41. Bisogno d'aiuto

James ha davanti il portatile che ha comprato a suo figlio qualche anno fa, quando iniziò il liceo e ne aveva bisogno per alcuni compiti da svolgere, ma che non ha mai usato più di tanto, sempre restio ad avere a che fare con la tecnologia. L'ha sottratto senza che lui se ne accorgesse, ma aveva bisogno di fare una ricerca più approfondita sulla polisonnografia.

Deve ammettere di star capendo poco delle informazioni che sta leggendo su internet, ma gli è subito chiara una cosa: è un esame abbastanza costoso e che l'assicurazione medica non copre. Non gli sembra strano, in fondo si può convivere benissimo anche parlando tutte le notti nel sonno, ma per quanto gli riguarda potrebbe essere considerata una visita vitale per suo figlio, forse l'ultima chance per capire se è possibile per lui parlare ancora.

Ha così paura, James ha così paura che più passino gli anni più suo figlio si abitui a non sentire la sua voce, a parlare a gesti e a comunicare frasi più articolate tramite la carta. Blythe ha solo sedici anni, è vero, ma una volta finito il liceo potrebbe voler andare al college e dopo come potrebbe solo sperare di trovare un lavoro "normale"? Più ci rimugina sopra più sente lo stomaco attorcigliarsi in una morsa e quasi gli viene da vomitare.

È notte fonda e non ha nemmeno acceso le luci del salotto; lascia che sia il chiarore del computer a illuminare quel poco che gli serve per continuare a cercare informazioni.

«James?»

Nonostante la voce di Samantha sia un sussurro, James trasalisce perché sta facendo tutto questo di nascosto e non saprebbe come affrontare la conversazione senza sentirsi imbarazzato. Sua moglie sa di certo dei problemi economici che hanno, ma non vuole farle capire che sta valutando ogni possibilità prima di sottoporre suo figlio a quell'esame. Perché, sì, c'è il rischio che debba rinunciarci e proprio non vuole ammetterlo, né dirlo a sua moglie.

«Sì?» risponde lui, flebile. Nel frattempo, prova a chiudere la schermata che ha davanti, ma il pc si blocca e sua moglie fa presto a posizionarsi alle sue spalle. 

«Che fai?» chiede, ma poi si risponde da sola quando vede il titolo dell'articolo che James stava leggendo. «È complicato... cioè, voglio dire, è fattibile?»

La pagina web diventa sbiadita e davanti agli occhi dei coniugi Valkut appare la scritta che preannuncia la chiusura della stessa, che subito dopo svanisce lasciando il posto al desktop semi vuoto.

«Sì.» James, a questo punto, non può fingere di stare facendo altro: ormai sua moglie l'ha letto e non c'è motivo di mentire. «Ma l'assicurazione non lo copre» riassume.

Sua moglie non ribatte subito e lascia spazio a James per alzarsi e trovarselo così faccia a faccia.

«Troverò il modo» la rassicura lui, scoccandole un tenero bacio sulla fronte.

Come ho sempre fatto, pensa, ma non lo dice. Non esprime a voce questo pensiero perché, stavolta, non è sicuro di riuscirci.

«Lo so» ammette lei e con gli occhi bassi si lascia sfuggire altro: «Potremmo, però, chiedere aiuto. Delle conoscenze le abbiamo.»

Samantha non è troppo specifica e proprio per la sua vaghezza James non afferra al volo cosa intenda.

«Che vuoi dire?» domanda, la fronte corrugata e gli occhi fissi nei suoi.

«Che...» Samantha alza le spalle, come se ci stesse riflettendo solo in quel momento. «In fondo abbiamo conoscenze nell'ambito medico...»

«Ah, sì?» James è sempre più perplesso e per un attimo gli viene in mente la dottoressa Murphy, ma poi ha un lampo di genio. «No, non esiste» afferma.




☻☻☻




Prima che arrivi il suo turno, James deve aspettare che vengano servite almeno sette persone e ciò che lo stupisce di più è il fatto che non è l'unica fila la sua, ma ce ne sono altre due alla sua sinistra.

Si guarda intorno e si domanda quanti soldi porta in banca un'attività del genere. Non c'era mai entrato prima nella farmacia McLean – sono poche le commissioni che può fare con il suo lavoro – e si era limitato a osservarla da fuori, attraverso le grandi vetrate che danno sulla strada. Aveva immaginato che fosse un negozio molto ampio, ma esserci dentro lo rende ancor più palese.

Ci sono così tante corsie piene di scaffali e prodotti che quasi sembra un supermercato, e l'assortimento è veramente incredibile: non c'è nulla per la cura della persona che non potrebbe trovare lì. I grandi colossi online gli farebbero un baffo.

Perso nei suoi pensieri e nell'osservazione dell'ambiente intorno a sé, James non si rende conto che è il suo turno.

«Prego» lo chiamano e lui focalizza l'attenzione sul farmacista che ha di fronte.

«Ciao, Karl» dice, senza però riuscire a guardarlo negli occhi.

Non si è trovato per caso nella fila che stava servendo Karl, ma adesso che ce l'ha davanti gli è difficile riuscire ad avere la meglio nella lotta che gli imperversa dentro: quella tra l'orgoglio e la ragione.

«Ciao, cosa ti serve?» risponde l'altro.

Se volesse far vincere l'orgoglio, potrebbe inventare una qualsiasi scusa, comprare un prodotto a caso e filarsela di lì; invece, se volesse far vincere la ragione dovrebbe trovare il coraggio di ammettere che ha bisogno del suo aiuto. Il problema è che se facesse vincere l'orgoglio, allora dovrebbe fare le valigie e sparire per sempre dal Minnesota perché sua moglie lo ammazzerebbe.

Allora, tira un respiro profondo e parla.

«Parlarti. In privato, però» dice.

«Va... tutto bene?» C'è preoccupazione nella voce di Karl e James non fa nulla per farla sparire.

«Più o meno» ammette.

«Okay, vieni.» Karl si sposta da dietro la cassa e dice alle sue collaboratrici di pensarci loro anche alla sua. «Seguimi» dice poi a James, che circumnaviga il bancone e si lascia condurre in una stanza con solo una scrivania, un computer e diversi armadietti grigi.

«Dimmi tutto» esordisce il farmacista, le braccia conserte e il camicie bianco ben stirato addosso.

Un altro respiro profondo. Posso farcela.

«Blythe parla...»

«Oh, è...»

«... nel sonno.»

L'espressione che assume Karl alla parola "sonno" fa venire voglia a James di mettersi a piangere, lì, davanti a lui. Ha notato come il suo sorriso si è tramutato in una smorfia di compassione al sentire che suo figlio parla, sì, ma solo quando dorme e in realtà nemmeno sempre.

«È comunque un... un passo avanti, no?» fa notare Karl.

James si gratta i folti capelli castani e annuisce. «Un po'... sì.» Per non dire che è l'unico passo avanti in sei anni.

«E...»

«Tua figlia l'ha scoperto per prima.» James blocca il discorso di Karl, ma subito cala lo sguardo, incapace di mantenere il contatto visivo con l'uomo.

«Mia figlia?»

«Sì, alla baita.»

Forse James sta partendo da troppo lontano per arrivare al punto, ma si sente meglio prendendola così alla larga.

«Ha scoperto anche dell'altro in realtà...»

Ci siamo quasi, manca poco e finalmente James arriverà al nocciolo della questione. Infatti, lo sguardo sbigottito e carico della richiesta di avere qualche spiegazione in più fa aumentare il battito nel petto di James.

«Perché lei...»

«Ti prego, James, arriva al punto» lo blocca Karl, passandosi le dita sulla fronte, come a volersi togliere del sudore che, però, James non vede.

Deglutisce e si fa forza.

«C'è quest'esame che pare si faccia nel sonno...»

«La polisonnografia?»

«Sì, esatto e io, beh, volevo sapere se conoscessi un centro che può farlo nelle vicinanze. Tua figlia crede che potrebbe aiutare Blythe in qualche modo, non so come, ma...»

«E ti ci voleva tanto?» ride Karl, mentre va a sedersi davanti al computer. «Posso indirizzarti verso i migliori centri dello Stato, certo. Credo di conoscere anche qualche buon neurologo. Vediamo...» Muove il mouse e clicca su quello che agli occhi di James appare come un elenco delle migliori cliniche della zona. «Ah, sì, questa è buonissima!» Karl punta il dito su un punto dello schermo e James annuisce.

«E tu pensi che lo faranno?» domanda, mentre stringe forte con la sinistra lo schienale della sedia sulla quale è accomodato Karl.

«Sì, senza problemi. Se vuoi ti prenoto una visita» si offre il farmacista.

«Grazie, sei davvero gentile, ma...»

Ci mette troppo tempo per continuare, allora Karl gira il viso per guardarlo negli occhi. «Ma?» domanda.

«Non so se l'assicurazione lo copre.»

L'ha fatto, finalmente l'ha detto. Ora, avverte un grande peso scivolargli dalle spalle e finirgli sotto i piedi.

«Ah...» commenta Karl. «Era questo il punto, vero? Non volevi sapere se conoscevo qualcuno che lo sa fare bene, ma qualcuno che ti farebbe uno "sconto".»

«Non...»

«Posso prestarti i soldi senza problemi, lo sai. Bastava chiederlo senza troppi giri di parole.» Karl si alza e quasi offeso stringe forte la mascella.

«Non voglio soldi» ribatte lui. «Non sono qui per questo. Voglio solo sapere se puoi in qualche modo aiutarmi a farlo rientrare nell'assicurazione, o perlomeno...»

«James, perché ti è così difficile da ammettere? Hai bisogno di aiuto, punto. Cosa c'è di male? Non sono una persona che giudica, penso che ormai questo l'hai capito. E dopo tutto quello che è successo tra mia figlia e tuo figlio un atteggiamento del genere davvero non lo capisco.»

«È il mio carattere» replica James, duro.

«Beh, hai un carattere di merda, esattamente come Blythe.»

«Per favore...» sussurra James, una mano sulla fronte e un sospiro che sta per nascere. «Non iniziamo di nuovo con la storia di Blythe e la finestra, il tetto...»

Karl scoppia a ridergli in faccia e James strabuzza gli occhi alla sua reazione. Che gli prende? Che ha da ridere tanto?

«Tu pensi davvero che io mi sia sempre arrabbiato perché entra dalla finestra? Mi ritieni sul serio così ingenuo? Forse non hai capito che non ho mai odiato il fatto che entrasse dalla finestra, ma che non lo facesse dalla porta.»

«Non capisco» si lascia scappare James, inghiottendo la sua stessa saliva.

«Certo che non capisci perché proprio come Blythe non riesci ad ammettere i tuoi sentimenti. Ci tiene a mia figlia? Bene, perché allora non è mai venuto a passare un pomeriggio a studiare insieme a lei? A parte per quel famoso progetto di chimica che stanno facendo con Allyson e quel Noah. Che cosa mi dimostra arrampicandosi sul tetto di notte? Io ci vedo solo un ragazzino che ha paura di affezionarsi troppo e che nasconde a se stesso la verità.»

«Ma se tu avevi detto che...»

«Lo so che avevo detto! Non volevo e non voglio che Daisy si innamori di Blythe, ma indovina un po'? Mi sa che è già successo. E se tu veramente vuoi il mio aiuto per tuo figlio, allora devi fare qualcosa in merito.»

«Mi stai minacciando?»

Karl sbuffa, esasperato. «Smettila. Non far finta di non capire. Io ti aiuto, ma tu parli con tuo figlio e cerchi di capire cos'ha in mente.»

«E a che pro?»

È una domanda lecita, quasi venuta di conseguenza; eppure Karl non risponde subito, forse perché, proprio come James, ci sono cose che non vuole ammettere a se stesso.

«Perché Daisy ha bisogno di lui» soffia fuori, con molto sforzo. 




Stavolta ho lasciato il punto di vista a James, spero che vi sia piaciuto! Che ne pensate? Voi avreste avuto il coraggio di chiedere aiuto a un'altra persona?

A venerdì, 

Mary <3 

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