23. Non toccarmi

Blythe gli dà le spalle, ma lui si alza, barcollando, e gli urla contro: «Ehi, muto! Dove vai?»

Blythe si ferma, ma solo un secondo, perché non ha intenzione di avere di nuovo a che fare con Matt; non sarà lui a istigarlo.

«Ehi, muto!» continua a urlare Matt. «Blythe!»

Con uno scatto veloce, Matt lo raggiunge, lo afferra per le spalle e lo costringe a voltarsi verso di lui.

«Nessuno ti ha detto che i bambini non vanno in giro a quest'ora della notte?» gli domanda, ma Blythe non risponde, troppo sconvolto da ciò che ha di fronte.

Matt ha il naso livido, il labbro inferiore spaccato e sulla tempia ha un lungo e largo graffio da cui una linea di sangue fuoriesce, incrostata sul suo viso.

D'istinto, allunga la mano verso il viso del ragazzo e succede di nuovo.

Ha la vista offuscata e i lineamenti del proprio viso gli appaiono scontornati, increspati. Poi, davanti ai suoi occhi, Blythe si ritrova un uomo che non conosce: capelli scuri, fisico possente e uno sguardo da far terrore. Quello sguardo gli si rivolta contro e Blythe si ritrova a tremare per la paura: sente di aver fatto qualcosa di sbagliato e ha voglia di correre, ma non ci riesce. Stavolta non è perché non è il suo corpo e non può controllarlo, ma perché il terrore gli tiene i piedi incollati a terra. La gola gli si secca e la laringe si chiude; gli manca il respiro quando quell'uomo gli si avvicina. È con uno scatto veloce che l'uomo gli si avventa contro e gli molla uno schiaffo che lo fa catapultare a terra.

Non toccarmi.

Un battito di ciglia e tutto torna alla normalità, l'unica cosa diversa è che ora Blythe sa qualcosa della vita di Matt, qualcosa di privato e di terribile. Quel suo volto sfigurato è la testimonianza di una vita difficile, di una famiglia di certo non amorevole.

La rabbia di Blythe, ora, sembra lasciare il posto a un nuovo sentimento nei confronti di Matt: la comprensione.

La sua mano è ancora protesa verso il ragazzo che ha di fronte e, quando se ne accorge, la abbassa e con la stessa gli afferra il polso; si volta e lo conduce via di lì, lontano dalla solitudine in cui l'ha trovato.

«Oh, oh!» si lamenta lui. «Che fai?» Ma Blythe non risponde e continua a trascinarlo. Matt, d'altra parte, non sta opponendo in realtà molta resistenza.

Si lascia, allora, trasportare fin davanti casa Valkut, in cui viene fatto entrare a forza.

Blythe gli fa segno di non urlare e, soprattutto, di stare attento a non far rumore: quelle maledette scale che portano alla sua stanza scricchiolano sempre.

Per fortuna, però, nessuno si accorge della loro presenza e sani e salvi riescono ad arrivare nella camera da letto di Blythe.

Fa accomodare Matt sul letto e gli impartisce di non muoversi da lì, mentre va a prendere qualcosa per disinfettargli le ferite.

Quando Blythe ritorna, Matt lo guarda male.

«Cos'hai intenzione di fare?» indaga.

Prova ad alzarsi dal letto, ma Blythe lo rimette seduto. Getta del disinfettante su del cotone idrofilo e senza preavviso gli tampona la tempia.

«Ahia!» si lamenta Matt. «Brucia.»

Blythe alza gli occhi al cielo per l'esasperazione e continua a medicare Matt. Gli pulisce il viso, togliendogli ogni residuo di sangue incrostato; poi gli mette un cerotto quadrato e grande sulla fronte, anche se gli riferisce che, probabilmente, avrà bisogno di andare in ospedale per mettere dei punti; infine gli applica anche una pomata sui lividi.

«Che roba è?» chiede Matt, mentre socchiude gli occhi per farsi spalmare meglio quell'unguento sulla palpebra destra. «Puzza.»

Blythe si ferma a guardare il tubetto di crema che ha tra le mani e legge cosa c'è scritto sopra, poi lo indica a Matt.

«Arni... ca?» pronuncia lui, in difficoltà. I suoi occhi sono un po' velati da lacrime e gonfi. «Mai sentito.»

In risposta, Blythe alza le spalle, senza spiegargli che sua madre utilizza quella crema per qualsiasi cosa. Posa tutto sulla sua scrivania e poi vi si appoggia con la schiena, le mani strette al legno dietro di lui.

Matt si tocca il viso, poi si alza e va a guardarsi allo specchio, quello sopra l'armadio con quattro cassetti in cui sono riposte le maglie di Blythe.

«Perché lo hai fatto?» gli domanda. Si guardano attraverso il riflesso dello specchio. Blythe non gli risponde, allora Matt si volta per guardarlo sul serio negli occhi. «Non... non è sempre così...» mormora, spostando le pupille altrove. Poi, come resosi conto di aver detto troppo, ritorna al suo ruolo: «Se lo dici a qualcuno...» Ma non riesce a concludere il suo discorso, perché nel frattempo Blythe si è staccato dalla scrivania e lo sovrasta con la sua imponenza. Blythe è più alto e più possente di Matt; uno contro uno avrebbe la meglio Blythe.

Matt abbassa il capo e guarda le sue scarpe, le dita della mano destra a sfiorare il labbro spaccato.

«Questo non cambia niente» bisbiglia, «ma grazie.»

Blythe annuisce perché sa che Matt ha ragione, anche se non vorrebbe che fosse così. Gli si fa ancora più vicino e lui si sposta per permettergli di andare a prendere un foglio e una penna, lasciati lì, sopra il mobile.

"Stai lontano da Sally" scrive, per poi porgerlo a Matt. Il ragazzo lo legge e alza un angolo della bocca.

Si fissano ancora; poi, come a siglare un accordo, Matt allunga una mano e Blythe gliela stringe.





☹☹☹




Blythe, con la testa nel cellulare, scansa un altro ragazzo, mentre lui e Noah si dirigono all'aula di Letteratura, materia che condividono.

Blythe sta cercando di convincere Daisy a rispondere ai suoi messaggi; Noah, invece, gli sta raccontando cos'è successo quando si sono salutati dopo il pomeriggio passato a fare esperimenti di chimica.

Stare dietro ai discorsi di Noah non è per niente semplice, considerando che l'amico passa da un argomento all'altro come una scheggia impazzita; ma quando Noah comincia a parlare di quella giornata le sue orecchie si fanno più attente. In fondo, Blythe è sempre stato multitasking: ascoltare tutto ciò che succede intorno, mentre si fa altro è la sua specialità.

«Siamo tornati a casa insieme» racconta, riferendosi ad Allyson. «Mi ha permesso di accompagnarla fino alla porta d'ingresso. Sai, la vedevo molto preoccupata per Daisy. Mi ha raccontato che non è mai scorso buon sangue tra di loro, che Daisy è sempre stata molto chiusa; ma che ha capito che qualcosa non va e adesso vuole provare a farla uscire dal guscio. Tu che dici? Ci hai parlato?»

Blythe scuote il capo, pensieroso e deluso. Le ore passate al freddo sul tetto, senza ottenere risultati, gli ritornano in mente e per un attimo avverte il gelo premergli le tempie.

«Oh» commenta Noah. «Beh, con pazienza e calma. Non dobbiamo forzarla... credo.»

Blythe ferma le dita sulla tastiera e si volta a fissare l'amico.

«Che c'è? Che ho detto?» domanda lui, in risposta all'espressione curiosa che ha assunto Blythe.

Riflette. Noah ha ragione. Anche la dottoressa Murphy l'ha detto: bisogna avere pazienza e non forzarla. Eppure, lui sta facendo esattamente il contrario. Bombardarla di messaggi di certo non è mostrarsi pazienti né lasciare che lei si apra spontaneamente; ma non aveva idea di come altro fare per sapere come sta. Non l'ha ancora vista in giro per i corridoi né insieme al gruppetto di cheerleader e la preoccupazione sta avendo il sopravvento sulla calma.

«Blythe?»

Blythe non risponde, pensa che sia meglio cancellare il messaggio che stava componendo e fa segno di "niente" all'amico. Poi riprendono la loro marcia.

Arrivano all'armadietto di Noah, dove il ragazzo deve prendere i libri e alcuni quaderni per il corso che comincerà a breve, e Blythe vi ci si appoggia. Sospira.

Noah apre con uno scatto il catenaccio e spalanca l'anta gialla. Di fronte a lui, da questa posizione, complice anche la testa abbassata di Noah, Blythe può scorgere Matt. È insieme ai suoi soliti bracci destri, Lucas e Jasper, mentre Sally pare starlo torturare per qualcosa che, però, non riesce a comprendere.

Il bullo ha ancora il grosso cerotto che gli ha messo Blythe sulla fronte, ma sembra stare meglio rispetto a come gli è apparso la sera prima. Quasi, i suoi lineamenti apparivano nascosti sotto tutto quel sangue, lividi e graffi.

I due ragazzi si scambiano un'occhiata ed è Matt ad abbassare per primo lo sguardo.

«Lasciami in pace, Sally» bofonchia lui, togliendo la mano della ragazza da sopra il suo braccio. «Ho bisogno di spazio.»

Un'altra occhiata a Blythe, che ricambia alzando gli angoli della bocca, soddisfatto.

«Blythe?» lo richiama Noah. «Blythe, hai sentito ciò che ho detto?»

Il ragazzo sbatte le palpebre e si concentra sull'amico. Fa segno di no: si era distratto.

Noah chiude l'armadietto e riprendono a camminare.

«Stavo dicendo che, magari, se Daisy verrà al corso di Filosofia potrei parlarci io, giusto una frase. Sai, per capire come si sente. Non è venuta a quello di Matematica, ma magari entrerà più tardi.»

A quelle parole, Blythe arresta di colpo i suoi passi; poi, senza aver bisogno di sentire altro, volta le spalle e corre con l'intenzione di uscire da scuola. Ciò che ha udito gli basta per pensare che, probabilmente, Daisy abbia messo in atto l'idea che covava la prima volta che ha visto attraverso i suoi occhi.

Si precipita fuori e la prima cosa che gli viene in mente è andare a casa sua: è l'ultimo posto in cui è stata e di sicuro sarà lì.

Corre a più non posso con il fiato in gola e la paura che gli scorre nelle vene e che gli dà la forza necessaria per non fermarsi e aver bisogno dell'inalatore.

Il vento gli sbatte prepotente sulla pelle e il gelo, con i suoi piccoli aghi, gli perfora il viso, creando una sensazione spiacevole e fastidiosa. Ma appena arriva di fronte casa McLean, il sangue gli fluisce di nuovo alle guance ed è costretto a respirare a pieni polmoni per non svenire sul loro giardino.

Si precipita alla porta, bussa – prima al campanello, poi con pugni – ma nessuno viene ad aprire; allora si attacca al vetro del bovindo, ma nemmeno così riesce a vedere nulla. La casa sembra buia e silenziosa. Non c'è nessuno. È impossibile.

Circumnaviga la casa e si ritrova nel retro, dalla parte in cui c'è la finestra della ragazza. Alza la testa, ma anche quella gli pare chiusa e sprangata. La prima cosa che gli viene in mente di fare è andare verso l'edera, ma con suo stupore si rende conto che è stata tolta.

Si guarda intorno, con le mani tra i capelli, per capire se può trovare un altro modo per salire, ma non c'è nulla che lo possa aiutare.

Si convince, allora, che forse tutta la famiglia è uscita, che non sono in casa perché hanno accompagnato Daisy in ospedale; per cui prende il cellulare e cerca l'indirizzo della clinica più vicina.

Dopo due ore e mezzo e dopo aver cercato all'ospedale, al parco giochi e in tutti i luoghi che una ragazza come Daisy potrebbe frequentare, Blythe non ha trovato ancora nulla. Le chiamate al suo cellulare e i milioni di messaggi non sono serviti a niente.

Il ragazzo, sconfitto e stanco, decide di ritornare a casa: ha bisogno di prendere qualche soldo per spingersi più oltre, per poter prendere un pullman o per pagare un taxi e, in più, non vuole far preoccupare i suoi genitori. Mostrerà loro, quindi, che come tutti i giorni è tornato a casa per il pranzo, butterà giù un boccone veloce o accamperà la scusa di aver mangiato fuori, raccoglierà il necessario e filerà alla ricerca della ragazza, magari includendo anche Allyson e Noah.

Davanti la porta di casa sua, Blythe tira un grosso respiro profondo.

Agita due volte l'inalatore e inspira la medicina che c'è dentro. Il battito del suo cuore è iper-accelerato, ma si dice che deve calmarsi, che deve essere lucido per ritrovare Daisy.

Socchiude gli occhi e spera che, una volta varcata la soglia, i suoi genitori non capiscano, dal suo viso, che c'è qualcosa che non va.

Spalanca la porta e, seduti al tavolo del suo salotto, c'è la famiglia McLean al completo. Amy è seduta di fronte a sua madre, Samantha; mentre James e Karl sono seduti ai lati opposti della tavola. Daisy, con lo sguardo sulle sue mani e le braccia strette in grembo, è seduta al posto che di solito occupa Blythe, quello alla sinistra di James.

Tutti i presenti gli rivolgono uno sguardo attento, indagatore. L'unica che non lo sta fissando è Daisy, ancora immersa nei suoi pensieri.

Si rigira l'inalatore tra le mani, ponderando se ha bisogno di un'altra boccata oppure no; mentre suo padre si alza dal tavolo per andargli incontro.

«Blythe» gli dice, indicandogli la sedia che ha lasciato libera, «siediti.»

Gli bastano quelle due parole per capire dal tono di suo padre di essere nei pasticci, anche se non ne conosce i motivi. 



Buon martedì! Abbiamo guardato anche attraverso gli occhi di Matt, che ne pensate? Spero sia stata chiara la sua situazione. Ciò non lo giustifica, è ovvio, ma anche lui, come tutti gli altri protagonisti, va visto oltre la scorza che ha esternamente. Inoltre, cosa pensate che accadrà e perché tutta la famiglia McLean è lì riunita a casa dei Valkut? 

Al prossimo capitolo!

Mary <3

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