24. Passare del tempo con lei
«I vicini hanno visto tutto, James» ribatte il padre di Daisy a quello di Blythe.
Seduti attorno al tavolo del salotto di casa Valkut, James e Karl stanno discutendo su quanto Karl ha appreso dal vicinato. Gli hanno riferito, infatti, di aver visto più volte Blythe entrare furtivo in casa loro dalla finestra della camera della ragazza e che, l'ultima volta, è rimasto sul tetto seduto lì fuori.
«Cosa, esattamente?» domanda James. In cuor suo crede a ciò che il vicino gli sta raccontando, ma vuole ancora provare a difendere suo figlio dall'accusa che gli muove, come ha sempre fatto.
«Tuo figlio entrare in camera di mia figlia nel cuore della notte. Ho dovuto anche togliere l'edera, sulla quale pare ci si arrampichi.»
Karl non è un uomo che perde la calma facilmente, molto diverso da James che, invece, ha in sé il fuoco del lottatore; ma quando si tratta di sua figlia tutto assume un diverso valore, si amplifica. Il farmacista calmo e buono si trasforma nella peggiore delle bestie.
«Blythe dorme la notte» è la risposta, secca, di James.
«Ascolta, Sam, noi non vogliamo litigare, lo sai...» Amy sembra quasi ignorare il discorso che stanno facendo i due uomini e si rivolge direttamente all'amica. «Ma ci è stato riferito così e vogliamo solo cercare di capire...»
«Capire cosa?» risponde di riflesso Samantha.
Karl sbuffa e ruota gli occhi al cielo, lasciando in sospeso ciò che ormai è chiaro a tutta la tavola.
I due ragazzi non si sono scambiati nemmeno un'occhiata e stanno lasciando che i loro genitori si sfoghino e che si aggrediscano senza mettere bocca. Anche se Blythe ha provato a cercare lo sguardo di Daisy, lei non ne vuole sapere di alzare la testa per partecipare alla discussione. Chiusa nel suo mondo, Blythe si chiede a cosa starà pensando.
Oh, se solo potessi adesso guardare attraverso i tuoi occhi.
«Blythe?» lo richiama suo padre e lui, dopo aver scosso la testa perché troppo distratto, incrocia le pupille chiare di James. «Sei mai entrato in casa dei signori McLean di notte, attraverso la finestra della camera di Daisy?»
«Stai scherzando, James? Perché glielo chiedi? È ovvio che ti risponderà di no! Credi a ciò che ti ho detto io, non a quello che ti dirà lui!» s'intromette Karl, una mano che sbatte sul tavolo e che fa sobbalzare appena le due signore.
«Voglio sentirlo da mio figlio. Voglio sapere da lui la verità» ribatte James. «Blythe? Allora?»
Un veloce sguardo alla testa bionda di Daisy e poi Blythe rivolge completamente la sua attenzione sul padre. Sa bene che non può negare ciò che tanti testimoni hanno visto e riferito ai genitori della ragazza e che mantenere il segreto farebbe sembrare la cosa più tragica di quello che è, e proprio non vuole che ci ricamino sopra. Eppure, prima di rispondere ha un attimo di tentennamento. Poi, però, annuisce e abbassa la testa.
«Ecco!» esclama Karl. «Adesso mi credi?»
James sospira, lasciandosi andare a un'espressione di delusione, quasi come se per un momento avesse sperato che suo figlio gli dicesse il contrario; avrebbe potuto far finta di non capire che Blythe stava mentendo, se lui avesse negato. Invece il ragazzo ha detto subito la verità e ora sarà costretto ad ammettere che Karl ha ragione.
«Sì, ti credo» afferma James, ancora un sospiro. «Quindi? Cosa pensi di fare?»
«Io cosa penso di fare? Tu cosa pensi di fare con tuo figlio? Non so cosa abbiano fatto in quelle ore da soli e nemmeno voglio saperlo, ma è chiaro che gli vada detto almeno qualcosa sul suo modo di agire!»
«Mi stai per caso dicendo come educare mio figlio?» La vena del collo di James batte forte dopo quell'esclamazione. Come osa Karl dirgli una cosa del genere? Venire in casa sua senza essere invitati e sbattergli in faccia le sue mancanze come padre?
«No, James, non è questo che voleva dire Karl» s'inserisce Amy.
«E cosa?» chiede Samantha.
A quel punto, le voci dei quattro adulti si accavallano in un groviglio di accuse, esclamazioni, minacce. Karl non vuole più che Blythe osi fare una cosa del genere e che, anzi, nemmeno veda più sua figlia al di fuori delle ore scolastiche; James, orgoglioso com'è, gli risponde che non sarà certo lui a impedire a suo figlio di fare qualcosa che gli va di fare. Amy e Samantha, invece, a turno cercano di calmare i loro mariti, anche se qualche frecciatina tendono a lanciarsela anche loro.
«Basta! Basta!»
Esplode un grido nella stanza e non è di uno dei grandi; è Daisy. Si è alzata dalla sedia di scatto e ha gridato a pieni polmoni, zittendo finalmente quel litigio senza senso.
«Volete sapere cosa facciamo io e Blythe quando lui viene di notte nella mia stanza?» grida. Le mani che tremano e il viso rosso per la fatica di portare le sue corde vocali a uno sforzo maggiore. «Lo volete proprio sapere?»
È una domanda senza risposta, però, perché Daisy comincia a scavare alla rinfusa nel suo zaino fino a tirare fuori una serie di fogli, che sbatte sul tavolo. Alcuni volano e cadono a terra; altri scivolano e arrivano fino a Blythe.
«Questo!» urla ancora la ragazza. «Ecco cosa facciamo!»
Gli adulti osservano, curiosi, tutti quei fogli pieni di scritte rosse e blu. Sono le loro conversazioni, tutto ciò che si dicono con l'ausilio di carta e penna; tutto ciò di cui ha bisogno Daisy per sopportare il silenzio di quelle ore notturne.
James ne afferra uno e subito riconosce, nelle scritte blu, la calligrafia di suo figlio, quel suo modo di scrivere male e veloce. Legge qualche riga, così come stanno facendo gli altri tre e per Blythe è inevitabile sentirsi a nudo; sentirsi scorrere un brivido lungo la schiena, mentre cerca di ricordarsi cosa c'è scritto e se mai hanno parlato di qualcosa che non ha mai confessato ai suoi genitori, magari qualcosa di intimo.
Ma Daisy non aspetta che loro possano trarre un giudizio su quelle conversazioni e, con le lacrime agli occhi, scappa da quella casa; esce e apre la porta con tale forza che essa sbatte sul muro e resta spalancata, lasciando entrare un freddo pungente.
Blythe scatta in piedi e senza pensarci due volte la segue; con la coda dell'occhio è sicuro di aver visto sua madre e Amy abbracciarsi e piangere insieme.
La ragazza si è fermata nel loro giardino e si è seduta a terra, tra l'erba fredda e umida a causa della pioggia del giorno prima. È di spalle, ma Blythe riesce a vedere la sua schiena muoversi in spasmi. Le si avvicina cauto e senza costringerla a dirgli che le passa per la testa si siede accanto a lei.
Allunga solo una mano sull'erba, molto vicino alla coscia della ragazza, così che, se vuole, Daisy può stringerla.
Un contatto voluto, un conforto silenzioso. Può dargli solo questo al momento Blythe; eppure, è proprio ciò di cui Daisy ha bisogno, perché accetta quell'invito e gli stringe la mano. Poi sistema la testa sulla spalla di Blythe e lascia che lui la circondi con il suo possente braccio, mentre sfoga tutte le lacrime che ha in corpo.
Sulla soglia della porta di casa Valkut, Amy sta piangendo a sua volta, stretta nell'abbraccio di Samantha e tutti e quattro i genitori stanno osservando la scena in silenzio, ognuno con pensieri diversi ma molto, molto simili.
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Blythe si ritrova ancora seduto al tavolo del suo salotto, ma stavolta ci sono solo lui e James. Ci sono volute molte ore per far calmare del tutto Daisy e perché accettasse di tornare a casa per riposare un po'.
Karl ha proibito categoricamente a Blythe di andare di notte da Daisy, ma sotto preghiera di sua figlia ha deciso di passare sopra al resto delle ore della giornata. Se ai due ragazzi va, possono vedersi; ma sempre in presenza di altre persone o di un adulto.
Ciò che preoccupa il padre di Daisy non è che i due facciano sesso non protetto o qualcosa di simile, ma che sua figlia possa peggiorare la sua condizione, magari innamorandosi di Blythe.
La ragazza non ha mai provato un amore profondo per nessuno dei suoi coetanei, ma Karl ricorda ancora il periodo di chiusura che Daisy ha subìto in seguito all'infatuazione per il suo primo terapista, il dottor Miller.
Giovane e appena laureato in psicologia, il dottor Arthur Miller rappresentava per Daisy il modello di uomo che aveva sempre desiderato e che mai aveva trovato nei ragazzini della sua età. Quell'uomo era tutto: bello, giovane, simpatico, con una fluente parlantina e in grado di far sentire la ragazza a suo agio, libera di parlare di qualsiasi cosa. Ma c'era qualcosa che non andava, qualcosa che non dovrebbe esserci in un rapporto medico-paziente. C'era dell'amore, nascosto certo, ma c'era.
È stato tramite i diari segreti di sua figlia che Karl scoprì che Daisy andava a quelle sedute solo per vedere il suo amore platonico e per sperare che in quelle ore qualcosa potesse succedere tra di loro.
Chiudere il rapporto fu l'unica soluzione possibile. E Karl ancora ricorda il periodo fatto di pianti disperati e rabbia immotivata di sua figlia per quella separazione. Adesso, se impedisse a Daisy di vedere definitivamente Blythe sarebbe rivivere quei momenti, ma almeno può salvarla da un dispiacere che sicuramente avverrebbe, se i due si spingessero oltre quei bigliettini.
«Che cosa avevi intenzione di fare?» chiede James al figlio. Sarà un discorso calmo, se l'è promesso. Vuole solo e davvero capire cosa lo abbia spinto a uscire di notte per raggiungere quella ragazza.
"Passare del tempo con lei" scrive Blythe, su un quadernino che suo padre gli ha porto.
«Perché di notte? Perché non di giorno, alla luce del sole?»
Perché è di notte che di più ne ha bisogno. È questo che vorrebbe rispondere a suo padre, ma proprio non può dirglielo.
"Perché per il resto delle ore è impegnata" mente.
James si lascia andare a un risolino, mentre legge quelle parole.
«E ti aspetti che io ti creda?»
A Blythe si mozza per un momento il respiro in gola e il cuore batte più forte nel petto. Non si aspettava di essere scoperto e così facilmente.
«Blythe, dimmi la verità» lo prega James.
Il ragazzo si morde il labbro e riflette su ciò che sarebbe meglio rispondere. Alla fine, opta per una mezza verità.
Unisce i palmi delle mani e li porta sotto la guancia, chiude gli occhi. Poi fa segno di no con la testa.
«Lo so che soffre d'insonnia, Blythe» lo rimbecca il padre. «Ma tu sai di lei? Del suo problema?»
Non si aspettava una tale sincerità da parte di suo padre e per un attimo ne resta spiazzato. Blythe è abituato agli adulti che tendono a nascondere tutto ciò che può far preoccupare i ragazzi, anche se suo padre è sempre stato diverso dagli uomini della sua età. Quando aveva dieci anni, per esempio, l'ha affrontato di petto per dirgli che sua nonna stava per morire di cancro; gli spiegò cosa fosse quella malattia, cosa porta al corpo di una persona e quale potevano essere le conseguenze di una cura molto forte. Blythe non ne rimase spaventato e, anzi, capì tutto ciò che il padre gli stava illustrando.
Da quel giorno, soprattutto, al ragazzo non ha più fatto paura dormire senza la piccola lucina sul comodino accesa, né i mostri immaginari o i film di paura.
Per questo, Blythe si rende conto di non poter non ripagare suo padre con la stessa moneta; allora annuisce.
«E che cosa pensavi di poter fare per lei?»
Blythe abbassa gli occhi sul tavolo e scrolla la testa. Il suo niente, tuttavia, non convince James, che costringe suo figlio a guardarlo negli occhi.
«Blythe?»
Qualche lacrima gli appanna gli occhi e sente il naso pizzicare per quelle gocce che cercano di uscire, di scalfire i suoi bulbi oculari. Si mordicchia il labbro e sente le gote bruciare, mentre non riesce a mantenere il contatto visivo con suo padre. Non risponde: non ce la fa.
«Karl è preoccupato per sua figlia e non posso dargli torto. Non mi ha fatto di certo piacere dargli ragione perché ho odiato il modo in cui si è comportato con te» confessa James. «Ma io sono tuo padre e ciò che più mi interessa è che tu stia bene. Perciò, Blythe, te lo chiederò una volta sola e voglio che tu sia sincero con me: stai bene quando sei con lei?»
La depressione non è una malattia trasmissibile, papà. È questo che vorrebbe dire a James, ma si rende conto, all'istante, di aver avuto un pensiero cattivo e lo scaccia via subito. Suo padre è solo visibilmente preoccupato per lui.
"Sì" scrive sul quaderno. E James è contento che lo abbia fatto, quasi come se quelle due lettere scritte una di fianco all'altra valgano di più di un cenno del capo di Blythe.
«Va bene, ti credo» dice. «E ti piace?» Blythe ha un sussulto e subito James si ritrova a chiarirsi: «Volevo dire, lo so benissimo che quello che crede Karl non è assolutamente vero e che tu non faresti mai una cosa del genere... ma...» Prende fiato e finalmente parla: «Ti piace Daisy? Provi qualcosa per lei?»
Benché la voglia di roteare gli occhi al cielo, sbuffare e dire che è stufo di sentirsi chiedere la stessa cosa sia molto forte, Blythe decide di non assecondarla e sempre su quel pezzo di carta scarabocchia: "Ci tengo a lei." Insomma, non è né un sì né un no, ma un nì.
«Era questo che volevo sentire» afferma suo padre. «Prometti solo che starai attento.»
In risposta, Blythe conferma ancora con il capo.
«Bene.» James si alza dal tavolo e lascia che suo figlio faccia lo stesso. «Forse è meglio che vai a studiare.»
Blythe sa che suo padre sta solo facendo finta di fare il genitore severo e un sorriso gli appare spontaneo sul volto.
Annuisce.
Volta le spalle, ma James lo chiama ancora.
«Blythe, ti sei davvero arrampicato sull'edera della casa dei McLean?» domanda.
Ciò che Blythe evince dal volto di suo padre è che James sia molto orgoglioso e soddisfatto di lui, allora conferma non riuscendo a trattenere un risolino.
«Tu sei incredibile» farfuglia James, scuotendo il capo per l'incredulità.
Non così tanto, si ritrova a dissentire lui.
Buon venerdì! Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Avevate indovinato perché tutta la famiglia McLean fosse in casa dei Valkut? Fatemelo sapere nei commenti!
A martedì,
Mary <3
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