13. Lascia perdere

Blythe esce dalla doccia e si avvolge nel caldo accappatoio blu. Stringe a sé il tessuto spugnoso e si passa il dorso della mano sotto le narici, pulendosi quella goccia di sangue che ancora esce dal suo naso. Bloccare la fuoriuscita di quel liquido rosso scuro non è stato semplice, considerando in più che ha dovuto da solo alzarsi da terra, raccogliere le sue cose e medicarsi. Sua madre e suo padre non sono in casa e ancora non sanno cos'è accaduto. Non sa se dirà loro che sono stati Matt e i suoi tirapiedi; il solo pensiero gli fa venire voglia di vomitare e gli stringe lo stomaco in una morsa.

Abbassa il cappuccio dell'accappatoio, muove un piede dietro l'altro stringendo gli occhi in una smorfia di dolore, e con un gesto secco toglie l'appannamento che c'è sullo specchio del bagno. Fissa il suo riflesso per qualche secondo: sul suo naso c'è già un livido rosso; sotto l'occhio ha diversi graffi; il labbro spaccato e sulla tempia un'escoriazione dovuta allo strusciare sull'asfalto. Sotto la doccia, mentre il sangue scendeva rapido verso il tubo di scappamento, ha avuto modo anche di constatare ciò che le botte di Matt hanno lasciato alle sue gambe e al suo busto. Con quel pensiero, sposta il tessuto e cerca di vedere se qualche segno è rimasto anche sulla schiena, ma non appena compie quel movimento è costretto a fermarsi: una fitta di dolore gli toglie il respiro, facendogli capire che anche la colonna vertebrale è a pezzi.

Poggia le mani sul lavabo e sospira, sconfitto. Preferisce puntare lo sguardo sulle goccioline nel lavandino, anziché rischiare di incrociare ancora il volto di un ragazzo che fatica a riconoscere; e, prima di lasciare il bagno, disegna un'emoticon triste, proprio in linea con la sua bocca.






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La cena con la sua famiglia è silenziosa, di quel silenzio che nasce dopo una lite furibonda. Non c'è stata, però. Quando sua madre e suo padre hanno visto il volto di Blythe hanno avuto due reazioni differenti: Samantha è scoppiata in lacrime ed è corsa ad abbracciare suo figlio e ad assicurarsi che si fosse medicato bene le ferite; James, invece, ha imprecato come uno scaricatore di porto, senza avercela con nessuno in particolare. Non può prendersela con suo figlio e non può neppure accusare i bulli: Blythe non vuole ammettere che siano stati loro. È ovvio che suo padre pensi che sono stati loro a riempirlo di botte, ma preferisce riversare la sua rabbia su una divinità in cui non crede, tranne quando le cose non vanno poi così bene.

Blythe ha lo sguardo spento, cosa ch'era capitato di vedere ai coniugi Valkut solo dopo quel tremendo trauma; nemmeno in seguito all'aver visto svaligiare la casa dei Berkley, Blythe aveva permesso che il sorriso abbandonasse il suo volto. Invece, mentre punzecchia con la forchetta l'insalata, il ragazzo osserva perso ogni singola cosa che ha a tiro e si limita ad annuire col capo ai discorsi futili e vuoti che stanno facendo i suoi genitori. Se non ci fosse il televisore, probabilmente, non saprebbero di cosa parlare, ognuno immerso nelle proprie riflessioni tetre.

Il ragazzo manda giù un boccone e il labbro spaccato lascia cadere qualche goccia di sangue nel suo piatto. Blythe si porta una mano alla bocca e non alza gli occhi per vedere se i suoi genitori se ne sono accorti; tuttavia, sua madre emette un mugolio di dolore e lui si ritrova ad arrossire per la vergogna.

«Aspetta, ti aiuto» gli dice sua madre, porgendogli un tovagliolo pulito. Blythe lo prende e, con la scusa di andare in bagno per disinfettarsi meglio, lascia la stanza.

«Che ho fatto di male?» si lamenta James, non appena è sicuro che suo figlio non possa sentirlo. È rivolto alla moglie che, per tutta la cena, non ha fatto altro che lanciargli occhiatacce.

«Gli hai detto che non doveva difendersi. Tu e quel maledetto giuramento!»

Samantha si alza e senza curarsi del fatto che suo marito non ha ancora finito di cenare gli toglie il piatto da sotto il muso; afferra le posate e ripone quanto ha preso sul suo piatto.

«Dovevo dirgli che la risposta alla violenza è la violenza?» borbotta James, le mani tra i capelli a intrecciarsi tra di loro.

«No! Certo che no! Ma quando lo attaccano dovrebbe difendersi!»

«Non l'ha fatto perché non era uno solo!» esplode James.

«Che cosa ne sai?» Samantha batte le mani sul tavolo e suo marito si alza in piedi: in questo modo sono faccia a faccia e possono scontrare le loro iridi funeste.

«L'ho capito quando gliel'ho chiesto! Gli ho domandato se fosse stato Matt e lui ha negato, allora gli ho chiesto se questa fantomatica persona era da sola e lui ha annuito! Indovina un po'? Ha mentito entrambe le volte. So capire quando mio figlio mente, anche se non parla!»

«Cosa vorresti dire? Che io invece non lo capisco? Eh?»

Blythe, seduto a terra e con la testa appoggiata alla porta della sua stanza, alza di più la musica che proviene dal suo iPod. In questo modo coprirà le urla dei suoi genitori. E mentre una forte canzone rock gli scorre nelle vene, prende il suo cellulare e apre la chat con Daisy. Cosa dovrebbe fare? Giustificarsi per non averle fatto sapere nulla o dirle la verità? Ma, soprattutto, può andare da lei? Sfatto, maltrattato e con l'umore sotto i piedi si sente inutile. Cosa potrebbe fare lui, "un muto", per risollevare il morale di una ragazzina?

"Coglione" gli batte nella mente. Anche se Matt non gliel'ha detto, anche se lui non l'ha mai detto a Matt. Eppure, sente forte e chiaro quella voce che rimbomba tra le pareti della sua scatola cranica, ed è più forte della musica, più forte del tamburellare del suo cuore. Allora le dà ragione e lascia perdere.







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Daisy cambia canale, poi ancora e ancora. Per sbaglio becca un film porno ed è costretta ad abbassare il volume affinché i suoi genitori, nell'altra stanza, non sentano tutto quel baccano. Resta per qualche secondo ipnotizzata da quelle immagini, ma scopre solo di provare un certo fastidio e disagio nel vedere con quanta esagerazione una donna bionda ansima per le spinte di un muscoloso e allampanato uomo di mezz'età. Disgustata, cambia di nuovo canale; ma alla fine, non trovando nulla che le piaccia, spegne il televisore.

Poggia il telecomando sul comodino, quello vicino al suo letto, e si passa i palmi delle mani sulle cosce scoperte per riscaldarsi. Non si è svestita, anzi, ha fatto finta di mettersi il pigiama per poi indossare di nuovo la divisa delle cheerleader. Ha lasciato la finestra chiusa, ma in un barlume di speranza ha pensato che fosse meglio vestirsi, nel caso in cui Blythe avesse mantenuto fede alla sua promessa, ma non è avvenuto.

Sono le quattro di notte e Daisy si sente una stupida per aver sperato davvero che quel ragazzo si sarebbe aggrappato alla finestra, come un moderno Romeo, e che le avrebbe alleggerito quelle ore. Ora pensa a quanto si è sbagliata e si ripromette di non farlo più.

Si alza, esagitata, e si muove per la stanza in cerca di qualcosa da fare. Non ha sonno e di uscire di casa non se ne parla nemmeno: fa troppo freddo lì fuori e non ha voglia di camminare al gelo.

Scende, allora, al piano di sotto, magari speranzosa di poter cucinare qualcosa e, inaspettatamente, trova suo padre in piedi.

«Ehi, come mai sveglio?» gli dice.

L'uomo indossa la giacca da camera e le pantofole di pelo che Daisy gli ha regalato a Natale.

«Quei peperoni che ha cucinato tua madre mi hanno fatto venire una sete tremenda!» esclama Karl, sorridendo.

Sua figlia ricambia il sorriso e gli dà ragione: in effetti avverte anche lei la gola riarsa; perciò scatta a prendere una soda dal frigo.

«Come mai sei vestita?»

Suo padre ha fatto un'innocente domanda, ma Daisy non può certo dirgli che è in divisa perché aspettava una compagnia notturna che probabilmente non arriverà; così cerca in tutti i modi di farsi venire in mente un'idea.

«Ehm...» borbotta. «Non riuscivo a dormire e sono scesa a fare qualche esercizio. Ho pensato che magari mi avrebbe aiutato a prendere sonno. Sai, dicono che l'esercizio fisico concili il sonno.»

«Qui c'è poco spazio per fare esercizio e se sporchi qualcosa tua madre ti ammazza. Che ne pensi di andare giù in cantina? Ti faccio compagnia» propone suo padre.

Daisy ha detto una grossa frottola, ma era scesa per fare qualcosa, per cui le va bene ciò che il padre le ha proposto.

«D'accordo» acconsente.

Beve di fretta la soda, poi i due scendono in cantina e a Daisy viene spontaneo stringersi nella felpa che ha indosso: in quel luogo fa più freddo. Tuttavia, suo padre ha ragione perché in cantina, a parte qualche buon vino, c'è molto spazio vuoto.

Daisy si sistema al centro della stanza e compie qualche movimento per riscaldarsi; poi, sotto richiesta del padre, gli fa vedere l'ultima coreografia che hanno preparato in vista della partita contro la squadra di Moose Lake.

Con l'affanno, la ragazza segue suo padre di nuovo in casa e, appena se lo trova davanti, si schianta sul divano del salotto.

«Sono distrutta!» esclama.

Karl chiude la porta alle sue spalle, quindi si accomoda accanto alla figlia.

«Quindi le cose con le cheerleader vanno bene?» domanda.

«A volte sì e a volte no» ammette Daisy, lo sguardo sul pavimento.

«E che momento è questo?»

La ragazza ci riflette per qualche secondo.

«Mh... sì» decide alla fine.

Karl è contento di quella risposta e circonda Daisy nel suo grande abbraccio, non appena lei si accosta a lui.

«Sai, papà, quel lavoro part-time in farmacia mi ha fatto sentire meglio.» Daisy sta mentendo: il lavoro che suo padre le ha proposto per tenere impegnata la mente non le è servito, l'ha solo aiutata a fregarsi le medicine di cui aveva bisogno. Eppure, Karl non lo sa e ha accusato i suoi dipendenti di aver rubato la morfina; uno l'ha anche licenziato ascoltando la testimonianza di una giovane ragazza assunta da poco.

«Ne sono molto felice» dice l'uomo, scoccando poi un bacio sulla fronte alla figlia. «Puoi venire quando vuoi, lo sai.»

L'animo di Daisy, all'idea di riuscire a riavere quelle medicine senza l'intercessione di Blythe, si solleva un po' e saluta suo padre con il sorriso sulle labbra, prima di ritornare in camera sua.

Prima di mettersi davvero a letto, però, sbircia ancora la chat con il ragazzo. L'ultimo accesso è recente, per cui per un attimo le viene l'idea di scrivergli; ma dopo poco abbandona quel pensiero e lascia perdere. 



Un martedì! Eh, lo so, un po' particolari e tristi questi capitoli... ma sono necessari. 

Al prossimo venerdì, 

Mary <3     

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