15. Même pièce
Premessa:
In questo capitolo sarà presente una scena di rapporto sessuale non consenziente accompagnato da linguaggio esplicito. Mi duole spoilerare parte del capitolo, ma avvertirvi è più che corretto.
Se vi ritenete sensibili a questo tipo di argomenti, potete evitare la lettura dopo la scena di Desirée e Isaac al casinò. Nella nota finale troverete un riassunto.
Abbiate sempre cura di voi <3
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IT: stessa moneta
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6 maggio 2023
Montecarlo, Principato di Monaco
Il rombo della Ferrari fiammante di Valentin irruppe nella piazza del casinò, tra le persone che la gremivano e la luce calda dei lampioni.
Frenò proprio dinanzi all'edificio, sotto gli sguardi attenti dei più curiosi, e io mi accinsi ad aprire la portiera godendomi la loro ammirazione colorata d'invidia. Prima uno stiletto, in seguito l'altro: mi issai davanti alla breve scalinata di quel tripudio di lusso ed eleganza neobarocca, e un ghigno si dipinse sul mio volto.
Un sabato sera, una scommessa e l'ennesima vittoria, il tutto condito dal brivido del rischio. Mi piaceva rendermi ebbra di quella consapevolezza.
Valentin consegnò le chiavi a un fidato valet e mi raggiunse, la sua mano ruvida che mi cinse il fianco, raggrinzendo la seta color smeraldo del mio abito. Il suo calore mi protesse dalla brezza fresca, da cui mi schermavo con un coprispalle bianco, al pari di un'attrice hollywoodiana.
«Andiamo, amore?» mi domandò il ragazzo, il tono stranamente più premuroso del solito. Aveva accantonato la durezza, ma forse era solo per non imbruttire la facciata di perfezione. «Ti aspetta un'altra serata di gloria» mi assicurò, stampandomi un dolce bacio sulla tempia.
Un brivido serpeggiò lungo la mia schiena, causato dalla falsità di quel gesto, ma lo sostituii con un ampio sorriso che mi accompagnò quando salimmo i gradini. Lo sfruttai per essere cordiale con le guardie che ci accolsero, così come per salutare gli sfidanti che sostavano nell'atrio in nostra attesa.
La gioia dipinta sul volto di Erika cozzava con la serietà dei Woodward, che si divideva nel sorrisetto furbo di Michael e nell'espressione dura di Isaac.
Quest'ultimo mi dedicò un'occhiata perforante, le iridi azzurre si trasformarono in un oceano in cui lottare per rimanere a galla. Dopo il mio scarso autocontrollo e la mia provocazione attuata al Jimmy'z, tra noi aleggiava una tensione non indifferente, che tuttavia finsi di ignorare.
«Meine smaragdgrüne Prinzessin». Erika mi diede il benvenuto nel suo vestito bianco, candida come una piuma, raffinata dai boccoli rosa che ostentava.
Mi venne incontro con calore, regalandomi un abbraccio delicato che non rovinasse l'abito. Nel frattempo, la mano di Valentin giaceva ancora sul mio fianco.
Nel divincolarsi da me, la mia amica sgranò gli occhi alla vista della parure di oro bianco, diamanti e smeraldi che avevo deciso di indossare.
«Che mi venga un colpo» quasi esclamò. «Chopard?!» si entusiasmò. «Jules non ne sbaglia una».
«Ho il padre migliore del mondo, lo so» mi vantai. «Ma non perdiamo tempo. La roulette non girerà da sola» invitai lei e i gemelli.
Con un sorriso fiero e i passi compiuti in direzione di Salle Renaissance al fianco del mio fidanzato, condussi la carovana verso la terrazza di Salle Blanche. Ci saremmo goduti la competizione di fronte al mare, tra un calice di champagne pregiato e la speranza che la fortuna ci assistesse.
Solo il mio ticchettio riecheggiava nel silenzio dei giocatori concentrati sull'azzardo, mentre in gruppo raggiungevamo il bancone per decidere le nostre puntate. Avevo già in mente quanto avrei investito in sorte quella sera: uno scarso migliaio di euro, abbastanza per bilanciare la mia ferma convinzione di vincere e la possibilità di perdere.
Valentin pagò per la sua puntata dopo di me. Seguì Erika, che sfoderò i contanti, e i gemelli Woodward che non ottennero la mia considerazione; di questi, Isaac fu l'ultimo a completare la transazione.
«Questa pessima abitudine mi prosciugherà il conto» commentò Michael, sprezzante benché sarcastico, reinserendo il portafogli nella tasca interna della giacca.
«Nessuno ti costringe a partecipare» replicai con schiettezza. «Ma tu, perlomeno, hai la dote della simpatia che Isaac tanto detesta».
Michael ne approfittò per ridacchiare e avanzare verso Salle Blanche, schernendo così il fratello che, al contrario, si avvicinò a me. Ci ritrovammo fianco a fianco nella quiete serale del casinò gremito, il passo della medesima velocità e gli sguardi che non si incontrarono.
«In discoteca, però, hai approfittato della mia simpatia» ribatté. Lanciandogli un'occhiata, potei notare un ghigno furbo disegnato sul viso. «E le foto che sono uscite sul Monaco-Matin lo dimostrano».
Mi raggelai al ricordo che la mia azione impulsiva di qualche giorno prima era stata resa pubblica. Si trattava di un mero tentativo di sedurlo per indebolirlo e metterlo alle strette, ma si era rivelato un'ulteriore fonte di insulti che piovvero sui social.
La curiosità dei giocatori che popolavano le sale parlavano chiaro: mi scrutavano e incenerivano, vista l'irremovibile etichetta di traditrice. Quello che non sapevano, però, era che non c'era nulla tra me e Isaac, se non la competizione. Tutta strategia e nessuna attrazione fisica.
«Ciò che succede al Jimmy'z, rimane al Jimmy'z» sentenziai, fulminandolo. «Inoltre, sono giustificata» aggiunsi, varcando la soglia della terrazza. La brezza leggera fece svolazzare la seta dell'abito, e i colori del tramonto mi accolsero in un caldo abbraccio. Incrociando le braccia al petto, mi fermai e mi voltai verso Isaac per fronteggiarlo; chinai il capo per guardarlo negli occhi, iridi azzurre contro iridi nocciola. «Ero brilla e volevo rimetterti al tuo posto» feci spallucce. «Direi che ci sono riuscita: eri a tanto così dal venire nei boxer» commentai con un sorriso fiero, mimando una minima quantità con le dita.
Senza attendere una sua risposta, rigirai sui tacchi e camminai in direzione del tavolo da roulette che ci era stato assegnato. Il croupier ci augurò una buona partita avvalendosi di un sorriso gentile, e con la mano indicò le sedie su cui ci accomodammo. Valentin sedeva al mio fianco, Erika al suo; dinanzi a noi, i gemelli Woodward risaltavano nelle loro differenze: Isaac non dimostrava emozioni, ma sul volto di Michael regnava l'inclinazione alla competitività.
Il mio impassibile rivale si era sistemato di fronte a me, accanto alla roulette che si apprestava a essere girata. Ignorando ogni suo sfidante, approfittò dell'area esterna per accendere uno dei suoi sigari e iniziare a gustarlo; l'odore del tabacco mi pizzicò le narici.
Prima di cominciare la partita, mi privai del coprispalle che appoggiai allo schienale della sedia, riponendo poi anche la pochette.
«Possiamo iniziare, signorina Aubert?» mi chiese il croupier, ricevendo da me un mero cenno d'assenso. Ampliando le braccia in un gesto teatrale, quindi, si rivolse all'intero gruppo. «Faites vos jeux» proclamò.
Sfiorando il tessuto morbido del tappeto numerato, afferrai una fiche color granata il cui valore equivaleva alla mia puntata da un migliaio di euro. Decisi di giocare d'astuzia e d'audacia al contempo, procedendo con un cheval che coinvolgeva il diciannove e il venti.
Piazzata la mia chip, mi goderti le scelte strategiche dei miei avversari. Michael, in un tripudio di fiches nere, verdi e viola, optò per un carré sui numeri tre, sei, due e cinque. Valentin, dal canto suo, copiò il mio cheval e puntò sui numeri trentuno e trentaquattro.
«Oggi mi affiderò alla mia amica Tiche» proferì Erika all'improvviso, afferrando due chips nere e una viola. «Mi gioco un plein sullo zero Spiel. Che il tedesco mi porti fortuna» pregò, piazzando le fiches sul ventisei. Una mossa tanto coraggiosa quanto poco astuta.
L'ultimo a piazzare la sua scommessa fu Isaac che, lasciando cadere la cenere del sigaro nel posacenere al suo fianco, posizionò una chip viola sulla seconda dozzina, prendendo come riferimento tutti i numeri dal tredici al ventiquattro.
Per lui sarebbe stato facile vincere, vista l'ampia copertura della sua scelta, ma avrebbe ricavato solo il doppio della posta in gioco. La semplicità garantiva scarse ricompense.
Prima di terminare le scommesse, ognuno posizionò un dolly sulle proprie fiches.
Di lì a poco, il croupier avviò la corsa della pallina girando la roulette. «Les jeux sont faits» dichiarò durante la rotazione, quando il rosso e il nero dei numeri iniziarono a fondersi l'uno con l'altro davanti ai nostri occhi attenti e speranzosi. Giro dopo giro, la corsa iniziò a rallentare. «Rien ne va plus». Con quella frase, dichiarò chiuse le scommesse e attese che la roulette si fermasse. Quando il giro terminò e la boule si incasellò nello spazio di un numero ben preciso, il croupier si accinse ad annunciarlo: «Tredici, noir, impair et manque».
Lo sconcerto prese a regnare sui volti di tutti, tranne che di uno degli sfidanti: Isaac, con un sorrisetto raro, avvicinò il sigaro alle sue labbra per godersi un tiro vittorioso. La sua puntata sulla dozzina gli aveva portato fortuna, lasciandoci interdetti.
«Dovreste perfezionare la vostra poker face» consigliò sornione. «La sorpresa che provate si legge da un miglio di distanza», e ci indicò con la punta del sigaro fumante.
Istintivamente, colpii la superficie del tavolo con un pugno e mancai di eleganza. «Dannazione» mormorai a denti stretti. A causa dell'urto, una spallina del vestito scivolò via dalla spalla, ma non persi tempo a sistemarla.
Il croupier non si scompose dinanzi alla mia dimostrazione di poca classe, bensì si accinse a comunicare al britannico la sua vincita dopo aver controllato la posizione delle fiches. «Complimenti, si aggiudica una somma di millecinquecento euro da ritirare al banco» asserì, accompagnando l'affermazione con un altro sorriso cordiale.
Sbuffai e ruotai gli occhi al cielo, in una palese dimostrazione del mio disappunto. Perdere non era nelle mie opzioni in tutti i campi della mia vita, men che meno al casinò, dove fortuna e astuzia confluivano in ogni mia partita.
Più perdevo, più bramavo di vincere. Eppure, nel momento in cui decisi che quella manche si sarebbe rigiocata, Valentin si alzò dalla sedia.
«Per me può finire qui» dichiarò. Si sistemò la giacca bianca del completo, lisciando i baveri, quindi riportò l'attenzione sui presenti. «Non sprecherò altri soldi in uno stupido gioco che funziona con la fortuna, e non con una vera strategia».
«Tut mir leid, sono dello stesso partito». Anche Erika capitolò, scusandosi in tedesco con un dolce sorriso. Spinse la sedia indietro e si issò in piedi, fiancheggiando il mio fidanzato.
«Io non mi alzo da qui finché non intasco qualcosa» sentenziai, incrociando le braccia al petto e abbandonandomi contro lo schienale. La scocciatura regnava sul mio viso, messa in mostra da un'espressione corrucciata, ma la mia era una ferma convinzione. «Nessuno ha il coraggio di riprovarci?» li sfidai.
«Mi dispiace, principessina» si rammaricò anche Michael, imitando i movimenti di Valentin ed Erika. «È il momento di andare al bar e affogare la sensazione di sconfitta nel whiskey».
«Codardi» li giudicai senza ritegno, in un sussurro che non attirò l'attenzione.
«Gioco io» affermò all'improvviso la voce più silenziosa e profonda del gruppo. Quella di Isaac, su cui i miei occhi caddero nell'immediato.
«La mano fortunata ti ha dato alla testa» lo schernii con un ghigno.
Michael, ancora nei pressi del tavolo, alzò le mani per discostarsi da quella situazione. «Mi chiamo fuori» si arrese e si concentrò su Valentin ed Erika. «Andiamo al bar, vi offro un drink» propose, ottenendo un cenno d'assenso dalla mia migliore amica.
Valentin, al contrario, mi lanciò un'occhiata severa. Credevo che il suo atteggiamento fosse giustificabile, visto lo screzio avuto con Isaac qualche giorno prima e l'errore che avevo commesso la medesima sera. Volli tranquillizzarlo, quindi gli mimai un semplice "vai" con le labbra.
Si rilassò con un respiro profondo e, finalmente, rientrò nella Salle Blanche con Erika e Michael. Varcata la soglia, i tre sparirono oltre il portone di legno e calò di nuovo il silenzio sul nostro tavolo. Riportai lo sguardo su Isaac mentre il croupier ritirava le fiches inutilizzate con l'apposito rastrello.
Avevo intenzione di distrarlo e portarlo a scommettere nel modo più sbagliato, quindi accavallai le gambe e riacquisii la mia espressione provocatrice, tra occhiate lascive e sorrisetti colmi d'astuzia.
Il croupier, ritrovandosi nel silenzio, diede inizio alle danze con la consueta frase: «Faites vos jeux».
«Si tratta della fortuna del principiante, Woodward» asserii. «Non cantare vittoria». Intenta a rischiare un'ottima cifra per la seconda volta, agguantai quattro chips nere e una viola, per un totale di novecento euro.
«Non si tratta della fortuna del principiante, Daisy» rettificò, la voce calda e roca, intento a spegnere il sigaro nel posacenere. Compì dei movimenti inaspettati, con i quali si alzò dalla sedia e iniziò ad aggirare il tavolo. «Si tratta del vincere il massimo puntando sul minimo. È un gioco di umiltà, non di ostentazione come il tuo».
Passo dopo passo, mi raggiunse. Le sue movenze erano lente e ponderate, e lo portarono ad azzerare la distanza che ancora ci separava. Come qualche sera prima, eravamo divisi da un respiro trattenuto, avvicinati dal desiderio di affondarci a vicenda.
Mi sfiorò i capelli per portarli sulla mia spalla sinistra. Sul mio collo nudo si infranse il suo fiato caldo, che ben presto si tramutò in parole sussurrate al mio orecchio, mentre i suoi polpastrelli esplorarono il mio braccio scoperto fino alle dita. Mi toccò per soffiarmi le fiches e giocherellarci con gesti sapienti che mi ipnotizzarono.
«Un plein o un cheval non ti porteranno lontano» spiegò a voce bassa, intrattenendo una lezione privata davanti al croupier che si finse indifferente. «Hai mai pensato di provare con le chances semplici? Potrebbero svoltarti la partita» continuò a consigliarmi.
«Non mi piace vincere facile» dichiarai, deglutendo un groppo alla gola formatosi per il disagio della sua estrema vicinanza. «Odio conquistare le cose senza il dovuto sforzo, o senza provare il brivido del rischio» aggiunsi.
Chinandosi ulteriormente in avanti, le sue labbra morbide e calde mi sfiorarono l'orecchio. Il sussurro si fece ancora più basso, ancora più inudibile da ogni altro presente, e disseminò la pelle d'oca su tutto il mio corpo.
«Eppure mi sembra di percepire un altro tipo di brivido, qui...»
Mi irrigidii per la distanza ormai inesistente e per la consapevolezza che, dopo alcuni giorni di silenzio, si stava vendicando del mio gesto impulsivo compiuto alla festa e mi stava dedicando il medesimo trattamento.
Io avevo giocato sporco, ma Isaac stava imprimendo le macchie della sua infamia in ogni angolo del mio cervello.
Confermò il mio pensiero risalendo il mio braccio, marchiandomi la pelle con i polpastrelli umidi. Gli bastò una carezza per sistemarmi la spallina scivolata in precedenza e sottrarmi un respiro.
Risvegliandomi dalla trance e facendomi sussultare per il movimento repentino, piazzò le mie fiches e il mio dolly sulla casella dedicata al gruppo dei numeri neri, optando per una via più semplice che avrebbe pagato solo una volta la posta. Altrettanto bruscamente, si distaccò da me e si apprestò ad aggirare il tavolo per tornare al suo posto.
«Non ringraziarmi, se vincerai» si lodò issando il tono di voce, e si sedette al suo posto, di fronte a me.
Scommise tre misere centinaia di euro con le sue chips nere, su cui adagiò il segnaposto; aveva scelto la sestina che coinvolgeva i numeri da tredici a diciotto, rappresentante una possibilità di vittoria per entrambi.
Il croupier, attirato dalla ripresa della partita, non attese oltre e si preparò ad avviare la corsa della boule.
«Les jeux sont faits» dichiarò, mentre la pallina correva secondo la traiettoria della roulette.
Ero concentrata sul miscuglio rossonero per evitare gli sguardi di Isaac. I suoi sfioramenti non mi avevano scalfita, né tantomeno sorpresa. Voleva solo vendicarsi per le mie azioni recenti e lo comprendevo.
Ma dannazione, ero a un passo dall'essere debole come lui nei confronti delle sue provocazioni.
Mi distrassi assistendo al rallentamento della rotazione, la boule che si incasellò nel momento in cui il croupier comunicò: «Rien ne va plus».
Trascorsero pochi secondi e giunse il momento dell'annuncio del numero. La chance semplice su cui avevo scommesso aveva un'alta probabilità di rivelarsi vincente, ma il mio castello di gloria illusoria crollò quando l'uomo riprese la parola.
«Sedici, rouge, pair et manque» proferì. «Per un'altra vincita di milleottocento euro, che porta a un totale di tremilatrecento».
Digrignai i denti, indignata per la mia seconda sconfitta e la sua seconda vittoria. E lui trattenne una risata per il diletto scaturito dalla mia perdita, ma la scintilla era ben evidente nelle sue sclere.
«Il numero preferito da metà del popolo monegasco, ma poco fortunato per te, Daisy» mi derise, strizzando l'occhiolino per fingersi amichevole. Piantò le mani sul tessuto del tavolo e si alzò in piedi, mentre il croupier raccoglieva le fiches con il rastrello. «Vorrei essere cortese e dire che mi dispiace, ma da te non ho sentito nemmeno una parola di rammarico per ciò che è successo qualche sera fa, quindi...» fece spallucce, «credo che tornerò in hotel con questo terribile peso sulla coscienza». In aggiunta al suo commento sarcastico, simulò una fitta di dolore al petto prima di incamminarsi. «Buonanotte» mi augurò senza privarsi del ghigno.
Emisi un ringhio in risposta, sollevandomi dalla sedia con un movimento brusco. Ero stanca della sua umiliazione, tanto che mi affrettai a recuperare il coprispalle e la pochette per andarmene.
Desirée Aubert avrebbe vinto anche nella più logorante delle perdite, e glielo dimostrai urtandolo con una spallata nell'istante in cui lo superai, rientrando nella Salle Blanche. Marciai a passo spedito per tutte le altre sale, affiancando i giocatori ancora intenti a testare la loro sorte. Non mi interessava augurare una buona serata a Isaac, né volevo attenderlo. La sua vendetta era stata un piatto così freddo da essere pietrificante, ma ben presto gliene avrei servito uno ancora più disgustoso.
Varcare la soglia del casinò fu liberatorio, una sensazione di leggerezza che divampò in me prima di essere stroncata dallo sguardo duro di Valentin, poco lontano dalla scalinata d'ingresso. Rallentai l'andatura, la confusione sovrana del mio viso nel notare che Erika e Michael non erano con lui.
«Dove sono gli altri...?»
«Devi smetterla di farmi incazzare, Desirée» sibilò a denti stretti, con la voce graffiata dall'ira improvvisa. Con celerità, mi mostrò lo schermo del suo cellulare. «Cos'è questa merda?!» sbottò.
Sgranai gli occhi quando, aguzzando la vista e raggiungendolo, notai gli elementi contenuti nell'immagine. Era immortalato il momento in cui Isaac si era avvicinato a me e mi aveva toccato la mano per sottrarmi le fiches, nonché un istante di vicinanza molto fraintendibile. Si trattava di un'altra storia dell'utente velh.8 e, in sovrimpressione, era protagonista un altro commento sprezzante:
"Ai limiti del tradimento e dell'illegalità con I.W. @desirée_aubert, le campane del tuo imminente matrimonio non sono abbastanza assordanti?"
La furia che rimontò in me non ebbe eguali. Dopo la sconfitta nel mio regno, la mia reputazione infangata era l'ultima cosa di cui volevo percepire il peso, che accantonai superando Valentin e incamminandomi verso la sua auto.
«Che cazzo stavate facendo?!» riprese a sbraitare, seguendomi e adeguandosi alla velocità del mio passo. «Dimmelo, Desirée, o giuro che...»
«Mi stava consigliando di puntare sui numeri neri, niente di più» replicai, stentorea. «Non è la serata giusta per i tuoi capricci, Val».
«Ho il diritto di lamentarmi quanto mi pare, visti i suoi comportamenti con la mia ragazza» sputò ancora, ignorando la mia supplica. La sua insistenza mi generò una forte emicrania. «Fermati, porca puttana. Non ignorare il problema» mi ordinò.
Tuttavia, contro il suo volere, mi arrestai solo quando raggiunsi la vettura. Feci per aprire la portiera e accomodarmi nell'abitacolo quando lui le sbloccò, ma mi sbatté contro di essa all'improvviso. Una scarica di dolore imperversò sulla mia schiena, ma strizzai le palpebre per costringermi a tollerarlo.
«Se ti dico di fermarti devi farlo, hai capito?» ringhiò, obbligandomi a guardarlo negli occhi con le dita strette attorno al mio viso. «Non ti azzardare a ignorarmi. Non ne hai il diritto, visti i tuoi atteggiamenti di merda».
Mi liberai della sua stretta artigliandogli il polso, e rivolgendogli un'occhiata fulminante come segno di ribellione. «Andiamo a casa» lo pregai, sforzandomi di mantenere un tono autoritario.
La sua presa finì sul mio braccio, con cui mi separò dall'auto per aprire la portiera e scaraventarmi sul sedile del passeggero. Barcollai, lasciata attonita dal suo gesto, ma riacquisii subito la lucidità.
«Non voglio sentirti fiatare finché non arriviamo a Saint Roman» sentenziò, sbattendo la portiera per aggirare il veicolo e occupare il suo posto.
Il cuore batteva all'impazzata e la mia attenzione non riusciva a distogliersi da un punto indefinito del vuoto, dritto dinanzi a me. Sbattei le palpebre solo per sembrare intoccabile e non destare sospetti.
Era il mio ragazzo, la gelosia era plausibile.
Il rombo del motore riecheggiò nella quiete serale quando spinse sul pedale, le dita ben salde al volante e lo sguardo fisso sulla strada. Imboccando la corsia, fiancheggiò la piazza del casinò in direzione del mio grattacielo.
«E per la cronaca, anche tuo padre vedrà quella foto. Oltre a scoprire che giochi senza poterlo fare, scoprirà che ti comporti da lurida puttana ogni volta che ne hai l'occasione» commentò con estremo disprezzo, incontrando i miei occhi per una frazione di secondo solo tramite lo specchietto retrovisore.
Detestavo che sputasse sentenze su di me. Queste erano una fonte inesauribile di rabbia, che si riaccese e mi portò a trasgredire il suo divieto di parlare.
«Non mi sono comportata da puttana, Valentin!» strillai, balzando sul sedile per voltarmi verso di lui. «È stato lui a offrirsi per giocare ancora e ad avvicinarsi a me. Io non c'entro niente».
«Taci» mi zittì con freddezza, senza degnarmi di una risposta. «Sono stanco delle tue scuse».
Mi distrassi dalle sue accuse nel momento in cui non svoltò in direzione Saint Roman, ma proseguì diritto per Avenue des Spélugues, in discesa verso il mare.
«Dove stai andando?» gli chiesi, ancora confusa.
«Non sono affari tuoi, Desirée» replicò.
Un brivido mi percorse la spina dorsale e mi mise sull'attenti, spaventata dalle intenzioni imprevedibili del ragazzo che mi sedeva accanto. La paura mi lucidò le sclere, ma repressi quell'emozione scomoda mentre la Ferrari sfrecciava verso la stretta curva dell'Hairpin.
Mi aveva paralizzata sul sedile, lasciandomi in parte speranzosa per il suo scarso coraggio di ferirmi davvero e in parte terrorizzata da ogni ipotetico risvolto negativo della serata.
Dopo un altro paio di chilometri si raccordò con Boulevard Louis II, sede del celebre tunnel del circuito. Era un'altra scorciatoia per raggiungere Port Hercule, ma abbandonai l'idea di vedere la banchina quando svoltò nel parcheggio sotterraneo della zona. Occupò il primo posto libero che trovò, nascosto dall'illuminazione pessima e da eventuali controlli del personale.
«Perché siamo qui?» mormorai e, mio malgrado, trapelò l'incertezza. I battiti incontrollabili si erano trasformati in tremolii incessanti che mi scuotevano le dita, ma le serrai attorno alla seta del vestito per non mostrarli. «Che intenzioni hai, Val?» chiesi, ma anche la voce risultò tremolante.
Spense il motore e si guardò intorno con espressione apatica, come se fosse stato privo persino della più negativa delle emozioni.
«Devi smetterla di atteggiarti da troia con ogni uomo che incroci sulla tua strada» esordì nel silenzio, colpendomi con un altro rimprovero. «Sono stato chiaro?»
Convinto di passare inosservato, reclinò il sedile e mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
Deglutii un groppo pesante che mi occludeva la gola per l'inquietudine e il senso di colpa che riuscì a instillare in me. Goccia dopo goccia, mi stava affogando con le sue accuse, lasciandomi annegare nel pentimento.
Forse non era lui a essere un pessimo compagno, ma io la peggior fidanzata in circolazione.
«Rispondimi, cazzo!» sbraitò all'improvviso, facendomi sussultare. Accompagnò il suo urlo alla stretta salda che esercitò attorno al mio polso, con cui mi strattonò per farmi finire a cavalcioni su di lui. Colpii violentemente la portiera con la testa e il braccio scoperto, tanto che emisi un lamento per il dolore. «Sono stato chiaro?!» continuò. «Guardami, quando ti parlo».
La sua durezza mi lasciò la gola secca e zero parole, quindi mi limitai ad annuire per degnarlo della risposta che desiderava. Altrettanta fatica mi costò per guardarlo negli occhi come pretendeva che io facessi.
«Come ti sei comportata con Isaac, qualche sera fa...?» mi domandò, riabbassando il tono ma senza perdere la durezza. Le sue mani mi carezzarono le cosce con malizia, raggrinzendo la gonna dell'abito per sollevarla. «Fammi vedere quello che hai fatto. Sono curioso».
Tremavo, sotto il suo tocco. Non riuscivo a immobilizzarmi quando le sue dita tracciarono percorsi bollenti sulla mia pelle, né quando con le stesse si accinse a sbottonarsi il pantalone.
Voleva che replicassi i movimenti che avevo compiuto sul corpo di Isaac, ma le mie azioni erano state dettate dalla leggera ebbrezza e non ne possedevo che un vago ricordo. Ero conscia di ciò che avevo fatto, ma i dettagli mi sfuggivano ed ero troppo pietrificata per rimetterli in pratica.
«Devo costringerti a farlo?» insistette, liberando la sua erezione dai boxer.
Un'altra tempesta di brividi mi rivestì quando mi sfiorò per accostare gli slip, ma non potei evitarlo: ero imprigionata nello spazio limitato di una vettura sportiva in un'area buia e non sorvegliata. Nemmeno un urlo mi sarebbe stato d'aiuto.
Fu l'unica volta in cui mi arresi, e ne percepii la sofferenza quando Valentin mi penetrò con un colpo secco, senza munirsi delle giuste precauzioni. Poi prese a stringermi i fianchi per comandare i miei movimenti, calandomi su di lui per trarne goduria a una velocità dolorosa. Il bruciore tra le mie pieghe era insopportabile e sospirai, ma fu l'opposto di un gemito di piacere.
«So che stavi facendo esattamente questo...» ansimò, continuando a puntarmi il dito. «Ma devi capire chi è l'unico a poterne godere, Desirée» sussurrò malevolo. «Allora?»
Mi morsi un labbro per tollerare il dolore di ogni spinta rozza, gli occhi chiusi per illudermi che fosse il peggiore degli incubi.
La ferita più grande si aprì nel cuore perché, nonostante i miei atteggiamenti esibizionistici e il mio carattere frizzantino, lui non aveva mai osato punirmi con il rapporto più scorretto e meno intimo che potesse attuare. Non pensavo nemmeno che ne fosse capace.
«S-Solo tu» replicai per metterlo a tacere, balbettando in seguito all'ennesimo affondo che mi indusse al pianto.
Ma dovevo fingere per salvarmi, e così feci.
Dovette accontentarsi di un orgasmo pregno di falsità, mentre la cruda verità dei fatti scorse sulla mia guancia sotto forma di lacrima salata.
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Nota dell'autrice
Buon sabato a tutti amici, come state? <3
Eccoci qui con un nuovo aggiornamento di AD!
La temperatura sta iniziando a salire, non credete? Ma andiamo con ordine...
Ci ritroviamo per la seconda volta a goderci lo sfavillio del Casinò di Montecarlo (che, fidatevi di me, in lettura e in foto non renderà mai tanto quanto dal vivo), questa volta per goderci una sana partita alla roulette, o forse due... Perché, come avete potuto vedere, Desirée ha faticato ad accettare la sconfitta della prima manche (tanto che non l'ha accettata, infatti).
Questo suo amore per il gioco e la vittoria l'hanno portata a una nuova sfida, accettata, però, solo da Isaac, ed è qui che le cose si fanno interessanti... I due si avvicinano, si scontrano a ritmo di provocazioni e sfioramenti strategici, e ci regalano un bellissimo spettacolo a cui assistere. Molto presto ne scopriremo i risvolti, promesso.
I problemi, tuttavia, sorgono quando Valentin viene a conoscenza di tutti questi episodi, e culminano con il suo gesto violento e scorretto nei confronti di Desirée. So che potrà sembrare che abbiamo raggiunto il limite, ma ancora non avete conosciuto il suo lato peggiore. E la domanda, qui, mi sorge spontanea: secondo voi, Desirée riuscirà a sfuggire da questa situazione, o si piegherà al volere altrui per non deludere nessuno? Aspetto le vostre teorie!
Colgo l'occasione per avvisarvi del fatto che la prossima settimana non aggiornerò: il Salone del Libro si avvicina e quest'anno sarà veramente impegnativo, con tutti gli eventi interessanti che hanno organizzato. Se però sarete lì il venerdì, il sabato o la domenica, fatemelo sapere, potremmo vederci per un saluto!
Con questo vi dico che, quindi, ci vediamo tra due settimane con il sedicesimo capitolo. Ci ritroveremo all'interno del One Monte-Carlo per una conferenza che vedrà Desirée e Isaac particolarmente vicini... Ma non voglio spoilerarvi nulla. Abbiamo già nominato questo evento nel capitolo 13, andate a controllare. 👀 Dopodiché, sarà il momento di sganciare la prima, vera bomba di questa storia... Curiosi?
Vi aspetto! <3
IG & TikTok: zaystories_
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Note informative
Parte del glossario della roulette:
- "Faites vos jeux" = espressione utilizzata nella roulette per dare il via alle scommesse dei giocatori;
- "Les jeux sont faits" = espressione utilizzata all'inizio della corsa della pallina per chiudere le scommesse;
- "Rien ne va plus" = espressione utilizzata quando la corsa della pallina rallenta, prima dell'annuncio del numero.
- "Boule" = termine specifico per indicare la pallina;
- "Dolly" = segnaposto per distinguere le singole puntate;
- "Cheval" = una puntata a cavallo di due numeri adiacenti;
- "Carré" = una puntata a cavallo di quattro numeri adiacenti;
- "Transversale Simple" o sestina = una puntata a cavallo di sei numeri adiacenti;
- "Zero Spiel" = una puntata a scelta tra i numeri 0-3, 12-15, 26 (in pieno), 32-35;
- "Plein" = una puntata su un singolo numero;
- "Douzaine" o dozzina = una puntata su un blocco da 12 numeri totali.
Tavolo della roulette francese
- "Meine smaragdgrüne Prinzessin" = "La mia principessa smeraldo";
- "Tut mir leid" = "Mi dispiace".
Terrazza del casinò
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