2. Chi tace acconsente
Blythe sta armeggiando con il lucchetto del suo nuovo armadietto. Lo agita, lo scuote e lo fa andare su e giù, ma proprio non riesce ad aprirlo. Grugnisce e batte una mano sul mobiletto, esasperato.
È stanco. Quella giornata scolastica non è ancora cominciata, ma non ne può già più. Sono giorni che vive un terribile incubo, un incubo che non avrebbe mai pensato si potesse realizzare. Purtroppo, dopo quanto accaduto con sua madre, è successo di nuovo: prima con suo padre e poi con la commessa del supermercato vicino casa loro. Non riesce a spiegarsi come sia possibile: se è un sogno, se una delle tante medicine che assume gli sta facendo uno strano effetto o se, nell'ipotesi più recondita, sia diventato una specie di supereroe che ha come potere quello di vedere attraverso gli occhi degli altri. L'ultima idea, però, l'ha già scartata a mani basse: se fosse un paladino, di certo riuscirebbe ad aprire quel maledetto aggeggio.
Decide di riprovarci. Fissa di nuovo il foglio con la combinazione che ha tra le mani e ripete l'operazione.
Due, sei, zero, sei.
Prova ad aprirla, ma niente. Nella sua mente, sta urlando come un disperato.
Non pensa nemmeno di chiedere aiuto a qualcuno: non gli piace mostrarsi debole e il fatto che non parli complica sempre tutto. Perciò, non si rende conto del ragazzino occhialuto e bassino che gli sta proprio dietro, osservando le sue azioni.
«Temo che così lo rompi» gli dice questo e Blythe sussulta. Lascia andare il lucchetto e permette al ragazzo di aiutarlo.
Il tipetto occhialuto, dopo aver letto la combinazione, con un movimento deciso strattona il gancio verso l'alto ed esso si apre con un "click". Blythe tira un respiro di sollievo, mentre l'altro gli passa l'oggetto che, finalmente, si è arreso e ha collaborato.
«Devi farci la mano, questi cosi sono difettosi» gli dice il ragazzo. Blythe sorride e alza il pollice in su, in segno di aver compreso. «Io sono Noah e tu sei...?»
Blythe sbatte le palpebre un paio di volte e si gira, per la prima volta, a guardare con attenzione Noah. È un ragazzo molto più basso di lui, dalla statura esile, due vispi occhi scuri e una testa piena di capelli rossi. Ha una mano tesa verso di lui e aspetta solo che Blythe la stringa.
Senza presentarsi, Blythe accoglie quel gesto, per poi sistemarsi lo zaino sulla spalla destra.
«Non... non ho capito il tuo nome...»
Certo, non gliel'ha detto. Blythe a volte pensa che, per facilitarsi il lavoro, dovrebbe andare in giro con un'etichetta con sopra il proprio nome.
Non vuole mimargli le lettere con le dita, così comincia a scavare nel suo zaino alla ricerca di qualcosa che possa aiutarlo. Dopo poco, trova un quaderno su cui ha scritto il suo nome e cognome. Glielo indica, soddisfatto.
«Blythe Valkut?» chiede l'altro. Blythe conferma. «Sei sicuro che sia il tuo nome? Cioè, non mi prendi in giro?» Blythe scuote la testa. «Okay, Blythe. Che ti è successo? La strega del mare ti ha rubato la voce?»
Noah ride alla sua stessa battuta, a differenza di Blythe che, invece, è impassibile e non sembra aver capito cosa intenda.
«Ariel? La Sirenetta? Il film d'animazione Disney?» Noah è perplesso mentre pone quella domanda: non sa come sia possibile che Blythe non abbia visto "La Sirenetta".
Con imbarazzo, Blythe si porta una mano dietro la testa e finge di pensarci. Poi, di nuovo, scrolla il capo.
«Oh... pubblico difficile...» commenta Noah. «D'accordo, allora...» Non sa come porgergli quella domanda senza risultare invadente o fuori luogo. Blythe non parla perché è sordomuto o perché è solo molto timido? «Cosa ti è successo? Insomma, capisci ciò che dico?» afferma e le ultime parole le pronuncia più lentamente, come se stesse parlando con uno che non ci sente.
Blythe ruota gli occhi al cielo, scocciato, e annuisce.
Purtroppo sì.
«Oh, okay. Ma non parli...»
Fa sì con la testa.
«D'accordo...» Noah resta per qualche secondo in silenzio, non sapendo cos'altro aggiungere. Qualcosa, poi, gli viene in mente. «Sei nuovo? Non credo di averti mai visto.»
Blythe sa che in modo gentile ciò che sta dicendo Noah è che se avesse visto prima un tipo strano come lui, se lo sarebbe ricordato di certo.
Blythe conferma l'ipotesi e Noah gli sorride. «Bene! Qual è la prossima lezione? Se vuoi, ti accompagno» si offre.
Blythe non vorrebbe davvero essere di fastidio, un peso o, peggio ancora, essere trattato come un disabile. Sa trovare la strada da solo per l'aula in cui deve andare, ma non vuole comunque offendere quel ragazzo che si sta dimostrando così gentile. Allora, cerca il foglietto con tutti gli orari e lo mostra a Noah.
«Mh... Geografia astronomica con la Pulsen alla prima ora... che sfiga!» dice Noah, storcendo la bocca in una smorfia di disgusto. «Devi andare nell'ala ovest. Stranamente ci è permesso andarci...» Noah butta lì un altro riferimento ai cartoni animati Disney, ma anche stavolta Blythe non recepisce. «Oh!» si lamenta. «Non è possibile che tu non abbia visto nemmeno "La Bella e la Bestia"! Ma dove vivi? Ragazzo mio, sei fortunato ad aver incontrato me!»
Noah afferra il lembo della giacca di pelle di Blythe e lo convince a muoversi di lì. Mentre camminano in direzione dell'aula di Geografia astronomica, Noah non la smette di parlare della sua passione per tutto il mondo creato da Walt Disney. Per Blythe è strano sentir parlare un ragazzo così apertamente di una passione non proprio tipica dei ragazzi, ma ascolta con interesse tutte le sue scene preferite e le relative imitazioni.
Riflette sul perché lui non li abbia mai visti tutti quei film, che per il ragazzo paiono essere "meravigliosi", e si trova a ricordare tutti quelli che da bambino suo padre gli faceva vedere. Ricorda scene d'azione, sparatorie e guerre; ma nessun disegno o canzoni smielate. Quando sarà a casa, si appunta mentalmente, deve chiedere ai suoi genitori perché non ne conosce nessuno.
«Quando, poi, il Genio crede che Aladdin abbia esaurito tutti i desideri a disposizione ecco che...» Noah sta raccontando il finale di Aladdin, ma Blythe non lo sta ascoltando perché nel frattempo è entrato un attimo nel suo mondo. Il pensiero di quanto gli sta accadendo è ritornato con forza nella sua mente e si dice che, al più presto, dovrà trovare un modo per capire, per andare più a fondo.
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«Lui è il nostro nuovo compagno di classe, Blythe Valkut.»
Blythe è in piedi, accanto alla professoressa Pulsen, e sta aspettando con pazienza che la finisca di parlare per lui. È imbarazzato e odia con tutto se stesso stare di fronte all'intera classe. Tutti gli occhi dei ragazzi sono puntati su di lui e lui sa che si staranno facendo mille domande, anzi, li vede già bisbigliare e borbottare ipotesi sul suo mutismo.
«Il nostro Blythe ha un piccolo problemino, ma spero che voi ragazzi sappiate essere gentili con lui...»
Il problemino ce l'hai tu.
«Bene, ora che ci siamo conosciuti, puoi andare a sederti.»
La professoressa, con fare gentile, gli indica un banco vuoto lasciato tra i primi posti e, prima di accomodarsi, Blythe fa una smorfia, imitando – a sua insaputa – la docente. Tutti ridono e lui si sente sollevato: è questa la presentazione che voleva.
La lezione comincia e Blythe è costretto per tutto il tempo a stare più attento di quanto vorrebbe: la professoressa, infatti, non fa che rivolgersi a lui, quasi pensasse che non è solo muto, ma anche scemo. Ogni volta che finisce di spiegare un concetto, gli domanda: «È tutto chiaro, Blythe?»
È evidente che i suoi genitori hanno parlato con il preside e che abbiano chiesto di avere un occhio di riguardo nei confronti del loro unico figlio, ma a Blythe quella situazione proprio non va giù. Non è malato, non ha nessuna menomazione, non è diversamente abile e nemmeno stupido. È solo un ragazzo che, a seguito di un profondo trauma, non riesce più a comunicare a voce. Tutto qui. Può fare tutto quello che fanno i suoi compagni, compreso prenderla per culo e copiare ai test. In più, ciò che gli dà molto fastidio è che sa che potrebbe capitare che uno dei professori prenda troppo a cuore la sua situazione; è già successo e non gli piace per niente. Essere additato come il "cocco" dei professori è proprio quello che gli manca per completare il quadro del tipo strambo che non parla.
Poggia il viso sul palmo della mano e si concentra di più per non addormentarsi. La geografia astronomica non gli piace e si trova a dar ragione a Noah: che sfiga la Pulsen alla prima ora.
La professoressa si gira, dando le spalle alla classe, e qualcuno gli picchietta sulla spalla. Si volta e un compagno gli passa un bigliettino. Lo nasconde sotto la mano e quando è sicuro di non essere visto lo apre.
"Non parli, ma suppongo che tu sappia leggere e scrivere, no? Mi chiamo Allyson, terza fila alla tua sinistra, e se ti va stasera sei invitato alla mia festa in piscina."
Blythe legge velocemente il biglietto, poi d'istinto si volta verso la ragazza. È una cheerleader, o almeno è ciò che Blythe intuisce dalla sua divisa. Indossa una gonna bianca e blu – i colori della scuola – e una felpa con su disegnato lo stemma: una tigre. Ha una ciocca di capelli tenuta a lato con una forcina e i suoi occhi color nocciola vagano divertiti sulla figura della professoressa che ha di fronte.
Quando Allyson si accorge che Blythe lo sta guardando, gli sorride e gli fa un occhiolino; lui ricambia quel sorriso e ritorna a far finta di ascoltare la lezione. Non sa cosa rispondere e, soprattutto, se rispondere a quell'invito. Non è un amante delle feste, ma di certo sarebbe un buon modo per integrarsi nella nuova scuola e fare nuove amicizie. Decide che ci rifletterà su.
La campanella suona ed è con gioia che si alza in piedi. Raccoglie le sue cose e le sistema nello zaino.
«Ehi, muto.» Una voce, alle sue spalle, gli fa correre un brivido lungo la schiena: è Matt, il bullo. «Lo sai, non avevo notato che il tuo nome fosse così orrendo. Cos'è, il suono di quando si vomita? Bleaaathe!»
Blythe sa che non deve reagire alla provocazione, ma che non deve nemmeno istigarlo. Suo padre si è tanto raccomando con lui e non vuole deluderlo. Tuttavia, non riesce proprio a evitare di farsi spuntare un sorrisetto furbo sulle labbra.
Com'è già successo, Blythe si mette due dita in bocca – a simboleggiare un conato di vomito – e lo indica. Per la seconda volta gli ha detto che fa schifo. E dovrebbe ritenersi fortunato, perché Blythe sa mimare anche insulti più pesanti.
Subito, Matt gli afferra il colletto della felpa e lo costringe a pochi centimetri dal suo volto. «Guarda che non abbiamo ancora finito il discorso dell'altra volta» gli sussurra, minaccioso. Blythe ingoia a vuoto e cerca con lo sguardo i restanti compagni, ma nessuno di loro sembra accorgersi di niente, troppo impegnati a chiacchierare o ad andarsene. «E non credere che solo perché non parli tu mi faccia pena, anzi.»
In un modo strano e senza senso, Blythe si trova a essere felice di ciò che gli ha appena detto Matt. Non è certo contento di essere entrato nelle mire di un bullo per l'ennesima volta, ma gli fa piacere sentire che, quel ragazzo bacato, lo consideri al pari dei suoi compagni. È un ragionamento contorto e inammissibile, eppure gli fa spuntare il milionesimo sorriso della giornata. Quello che ottiene, però, è di far innervosire ancora di più Matt. In questo momento, mentre la presa di Matt si fa più forte attorno al suo collo, vorrebbe davvero riuscire a controllare il suo "potere" e vedere ciò che il bullo pensa, ma purtroppo non accade.
«Togliti quel sorriso del cazzo dal volto o ti giuro che io...» Matt non finisce il suo discorso, perché Allyson, spuntata come un fungo dal nulla, gli è accanto e lo tira indietro. Il bullo perde per un attimo l'equilibrio e, quando si rende conto che è una ragazza che l'ha spintonato, arrossisce, imbarazzato. «Togliti dai piedi, Allyson» sputa, irato.
«Sta' zitto, Matt» risponde lei, «e lascialo stare!»
«Perché non ti fai gli affari tuoi, invece?»
«Lo sono!»
Allyson si mette le mani sui fianchi e lo guarda con aria di sfida. Matt è da solo e come tutti i bulli da solo si sente debole per cui, prendendo in giro Blythe perché si è fatto difendere da una "femmina", Matt batte in ritirata. La cheerleader è fiera di sé e un'espressione soddisfatta si dipinge sul suo volto.
«Quell'idiota di Matt meriterebbe di essere picchiato dalla mattina alla sera» riflette tra sé la ragazza, quindi si rivolge a Blythe: «Tutto okay?»
Blythe conferma.
«Bene. Che ne pensi della festa? Verrai?» gli domanda.
Il ragazzo non sa cosa ha deciso. Si era detto che avrebbe riflettuto e magari avrebbe voluto farlo da solo a casa o tra una lezione e un'altra. Adesso, su due piedi, non sa cosa rispondere.
«Chi tace acconsente» lo anticipa lei, ironica. «Ti aspetto alle otto. Ah! Questo è il mio indirizzo!» Estrae dallo zainetto un foglio e ci scrive sopra l'indirizzo di casa sua. «Tieni. A stasera, allora.»
Prima di andare via, glifa un occhiolino. È il secondo della giornata.
Buon venerdì! Oggi abbiamo conosciuto Noah - che non vedevo l'ora di farvi conoscere - e Allyson. Che ne pensate? Riuscirà Blythe a integrarsi?
A martedì,
Mary <3
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