17. Lo farò

«Penso che sia un grande passo avanti quello che mi stai raccontando, Daisy» afferma il dottor Durant, lo psichiatra della ragazza.

La seduta settimanale non è mai stata così allegra come questa. Di solito, Daisy ha poco da raccontare, se non degli incubi e dei pensieri che spesso fa; invece, adesso, la ragazza si è presentata allo psicologo con un aspetto rilassato, un comportamento sereno e sicuramente meno teso del solito.

«Beh, sì» concorda lei.

«Hai dormito cinque ore di fila e io sono veramente fiero di te» continua Timothy, lo sguardo, orgoglioso, puntato negli occhi della ragazza.

Daisy abbassa il capo, arrossendo in imbarazzo, e ringrazia il suo medico. Purtroppo, però, l'uomo non sa tutta la storia: Daisy, infatti, non gli ha raccontato che è riuscita a dormire per così tante ore solo perché accanto a lei c'era Blythe, che è sgusciato fuori dal suo letto quando ormai la ragazza era nella fase REM.

Non vuole raccontare di Blythe, né di come quel ragazzo che non parla la fa sentire. La sua paura ha la meglio in questo caso e proprio non vuole mettere in pericolo una relazione che non ha ancora un nome, ma che potrebbe essere positiva. Sa bene che molte cose della sua vita non vanno come vorrebbe e sa anche che, prima o poi, anche quell'amicizia con Blythe finirà; ma almeno non vuole affrettare i tempi. Se lo facesse, rischierebbe di andare in panico per il senso di colpa e non vuole.

«C'è qualcosa di diverso, rispetto al solito, che hai fatto?» domanda lo psicologo. Appunta qualcosa, anche se Daisy non ha ancora risposto.

«Non molto, no. Ho studiato con degli amici...»

La butta lì, ma lo scatto che ha il dottor Durant la fa sussultare per una breve frazione di secondo. L'uomo si schiarisce la voce, accavalla le gambe e dice: «Non me l'avevi detto. Come è andata?»

Quello che lo psicologo vorrebbe dire tra le righe è che Daisy avrebbe potuto informarlo prima di questo raro avvenimento: da quando la conosce, la cheerleader è sempre stata una ragazza chiusa nel suo mondo, obbligata solo a condividere l'aula con altre persone e a far parte di un gruppo di ragazze, più per volere dei suoi genitori che suo. Non c'è stata una sola volta, da quando la segue, che Daisy gli abbia parlato di una festa a cui ha partecipato o di gruppi di studio, come in quel caso.

«Bene, è per un progetto di chimica.»

«A te piace la chimica, se ricordo bene. Ma, a parte studiare, cos'avete fatto? Raccontami.»

Timothy è pronto a prendere appunti, mentre osserva Daisy ricordare quanto hanno fatto insieme.

«Abbiamo tirato pugni a un sacco da boxe.» È la prima cosa che le viene in mente ed è interessante, a parere dello psicologo.

«Un sacco da boxe?»

«Sì, il padrone di casa, Blythe... anzi, suo padre era un ex pugile e abbiamo provato a tirare qualche gancio. È stato...» Daisy non sa trovare le parole adatte per descrivere le sensazioni che si sono affaccendate dentro di lei, mentre colpiva con forza quell'ammasso di granulato di gomma.

«Liberatorio?» suggerisce Timothy.

«Sì, anche» si rende conto lei.

«Beh, molti considerano la boxe uno degli sport più adeguati, quando si vuole scaricare la frustrazione e la rabbia. In generale, fare movimento fa sempre bene. Tu, però, non hai mai parlato in questo modo della ginnastica, eppure sei una cheerleader professionista. Non provi le stesse sensazioni quando compi gli esercizi con le tue compagne?»

Daisy abbassa lo sguardo e si sistema le pieghe della gonna a righe blu e bianche, quella della divisa che toglie raramente, perché costretta a metterla quasi tutti i giorni.

«Non sempre, no» confessa.

«Ti fa stare male?»

«No, male no.» Ed è vero, non la fa stare male. «È solo che a volte è stancante o non mi sento all'altezza delle aspettative.»

«Perché pensi di non essere all'altezza? Sei la capo cheerleader, hai grandi responsabilità. A volte è solo questo che risulta stressante per te, non credi?»

«Forse...» sussurra Daisy, inghiottendo della saliva.

«Perché non provi a iscriverti anche a un corso di boxe? Forse potrebbe piacerti di più. Te lo dico sempre che non sei obbligata a continuare con le cheerleader, se non ti va. Deve essere una scelta tua, lo sai.»

Timothy fissa negli occhi Daisy mentre pronuncia quelle parole. Gliel'ha ripetuto più volte, quando la ragazza si lamenta delle cheerleader e, ogni volta, cerca di farle capire che ha scelta, che c'è sempre una scelta. Non si tratta di rinunciare, ma solo di sentirsi bene con se stessi. Ed è così difficile per lei essere felice; se qualcosa la appesantisce, allora vuol dire che se ne deve liberare.

«Non voglio lasciare le cheerleader, ma non so se avrei il tempo anche per la boxe.»

«Puoi rallentare un po', dire alle tue compagne che hai bisogno di tempo per aprirti a nuovi orizzonti e passioni. Non c'è niente di male.»

Al solo pensiero di deludere le aspettative delle sue compagne, ma soprattutto dei suoi genitori, Daisy non riesce a sentirsi rilassata, ad accettare ciò che lo psicologo le sta consigliando; le batte forte il cuore e le palpitazioni le percuotono le tempie. L'idea di fare qualcosa di nuovo e di riprovare quelle sensazioni le piace, ma non può proprio rinunciare alle cheerleader e gettare così anni della sua vita nel nulla.

«No, non posso. Sarebbe un fallimento» afferma.

«Un fallimento non è questo, Daisy, e tu non stai fallendo, anzi, stai riprendendo la tua vita un passo alla volta. Devi sentirti orgogliosa di quello che hai fatto finora. I tuoi genitori lo sono e anche io.»

Timothy le sorride, ma a Daisy non rincuorano quelle parole: sente che sono dette solo per farla sentire meglio, non perché sia la verità.

«Non lo so...» bofonchia.

«Cosa non sai?»

«Se sono orgogliosa di quello che ho costruito.»

Lo psicologo lascia stare carta e penna e si concentra sulla sua paziente, assumendo un atteggiamento più informale. Fa scorrere la sedia più vicino alla poltrona sulla quale è seduta Daisy e si posiziona in ascolto.

«Dimmi qualcosa per cui non ti senti orgogliosa, qualcosa che pensi di aver abbandonato o lasciato a metà» le propone.

Daisy ci riflette su, corrugando la fronte e mordicchiando il labbro inferiore.

«Non ho finito di fare i compiti questa settimana» pronuncia, insicura. «Ho avuto tutto il tempo del mondo a disposizione, gli insegnanti me ne hanno concesso molto di più rispetto ai miei compagni per via di...» Non conclude la frase, ma il dottor Durant capisce lo stesso e annuisce. «Ma non ce l'ho fatta. Non riesco a concentrarmi, a restare focalizzata su una singola cosa. Eppure è semplice, l'ho sempre fatto.»

«Forse hai perso il ritmo.»

«No» nega Daisy, mentre accompagna la parola da un movimento deciso del capo. «Non è questo.»

«Allora cosa pensi che sia?»

Che sono una persona inutile, per nulla intelligente e che può essere solo una bella cheerleader, nient'altro.

«Non lo so» pronuncia, lo sguardo basso e le dita che si tormentano.

«Sicura?» Timothy vorrebbe farle arrivare ad ammettere ciò che ha pensato, ciò che nasconde agli altri, perché solo in questo modo potrebbe farle capire che si sbaglia e che non ha nessun motivo per prendersela così tanto con se stessa, soprattutto per una scusa tanto futile. Ma sa benissimo che insistere non servirebbe a nulla.

Daisy annuisce, poi deglutisce.

«Sì, ne sono sicura.»

«D'accordo» si arrende il dottor Durant. Sposta lo sguardo e ritorna alla posizione solita, quella da psicologo professionale. «Raccontami i tuoi progetti per questa settimana.»

Rincuorata del fatto che Timothy non l'abbia costretta a esporsi troppo, Daisy raccoglie le idee e inventa qualcosa, giusto per cambiare argomento e far trascorrere quell'ora.






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«Blythe, ci tengo a dirti che sono veramente dispiaciuta per quanto accaduto, sul serio.» La dottoressa Murphy, con le mani a preghiera e uno sguardo costernato, inizia in questo modo la sua seduta con Blythe.

Non si vedevano ormai da più di due settimane, sia per l'agorafobia che aveva colpito Blythe sia per volontà del ragazzo e, nonostante la donna abbia chiesto molte volte scusa ai suoi genitori e abbia tempestato Blythe di messaggi, è la prima volta che riesce a mostrare il suo pentimento al ragazzo.

«Sono stata poco professionale, ma soprattutto una stupida. Non so cosa mi sia preso quel giorno, non era mia intenzione aggredirti, lo sai. Non lo è mai stato.»

Blythe annuisce, sicuro, e la donna tira un respiro profondo.

«Per cui, oggi ho pensato che potremmo fare tutto quello che vuoi, parlare di qualsiasi argomento tu voglia. Non farò nemmeno domande sul fatto che il tuo volto è pieno di lividi e che zoppichi anche un po'...»

A Blythe verrebbe da ridere per il modo in cui la dottoressa ha buttato lì quella frecciatina, ma si trattiene. Si batte una mano sul petto per essere sicuro di ciò che la donna gli sta dicendo.

«Sì, tutto quello che vuoi tu, Blythe.»

Il ragazzo si appoggia con la schiena al divano e si porta una mano sul mento, come per aiutarsi a pensare. Si guarda intorno e tutti i libri sulla psicologia che ci sono sulla biblioteca della psicologa attirano la sua attenzione. Si alza e, con cautela, afferra un manuale. Lo sfoglia e quando è sicuro di aver trovato ciò che cerca lo porge alla dottoressa Murphy. La donna lo prende, titubante, e abbassa gli occhi sul foglio che Blythe le sta indicando.

«Vuoi che legga questo?» domanda. Blythe conferma con un cenno del capo. «Va bene.»

La donna sorride, ma quando si rende conto di ciò che ha tra le mani non può far a meno di bloccarsi e di incrociare gli occhi chiari di Blythe.

«Perché vuoi che legga questo paragrafo sulla depressione?» le viene da chiedere spontaneamente.

È palese la preoccupazione che si cela nell'animo della donna. Di certo non crede che Blythe soffra di depressione, sarebbe stata ingenua a non accorgersene, ma quest'interesse la inquieta e non poco.

«È una lettura particolare» continua Britney, le mani nascoste sotto il libro affinché il suo paziente non le veda tremare.

Blythe, però, non cambia espressione e si limita a restare serio e impassibile, in attesa che la dottoressa inizi la lettura.

«Posso leggerti qualsiasi altra cosa, se vuoi» insiste, ma Blythe non demorde e di nuovo nega col capo. «Va bene.»

Ingoia a vuoto, prima di tossire e cominciare la lettura.

Il ragazzo, attento, ascolta tutto ciò che la donna gli sta leggendo sul quadro clinico dei pazienti affetti di depressione e mentalmente appunta tutti i comportamenti che sono sintomo di questa malattia. Rimasto sveglio in camera di Daisy, ha trovato sulla scrivania della ragazza un farmaco che, a quanto afferma internet, è un antidepressivo. Non è sicuro che la cheerleader soffra di questo disturbo, per cui Blythe cerca di studiare ogni parola che, in questo momento, viene fuori dalla bocca della dottoressa.

Rabbia. Sensi di colpa. Chiusura in se stessi. Questi sintomi li riconosce, li ha visti in Daisy.

«Blythe...» La dottoressa Murphy chiude il libro e fissa il tappeto. «Tu hai mai conosciuto una persona affetta da depressione o pensi che lo sia?»

Britney ha colto nel segno, ma Blythe non ha intenzione di confermare: non vuole dirle di Daisy. Allora, non prova nemmeno a farle capire se ha ragione o no.

«È davvero difficile rapportarsi con una persona depressa, Blythe. E se mai dovesse capitarti, spero che tu non pensi di essere il suo salvatore o che la costringa a darsi una smossa. Molti genitori, parenti, amici o conoscenti delle persone depresse pensano che il cervello di una persona affetta da depressione funzioni nello stesso modo in cui funziona il nostro, ma non è così. Può essere debilitante a volte, ma non si può credere di agire come se quella persona sia solo in un momento buio e dal quale possa uscirne con una pacca sulla spalla o un invito a una festa.»

La dottoressa Murphy respira a fondo, raccogliendo le idee e cercando di non far uscire le lacrime che, prepotenti, minacciano di sgorgare.

«Capisci cosa voglio dire, Blythe?» la voce le trema e il ragazzo lo capisce. Annuisce, sicuro. «Bene.»

Il discorso sembrerebbe chiuso lì, ma a Blythe non basta: vuole sapere se c'è qualcosa che può fare per Daisy, se può almeno provare a regalarle un sorriso di tanto in tanto. Così, a modo suo, prova a porre quella domanda a Britney.

«Cosa possiamo fare noi?» ripete lei. «Beh... essere pazienti. Questa è una cosa importantissima e da non sottovalutare. Poi, si può capire, senza essere invadenti, cosa rende quella persona serena, cosa magari la fa stare bene e cercare di convincere a farla insieme.»

Blythe conferma, per far capire alla donna di aver ricevuto il messaggio, e sorride.

«Però, Blythe, tu sei una persona particolare e hai un percorso da fare a tua volta. Lo sai questo, vero?» afferma la psicologa, riportandolo alla realtà. Non vuole, infatti, che Blythe pensi di poter essere il paladino di una persona affetta da depressione e che dimentichi che lui stesso deve sbloccarsi da un trauma che si porta dietro ormai da troppo tempo. «Non te ne dimenticare. Non fare niente di affrettato.»

Blythe si sorprende di quanta sicurezza la dottoressa usi nel parlare di un'ipotetica persona da aiutare; è una donna intelligente, non può che pensarlo ogni volta che la vede.

Va bene, lo farò. 



Buon martedì! Spero che questa seduta doppia dallo psicologo vi sia piaciuta! 

Al prossimo venerdì, 

Mary <3 

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