie» commentò.

Mi sedetti accanto a Michael senza intromettermi nella conversazione, mentre il volume elevato della musica continuava a essere la fonte del diletto della folla. Accavallai le gambe per accomodarmi ma, nel momento in cui spostai lo sguardo, notai quello di Isaac incollato a me. Penetrante e invadente come una stilettata improvvisa.

Era insistente, quasi come se volesse inchiodarmi al divanetto con la sua attenzione, ma sembrava anche un modo di proteggermi dagli atteggiamenti di Valentin che lui aveva notato.

Mi leggeva con i suoi occhi vigili, che mi stavano spogliando di ogni straccio prezioso in grado di nascondere la realtà. Rivestirmi di una falsità ormai logora sarebbe stato inutile, per cui decisi di giocarmi l'ultima carta disponibile: l'indifferenza.

Mi sporsi verso il tavolino e afferrai un calice di champagne ancora pieno, nonché il secondo della serata. Non ero abituata a consumare grandi quantitativi di alcol, ma ero disposta a eccedere se ciò significava dimenticarmi della mia smania di perfezione per seguire il mio istinto e allontanarmi dal dolore. Bastò un paio di sorsi per ingerirlo, godermi il lieve pizzicore che lasciava sulla gola e apprezzarne l'effetto graduale.

«Wow, principessa, attenta a non esagerare» ridacchiò Michael, nascondendo il ghigno con una mano. «Cosa penserebbe papino se scoprisse che sei troppo brilla per occuparti delle tue scartoffie?»

«Nostro padre ne sa qualcosa» puntualizzò Isaac, ora fulminando il fratello.

«Meglio un ragazzo brillo di un padre single che puzza di latte in polvere» rilanciò.

Ignara delle questioni celate dietro il loro scambio d'ironia pungente, approfittai del principio di disinibizione e annebbiamento per alzarmi dal divanetto e abbandonare la flûte. La musica sembrava più alta, il mio sorriso sghembo e il menefreghismo alle stelle.

Se non avessi iniziato a comportarmi come se Valentin e la sua brama di controllo non fossero esistiti, mi avrebbero mangiata da dentro fino ad annullarmi. Non potevo permetterlo: il mio nome contava troppo, rispetto a un insignificante Lamothe malato di megalomania.

Inchiodai un tacco a spillo sulla superficie del tavolino, seguito dall'altro. Dall'alto avevo una visuale più ampia sulla pista, unita al comando che esercitavo e che era insito nella mia natura da sempre.

La mia ferma convinzione e la poca lucidità formavano un connubio pericoloso, rappresentando il motivo per cui iniziai a ondeggiare i fianchi seguendo il ritmo incalzante. Nella lounge la temperatura era alta, il movimento ininterrotto mi imperlò la fronte di sudore e i capelli lunghi mi carezzavano spalle e viso. Chiusi gli occhi e mi godetti a pieno lo sbocciare di una sensazione nuova, dolce come la libertà.

Ero spensierata tra due fuochi: i Woodward mi avevano inchiodata al centro della loro attenzione. Michael con il suo sguardo lascivo e Isaac che lasciava trapelare la contrarietà, infastidito dal mio eterno esibizionismo.

Il primo non si lasciò fermare dall'opposizione del gemello. Anche lui disinibito e disinvolto per natura, si alzò dal divanetto e mi raggiunse, piazzandosi dietro di me a pochi centimetri di distanza. Un vuoto che colmò nell'immediato, quando sentii la carezza del suo fiato sulla mia pelle scoperta.

L'imponenza era quella dei Woodward, ma mancava qualcosa. Un qualcosa di magnetico, di così attraente da essere un pericolo.

Sorvolando sui miei stessi pensieri, cedetti alla vicinanza di Michael. Gli permisi di sfiorarmi, di cingermi un fianco con la sua presa decisa e rendermi la sua compagna di danze improvvisate.

«Non vorrei rovinare il tuo momento di ribellione, principessa, ma il tuo fidanzato ci sta guardando» mi informò sottovoce, più per scherno che per vera premura. «E hai il suo anello al dito» aggiunse. Senza manifestare un benché minimo accenno di coerenza, continuò ad ancheggiare con me, l'erezione ben percepibile contro il mio corpo.

Eppure, l'importanza che attribuivo alle attenzioni di Valentin stava scemando sempre di più. Stavo bene senza ossessionarmi con ciò che avrebbe pensato di me o di come avrebbe reagito ai miei comportamenti, e non potei che dimostrarlo a gesti. Mi voltai nella sua direzione, incrociando persino lo sguardo di Erika e ricambiandolo con un sorriso smagliante, e indirizzai loro un inaspettato dito medio.

Finalmente fuori dalle sbarre del mio contegno soffocante.

Alle mie spalle risuonò la risata divertita di Michael. «Okay, Desirée, è il momento di scendere dal palcoscenico e calmarti» mi consigliò. Le sue mani mi cinsero le spalle con delicatezza, guidandomi giù dal tavolo. «Ti lascio nelle mani del fratello serio» aggiunse.

«Sei pessimo, se te ne approfitti così» lo ammonì Isaac, che mi svincolò da lui per farmi sedere al suo fianco.

Poco vigile, ero una bambola di pezza alla loro mercé, divisa tra la frivolezza di uno e l'eccessiva attenzione dell'altro.

«Uno, non è colpa mia se la principessa non regge nemmeno una goccia d'alcol; due, non ho fatto nulla di male. Abbiamo solo ballato» si difese, lasciandosi ricadere tra i cuscini del divano vuoto.

Isaac, tuttavia, lo ignorò per concentrarsi su di me. «Vuoi che ti accompagni a casa?» si preoccupò, le pupille incollate al mio viso mentre mi abbandonavo contro lo schienale.

Ridacchiai, ancora annebbiata. «Mi sto divertendo, guastafeste» lo canzonai. «È l'unica volta che posso permettermelo. Domani tornerà tutto alla normalità, e devo andare anche alla cena di gala della Fashion Week. Lasciami sfogare» lo implorai, con un accenno di vulnerabilità.

Dannata teoria dell'in vino veritas.

«Lo capisco, Daisy, ma se ti comporti così senza dire a nessuno come stanno le cose, finirai per peggiorare la situazione» dichiarò. «È meglio dire la verità» suggerì in un sussurro, le labbra a contatto con il mio orecchio per sovrastare il volume della musica.

Mi allontanai da lui e lo fulminai con lo sguardo, improvvisamente seria e vigile, l'espressione dura. «Dire la verità significherebbe essere un fallimento agli occhi di mio padre e di chi si aspetta tutto questo da me, e io non fallisco mai» sentenziai.

Isaac fece spallucce, in una falsa dimostrazione di indifferenza. «Non posso costringerti a fare nulla, ma così stai solo iniziando una guerra tra te, la tua ribellione e le tue bugie».

Ancora una volta menefreghista, afferrai il terzo calice di champagne dal tavolino. Le bollicine mi sfiorarono le labbra quando ne assaporai il primo sorso, prima di decretare: «Che guerra sia, allora».

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Nota dell'autrice
Incredibile ma vero, eccomi qui :')
Lo so, lo so: è passata un'infinità di tempo dall'ultimo aggiornamento (soprattutto se pensiamo alla mia frequenza), ma le ultime settimane sono state caotiche a livello di agenda e mentale, quindi vi chiedo scusa per la scarsa qualità del capitolo (fa pena, change my mind) e il tempo che c'è voluto per scriverlo.
Ad ogni modo, oggi siamo con una Desirée che ritira fuori il suo caratterino dopo aver sputato alcune verità e alcuni sospetti, e che ci fa divertire con i fratelli Woodward. Teneteli bene a mente, perché il prossimo capitolo sarà incentrato sul nostro futuro (ma non più così lontano) love affair, nonché quello tra Desi e Isaac. Siete pronti?
Detto ciò, mi scuso davvero per tutte le settimane trascorse nel silenzio. Prometto che mi impegnerò per essere più svelta e presente, e vi ringrazio se avete ancora la pazienza di aspettare i capitoli e di immergervi nella magia della mondanità monegasca.
Vi voglio bene, alla prossima <3

PS: potrei star lavorando a *qualcosa*... 👀

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Note informative

Collezione d'auto del Principe di Monaco

Hotel Le Méridien, Larvotto

Amber Lounge

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