6. Dumbo
La musica a palla di un vecchio disco dei Rolling Stone invade la camera da letto di Blythe. Sono passati dodici giorni da quando ha fatto a botte con il bullo e per concludere la punizione ne restano solo due. Due giorni di febbre, però, gliene hanno fatti saltare altri due. Tutto sommato, può dirsi fortunato.
Questo pomeriggio che sta passando ad ascoltare uno dei suoi gruppi musicali preferiti e a fare i calcoli di algebra, inoltre, non è poi così male: l'algebra gli piace e anche fare i compiti ascoltando musica. Non sa ancora, poi, che il suo studio migliorerà a breve.
«Blythe?» Sua madre è costretta a urlare per far sentire la sua voce, sopra quel rimbombo di bassi e chitarre elettriche. «Blythe, c'è qui il tuo amico Noah!»
Grazie a quell'ultimo grido, Blythe si volta verso la porta della camera. Sua madre la tiene spalancata e un timidissimo Noah sbuca da dietro la donna.
«Ciao, Blythe» lo saluta. «Sono venuto a portarti i compiti.»
Il ragazzo sorride e invita l'amico a entrare in camera.
«Solo un'ora» avvisa la madre. In fondo, Blythe è ancora in punizione.
«Certo, signora» risponde Noah. Blythe, invece, va a scoccarle un bacio sulla guancia.
Noah scava tra il casino del suo zaino di Lupin III ed estrae un plico di fogli che consegna all'amico. «Ci sono i compiti di chimica, biologia e letteratura. Fortunato a perderti le lezioni di chimica...» pronuncia Noah, in tono decisamente sarcastico.
Come solito da quando si conoscono, Blythe risponde a quel sarcasmo mostrando il dito medio. Noah oramai non resta più sconvolto da tale volgarità e, anzi, vede quel gesto come un segno d'intesa tra i due. È come se avessero una stretta di mano segreta o qualcosa di simile, e gli piace.
Il "nerd" ride e osserva Blythe che con poca cura getta i compiti sulla scrivania.
«Inoltre...» Noah allunga la "e" per creare suspense, mentre infila una mano nello zaino. «Ti ho portato questo!» Estrae un DVD, ed è uno dei tanti film Disney che Noah è solito citare nei suoi discorsi. L'espressione di Blythe non è delle migliori. «Dai, è bellissimo. Ti piacerà, vedrai!»
Senza che abbia avuto l'approvazione completa di Blythe, Noah va a inserire il DVD nel lettore. «Sono sicuro che ti piacerà, in fondo tu e il protagonista vi somigliate...» E mentre Noah sproloquia, Blythe afferra il cofanetto del DVD: Dumbo c'è scritto sopra.
☻☻☻
«Allora, com'era?»
Il film è appena finito e Noah aspetta con ansia di sapere se sia piaciuto o no a Blythe. Il ragazzo, dal canto suo, non sa come fargli capire, senza essere offensivo, che non solo non gli è piaciuto, ma che l'ha proprio detestato.
Blythe non riesce a capire e non condivide l'entusiasmo che vede balenare negli occhi del compagno. Noah ha la bocca spalancata in un sorriso che fa trapelare una passione che Blythe difficilmente ha visto nello sguardo dei suoi coetanei. Per cui, si sente in colpa per i pensieri che per tutta la durata del film l'hanno accompagnato; per un momento ha anche sperato che sua madre entrasse in stanza per interromperli, ma non l'ha fatto. È che proprio quell'elefantino che può volare usando le orecchie non l'ha convinto.
Andiamo, è assurdo!
Forse è colpa sua, forse ha perso tutta l'eccitazione che lo accompagnava da bambino, anche se, a ben pensarci, nemmeno quando era piccolo gli piacevano i cartoni animati. Sua madre gli ha confessato che non gli hanno mai fatto vedere i film della Disney semplicemente perché non li trovava attraenti e passava tutto il tempo a sbadigliare; dopo cinque minuti voleva togliergli.
Per non offendere l'amico, allora, forza un sorriso e agita entrambi i pollici in alto.
«Oh... l'hai detestato, vero?» domanda Noah, mentre segue i movimenti di Blythe. Entrambi si alzano dal letto e vanno verso la finestra.
Blythe è sorpreso di come Noah, dopo appena due settimane di conoscenza, capisca già quando menta. Eppure, non se la sente di dirgli la verità.
Scuote il capo, negando.
«No? Sei sicuro? A me non sembra che tu l'abbia trovato così bello...»
Lo sguardo di Noah cambia di colpo. Non è più allegro e spensierato ma triste e cupo, come se un'ombra fosse scesa su di lui.
«Lo so che sono grande e che questa passione per i cartoni animati è assurda» confessa, «ma non mi è venuto nient'altro in mente per farti capire cosa penso di te.»
Blythe è scosso da quell'affermazione e si gira verso il compagno, interrogativo.
«Sì, insomma... Dumbo mi ha sempre fatto capire che non tutti siamo uguali, ma che ci sono persone particolari e speciali. E tu lo sei, Blythe.»
D'istinto, il ragazzo si indica il petto, incredulo.
«Sì, tu. Non ci hai mai pensato?» domanda Noah e Blythe nega.
Non ha mai pensato di essere speciale, ma solo diverso. Nessuno gli ha mai detto che il suo essere differente dagli altri potesse essere una particolarità. Spesso, gli adulti usano i termini "particolare o speciale" per non essere offensivi e per non dire che Blythe non è normale; ma lui si è sempre sentito un microfono rotto in mezzo a tanti funzionanti e con altoparlanti potenti al seguito. È sempre stato convinto di dover adattarsi a quei microfoni e di sforzarsi, prima o poi, a funzionare di nuovo.
Noah è il primo, nella sua breve vita, che ha dato un significato diverso alla parola "speciale".
Vorrebbe controbattere, ma di nuovo la parlantina fluente dell'amico ha la meglio: «Tutto questo era per dirti, insomma... L'altra volta quando tu... sì, quando hai detto a Daisy McLean che doveva chiedermi scusa...» Noah riprende fiato e a Blythe viene da pensare, ingenuamente, di porgergli il suo inalatore per stare meglio. «Nessuno l'ha mai fatto per me. Grazie, Blythe, sul serio.»
Il ragazzo gonfia il petto, orgoglioso. Nella sua mente, ma solo per un breve istante, si sente un eroe.
Magari un giorno faranno le t-shirt con la mia faccia sopra e Noah la metterà, pensa.
Blythe, per rispondere all'amico, si limita ad alzare le spalle.
«Sì, beh, per me è stato importante.» Sorride, ma Blythe capisce che non è riuscito a rincuorare del tutto l'amico. A volte vorrebbe che le persone si fidassero di più delle sue espressioni e dei suoi movimenti, perché sono quelli che rivelano la verità, non le parole. «Ora vado. Lo puoi tenere il film, se vuoi.»
Noah fa per andarsene, ma Blythe lo trattiene ancora per un secondo, afferrandolo per un braccio. I due si fissano negli occhi per qualche istante, poi Blythe gli fa segno di aspettare ancora un attimo. Si dirige alla scrivania e di fretta scrive qualcosa su un pezzo di carta; quando ha fatto, lo consegna all'amico.
Il ragazzo occhialuto lo apre e la sua espressione corrucciata si trasforma presto in una più allegra e rilassata.
Senza permettergli di fermarlo, Noah getta le braccia al collo di Blythe e lo stringe forte a sé.
Sul biglietto c'è scritto: "Grazie a te, Noah. Sei il mio eroe".
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«Quindi questo Noah sembra piacerti davvero molto...» riassume la dottoressa Murphy.
Blythe è steso sul divanetto posto nello studio e, benché Britney gli abbia detto mille volte che lei non lavora seguendo quel metodo, non ne vuole sapere di mettersi seduto. D'altronde, Blythe deve fare qualcosa per rendere interessante quell'ora che non sempre trascorre così velocemente quanto vorrebbe.
Il ragazzo, tra uno sbadiglio e l'altro, conferma l'ipotesi della psicologa.
Come ogni settimana, Britney gli ha fatto scrivere poche righe su quanto accaduto di interessante e la prima cosa che ha menzionato è stato il bel discorso che Noah ha fatto su di lui. È da allora che cammina un metro sopra l'asfalto perché si sente potente e più forte grazie a quelle parole. Più di prima, compie le sue quotidiane e abitudinarie azioni con il sorriso sulle labbra e più spesso ha cominciato a vedersi il pomeriggio con Noah, solo per studiare, però: di vedere altri film della Disney non se ne parla proprio.
Mentre riflette sul fatto che dovrebbe far vedere a Noah qualche film d'azione, la dottoressa Murphy gli pone una domanda che non si sarebbe aspettato: «E questa Daisy McLean, invece, com'è?»
Blythe aggrotta le sopracciglia e volta il viso verso la donna. Si ricorda di aver scritto di lei – per parlare della "difesa" di Noah doveva farlo per forza – ma non di averle dato troppa importanza, tanto da spingere la dottoressa a porgli quella domanda.
«Voglio dire» continua Britney, «Noah pare un bravo ragazzo e sei stato molto gentile nel dirgli che è il tuo eroe, quando è chiaro che sia il contrario. Questa Daisy, invece, da ciò che hai scritto non sembra essere una bella persona. Cos'è che non ti piace di lei?»
La dottoressa Murphy, come tutti gli psicologi, non è interessata davvero a sapere che tipo di persona è la cheerleader, quanto più a comprendere cosa infastidisce il suo paziente. È facile sapere cosa lo entusiasma: di quello parla con piacere, ma il resto deve cavarglielo a forza; per cui, ogni appiglio non può ignorarlo.
Blythe riflette sulla domanda della donna spostando lo sguardo e ritornando con la mente al loro primo e unico incontro. Ciò che al ragazzo ha infastidito più di ogni altra cosa è stato l'atteggiamento della ragazza: quel modo di fare snob e superiore. Tuttavia, non riesce a farlo capire a Britney.
«Il suo modo di rivolgersi a Noah?» prova a capire lei.
Blythe annuisce, ma è una conferma con reticenza, come se ci fosse dell'altro.
Gli occhi della ragazza gli ritornano in mente ed è difficile non assumere un'espressione disgusta: a Blythe non è piaciuto ciò che ci ha visto dentro. E non si tratta del colore, della forma o di qualcosa legato all'aspetto esteriore, ma di ciò che gli hanno trasmesso. Nulla di positivo né di bello.
Pensandoci ancora un po' su, il ragazzo si indica gli occhi con l'indice della mano destra.
«I suoi occhi?» domanda Britney, prima di annotare qualcosa. «Il suo sguardo, insomma. E perché?»
Blythe ancora si trova nella situazione di non saperlo spiegare e alza le spalle, confuso.
«Forse era arrabbiata o infastidita per qualcosa...» La dottoressa tenta di far uscire ancora qualcosa dal suo paziente. «Magari non ha apprezzato l'intrusione durante l'allenamento. Forse è una ragazza timida.»
Blythe esclude quell'ipotesi a priori e lo fa capire storcendo la bocca. Non ritiene, infatti, che la ragazza possa essere timida o non sculetterebbe tutte le settimane davanti all'intera scuola e alle relative famiglie.
«Mh... allora forse per lei era solo una giornata "no", non trovi? Non possiamo saperlo con certezza, purtroppo non possiamo leggere nella mente delle persone...»
Un brivido freddo attraversa la schiena di Blythe che teme che la dottoressa conosca il suo segreto; ma poi si rincuora ricordandosi che non gliel'ha mai accennato e che quindi è impossibile.
«Però tu sembri così sicuro del fatto che non sia una bella persona. Come mai?»
Blythe punta gli occhi sulle sue scarpe e alza di nuovo le spalle, più perché per un momento ha avuto paura di dover parlare di ciò che gli sta accadendo, che per rispondere all'osservazione della dottoressa.
«Quello che hai fatto per Noah, comunque, è molto bello» constata di nuovo la donna, ormai quasi convinta che non possa più battere il ferro sulla ragazza: a volte Blythe è peggio di una sfinge. «Spero solo che tu stia ascoltando il consiglio di tuo padre. Non vorrei, Blythe, che tu aggredisca gli altri senza cercare di capire prima i loro comportamenti.»
A quell'affermazione, il ragazzo tira in su di scatto la testa e la fissa interrogativo. Come può pensare o solo dirgli una cosa del genere? Qualcuno pensa mai a come sta lui o come si sente lui prima di tentare di affogarlo nel lavandino o chiudergli le mani nell'armadietto? Qualcuno riflette mai prima di gettargli addosso tutto ciò che gli passa per la mente, tutti i lamenti e problemi che non vorrebbe sentire? No. E allora perché dovrebbe farlo lui con gli altri? Sta obbedendo a suo padre e sta cercando di stare alla larga dalle risse e di non istigarle, ma ciò non vuol dire che debba essere un rammollito, uno senza spina dorsale che davanti un chiaro segno di maleducazione sta zitto.
Non ne può davvero più: è troppo. Tutto il suo entusiasmo si è spento e per la prima volta prova rabbia anche nei confronti della sua psicologa.
Si alza dal divano e, offeso, si muove per andarsene.
«Blythe, che stai facendo?»
Britney si alza a sua volta e prova a fermare il ragazzo, ma lui ha già aperto la porta dello studio. Prima di andare via, concede alla donna un'occhiataccia, seguita da una scrollata del capo. La dottoressa resta interdetta: non sa cosa voglia dire e, soprattutto, cosa deve fare. Allora lo lascia andare, perché pensa che per lui sia meglio così.
Buon venerdì! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ci tenevo a dirvi che da questo momento in poi tutto assumerà un significato differente e che ci stiamo addentrando in quella che è e sarà la vera trama. Ovviamente non vi dirò nulla... Il prossimo capitolo dovrebbe essere pubblicato martedì e, anche se è Natale, proverò a mettervelo ugualmente, così che possiamo anche scambiarci gli auguri!
A martedì,
Mary <3
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