14. Enfer

IT: inferno

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3 maggio 2023
Larvotto, Principato di Monaco

Benvenuti all'inferno, recitava una luminosa insegna a led rossa posta all'ingresso del Jimmy'z.

Un altro mercoledì sera, un'altra festa il cui invito era indesiderato. E, francamente, la frase che accolse me e Michael riassumeva alla perfezione il modo in cui mi sentivo.

Passo dopo passo, ci addentrammo nella discoteca decorata ad arte. Il personale aveva allestito i locali principali con decorazioni rosse e scintillanti, che piovevano dal soffitto e rilucevano nella sala, e i primi invitati si muovevano al ritmo della musica che li intratteneva in attesa dell'entrata in scena di Desirée.

Era strano vedere la discoteca quasi colma, visti i problemi sorti negli ultimi giorni. La monegasca era stata vittima di una tempesta mediatica che non aveva accennato a placarsi; l'unica soluzione, per lei, fu disattivare i commenti del suo profilo, consapevole che l'odio si sarebbe riversato sugli account dell'azienda.

Il motivo? Uno sconosciuto che si nascondeva dietro l'utente velh.8 l'aveva etichettata come una falsa e una traditrice, approfittando di una provocazione che mi nominava senza alcuno scrupolo. La mia voglia di vederla quella sera era scaturita solo dalla mia necessità di spiegazioni.

Io e Michael raggiungemmo il centro della pista principale, unendoci alle decine di persone che ballavano o consumavano drink accomodati sui divanetti. Era assurdo come Desirée avesse una rete di conoscenze tanto fitta.

«Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate» citò proprio mio fratello, senza allontanarsi da me.

Gli lanciai un'occhiata di sbieco: era ridicolo indossando una giacca ricoperta di paillettes rosse e il suo papillon nero, che lo rendevano una perfetta imitazione della palla da discoteca appesa al centro del soffitto.

«Puoi lasciare i poeti in pace nel mondo dei morti?» lo schernii.

Incrociò le braccia al petto, disegnando sul volto un sorriso fiero della sua battuta. «Monaco è il tuo esilio dantesco» commentò, «e Londra è la tua Firenze».

«È una proporzione interessante» continuai a deriderlo, restituendogli la dose di sarcasmo. Mi distrassi quando un cameriere passò con un vassoio colmo di calici di champagne, di cui ne presi uno senza preoccuparmi di Michael. «In realtà, si sta rivelando meglio di quanto credessi» aggiunsi, facendo spallucce per poi prendere un primo sorso dell'alcolico.

Lui ridacchiò, approfittando della mia affermazione per ricavarne l'ennesima provocazione. «Ti credo, vivi in una suite con vista sulle tette della principessa».

Ero pronto a replicare, ma nella sala riecheggiò un saluto collettivo. Mi bastò gettare uno sguardo sull'ingresso per inquadrare Valentin ed Erika che entrarono a braccetto. La ragazza dai capelli rosa si allontanò nell'immediato, scusandosi con un sorriso cordiale, per poi ritornare da lui con due calici tra le dita.

La presenza della coppia di amici significava solo una cosa: Desirée era pronta per la sua entrata, che avrebbe senza dubbio coinvolto ogni invitato, oltre a imbarazzare il sottoscritto.

Michael mi colpì con il gomito, ma non distolse l'attenzione dal punto che calamitava tutti i presenti.

«La conosciamo come il demone incantatore dell'intero Principato, una presenza che brucia come le fiamme degli inferi». Fu la voce dello speaker a interrompere la musica, che continuò a suonare in sottofondo. In un gioco stroboscopico di colori, le luci illuminarono l'ingresso. «Date il benvenuto alla Lilith del nostro territorio, Desirée Aubert!» la accolse.

La ragazza apparve con la puntualità di un orologio svizzero, intrattenendo gli invitati con le sue movenze sensuali e canticchiando il ritornello di una canzone ritmata, scandendo le parole con il labiale.

Solo vedendola, potei immaginare mio fratello con la bava alla bocca. Desirée indossava un body nero abbellito da diamanti microscopici che brillavano tanto da accecare, decorato da alcune striature rosse che riprendevano la pelle degli stivali alti fin sopra il ginocchio. A completare il suo abbigliamento, un paio di corna da diavolo che portava tra i capelli.

Camminò fino al centro della pista con un deciso passo felino, elegante, calamitando gli sguardi dei presenti su di sé. Tutti la seguivano e idolatravano, come se i commenti sprezzanti dei giorni precedenti non fossero mai esistiti; la mia unica distrazione fu porgere il bicchiere di champagne ormai vuoto a un membro del personale.

Desirée era nel mirino di un'arma pronta a colpirla, ma sembrava che le importasse solo di essere al centro dell'attenzione.

«Sai che c'è? La vita è una» fece spallucce mio fratello, senza toglierle gli occhi di dosso. «E lo è anche l'occasione di ballare con una come lei».

Parai un braccio davanti a lui per arrestare i suoi primi passi, consapevole delle ipotetiche conseguenze di quell'azione. Non avrebbe infastidito solo Desirée, ma anche Valentin, e le reazioni di quest'ultimo mi erano già costate una scenata non richiesta.

«Col cazzo, Michael» sbottai, estraendo il pacchetto di sigarette dal taschino interno della giacca; ne portai una alla bocca. «Se lei è insopportabile, il suo fidanzato lo è ancora di più. Difenderti sarebbe una tortura per me» dichiarai, scavando per trovare l'accendino.

Adocchiando la punta della sigaretta che mi prendeva dalle labbra, disegnò un ghigno sul suo volto. «Fiero di averti convertito. I sigari da ricco sfondato mi stavano irritando» commentò. «E pensare che continui a ostentare umiltà nel tuo completo Armani...» mi canzonò.

Decisi di ignorare la sua provocazione e sviai il discorso. «Goditi questa festicciola da liceali in crisi ormonale. Io vado a prendere un po' d'aria».

Senza degnarlo di un mero saluto, indirizzai i miei passi all'esterno della pista da ballo. La terrazza del Jimmy'z si prospettava un luogo più tranquillo che mi avrebbe permesso di respirare, abbandonando la soffocante e assidua mania di protagonismo della mia rivale principale.

Superai la passerella che permetteva di attraversare lo specchio d'acqua artificiale della discoteca; la mia meta fu uno dei divanetti nelle vicinanze.

Mi accomodai sprofondando tra i cuscini morbidi di quest'ultimo, in compagnia delle sole luci che giungevano dalla pista, e accesi la sigaretta. Il fumo cominciò a librare nell'aria e il fascio di nervi si allentò a ogni tiro di quel veleno.

Rilassato contro lo schienale soffice, socchiusi le palpebre per godermi il benessere dovuto alla nicotina. Solo la musica era un impedimento alla mia quiete, il ritmo energico che martellava nelle casse potenti e faceva ondeggiare i presenti.

Era sconvolgente come la festa potesse procedere senza interruzioni e domande scomode, vista la tempesta mediatica di cui Desirée era divenuta vittima. La sua influenza era così forte da generare indifferenza nei confronti delle opinioni negative che la riguardavano, e il pensiero era scacciato con una danza assidua concentrata al centro del locale.

«Freddezza e antipatia sono le caratteristiche dello stereotipo britannico, sbaglio?» domandò all'improvviso una voce femminile, seguita solo dal tintinnio di una flûte appoggiata sul tavolino.

Desirée si raddrizzò, l'altezza guadagnata grazie ai tacchi a spillo degli stivali, e strinse un secondo calice tra le dita. Incollò lo sguardo al mio viso e non potei che irrigidirmi, quindi abbandonai il mozzicone nel posacenere e mi alzai in piedi; incrociai le braccia per sfidarla dall'alto e difendermi dai suoi attacchi imminenti.

«Quello è mio, per la cronaca» precisò, indicando il bicchiere ancora pieno di champagne. «Non farò la donna cortese con te».

Feci spallucce con disinteresse. Non mi importava di quello stupido calice, ma solo di liberarmi della sua presenza scomoda nel minor tempo possibile. Optare per importunarla sembrò la scelta migliore, quindi continuai a scrutarla approfittando dei centimetri che ci separavano in altezza.

«È più facile indorare la pillola a sorsi di Dom Pérignon?» la schernii, un ghigno che si dipinse sul volto. «O vuoi semplicemente affogare i dispiaceri nell'alcol?» la interrogai ancora. Chinandomi vicino al suo orecchio, quindi, abbassai la voce: «Non è molto principesco, da parte tua» la provocai.

Una sua occhiata truce bastò a fulminarmi; le ciglia sfarfallavano per l'impazienza di replicare, le pupille dilatate per la penombra e l'effetto dell'alcol.

Mi sfiorò il petto con un dito, invitandomi a raddrizzarmi, e aumentò la distanza tra noi prima di prendere la parola.

«È iniziato tutto quando sei arrivato tu» precisò, l'attenzione calamitata su di me. Avanzò sui tacchi con decisione e prese un altro sorso di champagne, l'ultimo della flûte che abbandonò sul tavolino al suo fianco. «Il tuo nome mi sta infangando, Woodward» insistette, compiendo un altro passo. «Non ti permetterò di rovinare le cose, è chiaro?» mi sfidò.

Alzai le mani per dimostrare la mia innocenza, che mi teneva lontano dalle sue accuse. Desirée rappresentava l'ultimo dei miei interessi, il più frivolo. Ero concentrato solo sull'azienda di cui pensava di tenere le redini.

«Lascerò il tuo regno immacolato, Daisy» ribattei. «Non ho la benché minima intenzione di mescolarmi alla tua vita di feste, lustrini ed eleganza. Voglio solo andarmene con dei contratti firmati» dichiarai.

«Hai paura di me, Isaac?» mi inquisì, avanzando e costringendomi a recedere. Sfiorai il divano con i polpacci. «Sei convinto che vincerò questa guerra e non vuoi ammetterlo a te stesso, è vero?» continuò

Mi spinse all'indietro con una sola mano, quindi sprofondai tra i cuscini e allargai le braccia per attutire la caduta, i gomiti appoggiati allo schienale e il capo reclinato per guardarla. Le sue forme sinuose si stagliavano sullo sfondo variopinto delle luci provenienti dalla pista principale.

«Sei terrorizzato dall'idea che la mia vita di feste, lustrini ed eleganza ti mandi fuori di testa, lo capisco» dedusse. «Chiamiamolo effetto Aubert».

Si voltò per afferrare il bicchiere di champagne ancora pieno e sorseggiò l'alcolico in pochi secondi, le bollicine che scomparvero in un caduco istante. Il calice vuoto fu abbandonato accanto al primo.

La disinibizione la portò ad avvicinarsi a me, e il suo sguardo lascivo mi esplorò da capo a piedi. Si chinò su di me con un gesto reso flemmatico dall'alcol. Contro ogni mia volontà, furono le curve del suo seno a catturare la mia attenzione; mi inumidii le labbra con la lingua senza decocentrarmi.

«O forse non hai paura di me» rilanciò. «Forse hai paura delle conseguenze che posso portare...» ipotizzò, puntando le ginocchia sul divanetto, ai lati delle mie gambe. Non si sedette a cavalcioni su di me, ma resse il peso tendendo i muscoli. «Credi di potermi resistere, Woodward?» mi interrogò.

«Non cedo alle provocazioni» asserii con le pupille ora incatenate nelle sue, e non più ai suoi seni sodi. «Mi serve ben altro per farmi cadere ai piedi di una donna, e sono quasi certo che tu non abbia ciò che cerco».

«La sicurezza è la prima tentatrice a trarre in inganno» affermò in un sussurro, calandosi definitivamente su di me. Mi sfiorò il cavallo dei pantaloni con l'intimità coperta dal body nero, ondeggiando i fianchi seguendo il ritmo sensuale della musica. «Posso concedermi l'onore di essere la seconda...»

Mi accarezzò le mani ruvide e le portò a cingere la sua vita senza pudore; il timore di essere scoperta dagli invitati era azzerato dallo champagne che le scorreva nel corpo caldo. Il suo fu uno struscìo assiduo, uno sfregamento che mi irrigidì. Fanculo.

Abbandonando le mie mani, che non si separarono dai suoi fianchi, mi infilò le dita tra i capelli e mi costrinse a chinare il capo per guardarla. Aveva il respiro affannato a causa dei movimenti costanti, il fiato caldo che si infranse sul mio viso, sulle mie labbra schiuse per l'inevitabile conseguenza delle sue azioni.

La goduria era una terribile sensazione da cui dovetti tenermi lontano, quindi arginai l'istinto di socchiudere le palpebre per abbandonarmi ai suoi gesti impudici.

Non accettavo che mi facesse cedere con così tanta facilità, avvalendosi dell'innata dote della lussuria.

«Non mi resisti, Isaac» mormorò con estrema certezza. «L'ho capito dal primo giorno, dal modo in cui i tuoi occhi si incollavano a me quando pensavi fossi distratta... Sei così banale, non credi?» mi sfidò con il velato intento di umiliarmi. «Sei convinto di intimorirmi parlando di questioni che riguardano anche te, come se io fossi facilmente scalfibile, ma guardati... Tu sei in grado di eccitarti per un semplice contatto fisico» mi sminuì, e diamine se colpì nel segno. Aveva dannatamente ragione, ma quel che restava del mio orgoglio non mi avrebbe permesso di ammetterlo. Quindi, con un altro movimento pressoché impercettibile, arrivò a sfiorarmi le labbra. «Chi è vulnerabile, adesso?» mi chiese. Le bastò un gesto brusco per allontanarmi da lei e lasciarmi intontito. «Fatti un esame di coscienza, prima di sputare sentenze sulla mia vita» rialzò la voce.

In pochi secondi si raddrizzò, abbandonando il divano per issarsi sui tacchi alti. Mi concesse un ultimo sguardo che mi pietrificò sui cuscini.

«E d'ora in poi, quando vorrai provare ad affossarmi per la tua soddisfazione personale, ricordati che sei solo un misero uomo» continuò a canzonarmi, il sorrisetto accennato per il diletto. «È sufficiente scatenarti un'erezione per metterti fuori dai giochi».

Non ebbi il tempo di risponderle, perché lei si voltò e rientrò nella pista da ballo con il suo passo felino. Elegante e flemmatica, scomparve tra i fasci di luce e gli invitati, godendosi la musica e l'effetto dello champagne.

Le sue azioni mi avevano spiazzato a tal punto da congelarmi sul divanetto isolato, ma mi obbligai ad alzarmi per non subire i sospetti di mio fratello e il suo inesauribile sarcasmo.

Mi sentivo appesantito e scosso da quanto appena accaduto, tuttavia proseguii imponendomi di non fossilizzarmi su quel pensiero. Desirée era determinata ed esibizionista: un gesto del genere era nelle sue corde, pertanto non avrei dovuto lasciarmi ammaliare. Con una mano insaccata nella tasca del pantalone raggiunsi la pista, dove brillava la giacca di paillettes di Michael.

«Sono stupito dalla durata della tua sigaretta» commentò proprio lui, avvicinandosi a me. «Dura più di te, senza dubbio» mi derise, quindi, puntando il dito verso il cavallo dei miei pantaloni. «Se valutiamo la velocità, potremmo proclamarti un novello Verstappen».

«Ti consiglio di fare una passeggiata tra i negozi e comprarti una lussuosa manciata di cazzi tuoi, fratellino» gli restituii l'attacco ironico, ma la mia voglia di replicare fu presto sostituita da una preoccupazione: «Si è visto tutto?»

«Erano tutti impegnati a ballare» mi informò, rincuorandomi. «Ma io amo irritarti, quindi non ho potuto esimermi dall'assistere allo spettacolo» aggiunse. «Dio, posso dirti che sono invidioso?»

Alzai le mani in un gesto teatrale. «Non è colpa mia se tu-»

Un infrangersi di vetri ci interruppe, riecheggiando nel locale e sovrastando il volume elevato della musica. Gli sguardi dei presenti puntarono alla figura di Desirée che, dando le spalle a un tavolino, tentò di ritrovare l'equilibrio perduto. Si massaggiò un polso e si guardò intorno confusa, concentrandosi su una bottiglia frammentata al suolo.

L'attonimento non finì lì, poiché Valentin si fece strada tra gli invitati e camminò nella mia direzione pestando i piedi. Era furioso, lo si deduceva dal passo deciso e dagli occhi ridotti a due fessure, dal modo in cui mi afferrò per il bavero della giacca e mi spinse contro la parete.

«Se sei venuto qui credendo di poter fare il cazzo che vuoi con la fidanzata di un altro, sei nel posto sbagliato, sono stato chiaro?!» detonò, scrollandomi per ridestarmi dalla trance dovuta allo scontro improvviso. «Sei solo uno sporco figlio di puttana, Woodward» digrignò i denti.

Il suo insulto fu seguito da un pugno che mi colpì lo zigomo con violenza, facendomi voltare il capo; riacquisii velocemente la lucidità e contrattaccai. Lui barcollò all'indietro, mentre una stilla di sangue gli sgorgava dal labbro ferito.

«Toglimi le mani di dosso!» urlai. «Non hai ancora capito che della tua vita, così come della sua» additai la ragazza, «non mi importa nulla?» gli domandai. Una risata fredda mi scivolò dalle labbra. «Vi state distruggendo a vicenda con queste scenate e io non c'entro niente, Valentin».

Lui si raddrizzò, pronto a replicare con ben poca diplomazia: «Tu c'entri eccome, pezzo di merda. I problemi sono cominciati quando sei arrivato con la tua fottutissima presunzione» sputò, tornando ad azzerare la distanza tra noi. I suoi respiri mi accarezzarono il viso, taglienti.

Mi scansai da lui e lo spinsi indietro, liberandomi della sua presa. Se la festa mi aveva già stancato dai suoi albori, quella messinscena da bullo aveva annullato del tutto la mia sopportazione.

«Sono venuto qui per lavorare, non per ascoltare i capricci di voi bambini viziati» rimarcai.

Fu la sentenza definitiva, perché finalmente mi incamminai verso l'uscita del locale. Avevo tollerato troppe pagliacciate quella sera, dalla finta seduzione di Desirée all'esagerata gelosia di Valentin, e la necessità di riposare la mente era martellante come un pensiero fisso.

Non mi accertai nemmeno che mio fratello mi stesse seguendo, coinvolto nel mio passo deciso nella sola compagnia della musica. Il capo chino, lo sguardo puntato al suolo: solo così riuscivo a non irritarmi più del dovuto, focalizzandomi su aspetti frivoli.

Tuttavia, la seccatura sfiorò il suo apice quando una persona si schiantò contro di me per la distrazione. Rialzai la testa e mi maledissi, perché quell'ostacolo fu proprio Desirée.

«Ti piace attirare su di te persino le attenzioni negative o sbaglio?» la punzecchiai.

«Tu non sai niente» ribatté, la voce colorata dall'indignazione e una punta d'ira. «Smettila di immischiarti». Tra le screziature verdi delle sue iridi nocciola, la seccatura era la sensazione predominante. Odiava che io mi trovassi a pochi centimetri da lei, soprattutto in seguito all'effetto che aveva avuto su di me.

Fece per allontanarsi, superandomi di qualche centimetro, ma la placcai serrando le dita attorno al suo fianco morbido. Impiegai un minimo sforzo per riavvicinarla a me, finendo petto contro petto, così mi chinai verso il suo orecchio. I suoi respiri erano caldi, rapidi e ansanti, resi irregolari dal gesto inaspettato.

«Ho una sola certezza, Daisy» le sussurrai e lei si irrigidì. Strinse le labbra in una linea sottile. «I problemi iniziano con il mio nome e finiscono con il tuo, ormai» affermai. «Se affonderemo, lo faremo insieme».

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Nota dell'autrice
Buongiorno e buon sabato a tutti amici, come state? <3
Eccoci qui con il quattordicesimo capitolo di AD dopo ben due settimane di attesa... Perdonatemi, ma a volte non riesco proprio a finire i capitoli in tempo :')
Ebbene, qui siamo al punto definitivo: iniziano i primi contatti fisici tra Desi e Isaac, che lei sfrutta per metterlo alla prova e sminuirlo... Cosa ne pensate dell'atteggiamento della nostra girl boss? Credete che questo "attacco sessuale" sia il modo giusto di indebolire Isaac mentalmente e fisicamente?
Il tutto è condito dall'immancabile sarcasmo di Michael (uno dei miei personaggi preferiti, per ora) e dalla furia di Valentin, che si sfoga su Desirée e successivamente su Isaac... Tenete bene a mente la sua reazione, perché nel prossimo capitolo sarà proprio lui a tirare in ballo l'argomento e le conseguenze ricadranno su Desirée. Un altro tassello che si aggiunge alla tempesta in arrivo per lei.
Nel prossimo aggiornamento ci aspetta una serata al casinò, questa volta giocheremo alla roulette dal POV di Desirée. Siete pronti...?
Mi auguro vivamente di aggiornare la prossima settimana, tra un impegno e l'altro, perché la successiva sarà dedicata interamente al Salone del Libro. In ogni caso, vi informerò su IG.
A presto! <3

IG & TikTok: zaystories_

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