29. Polisonnografia

Le dita che si intrecciano, i respiri che si fondono e un silenzio che rimbomba più forte di mille voci messe insieme.

Blythe e Daisy sono seduti sul letto del ragazzo, quello nella baita di Allyson, e stanno affrontando a modo loro ciò che la cheerleader gli ha appena confessato. Non è riuscita a trattenersi e l'ha svegliato.

Lo stupore di Blythe è stato molto, seguito dal bisogno di respirare a pieni polmoni per calmarsi e di chiudere gli occhi per qualche secondo. Daisy non può fare a meno di pensare, a questo punto, di aver commesso un grande sbaglio nel rivelargli di averlo sentito parlare nel sonno; ma non ce l'ha fatta a tornare nella sua stanza e a fingere che nulla fosse successo.

«Stai bene?»

È solo un sussurro, ma esplode nel petto del ragazzo che, col capo chino, sta torturando le dita di Daisy per cercare di impedirsi di fare di peggio, magari farsi venire un attacco di panico come quello che gli è capitato fuori dalla casa dei Berkley.

Vorrebbe dirle di sì, ma non sarebbe la verità, allora semplicemente muove la testa da destra a sinistra. Un movimento lento e dosato.

Un sospiro, stavolta di Daisy.

«Mi dispiace, non volevo...»

Non voleva farlo sentire così ed è vero: Daisy, più di tutti, sa cosa significa quando ti gettano addosso un peso che le tue spalle non sono in grado di sopportare. Ed è vero: non voleva vedere Blythe con quell'espressione sul volto, così teso e concentrato dall'evitare di esplodere.

La ragazza si tortura il labbro e inghiotte la sua stessa saliva; ripensa a quelle poche parole biascicate e non può far a meno di farsi spuntare un sorriso sulle labbra. La voce di Blythe, quella che solo per una breve frazione di secondo ha sentito, è come la immaginava e non può che sentirsi felice di aver avuto modo – finalmente – di udirla non più solo nella sua mente.

Per un momento le viene da pensare che potrebbe dirlo al ragazzo, dirgli che magari ha una voce davvero bella, certo un po' roca ma meravigliosa, ma ha paura di stordirlo ancora di più. Lascia perdere e si concentra su Blythe: gli stringe più forte la mano e lui inspira profondamente.

Restano così, rinchiusi in quel silenzio nato – ironia della sorte – dalle parole pronunciate da Blythe.







☹☹☹









Il foglio che Blythe ha davanti è esattamente come la professoressa gliel'ha consegnato: bianco e non compilato. È l'ora del test di Biologia e Blythe non ha ancora iniziato a rispondere alle domande. Forse conosce le risposte, forse no. Non lo sa, ma di certo ciò che è chiaro è che non riesca nemmeno ad appoggiare la matita sul foglio. I suoi muscoli sono bloccati, il cervello ha un vuoto e il respiro sta per mancargli.

«Avete solo altri venti minuti.» La professoressa informa la classe e il suo cuore batte ancora più forte dopo quella frase.

Il pensiero che deve sbrigarsi o prenderà un voto basso gli fa sudare le mani e allora a caso colora le caselle delle domande a risposta multipla, ma quando arriva a quelle a risposta aperta il panico lo assale di nuovo. È solo un attimo, però, perché quanto gli sta succedendo gli ritorna in mente di nuovo.

Quando Daisy gli ha confessato di averlo sentito parlare nel sonno, la prima reazione che ha avuto è stata di terrore, una paura che non sa nemmeno lui come spiegarsi. Ha sempre desiderato tornare a parlare di nuovo e ogni tanto, davanti allo specchio, prova a pronunciare qualche fonema, non riuscendoci mai. La notizia di poterlo fare inconsapevolmente e la notte lo ha destabilizzato e impaurito. Sa bene che, anche se è un grande passo avanti, non è qualcosa che riesce a controllare.

Tornato a casa dalla baita non è riuscito a contenere la curiosità e ha registrato tutte le sue ore di sonno con una vecchia telecamera che usava suo padre quando era piccolo. Ha guardato ben sette ore e quarantotto minuti di buio solo per sentire qualche parola dopo le prime tre ore di sonno.

È stato un attimo, ma in quell'attimo ha sentito per la prima volta la sua voce, la sua vera voce, quella di adesso, quella dell'adolescente che è.

Non è stato – ancora – come se l'aspettava: non la riconosce ed è stato quasi come ascoltare quella di un estraneo intrufolatosi nella sua stanza o di una presenza extrasensoriale, un fantasma.

«Cinque minuti.»

Blythe alza la testa di scatto e fissa l'orologio attaccato alla parete dell'aula, non può credere che siano passati quindici minuti così velocemente, in un battito di ciglia; eppure la docente non mente e mancano davvero cinque minuti alla fine della lezione.

Legge di fretta una domanda, provando a concentrarsi e a dare almeno una risposta, ma proprio non riesce a mettere insieme una frase di senso compiuto. Lascia andare la matita sul foglio e si arrende quando la professoressa passa tra i banchi a ritirare i test.

Sbuffa e cede al pensiero di aver preso un'insufficienza.

La campanella suona e Blythe raccoglie le sue cose in fretta; il cellulare gli vibra nella tasca e lo cerca mentre con qualche difficoltà si sistema lo zaino sulle spalle. Ha due messaggi non letti. Uno è di Daisy, mentre l'altro da un numero che non conosce. Decide di aprire prima quello dello sconosciuto: la curiosità ha la meglio.

"Siamo in debito, anzi, io sono in debito con te e se ti dovesse servire mai qualcosa – un favore o altro – non esitare a chiedere. Ti chiedo solo di non riferire a nessuno quanto è accaduto tra di noi: è meglio per te che non si sappia. Matt."

Blythe corruga le sopracciglia e lo rilegge ancora una volta. Il suo primo pensiero è come Matt abbia avuto il suo numero di cellulare, ma poi corre su quanto c'è scritto ed è inevitabile storcere la bocca a quell'offerta di pareggiare i conti seguita subito da una minaccia. Alza gli occhi al cielo e compone una risposta, ma poi la cancella subito e decide che non gli importa di Matt in questo momento; così vede ciò che Daisy gli ha scritto.

"Guarda qui" recita il messaggio, seguito da un link allegato. Ci clicca sopra e in un attimo si ritrova a leggere un articolo di medicina su un esame che si fa ai pazienti che parlano nel sonno, la polisonnografia. È un esame da compiere mentre il paziente dorme per registrare diversi dati – del corpo e della mente – per capire l'origine del sonniloquio.

Gli viene spontaneo sentirsi spiazzato: lui non ha quel genere di problema, anzi, non gli interessa di certo smettere di parlare nel sonno, ma riuscire a farlo anche da sveglio. Il messaggio seguente di Daisy, però, chiarisce anche questo punto.

"Se ti sottoponi al test, pensavo, magari i medici possono capire quali centri del tuo cervello si attivano in modo da stimolarli quando sei sveglio. Non so se sia una cosa fattibile, ma è una mia teoria. Quello che penso, Blythe, è che il tuo possa essere un problema da risolvere grazie alla scienza e non alla psicologia."

Blythe si appoggia con la spalla al muro, appena vicino a degli armadietti che non sono i suoi, e sospira nel rileggere quel messaggio. Ha bisogno dell'inalatore, per cui lo cerca nella tasca dei jeans e se lo porta alla bocca; un paio di boccate e il battito cardiaco scema sempre di più.

È la prima volta, in otto anni, che sente che ci possa essere davvero una soluzione medica/scientifica al suo trauma. Tutti i medici che l'hanno visitato gli hanno sempre detto che dal punto di vista fisico non c'è nessun problema e per anni ha dovuto subire sessioni su sessioni di sedute psichiatriche. Sono servite mai a qualcosa? Forse sì, forse no. Di certo, dopo così tanto tempo ormai per lui non cambia più molto, entrando nell'abitudine di quei momenti passati a comunicare i propri pensieri a un'altra persona. Gli sono sempre servite per sfogarsi, siccome non l'ha mai potuto fare con altri, ma dei veri e propri progressi non ci sono mai stati.

"Ne hai parlato con i tuoi genitori?". Ancora un messaggio di Daisy.

Blythe sposta il peso da un piede all'altro e aggiusta ancora lo zaino sulla spalla destra. Le sue dita compongono un messaggio, che poi cancella e lo sostituisce con: "Devo scappare, tu quando torni?"; poi si muove per cambiare aula e proseguire le lezioni.

Con la testa nel telefono non guarda dove sta andando e, quando sbatte contro qualcuno, finalmente alza il viso.

«Ehi, stai attento a dove vai, muto!» esclama Matt, accanto a lui Jasper e Lucas.

Blythe storce la bocca e non risponde, limitandosi a scrutare l'espressione sul volto del bullo. Non può non sentire di nuovo quelle frasi che ha appena letto battergli nella testa e pensare che c'è stato un errore, che probabilmente non è stato inviato dalla stessa persona che, ora, gli è di fronte e che lo guarda alzando un sopracciglio, quasi voglioso di istigarlo di nuovo per scatenare l'ennesima rissa.

Matt ha un nuovo taglio su un sopracciglio e un graffio rosso sul collo, forse i segni di una foga adolescenziale. Non riesce proprio, in questo momento, a essere comprensivo con lui, a dimenticare tutto il male che gli ha fatto solo per ciò che ha visto nella sua mente e per quell'insulso messaggio.

Perché ora fa così? Che senso ha farsi dare il numero di Blythe – perché di certo non è stato lui a darglielo – per fargli sapere che quando ne avrà bisogno può contare su di lui, se poi continua a comportarsi in questo modo?

Non può rimuginarci più di tanto, però, perché Matt e gli altri due ragazzi spariscono dalla sua vista, nel caos che segue al suono della campanella che preannuncia l'inizio imminente delle prossime lezioni. 






☹☹☹






Daisy sbuffa e sa bene che Blythe sta cambiando argomento volutamente: non ha parlato con i suoi genitori, che ancora non sanno nemmeno che riesce a parlare nel sonno. Per una parte, Daisy si sente onorata del fatto che Blythe abbia voluto tenere quel segreto solo con lei, ma sa bene che se non l'avesse scoperto da sola, di certo Blythe non gliel'avrebbe detto di sua spontanea volontà. I signori Valkut, a suo dire, dovrebbero avere lo stesso diritto, dovrebbero soprattutto saperlo da Blythe, sapere che ci sono dei progressi nella vita di suo figlio, che qualcosa è cambiato.

"Devi dirglielo, Blythe" scrive, insistendo. "Io torno tra una settimana."

Resta a fissare la loro chat, aspettando un messaggio che sa che non arriverà, se non per parlare di altro che non sia quell'argomento. Eppure, Daisy non vuole forzarlo ed è contenta che il suo rapporto con Blythe si sia stretto ancora un po' dopo quella notte, per cui non vuole perderlo come ha pensato che sarebbe successo, quando i suoi genitori hanno scoperto dei loro incontri notturni.

Mentre fissa il panorama che si staglia fuori dal finestrino della macchina di suo padre, non può far a meno di pensare che un po' si sente in colpa per aver lasciato Blythe da solo e con quel casino che gli alberga nella mente per un'intera settimana; ma quei sette giorni, una volta l'anno, è quanto di più bello ci possa essere per lei.

Mancano solo due giorni alla fine delle lezioni, prima delle vacanze natalizie, e la famiglia McLean ha voluto anticipare un po' i tempi per festeggiare il Natale insieme ai pazienti della clinica per i disturbi d'ansia e d'umore, situata a pochi chilometri da North Oaks. Hanno pensato di affrettare un po' i tempi, così da poter trascorrere almeno l'ultimo dell'anno tutti e tre da soli, come hanno sempre voluto fare. Amy e Karl sperano davvero che questo sia l'anno decisivo, quello in cui Daisy riesca ad andare avanti con la sua vita, senza aver bisogno di ritornare in quella clinica. Sono molto felici del fatto che la loro unica figlia mantenga dei buoni rapporti con alcuni dei pazienti ancora in cura in quel centro, ma preferirebbero che Daisy potesse vederli al di fuori di quelle mura che sanno di solitudine e medicinali.

Le infermiere di quel centro, quelle che si occupano ormai da anni di Thomas, Jacqueline e Abby hanno riferito loro che questo sarà l'ultimo Natale che i tre ragazzi trascorreranno insieme alla clinica: con l'inizio del nuovo anno, saranno tutti legalmente maggiorenni e i loro genitori hanno deciso di provare a donare loro una vita più sana, diversa, fatta di scuole pubbliche come tutti i loro coetanei e uscite per i supermercati a mangiare schifezze e vedere film di seconda mano. È stato un sollievo sentire quella novità; una liberazione sia per l'idea di non doverci più tornare sia per il fatto che quei tre ragazzi possono finalmente, anche loro, avere una vita normale.

Dopo ancora cinque minuti di attesa, con un occhio lanciato ogni tanto al led del suo cellulare, Daisy decide di lasciar perdere la discussione con Blythe. Si infila le cuffie nelle orecchie e con gioia riascolta la nota vocale che, qualche giorno fa, le ha inviato Thomas.

Sorride quando il ragazzo viene interrotto da Jacqueline e non può evitare di ridere, una risata nasale che diventa a gola piena quando riascolta Thomas darle della tiranna.

«Siamo quasi arrivati» informa Karl e lei annuisce, felice.

La macchina, guidata con più calma ora che si sono avvicinati al centro, trova posto proprio a qualche metro dall'entrata. Daisy è la prima a scendere, seguita da sua madre, che le corre dietro, e da suo padre, che si accerta di aver chiuso l'automobile.

La cheerleader trotta fino a raggiungere il grande giardino che dà il benvenuto ai visitatori e ai pazienti e, appena scorge i suoi tre amici, accelera il passo, allarga le braccia e lascia che sei paia di mani la stringano.

«Ciao!» urlano in coro tutti e tre. Poi, quando Daisy si stacca da loro, viene subito sopraffatta da tante domande, insieme, una dietro l'altra.

Cerca di rispondere quasi in contemporanea, ma poi si arrende con un: «Piano, ragazzi, non vi seguo!»

La risata che nasce spontanea a tutti e quattro i ragazzi consola e rallegra anche i suoi genitori, che la osservano a un passo da lei, stringendosi la mano.



Blythe è confuso, ma non lo dice ai suoi genitori. Matt manda messaggi per pareggiare i conti/minatori (non lo sa manco lui) e Daisy forse riuscirà a trovare un po' di serenità con i suoi amici della clinica. Voi che ne pensate? 

A venerdì! 

Mary <3  

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