33. Per chi Blythe Valkut si arrampica sui tetti delle case
Blythe si specchia alla finestra di casa McLean, prima di bussare alla porta. Quando è convinto che la sua capigliatura sia a posto, finalmente tira un respiro profondo e si decide a suonare il campanello. Mentre aspetta che gli aprano, sposta il peso da un piede all'altro e si perde a osservare i vasi di fiori che sono poggiati sul terreno, proprio vicino alla porta d'ingresso. Conoscendo un tantino Amy, attraverso i racconti della figlia, a Blythe fa strano vedere un lavoro di giardinaggio iniziato e mai finito; ma non ha il tempo di rifletterci su che la porta d'ingresso davanti a sé viene finalmente aperta.
«Oh... Blythe.»
La voce di Amy fa scattare il ragazzo, che si gira verso di lei e le riserva un sorriso da un orecchio all'altro.
«Ciao» afferma ancora lei, facendosi ancora più fuori e assicurandosi di posizionarsi davanti allo spiraglio che la porta ha creato aprendosi. «Come mai qui?»
Blythe ingoia la sua saliva e si rende conto, in quel preciso istante, di non aver pensato a come far capire che è lì per vedere Daisy, per sapere come sta. Sono giorni che non la vede e ora, finita la loro vacanza e iniziate quelle scolastiche, possono ritornare a incontrarsi. Quei messaggi non bastano più: Blythe ha bisogno di starle vicino, di accarezzarle la pelle e di lasciarsi andare come aspetta di fare da più di una settimana.
«Daisy non c'è» lo anticipa Amy, ma le sopracciglia arcuate di Blythe le fanno subito cambiare idea: «Cioè c'è, ma... è... è influenzata. Purtroppo da quando siamo tornati ha preso una brutta febbre, con mal di gola, nausea e... Non ti conviene starle vicino.»
Appena finisce la frase, tira in su gli angoli della bocca con molto sforzo. Blythe se ne accorge, è sicuro che c'è qualcosa che non va e che quel sorriso sia falso. Eppure, non le comunica ciò che pensa, ma si limita ad annuire col capo, in segno di aver compreso.
«Ti faccio scrivere al più presto e le dirò che sei passato, ma non preoccuparti se non dovesse risponderti subito: dorme la maggior parte del tempo.»
Ancora una conferma con un lieve movimento della testa. È pensieroso e i suoi occhi bassi ne sono la conferma.
«È stato un piacere vederti» mormora ancora Amy. «Ciao, Blythe.»
La risposta del ragazzo è ridotta a una sola alzata del capo e con esso i suoi occhi verdi. Lascia che la donna se ne vada così, con una mezza smorfia sul volto richiudendo la porta senza pensarci due volte. Resta fermo lì, in piedi, davanti alla porta chiusa, con gli occhi bassi.
Prende il suo cellulare dalla tasca e subito apre la chat con Daisy, non si meraviglia quando nota che all'ultimo messaggio inviato la ragazza non ha risposto. Volta le spalle e scende con calma i gradini che lo separano dal vialetto di casa McLean. Non è sicuro di voler andare via e rinunciare così a vedere Daisy. Allora, circumnaviga la villetta e si ritrova sotto la finestra della ragazza. Le tende rosa con motivi floreali sono chiuse e non riesce a vedere se effettivamente Daisy sia lì oppure no. Riflettendoci, sua madre avrebbe anche potuto mentirgli e non dirgli che invece la ragazza è da qualche altra parte e non in casa con l'influenza.
Più ci pensa, però, più arriva alla conclusione che sarebbe assurdo mentire, a che pro farlo? Dove potrebbe essere Daisy, se non in casa?
D'un tratto, un'ombra nera spunta da dietro le tendine, ma a Blythe non sembra la sagoma esile e femminile dell'amica, quanto piuttosto quella di un uomo. E se fosse un ragazzo? Quel pensiero lo rende nervoso e gli fa tremare le mani.
E se Daisy fosse con un ragazzo?
Gli viene da interrogarsi sui sentimenti che prova, chiedendosi se gli darebbe fastidio una cosa del genere e viene alla conclusione che, sì, il solo pensare che potrebbe essere in camera da sola con un ragazzo che non è lui gli fa stringere una morsa allo stomaco e lo agita in una maniera che non credeva possibile. Eppure, gli sembra assurda l'idea che Amy, d'accordo con suo marito, non abbia acconsentito agli incontri notturni tra Blythe e la figlia, ma che invece accetta senza problemi di far stare da sola in camera Daisy con chissà chi.
Tutto ciò, seppur senza senso, lo infastidisce e decide allora di andarsene davvero di lì, stavolta sul serio. Dà la schiena alla finestra e comincia a camminare in una direzione a caso, senza avere voglia né di tornare indietro né di tornare alle sue cose.
Agitato, dà un calcio a un sassolino che ha di fronte e prosegue verso un campetto da basket, poco distante dall'abitazione di Daisy. Sente delle voci provenire da quel rettangolo con pavimentazione grigia e canestri rovinati e, curioso, si accosta alla recinsione che circonda il campo. Stringe con le dita un piccolo rombo e da quell'insenatura può vedere dei ragazzi giocare.
La palla rimbalza con decisione e degli sbuffi di terra e polvere si sollevano, quando uno di loro cerca di non farsi marcare dall'avversario. Riconosce Jasper e il suo sguardo, allora, va alla ricerca di Matt, che subito trova nell'angolino a destra, che sbraccia e sbraita per farsi passare la palla. Il ragazzo non viene ascoltato, però, e ciò fa ridacchiare Blythe, che un po' prova gusto nel vedere il bullo ignorato.
Quando Matt lo sente ridere, si ferma e i loro sguardi si incrociano. Blythe smette all'istante e unisce con decisione le labbra, come a voler dimostrare che non è stato lui a emettere quei risolini. Ciononostante, anche gli altri adesso si sono accorti della sua presenza e l'unica cosa sensata che gli viene in mente di fare è andarsene senza dare nell'occhio. Ovviamente, però, appena è lì pronto per scappare, Matt lo chiama.
«Che c'è? Vuoi giocare con noi, muto?» urla.
Gli altri ragazzi che sono lì ridono per quel "nomignolo" che gli ha affibbiato Matt, ma lui c'è così abituato che non si fa prendere da nessuna emozione quando lo sente. Piuttosto, è una buona motivazione per continuare a ignorarlo e proseguire nell'idea di andarsene.
«Sai giocare?» grida qualcun altro, forse Jasper, ma non ne è sicuro.
«Dai, gioca con noi» insiste ancora Matt.
Sbuffa e compie un altro passo, ma ancora il bullo lo richiama. A quel punto si gira e si rende conto che Matt non è più troppo lontano, ma che adesso è dall'altra parte della rete, di fronte a lui.
«Vieni?» pronuncia ancora.
In quell'unica parola però, che sembra così innocente, Blythe ci vede il tono malizioso che Matt usa sempre quando ha in mente qualcosa di brutto; il suo cervello gli suggerisce di scappare il più lontano possibile. Eppure, non vuole. No, stavolta non ha intenzione di andare via come se niente fosse e lasciare che lui e i suoi tirapiedi commentino la sua vita con frasi senza senso e, soprattutto, non vere.
Così, entra nel campetto attraverso un foro creato nella rete, si toglie il giubbotto di pelle e si posiziona al centro del rettangolo. Aspetta che gli passino la palla.
Matt, soddisfatto, va a sistemarsi accanto a lui; giocheranno come avversari, ovviamente.
Dopo una ventina di minuti passati a rincorrersi e a centrare a vicenda il canestro, le due squadre sono esauste, ma c'è uno scarto di soli tre punti e quella di Matt vuole vincere a tutti i costi. Allora, non appena Blythe ha la palla tra le mani, pronto a lanciarla a una distanza considerevole riuscendo ad aumentare il vantaggio, Matt gli si schianta addosso, incurante di aver esagerato e di aver compiuto un evidente fallo. Gli stringe il busto ed entrambi ruzzolano a terra, tra la polvere e le pietre.
Il pallone viene lasciato d'istinto da Blythe che, appena ha le mani libere, spintona Matt affinché gli si tolga di dosso, Matt ricambia e i due cominciano a mollarsi ceffoni e spinte finché gli altri ragazzi non li dividono.
«Smettetela! Basta!» grida uno di loro.
Blythe viene tirato da sotto le ascelle e rimesso in piedi, mentre Matt si rialza da solo e si toglie lo sporco accumulato sui jeans.
«Il ragazzo ha diritto a un tiro libero» decreta qualcuno.
«Che? Cosa? E perché?» s'inalbera Matt.
«Perché non stiamo giocando a rugby, Matt» gli fa notare l'altro, «e hai esagerato.»
Rosso in viso e con i pugni serrati lungo il corpo, accetta malvolentieri quella decisione e Blythe si posiziona a poca distanza dal canestro, mentre tutti gli altri gli si fanno attorno. Si passa la manica della maglia sotto il naso per togliere del muco dovuto al freddo e allo sforzo, e batte il pallone due volte a terra.
Prima di tirare, un'occhiata a Matt è inevitabile. Allunga le braccia e fa un piccolo saltello in avanti; la palla arancione va dritta nel canestro.
«Sì!» esclamano i suoi compagni di squadra. Matt, invece, è furibondo: adesso non sa più se riuscirà a recuperare.
Il gioco prosegue e i due non fanno altro che lanciarsi occhiatacce, spintonarsi e marcarsi stretto. Sudati, provati e affannati, si ritrovano al centro del campo, con Blythe che sta avendo la meglio. Il pallone è nelle sue mani, lo fa rimbalzare una volta, due; poi scatta a sinistra, ma con un movimento veloce Matt riesce a prendergliela dalle mani. Confuso e disorientato, Blythe si porta una mano sulla bocca e respira a pieni polmoni, prima di prendere l'inalatore dalla tasca e usarlo. Tutti, compreso Matt, si fermano a osservare i suoi movimenti.
«Stai bene?»
Stranamente, è proprio Matt che pone la domanda e, troppo concentrato a capire cosa sta accadendo al corpo di Blythe, non si rende conto che un avversario, con un colpo secco, gli ha tolto la palla dalle mani.
«Ehi, non vale!» si lamenta lui, ma, ancora, viene ignorato e quella palla finisce per arrivare a Blythe, che fa di nuovo canestro. «No! Avete imbrogliato!»
Blythe batte il cinque al ragazzo e sorride a Matt; la partita è finita.
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A bordo campo, tra il sole che lentamente sta andando via e il vento che si sta alzando con prepotenza, sono sistemati Matt e Blythe, in silenzio, uno di fianco all'altro. Blythe sta bevendo un sorso d'acqua che gli è stata gentilmente offerta da uno dei ragazzi, mentre Matt ha estratto il pacchetto di sigarette e sta per accenderne una.
«Vuoi?» gli domanda, porgendogli il pacchetto aperto.
Blythe scuote la testa, negando. Non ha mai provato a fumare e, con la sua asma, non è di certo consigliabile mettersi a inalare nicotina.
«Sicuro?»
Per convincerlo di ciò che sta dicendo, Blythe gli mostra l'inalatore e lui capisce.
«Ah, già» commenta. «Non sapevo che soffrissi d'asma.»
Blythe si limita ad alzare le spalle con noncuranza e a ritornare a fissare il nulla davanti a sé. Si porta di nuovo la bottiglietta alla bocca e ingolla un lungo sorso.
«Sai» sussurra Matt e lui si rende conto, con la coda dell'occhio, che il bullo gli si è fatto più vicino, «non scherzavo quando ti ho scritto quella cosa.» Poi, come se non avesse detto niente, tira una boccata alla sigaretta, per poi cacciare il fumo alzando il mento. «Ero serio» aggiunge. Un'altra boccata e poi la spegne sul pavimento sporco sul quale sono seduti.
Matt non l'ha guardato negli occhi, mai, nemmeno per un secondo da quando ha iniziato a parlare; Blythe, invece, non ha staccato le sue pupille chiare dai movimenti del bullo. È paralizzato, intontito da ciò che gli è stato detto. Matt è passato dal volerlo letteralmente ammazzare sul campo di basket a ricordargli quel messaggio in cui si rendeva disponibile per pareggiare i conti con lui. È evidente che non può accettare il fatto che Blythe l'abbia aiutato senza avere nulla in cambio. Una gentilezza che il bullo trova troppo irreale per essere vera.
«Se mai tu dovessi...» ricomincia, ma Blythe lo inchioda con un solo sguardo e lui si zittisce. In questo momento, non ha proprio bisogno di sentire tutte queste assurdità da parte sua. Ciò che però non si aspetta è che Matt scoppi a ridere di gusto a causa della sua espressione. «Sei proprio carino quando fai quella faccia imbronciata» gli rivela e Blythe continua a guardarlo malissimo. Matt lo sta rifacendo: si sta prendendo di nuovo gioco di lui, è incredibile.
Si alza da terra, furibondo, ma Matt gli afferra il polso e lo blocca. «Aspetta, dove vai?» gli dice. Si solleva a sua volta e così i due ragazzi si ritrovano ancora una volta faccia a faccia. «Aspetta...»
Vuoi pareggiare i conti? Bene!
Blythe tira il braccio, stretto nella morsa di Matt, e in questo modo lo costringe a muoversi con lui. Come quella notte in cui si sono trovati per caso, Blythe lo sta trascinando, stavolta, verso casa McLean.
Se Matt vuole veramente dare una mano, se Matt vuole davvero sentirsi meno in "debito" con lui allora è questo il momento giusto; è questo il momento per dare prova che non stava scherzando, che era serio.
«Dove mi hai portato?» domanda, sconcertato, il ragazzo.
Blythe lo molla e con la stessa mano indica la finestra, ancora chiusa, di Daisy.
«È una casa» nota Matt, sempre più perplesso. «Che vuoi fare, rubare?»
Un leggero sbuffo lascia le labbra sottili di Blythe, che a quel punto è costretto a spiegargli a gesti che in quella stanza c'è una ragazza che lui vuole vedere; non gli dice chi è, però: preferisce tenerselo per sé.
«E vuoi andare da lei?»
Blythe annuisce.
«Capisco, ma... non vedo come potrei aiutarti.»
Matt è insolitamente insicuro e Blythe allora gli spiega che, se proprio vuole dargli una mano, può aiutarlo ad arrampicarsi sul tetto per arrivare alla finestra e provare, così, a entrare.
«E una volta che sarai salito cosa fai?» domanda Matt, che sembra non capire l'urgenza di questo piano, ma soprattutto la necessità.
Blythe non è pronto a rispondere a quella domanda né a Matt né a se stesso. Come al solito, non ha idea di cosa fare quando si tratta di Daisy e anche stavolta non fa eccezioni. Tuttavia, vuole farlo per tanti motivi, primo fra tutti per togliersi dai piedi Matt e la sua assurda idea di sdebitarsi.
«Va bene, facciamolo» si arrende Matt, lo sguardo puntato sulla finestra, quasi a soppesare la distanza da terra. «Però se arrivano gli sbirri io ti lascio solo» ci tiene a precisare.
Un mezzo sorriso e Blythe accetta di far progettare a Matt il piano per salire illesi sul tetto. Si affida a lui ciecamente e, grazie al bullo che gli fa da scala, riesce a salire in modo molto più semplice delle volte in cui ha avuto bisogno dell'edera. Si aggrappa alle tegole e con un ultimo sforzo riesce a raggiungere la finestra. Ci si avvicina, ma nella stanza sembra essere tutto buio, forse le luci sono spente, o almeno così crede. Non si può esserne sicuri al cento per cento: il sole è ormai calato e le tende ostruiscono la visuale.
Si sente stringere la giacca e, appena si volta, Matt è lì, dietro di lui. Gli riserva un'occhiata torva e lui risponde sorridendo. «Che c'è?» gli chiede, il sorriso che si amplia e le braccia aperte. «Ero curioso di sapere per chi Blythe Valkut si arrampica sui tetti delle case.»
Vorrebbe replicare in qualche modo, ma un rumore alle sue spalle, come quello di un'anta che si apre, lo fa sobbalzare. Per quell'impulso improvviso del suo corpo, perde l'equilibrio e il piede scivola sulle tegole intrise di umidità; il suo busto si reclina all'indietro e agita le mani per afferrarsi a qualcosa per non continuare a scivolare fino a cadere, ma non trova niente. A un centimetro dal trovarsi al di fuori della pendenza, Matt lo afferra prima per la gamba e poi per il busto. Con qualche difficoltà lo tiene fermo, poi lo tira su.
Blythe chiude gli occhi e sospira, il cuore rallenta i battiti. Li riapre, per ringraziare Matt di quell'aiuto inaspettato, ma una voce lo fa sussultare di nuovo: «E voi due chi siete?»
Buon martedì! Che ve ne pare di questa insolita alleanza tra Blythe e Matt?
Fatemi sapere nei commenti.
A venerdì,
Mary <3
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