36. Non andrà mai via
"C'è qualcosa che preme dentro di me, sotto la superficie."
Crawling, Linkin Park
Abbiamo sempre paura di ciò che non conosciamo, è nell'indole umana. L'ignoto ci spaventa, ci costringe a fare pensieri che normalmente non faremmo, che non sono nel nostro essere.
È così per James, è così per Blythe. Entrambi, uno dentro la stanza e uno fuori di essa, non sanno cosa aspettarsi da una persona come Daisy; non sanno come sarebbe meglio comportarsi.
James ha un dolore che gli preme il cervello, lo avverte forte e chiaro in mezzo alle sopracciglia, più sopra dell'incavo del naso. Ce l'ha da quando Karl l'ha chiamato dalla fabbrica, quando per lasciare la produzione di scarpe stava per tranciarsi un dito sotto la macchina che taglia il tessuto. Appena ha risposto al telefono, quella sorda fitta gli si è conficcata in fronte e lì è rimasta.
E adesso, mentre origlia suo figlio parlare con Daisy, quella sofferenza si fa sempre più forte.
Karl, come promesso, l'ha portato al piano di sopra per andare a riprendere suo figlio; ma, arrivati fuori la stanza, ad accoglierli è stato lo psicologo Durant, sistemato lì, ritto e indefesso come una guardia inglese.
James ha lanciato uno sguardo d'intesa a Karl e si è reso conto che l'uomo ha avuto la sua stessa reazione: non appena ha visto Timothy lì in piedi, ha sussultato e si è passato una mano nei capelli, in un evidente segno di imbarazzo. Lo psicologo, poi, ha detto loro che era meglio lasciare ancora qualche minuto ai ragazzi e nessuno dei due ha replicato.
James sa com'è avere a che fare con uno psichiatra: sono più le volte che discute con la dottoressa Murphy che quelle in cui ci va d'accordo. E adesso sono tutti e tre sistemati in silenzio, a qualche metro dalla porta.
Nessuno di loro, però, ha avuto il coraggio di sbirciare dentro, un po' per timore di essere scoperti; anche se c'è la curiosità di sapere cosa sta succedendo. Eppure, dalla stanza di Daisy non si avvertono molte parole, solo qualcosa biascicato e di rado. Non è chiaro di cosa stiano parlando i due ragazzi.
Tuttavia, a un tratto le loro orecchie si fanno più acute.
«È come qualcosa che ti corre sotto la pelle» mormora Daisy. «La sento, ne percepisco i contorni e fa male, molto male. Ma non riesco...» Si arresta e subito James va a cercare Karl: l'uomo si è portato una mano davanti alla bocca per trattenersi dal respirare, di farsi sentire, e ha gli occhi stretti in uno sguardo di sofferenza. «Non...» continua Daisy, «non andrà mai via.»
James sente acuire il dolore, ma quando alza gli occhi su Karl non gli importa più di tanto di quello che prova il suo fisico in questo momento. Tenta di avvicinarsi a quell'uomo che non è suo amico, ma a cui ora si sente più vicino; per cui compie un passo. Si ferma, però, quando la figura di suo figlio entra nel suo campo visivo. Volta il viso e lo vede: in ginocchio, con il capo abbassato e le mani strette in quelle di Daisy.
☹☹☹
Matt osserva Blythe scendere le scale con suo padre e Karl a seguirlo. Ha la testa bassa e cammina guardandosi i piedi, nemmeno davanti a sé. Per un attimo si chiede se sta bene e se suo padre gli ha fatto o gli farà qualche ramanzina e al solo pensiero un lungo brivido gli solca la colonna vertebrale. La gola gli si secca e ha bisogno di tossire per trovare sollievo.
Come se tutti si fossero dimenticati della sua presenza, al suono del suo tossire si ritrova quattro paia di occhi puntati addosso. Sussulta, ma al tempo stesso si sente a casa, con una sensazione addosso che è difficile lavare via, la sensazione di non essere nessuno, di essere dimenticati perfino fuori la scuola in seconda elementare e di non poter avere il lusso di arrabbiarsi troppo o di offendersi.
«Matt, se vuoi ti accompagno a casa, si è fatto piuttosto tardi e fa freddo» afferma Karl, mentre si avvicina al ragazzo.
A Matt verrebbe da rispondere male, dirgli qualcosa di sgarbato per il fatto che più di una volta ha chiesto se poteva andare via e che tutte le volte gli è stato detto o di starsi zitto o di sedersi e restare, comunque, in silenzio. Adesso Karl se ne esce con "è tardi e fa freddo", come se lui non se ne fosse accorto prima.
«Non fa niente» mormora, mandando giù il boccone amaro della rabbia, «posso andare a casa a piedi. Non voglio disturbare oltre, voi avete...» Si blocca prima di essere troppo indisponente.
Sono più di due ore che è "ospite" in casa McLean e non è di certo stupido, ha capito, tramite i discorsi dei due coniugi, che Daisy non sta bene, ma non è sicuro di aver compreso cos'abbia. Ciò che è chiaro è che sia una cosa seria.
«No, insisto, così se sono in casa parlo anche con i tuoi genitori.»
A quell'affermazione, gli occhi di Matt si sgranano per la paura e il cuore comincia a battergli forte nel petto.
«No... non serve» balbetta, «davvero, io... Quante volte lo devo dire che non volevo? Che mi ha trascinato lui?!» Quasi sta urlando e se ne rende conto quando si ferma e incrocia le iridi delle persone che ha di fronte. Solo Blythe non lo sta guardando con sconcerto, ancora perso nei suoi pensieri. «Sul serio» riprova, abbassando la voce, «non serve.»
Karl sospira e con quell'espirazione caccia fuori tutta la pazienza che ancora gli è rimasta, molto poca a dire il vero.
«Va bene, ma...»
«Ti accompagno io» s'intromette James, fermando il discorso di Karl. L'uomo stava per accettare, ma a qualche condizione che a Matt non sarebbe piaciuta sicuramente. Non sa perché, ma sente che è così. «Lo accompagno io.» Stavolta, James si rivolge a Karl e ad Amy ed entrambi annuiscono.
«Grazie, James» sussurra Amy e con fare amorevole accompagna i tre uomini alla porta, mentre Karl si limita a salutarli da lontano e a raccomandare a Blythe e a Matt di non arrampicarsi mai più sul tetto di casa sua.
«Grazie» ripete la donna e Matt non è sicuro a chi si riferisca stavolta. Forse a Blythe, ma il ragazzo continua ad avere la testa tra le nuvole e lo sguardo nel vuoto.
La porta viene chiusa alle loro spalle e Matt segue James e Blythe fino all'auto dell'uomo. Osserva Blythe salire nel posto anteriore e James aggirare la macchina per andare in quello del guidatore.
«Sali» gli ordina James, quando vede che è ancora fermo, imbambolato in mezzo alla strada. «Non andrai a piedi, sali.»
Il tono di James è così perentorio e secco e i suoi occhi sono così fermi nei suoi che Matt pensa bene che non sia il caso di farlo arrabbiare, così tira un respiro profondo e sale; si accomoda sul sedile posteriore.
James mette in moto e, prima di inserire la freccia per immettersi sulla strada, lancia un'occhiata di sbieco a suo figlio. Matt pensa che James se la cavi bene a non farsi scoprire perché quello sguardo è stato davvero ben mascherato dal fatto che l'uomo era anche intento ad assicurarsi che non ci fosse nessuno in mezzo alla strada; ma forse, si dice, si sta solo sbagliando ed è tutto frutto della sua immaginazione.
Dopo qualche secondo di silenzio, Matt non sa se sia il caso di interromperlo per indicare a James la strada per casa sua o lasciare che lui ricordi che ha in macchina un altro passeggero. Alla fine, opta per la prima opzione e con grande sforzo parla e gli fa capire in che direzione andare.
«Siamo qui da pochi mesi, ma conosco bene queste strade.» James lo dice con un tono che a Matt fa accapponare la pelle, come se gli stesse dicendo: "Stai attento, che ricorderò per sempre dove abiti"; ma vuole credere che non sia così e allora fa presto a cambiare argomento: «È una città piccola.»
«Già» risponde James.
Ingenuamente, Matt si sarebbe aspettato dell'altro, come qualche domanda sulla sua casa, sui suoi genitori, sulla città, ma non è così che va. Tutto ripiomba di nuovo nel silenzio, ma a lui non dispiace. Sa bene che James è molto facile che lo odi a morte, così com'è per Blythe, e tutto sommato gli sta bene: in fondo se l'è voluta lui questa vita. Non si pente di nulla di ciò che ha fatto e di ciò che continua a fare, ma non poteva permettere che qualcuno venisse a sapere di quella notte, di ciò che Blythe ha fatto per lui. Ci ha pensato tanto a quella serata e proprio non riusciva a darsi pace. Adesso che il conto è stato saldato, sia Blythe sia James possono tornare pure a girarsi dall'altra parte quando lo vedono per strada.
Si schiaccia con la schiena nel sedile e ruota il capo sulla sinistra; in questo modo, può guardare Blythe come prima ha fatto suo padre: senza destare troppi sospetti. Il ragazzo che non parla ha la testa per metà appoggiata sul poggiatesta del suo sedile e lo sguardo è rivolto troppo in alto perché si possa dire che stia guardando il paesaggio fuori dal finestrino. Per un attimo si chiede a cosa sta pensando e qualcosa nei suoi lineamenti marcati e nel suo viso affranto gli fa desiderare di fare qualcosa per lui, ma scaccia subito quel pensiero e si dà dello stupido.
«È qui?»
La voce di James lo fa sussultare, così si raddrizza e si siede composto.
«Sì, è qui» afferma, dopo essersi sincerato che James abbia davvero azzeccato l'indirizzo di casa sua.
James spegne la macchina e Matt non sa che fare, se scendere subito o dire qualche altra cosa, però non è di certo una situazione piacevole per lui e vuole al più presto andarsene di lì.
«Allora... grazie...» bisbiglia.
«Ti accompagno.»
«Non s...» Lo stava per dire di nuovo, ma James ha fatto prima di lui ed è uscito dall'auto e ora lo fissa, in piedi, attraverso il finestrino posteriore.
Tira un respiro profondo e scende.
Il freddo dell'ambiente esterno in contrasto con quello interno lo destabilizza per un secondo, ma poi punta gli occhi sulla figura di James che ha di fronte e dimentica il gelo che gli attraversa i buchi sui jeans.
«Stammi a sentire» gli dice James, assicurandosi che suo figlio sia troppo distratto e ancora confuso per sentirlo, «non so per quale motivo tu e mio figlio oggi eravate insieme e nemmeno voglio saperlo. Ma te lo dirò una volta sola, poi non risponderò di me: stai lontano da lui e se provi ancora solo a sfiorarlo con un dito te la faccio pagare. E no, non ho nessuna intenzione di picchiarti, ma ti ci vedo bene a scontare gli ultimi anni di liceo in un carcere minorile. Forse non ho i soldi per pagare un buon avvocato, ma ti giuro che li trovo se non la smetti di dargli fastidio. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Signore, io...» Preso alla sprovvista, Matt vuole scusarsi perché non era sua intenzione seguirlo e arrampicarsi con lui sul letto di casa McLean, ma James non gli permette di dire altro.
«Di' solo che hai capito» afferma, duro.
«Ho capito.»
«Bene.»
James annuisce, poi sospira. Non aggiunge altro e sale in macchina. Non aspetta che Matt entri in casa e, seppure sia tardi come ha detto Karl, Matt ne è sollevato.
Un mezzo punto di vista di Matt ci voleva, no? Lo avete voluto con ardore ahahahah. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A martedì!
Mary <3
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