22. Paroxetina

Il tavolo del salotto della casa di Daisy è inondato da provette, becher di vetro, di plastica; bilance, contagocce, misuratori per il PH, flaconcini di vetro scuro pieni di sostanze come oli, diversi tipi di aceto e altrettante bustine con materiale in polvere. Mentre altri, quelli più pericolosi, come la soluzione di soda caustica, sono imbustati e sigillati. Sul tavolo ci sono anche delle mascherine, dei guanti in lattice e degli occhiali di protezione.

I ragazzi stanno per iniziare il loro esperimento, anzi, la combinazione di due esperimenti. Bisogna stare attenti quando si maneggiano le sostanze chimiche, avverte Daisy, che è la più esperta. Non tutte sono pericolose, se prese da sole, ma combinate per sbaglio e con un errato dosaggio con altre possono dare spiacevoli sorprese.

«L'acqua ossigenata» afferma Daisy, la voce alta e sicura, «non va mai combinata con l'acido cloridrico, mi raccomando.»

I tre ragazzi la osservano con attenzione, mentre dispone tutti i materiali in modo ordinato. È palese che per Daisy la chimica non sia solo una noiosa materia da studiare, ma una vera e propria passione; e Blythe lo evince dal modo con cui ne parla e dall'attenzione che presta a ogni movimento dei suoi compagni. Ci tiene a ogni contenitore che andranno a utilizzare così come a ogni sostanza; le tiene riposte divise per consistenza in dei grandi recipienti di plastica.

E quando Allyson si azzarda a prendere una boccetta dal contenitore di plastica alla destra di Daisy, lei si limita a guardarla male, ma non dice nulla. La cheerleader la agita tra le mani e Daisy ha un fremito, quasi uno scatto di muscoli, come se volesse correre a toglierglielo di mano.

«Attenta!» esclama Noah. «Non hai sentito ciò che ha detto Daisy? Dobbiamo stare attenti.»

«Ho sentito bene, nerd, stai calmo» risponde Allyson, poi ripone la boccetta e guarda Noah di sbieco.

«Non mi pare» bercia lui. «E smettila di chiamarmi nerd, mi chiamo Noah!»

Un silenzio cala nella stanza e, benché non si scambino da un po' parole che non siano di circostanza, Blythe e Daisy si guardano, complici. È la prima volta che Noah si espone così tanto e che soprattutto ha il coraggio di affrontare Allyson di petto.

La ragazza, dal canto suo, rimane a sua volta stupita da quel cambio di carattere di Noah nei suoi confronti, di solito sempre remissivo e accondiscendente; ma storce la bocca e non ci dà troppo peso.

«Va bene, Noah, stai calmo.»

Benché contento che finalmente Allyson si sia rivolto a lui con il suo nome di battesimo, Noah non cambia espressione e pare ancora un po' arrabbiato con la cheerleader.

Stranamente, a sciogliere quel silenzio ci pensa Blythe: prende il libro di testo e lo sfoglia fino a trovare la prima teoria che devono mettere in atto; poi porge ai suoi compagni un foglio e una penna e a gesti spiega loro che dovranno ragionare su quante quantità è meglio mettere di una determinata sostanza perché l'esperimento funzioni senza intoppi.

Certo, potrebbero avere l'ausilio di internet o affidarsi alle formule che ci sono alla fine del manuale, ma per loro quelle non valgono: il loro obiettivo, infatti, è combinare due esperimenti e devono capire se si possono unire due ricette senza variare nessun dato.

Passa così la prima mezz'ora di silenzio, con i ragazzi impegnati a trovare la formula giusta. In quell'arco di tempo, Blythe non può far a meno di andare a sbirciare la sua partner di studio, colei che due giorni prima l'ha costretto a un pomeriggio in caffetteria nel pieno silenzio, che ha drasticamente cambiato il suo umore da un giorno all'altro. E Blythe non può far a meno di pensare che sia colpa sua, che Daisy si senta offesa del fatto che ha baciato Allyson e non lei. La ragazza dolce, con molte insicurezze ma dotata di grandi passioni ha lasciato il posto alla capo cheerleader scontrosa e piena di sé che ha conosciuto sul campo da football. Non può credere che resterà tale e sa bene che, probabilmente, è solo un momento, ma proprio non sa come comportarsi.

Ha provato di tutto per fare qualcosa e strapparle un sorriso, ma non c'è riuscito; in più, il modo che ha di comportarsi lo spinge a lottare contro la sua voglia di mollare tutto e lasciar perdere. Più lei si comporta così, più lui sente di non poter fare molto e, spesso, gli ritorna in mente ciò che gli ha detto la sua psicologa: deve prima di tutto risolvere i suoi problemi.

E mentre riflette su tutto ciò, Daisy lo becca a fissarlo; restano a guardarsi per qualche secondo. Lui sorride. Lei non ricambia e ritorna con la testa sul foglio.

«Pensato a qualcosa?» Noah rompe il silenzio e si rivolge a tutti i presenti nella stanza. Una scrollata di capo è la risposta di tutti. «Nemmeno tu, Daisy?»

Ancora una scrollata di capo. Sospirano tutti e quattro in simultanea.

«Pausa?» propone Allyson.

«Pop corn? Cioè, posso farli, se volete...» si offre Noah. «Non so se hai tutto, ma so farli buonissimi col burro.»

«Mh... sembrano ottimi» dice Allyson, descrivendo dei cerchi sullo stomaco; poi sorride a Noah, che ricambia.

«D'accordo» acconsente Daisy, poggiando il foglio e dichiarando così una resa momentanea. «Accomodati pure, la cucina è tutta tua.»

La ragazza fa segno a Noah di dove può trovare tutto l'occorrente per fare i pop corn; mentre Allyson decide di seguirlo e aiutarlo e Blythe si limita a osservare la scena facendo segretamente il tifo per i due ragazzi.

Puoi farcela, Noah.

Per qualche minuto ritorna il silenzio, accompagnato solo dai rumori del movimento dei due ragazzi che armeggiano con padelle e cibo, e Blythe decide di sfruttare quel momento di solitudine per cercare di riavvicinarsi a Daisy. La ragazza tiene una mano stretta sul collo e se lo massaggia come se fosse stanca di stare lì seduta, mentre scarabocchia sul suo block notes.

"Va tutto bene?" le scrive Blythe su un bigliettino. Daisy risponde con un semplice "Sì" scritto sullo stesso fogliettino che il ragazzo le ha passato.

Daisy non ha alzato lo sguardo dalla tavola nel compiere quei gesti, come se Blythe non avesse interrotto nulla, come se i suoi pensieri fossero più importanti di qualsiasi altra cosa; un'alienazione che il ragazzo non riesce a capire.

«Cosa sono queste, Daisy?» domanda d'un tratto Allyson.

La ragazza è costretta ad alzare lo sguardo e a voltarsi verso la compagna per capire a cosa si riferisca e, quando lo fa, scatta in piedi, allarmata e furiosa. Allyson ha tra le mani una scatola gialla con dentro diversi medicinali senza etichetta e sono tutti gli antidepressivi che Daisy ha provato negli anni.

Non dovevano vederla, non doveva essere lì quella scatola; eppure è venuta fuori e adesso Daisy avverte le mani tremarle e la tensione salirle fin dentro al cervello.

«Nulla che ti interessi» afferma, fredda.

Le strappa di mano la scatola, ma Noah riesce a prendere un contenitore con dentro delle piccole pillole bianche. «Paroxetina» legge tra gli ingredienti. «Ma questo non è il nome scientifico del principio attivo delle medicine per curare la...»

Sta per dire "depressione", ma Daisy sbotta ed esclama a piena voce: «Ho detto che non è niente che vi interessi!» Poi tira così forte le pillole dalle mani di Noah che gli lascia un graffio sul palmo.

Lo rimette nella scatola, insieme alle altre, e senza fermarsi a guardare i tre ragazzi negli occhi marcia nella sua stanza e vi si ci chiude dentro.

Il tonfo che produce la porta della sua camera da letto è udibile dai tre ragazzi anche se loro sono al piano di sotto; rimbomba e li scuote come un vento passatogli dietro la schiena.

I loro sguardi si cercano, in attesa che uno dei tre parli, che, se sa, chiarisca la situazione. Ma nessuno lo fa perché nessuno sa cosa sta succedendo nella mente di Daisy. Nemmeno Blythe, che sa a cosa servono quelle pillole, si sbilancia e dà una spiegazione a quel comportamento della ragazza.

«Non...» sussurra Allyson, poi deglutisce. «Non volevo farla arrabbiare.»

Sembra davvero dispiaciuta e in effetti lo è. Ha sempre pensato che Daisy fosse una ragazza snob e viziata, ma adesso che guarda meglio quelle pillole e che, soprattutto, ha ascoltato ciò che Noah ha detto – la ricorda bene anche lei quella lezione di chimica, sono lezioni che ti restano in mente, che incuriosiscono i giovani – si sente una vera merda per ciò che ha detto.

«Pensate che dovremmo...?»

«Andare da lei?» conclude la frase per lei Noah.

«Già. Tu cosa dici, Blythe?» Allyson si tormenta il braccio mentre glielo chiede, proprio sul punto in cui la scatola, strappata con forza da Daisy, le ha colpito i muscoli.

È una bella domanda, ma Blythe non si sente di poter avere la responsabilità di rispondere; per cui, dopo aver lanciato un'occhiata a Noah che si sta tamponando il graffio con un fazzoletto, ripiombano di nuovo tutti e tre nel silenzio. 





☹☹☹






Seduto sul tetto di casa McLean, Blythe osserva la finestra chiusa della camera di Daisy.

Non può far a meno di pensare a quanto sia successo poche ore prima, quando la ragazza, a seguito di quello scatto d'ira, si è rinchiusa nella sua stanza e non è uscita più. A turno, i tre ragazzi si sono alternati, provando a parlarle attraverso la porta, ma non c'è stato nulla da fare: Daisy ha solo bisbigliato più volte "andatevene".

«Va bene, adesso ce ne andiamo» ha urlato Allyson per farsi sentire, «ma tu stai bene?»

«Sì.» Una risposta secca, ma quasi convincente.

«D'accordo. Ciao, Daisy.»

«Ciao!» ha gridato Noah. «Anche Blythe ti saluta!» e poi hanno davvero lasciato casa della ragazza, ognuno in una direzione diversa, ognuno con diversi pensieri per la testa.

Adesso che Blythe è rannicchiato al freddo e al buio vuole avere la certezza che Daisy stia veramente bene. Le luci sono spente e la tenda a fiori copre tutta la visuale, ma il ragazzo sa che la cheerleader è ancora sveglia, lo vede grazie all'ultimo accesso della loro chat. Si dice che Daisy deve aver girato la schiena contro la finestra ed è per questo che nemmeno la luce del cellulare è visibile; ma è sveglia, lo sa.

Poggia la mano sul vetro e la tiene lì, sospesa, riflettendo se sia meglio provare a bussare di nuovo oppure no. Le ha mandato diversi messaggi, le ha scritto più volte per chiederle se le andasse di stare insieme come prima, in quelle notti passate a parlare del più del meno, senza il pensiero della scuola, senza altri problemi.

Nessuna risposta, ma Blythe è andato lo stesso a casa sua; si è di nuovo arrampicato sull'edera ed è lì ormai da due ore e mezza.

Il freddo gli punge le ossa e l'umidità che si respira nella cittadina gli sta facendo increspare e bagnare i capelli. Adora il suo giubbotto di pelle, ma si pente di non aver indossato un cappotto con l'imbottitura di lana o una felpa più pesante.

Nasconde il naso nella sciarpa e ci respira dentro. Per un attimo, quella nuvola di calore che si crea lo aiuta a sentirsi meglio; ma gli pizzica la punta del naso e un forte starnuto ne segue. Si stringe le mani sulle spalle e fa forza per darsi calore. Fissa di nuovo la finestra, sospira.

Riprende il cellulare e decide di scriverle un ultimo messaggio.

"Se vuoi un po' di compagnia, senza dir nulla, senza dovermi spiegare nulla, io sono qui".

Lo invia, ma subito dopo sa di aver commesso un terribile errore: le ha fatto capire di sapere. Daisy non gli ha mai confessato apertamente il suo problema, è stato bravo lui a mettere insieme i pezzi. E adesso che lei sa che non solo Blythe, ma anche altri due compagni hanno fatto la conoscenza del suo demone la vergogna ha preso il sopravvento. È così, non può sbagliarsi.

Daisy non verrà ad aprirgli, non accetterà di farsi coccolare e consolare, di farsi guardare con condiscendenza; non piace a lui, non piace nemmeno a lei.

Un altro sospiro, poi Blythe si tira su, si sgranchisce le gambe e si arrampica, ma stavolta per scendere.

Prima di imboccare la strada del ritorno, però, alza il capo a osservare ancora quella piccola finestra. Deglutisce e spera con tutto il suo cuore di vedere Daisy più calma il giorno dopo.

Volta le spalle e a passo più veloce si incammina per le strade fredde e buie. Passa davanti alla casa dei Berkley, davanti al museo di storia naturale e davanti a una piccola chiesetta. Di solito prende la strada più illuminata, ma sa che c'è una scorciatoia, attraversando un cantiere abbandonato.

Cambia direzione e svolta nella traversina sulla sinistra, appena dopo la chiesa. Cammina fino a raggiungere una pasticceria, poi ci sono un altro paio di case e al cantiere non manca molto.

Ha quasi superato la seconda abitazione, quando qualcosa, anzi, qualcuno attira la sua attenzione.

Blythe è sul marciapiede opposto, per cui non riesce subito a riconoscerlo, ma capisce, però, che c'è un ragazzo seduto sulle scale esterne di una piccola e vecchia casa.

Il ragazzo ha le mani tra i capelli e sembra sconvolto.

Decide di andare a vedere che succede.

Attraversa la strada e più si avvicina più ne riconosce i lineamenti, complice anche il fatto che quel ragazzo ha finalmente alzato la testa verso di lui. Si riconoscono, ed è proprio in quel momento che Blythe arresta i suoi passi. Non è più il caso di accertarsi se a quello sconosciuto serva aiuto.



Buon venerdì! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Vi lascio così, con un po' di suspense! 

A martedì, 

Mary <3  

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