8. Solo poche ore

Blythe è in piedi, davanti alla porta di casa sua. Deve solo allungare la mano per aprirla, ma non ci riesce: qualcosa lo blocca.

«Blythe, tesoro, stai andando a scuola?» La voce squillante di sua madre gli fa ritirare con più decisione la mano, che si sposta lungo la coscia. «Orsacchiotto, vuoi che ti accompagni con la macchina?» domanda la donna, ma lui rifiuta quell'offerta. Si porta una mano tra i capelli scuri e sorride per essere più convincente e rassicurante. «D'accordo, allora buona scuola.»

Samantha scocca un tenero bacio sulla fronte di suo figlio e poi apre la porta di casa. L'aria fredda e dei timidi raggi solari entrano nell'appartamento. Piano, Blythe allunga il collo per scrutare cosa c'è fuori: apparentemente solo l'erba del loro giardino e la macchina di Samantha parcheggiata sul vialetto. Così, dopo un respiro profondo e un altro bacio di sua madre, mette un piede fuori. Samantha è tesa e preoccupata, ma cerca di mantenere comunque il sorriso sulle labbra, mentre suo figlio si appresta a uscire di casa.

Ancora un passo e Blythe è completamente all'esterno.

«Buona giornata» afferma sua madre, ma il ragazzo non la sente. L'unica cosa che avverte, in questo momento, sono le orecchie che fischiano e il panico che, lento, sale sempre di più e gli inchioda i piedi a terra.

Le sue gambe sono così pesanti che quasi potrebbe provare a muoverle usando anche le braccia; tuttavia si rende conto di ciò che sta succedendo e sa bene che non è di certo un'idea brillante. Abbassa il capo e tira un respiro profondo; poi si volta di nuovo verso la madre.

Non si può dire che non ci abbia provato, almeno questo deve riconoscerlo a suo figlio; così Samantha tira ancora di più quel sorriso falso, fa un passo indietro e invita Blythe a entrare di nuovo in casa.

No, non ce la faccio.


☹☹☹

Ad avvertire i genitori di Blythe del fatto che il loro unico figlio si trovasse svenuto in mezzo alla strada, sono stati i vicini, manco a farlo apposta, i signori McLean. Vivono a pochi isolati da dove è avvenuto il furto; i ladri hanno portato via dei gioielli che hanno trovato nascosti sotto le assi del pavimento, e qualche contante racimolato qua e là. Tutto sommato, il suo attacco di panico ha avuto esiti positivi per i signori Berkley: quando i McLean hanno visto Blythe steso a terra privo di sensi, infatti, sono accorsi urlando e chiamando aiuto. In questo modo, i ladri sono fuggiti senza poter prendere granché.

Una felice conclusione per la famiglia che, altrimenti, al ritorno dalla vacanza avrebbe trovato la propria casa svaligiata; Blythe, invece, ha fatto un mucchio di passi indietro dopo quell'avvenimento, primo fra tutti un nuovo trauma. Da quando è successo, infatti, il ragazzo non riesce più a mettere piede fuori casa da solo; ogni volta che prova anche solo a fare quattro passi nel vialetto tutto ritorna a galla e non può impedire al suo corpo di bloccarsi. Sono già quattro giorni che Blythe non va a scuola. Potrebbe accompagnarlo sua madre con la macchina, certo, ma una volta uscito dall'auto Blythe non riesce ad arrivare all'entrata della scuola. E sarebbe assurdo accompagnare un ragazzo di sedici anni fino in classe; considerando, poi, che il problema si avrebbe anche per la fine delle lezioni.

Samantha era già pronta ad assumersi l'incarico di scortare suo figlio dentro e fuori la scuola, ma la psicologa Murphy l'ha sconsigliato vivamente. La donna, infatti, non fa altro che tartassare la famiglia Valkut di telefonate per sapere Blythe come si sente. Non è riuscita a impedire a Blythe di calmarsi e ora si sente in colpa per come sono andate le cose; più di tutto si sente in colpa per quanto sta accadendo al suo paziente: nemmeno i risolini o altre emissioni di suoni che Blythe compiva adesso compie più.

In questo momento, Blythe è nella sua stanza, seduto dietro la scrivania a osservare il panorama che si staglia fuori dalla sua finestra. Non ha voglia di studiare perché non riesce a smettere di pensare che, per il quarto giorno, è uscito di casa per poi ritornare indietro, come un perdente.

Si sente ferito da una forza più grande che sembra avercela con lui, anche se sa benissimo che l'unico con cui deve prendersela è se stesso. Molti medici che l'hanno visitato hanno detto ai suoi genitori che Blythe non ha nessun problema di natura fisica che gli impedisca di parlare, è tutta una questione mentale.

«Quindi potrebbe parlare, ma non vuole» ha cercato una volta di capire suo padre, durante una di queste visite.

«Beh, non è proprio così» ha ribattuto il medico. «Ho detto solo che le sue corde vocali e il suo sistema respiratorio sono a posto... a parte l'asma, ovviamente.»

È solo colpa mia.

Si porta le mani sul volto e respira in esse, godendo del suono che ne viene fuori. Ormai solo quello è capace di emettere. Per un momento si chiede come è la sua voce. Non la ricorda più e adesso ha sedici anni e la voce di un ragazzo di sedici anni non è certo come quella di un bambino di otto anni.

La ascolterò mai di nuovo?

Quel pensiero gli fa battere di nuovo forte il cuore e prima che un nuovo attacco di panico possa sopraggiungere lo scaccia via. Si alza e decide di andare di sotto, in cucina, per prendere un bicchiere d'acqua e magari godere della compagnia della madre. Ciò che però capisce, non appena mette piedi fuori dalla sua stanza, è che Samantha non è sola.

Blythe sente le voci di due persone e incuriosito scende i primi gradini delle scale. Sbircia attraverso le insenature e riconosce Amy McLean e sua figlia, Daisy. Subito, fa un basso indietro: non vuole avere nulla a che fare con loro. È grato alla donna perché gli ha prestato soccorso, ma non vuole rivedere Daisy, soprattutto considerando che è stato per il litigio che aveva come argomento la cheerleader se è scappato di fretta dallo studio della dottoressa Murphy.

Deciso a ritornare in camera sua, allora, fa un altro passo indietro; ma quel maledetto gradino scricchiola e sua madre lo sente.

«Blythe, tesoro?» lo chiama. «Scendi, ci sono Amy e Daisy McLean.»

Il ragazzo si aggrappa al corrimano e chiude gli occhi mentre prova a ristabilire il battito del suo cuore e a dirsi che andrà tutto bene.

Con estrema calma, scende le scale fino ad arrivare al salotto della casa, dove le tre donne sono sedute sul divanetto di fronte al camino. Daisy è al centro tra sua madre e Samantha e non appena i loro occhi si incrociano entrambi spostano lo sguardo, imbarazzati. Daisy sa di aver fatto una pessima figura la prima volta che si sono conosciuti e teme che il suo orribile comportamento venga riferito a sua madre; Blythe, al contrario, sente di essersi comportato più che bene e che lei debba ancora chiedere scusa a Noah.

«Eccoti!» gli dice sua madre, non appena si accorge che è lì. Samantha si alza e si pone accanto a suo figlio. «Daisy, non so se l'hai mai conosciuto: frequentate la stessa scuola. Lui è mio figlio, Blythe.»

«Oh, non credo» afferma la ragazza, alzandosi dal suo posto per stringere la mano a Blythe. Il ragazzo è immobile e per un attimo vorrebbe evitare di far finta che non conosca la cheerleader, ma un'occhiata di sua madre lo rimette a posto e allora partecipa anche lui alla sceneggiata. Si stringono la mano e lei farfuglia: «Mi chiamo Daisy.»

In risposta, Blythe alza un angolo della bocca.

«Come stai, Blythe?» domanda Amy, mentre Blythe si accomoda nel posto che prima era di Daisy, lasciando che lei sprofondi nella sedia di fronte a lui.

Blythe sorride e a gesti fa capire che potrebbe andare meglio.

«Beh, ne sono felice» afferma la donna. «È stato bruttissimo vederti lì a terra... Io...» Il discorso le si blocca in gola e dopo un breve sguardo con sua figlia decide di lasciar perdere quest'argomento. «Ma l'importante è che ora vada tutto bene» conclude.

«Già, l'importante è questo» concorda sua madre.

Per sua fortuna, con una scusa sua madre cambia argomento di conversazione e Blythe tira un respiro profondo.

Le due donne parlano per molti minuti di tante e tante cose, facendo rimbalzare le parole come una palla da tennis. A Blythe piace vedere sua madre in compagnia di una donna della sua età ed è felice di constatare quanto nei suoi occhi brilli sincera gioia. Samantha ha passato anni chiusa nella sua dimora a occuparsi sempre e solo di suo figlio e i diversi traslochi non hanno certo contribuito a rendere stabili le sue amicizie; perciò quando il suo viso si illumina di una felicità sincera Blythe se ne accorge.

«Oh, guarda che ora è! Il tempo è volato.» Amy fissa il suo orologio da polso e parla rivolgendosi alla figlia. Hanno trascorso quasi tutto il pomeriggio lì con Blythe e sua madre ed è ora di tornare a casa per preparare la cena.

«È stato veramente un piacere rivedervi, Amy» pronuncia Samantha, mentre accompagna la sua nuova amica alla porta. «E grazie ancora, davvero» sussurra, sperando che suo figlio non abbia sentito. «Blythe, saluta Daisy» aggiunge, poi, a suo figlio che, in piedi con le braccia incrociate sul petto, le sta osservando.

Il sopracciglio destro portato all'insù è un chiaro segno di quanto a Blythe non vada fingere di aver avuto piacere di aver rivisto Daisy, ma si gira comunque verso di lei. Stavolta è lui a porgerle la mano.

Non appena le loro mani si sfiorano, accade di nuovo. Ancora, senza che possa fare niente per impedirlo.

In un attimo sta guardando la sua mano protesa; quasi gli viene da sorridere quando si rende conto di quanto sono lunghe le sue dita rispetto a quelle della ragazza. Daisy pianta le sue pupille cerulee sul viso di lui e di nuovo Blythe si vede attraverso gli occhi di un'altra persona. Ciò che lui stesso ammette è di non essere uno splendore: ha le occhiaie per le troppe notti insonni; i capelli che non stanno come dovrebbero e un viso provato dalla stanchezza. Per una frazione di secondo, però, l'immagine cambia e Blythe non ha più se stesso davanti a sé, ma un contenitore di pillole, nascosto in un cassetto della biancheria.

Solo poche ore, poi tutto questo sarà finito.

«Ci vediamo, Blythe» dice Daisy, stringendo forte la mano di Blythe. Tutto è tornato alla normalità, ma il ragazzo non riesce a fare niente, sconvolto e impaurito da quanto ha appena visto.

Daisy McLean vuole farla finita.     

Buon venerdì! Sconvolte? Spero un pochino sì! Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto!
A martedì,
Mary ❤


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