30. Bugie e menzogne
«Quindi non parla? Cioè non dice nemmeno una parola?» prova a riassumere Jacqueline, i lunghi e neri capelli che le ricadono su una spalla e le dita delle mani rovinate e arrossate.
«No, niente. Ride, sbuffa, ma non emette nessun altro suono» spiega meglio Daisy.
La prima cosa che le è venuto in mente di dir loro, quando le hanno chiesto se ci fossero novità, è stata proprio riguardo quel suo nuovo e misterioso amico che non parla. Aveva accennato loro qualcosa riguardo il progetto di chimica, la gita in baita, ma senza scendere troppo nei particolari, soprattutto perché non era sicura di poter definire Blythe un amico e che dargli troppa importanza fosse giusto.
«E come comunichi con lui?» domanda Thomas, spostandosi nella stanza che appartiene ad Abby e che i quattro condivideranno per quelle notti. Afferra una matita che è sopra la scrivania della sua amica e la rigira tra le mani, desideroso di tenere per sé quell'oggetto di cui non ha bisogno.
«Scriviamo perlopiù, un po' su carta e un po' tramite cellulare» ammette Daisy, gli occhi puntati sui movimenti dell'amico, il battito che sente accelerare nel cuore come se percepisse a sua volta quel senso di panico, mista alla voglia di sentir scorrere l'adrenalina nelle vene. «Quando veniva di notte in camera mia usavamo dei foglietti che...»
«Di notte?» esclama Thomas, incredulo, e lasciando andare la matita. Si getta sul letto insieme alle ragazze e quasi urla nell'orecchio di Daisy, che arrossisce quando si rende conto di ciò che ha appena confessato.
«Perché di notte?» chiede Jacqueline. «Non riesci ancora a dormire bene?»
Daisy si gratta la nuca, in imbarazzo, e si limita a confermare con il capo. Loro sanno tutto di lei, così come lei sa tutto di loro; al tempo stesso, però, non è mai semplice per lei confessare i suoi punti deboli. In realtà, è lo stesso anche per loro. La differenza è che Jacqueline e Thomas sono molto più espansivi di lei e di Abby che, infatti, continua a giocherellare, assente, con il suo cellulare.
«Non ce l'hai detto...» fa notare Thomas, le dita a cercare i capelli di Jacqueline con cui giocare.
«Mica è costretta a dirci tutto.» Finalmente, anche Abby si è inserita nella conversazione. La ragazza lascia andare il cellulare sul letto e si alza per sgranchire braccia e gambe. «Se non riesce non riesce, non è che tu puoi farci qualcosa, Thomas.»
L'antipatia e il tono usato da Abby non destabilizzano nessuno dei due amici, che la ascoltano un po' sentendosi in colpa per essere stati così invadenti e un po' ammettendo che in fondo non sono affari loro. Tutto sommato, a Thomas darebbe fastidio se gli chiedessero cosa deve farsene delle posate di plastica che fornisce loro la mensa o perché Jacqueline finge di sentirsi male, quando tutti sanno che le sue mani sono così rovinate solo per il continuo contatto con la laringe. Eppure, quei momenti in cui sono soli loro quattro sono gli unici in cui possono parlare e lasciarsi andare pienamente, senza il pericolo o la paura di essere giudicati.
La prima volta che si sono conosciuti è stato cinque anni prima, durante una noiosissima lezione di yoga. I quattro ragazzi si sono ritrovati nello spogliatoio e si sono subito identificati come anime gemelle. Daisy ha lasciato che Thomas si appropriasse del suo elastico per capelli senza fargli ramanzine, ma soprattutto senza aggredirlo; Abby ha tossito più forte che poteva per coprire il rumore del rigurgito volutamente provocato di Jacqueline. E lì, in quello spazio angusto e in quelle quattro mura di cemento, si sono scambiati dei sorrisi complici, riconoscendosi.
Per gli adulti è facile parlare, dare consigli non richiesti o lanciare occhiate cattive quando li vedono comportarsi male o quando non sembrano far progressi; ma solo chi si capisce, solo chi condivide gli stessi pensieri può davvero sapere cosa è giusto dire o fare.
E loro erano così: uniti contro tutto e tutti, complici e simili nonostante le diversità.
«No, certo» riprende Thomas, dando ragione ad Abby, «è solo che io...»
«Lui lo sa?» Ancora Abby interrompe Thomas, ritornando sul discorso "Blythe Valkut – il ragazzo che non parla".
«Di cosa?» finge di non capire Daisy.
«Di te, della tua depressione.»
La durezza e la schiettezza con cui Abby pronuncia quelle parole fa muovere con difficoltà i muscoli della gola di tutti e tre i ragazzi che la stanno ascoltando. Così abituati a dire che va tutto bene e a non chiamare i loro disturbi con i loro nomi, adesso si sentono in imbarazzo.
Daisy si gratta la pelle dietro la nuca, mentre Thomas e Jacqueline tentano di non focalizzare i loro sguardi sull'amica. Si può parlare di ogni cosa, possono condividere qualsiasi cosa; il patto, però, è che non si deve mai e poi mai costringere l'altra persona a usare il termine clinico del "disturbo".
«No... io...» balbetta Daisy, in difficoltà, «non gliel'ho detto. Forse ha capito qualcosa da sé, ma...»
Uno sbuffo, una mezza risata. «Capire...» borbotta Abby. «Certo, come no. Non illuderti, lo sai benissimo anche tu che non è mai così. Nessuno lo capisce se non gli viene detto esplicitamente.»
«Blythe è diverso.» Sulla difensiva, Daisy acquista coraggio e ribatte a tono. «Non è come gli altri.»
«Ah, sì? Allora gli hai detto dove andavi in realtà o, come sempre, gli hai propinato la bugia della vacanza natalizia in un posto esotico?»
Con la gola secca e un dolore alla bocca dello stomaco, Daisy non risponde. Abbassa il capo, dando ragione ad Abby.
«Lo immaginavo...» commenta lei.
«Perché fai così?» si intromette Thomas. «Quando uscirai da qui sarai disposta a dire a tutte le nuove persone che conoscerai che soffri di...» Blocca il suo discorso, perché lui non riesce a infrangere quel patto, perché la paura che gli si possa rispondere con la stessa moneta ha la meglio. «Insomma, lo faresti?»
Ancora una risata di scherno e i cortissimi capelli di Abby muovono i suoi ciuffi laterali quando tira indietro la testa.
«Mi fate solo ridere. Io non uscirò da qui e nemmeno voi.»
«Cosa?» Sia Thomas sia Jacqueline pongono la stessa domanda.
«Davvero credete che dopo anni rinchiusi in questo carcere ci permetteranno di vivere una vita normale, con persone che non sanno nulla di noi?»
«Perché no? Non possiamo mica stare qui in eterno, ormai i nostri problemi sono quasi risolti.»
«Certo» sbuffa ancora Abby, «immagino già la nostra vita. Tu, Thomas, andresti in carcere dopo nemmeno un giorno, magari per aver rubato un pacchetto di patatine al supermercato o il quaderno del tuo compagno di classe. Perché, se non lo sai, l'appropriazione dei beni altrui si chiama furto. Tu, Jacqueline, non saprai resistere ai buffet delle feste liceali e ti ingozzerai come una scrofa per poi andare in bagno a rimettere tutto...»
«E tu?» Con lo sguardo fisso nel suo, Daisy si alza in piedi e così si ritrova faccia a faccia con la sua compagna. «La tua vita come sarebbe?»
È una sfida e lo sanno tutti i presenti.
«Come la tua» è la risposta di Abby. «Piena di bugie e menzogne.»
☻☻☻
Daisy, Thomas e Jacqueline sono seduti attorno al tavolino da picnic posto nel grande parco che si trova di fronte la clinica. Stanno gustando un pasto al sacco, composto da tramezzini al prosciutto e qualche formaggio, mentre osservano Abby, lontano da loro, chiacchierare con i suoi genitori.
Daisy non si aspettava di avere dall'amica un'accoglienza così poco calorosa e che soprattutto, dopo la discussione che hanno avuto, si allontanasse da loro e che quasi li ignorasse per motivi che non comprende. Hanno riflettuto molto, con gli occhi sbarrati nei loro letti, sulle parole di Abby e, in particolar modo, Thomas e Jacqueline non hanno potuto far a meno di torturarsi al pensiero di cosa potrebbe succedere, una volta usciti da quella clinica.
Lì dentro, ogni attività è controllata da medici, infermieri, volontari; persone dolci e comprensive il cui unico scopo è far sentire meglio e a loro agio tutti i ragazzi e gli altri pazienti che occupano quel centro. Tutta la giornata è scandita da cose da fare, da studiare, e se c'è qualche problema ci si mette in cerchio e si parla senza filtri o limiti, anche se non sempre tutti sono disposti a farlo. Per quei ragazzi, la clinica rappresenta una boccia di vetro nella quale è impossibile farsi male e in cui sono sempre al sicuro.
«È... è davvero così terribile lì fuori?» domanda Thomas a Daisy.
I loro sguardi si incrociano e Daisy prova ad accennare un sorriso, che però non sembra far star meglio il ragazzo.
«Che cosa intendi?» chiede a sua volta lei.
«Quello che ha detto Abby è vero?» chiarisce Jacqueline, un'occhiata d'intesa con Thomas.
La cheerleader non risponde subito, riflettendo su tutte le situazioni in cui potrebbero essere coinvolti i due ragazzi, qualora uscissero allo scoperto.
«No, non lo è» decide, alla fine. Ed è vero, per lei non è mai stato così terribile. È una delle ragazze più popolari della sua scuola, ha buoni voti e i professori passano sopra alle sue assenze o alle sue distrazioni. Il tutto, ovviamente, grazie all'intercessione dei suoi genitori. Eppure, Daisy non può far a meno di ricordare il volto tumefatto di Blythe o quante volte ha visto Noah essere sbattuto contro gli armadietti nei corridoi della scuola. «Non per tutti, almeno.»
Jacqueline storce la bocca a quelle parole e si porta una mano sullo stomaco, massaggiandoselo; Thomas si tortura il labbro inferiore e si infila in tasca un fazzoletto di carta sporco.
«Io penso, però, che... insomma, non vi piacerebbe provare a frequentare una scuola pubblica, partecipare ai corsi, far parte di una squadra di basket?»
«Non lo so, io...» borbotta Thomas. «Qui non si sta tanto male: le infermiere sono gentili e non ci manca nulla...»
«Thomas...»
«In fondo Abby non ha tutti i torti» continua Jacqueline. «E se lì fuori dovessero... se io...»
«Abby non ha ragione.» Daisy li zittisce entrambi. «Non lo sa com'è. Io non capisco, invece, come voi possiate stare qui, in...» Si blocca giusto in tempo, prima di finire la frase. Daisy ha odiato quella clinica per i pochi mesi in cui c'è stata e l'ha sempre definita una "gabbia di matti". Tuttavia, serra le labbra e si rende conto giusto in tempo di star esagerando; i suoi amici vedono quella struttura come un paradiso in Terra, una famiglia e un posto sicuro.
«In...?»
«In questo posto... Abby non ha ragione» ribadisce, farfugliando quasi un mantra a se stessa. «Abby non ha ragione.»
Abby non ha ragione, ripete ancora una volta, mentre si perde a osservare l'amica che, stesa sul l'erba in quel piccolo pezzo di sole, sembra non appartenere né al mondo fatato e sterile della clinica né a quello vero, fatto di bulli, problemi a scuola e cotte non ricambiate.
Diciamo che questi momenti di vacanza non sono partiti nel migliore dei modi. Che ne pensate? Migliorerà la situazione?
A martedì!
Mary <3
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