11. Coglione

Un sorriso da un orecchio all'altro è sul volto di Blythe, mentre cammina per tornare a casa, dopo la scuola. Noah è al suo fianco e, esaltato, non riesce a smettere di blaterare sulla fortuna che gli è capitata a stare in coppia con Allyson, la ragazza per cui stravede da anni. Dal canto suo, anche Blythe è molto felice che le cose siano andate così: è riuscito a convincere Daisy a studiare di notte e che solo quando si vedranno le darà le pillole e non potrebbe essere più contento. Il suo piano è quello di passare con lei le notti così che possa essere sicuro che durante quelle ore, a causa della sua insonnia, Daisy non decida di nuovo di farla finita. Tutto ciò che sente di poter fare è questo, nella speranza che durante le altre ore del giorno ci siano i suoi genitori o le poche amiche che ha a tenerla in vita.

Eppure, tanto gli basta per sentirsi un tantino realizzato. Questa giornata sembra proprio andare per il verso giusto.

«Oh, amico, non sono mai stato così fortunato in vita mia!» esclama Noah, stringendo il braccio di Blythe. «È da quando ti ho incontrato che tutto va a meraviglia! Prima Allyson mi parla, poi ci porta a vedere l'allenamento delle cheerleader; adesso non solo sono in coppia con lei per il progetto, ma mi ha anche proposto di andare a casa sua. A casa sua! Ti rendi conto? Non sono stato mai a casa sua, nemmeno alle feste che organizza ogni anno...» Noah lascia volutamente in sospeso l'ultimo appunto: Allyson non lo ha mai invitato alle sue feste. «E ora studieremo insieme... e chissà per quante ore! Oh, Dio!»

Blythe ride e scuote il capo per l'ingenuità del suo amico, ma non riesce proprio, come a volte gli capita, di frenarla per metterlo con i piedi per terra. Osserva Daisy, Allyson e l'altra cheerleader, Grace, camminare davanti a loro ridacchiando per chissà che cosa e il sorriso si amplia ancora di più.

«Tu non è che stai messo male, poi, anzi: Daisy McLean è una bellissima ragazza! Ti piace? Molti la considerano la più bella della scuola, anche se secondo me la più bella resta sempre Ally. Oh, Ally... Secondo te mi darà mai il permesso di chiamarla così?» domanda Noah.

Il ragazzo occhialuto ha fatto tantissime domande a Blythe, ma lui ha una risposta per tutte: un'alzata di spalle. E non è perché non vuole rispondergli, ma semplicemente perché non lo sa: non sa se Allyson gli permetterà mai di chiamarla con un diminutivo e se, soprattutto, gli piaccia Daisy. La cheerleader è indubbiamente una bella ragazza: bionda, occhi chiari e un bel fisico con tutte le forme al posto giusto, ma per tutto quello che ha visto nella sua mente non si è mai soffermato a considerarla in quel senso.

A un certo punto, a causa della sua difficoltà comunicativa, quasi come se si fosse arreso, ha smesso di perdere la testa dietro a delle belle gambe e a un bel faccino. Per Daisy, però, forse può fare un'eccezione: in qualche modo può riuscire a scoprire qualcosa di quella ragazza così misteriosa, andare oltre le apparenze e magari capire se, in effetti, Daisy gli piaccia o no.

«Oh Dio, sei completamente perso!» urla Noah. «Non riesci a smettere di guardarla, è incredibile!»

Blythe, come svegliato da un sogno a occhi aperti, si ferma di colpo e fissa l'amico, interrogativo.

«Non far finta di niente con me, ormai ti conosco abbastanza bene! Guarda, sei ancora tutto rosso!» Nel dire ciò, Noah strizza la guancia di Blythe, che si scansa e, d'istinto, si passa una mano sul viso, quasi come a volersi togliere lo sporco che la mano dell'amico ha lasciato.

Scuote la testa da destra a sinistra con decisione.

«No, eh?» insiste Noah. «Nemmeno un po'?»

Blythe alza gli occhi al cielo e sta per sollevare anche il dito medio, ma la risata isterica che produce la laringe di Noah blocca ogni suo movimento sul nascere.

«Dovresti vedere la tua faccia! Sembri un bambino in piena fase di ribellione! Sei fortissimo, amico!» Noah batte una mano sulla spalla di Blythe, che si arrende e si limita a un sospiro, mentre osserva la mano dell'amico sulla sua giacca di pelle. «Ad ogni modo, le nostre strade si dividono qui. Mio eroe, però, ricorda: da grandi poteri derivano grandi responsabilità...»

L'espressione perplessa di Blythe fa sconcertare Noah.

«No!» esclama, le mani nei capelli rossi e un viso sconvolto. «Non è possibile che non conosci nemmeno Spiderman! Spiderman, ragazzo!»

Blythe accenna a un sorriso e, piano, si stringe nelle spalle, senza sapere se sentirsi in colpa o scoppiare a ridere.

«Non riesco a crederci! Spiderman! Spiderman!» continua a ripetere Noah, mentre volta l'angolo e Blythe non lo vede più.

Ridendo, Blythe prosegue il suo cammino, mentre Noah – in lontananza – borbotta ancora qualcosa sul fatto che Blythe non abbia mai visto Spiderman.

Il freddo di novembre con una ventata colpisce Blythe in pieno viso e il ragazzo nasconde il volto nella sciarpa che ha al collo.

Le sue orecchie sono ben tappate da quel tessuto così, quando qualcuno da dietro gli colpisce il capo, lui non se ne accorge. Il suo udito, di solito sempre più sviluppato rispetto ai suoi coetanei, in questo caso ha fallito e, prima che possa rendersene conto, tre ragazzi lo hanno atterrato.

Sbatte la testa sull'asfalto del marciapiede e non fa in tempo a pararsi dai colpi che, veloci, gli arrivano da tutte le parti.

Un calcio nello stomaco, uno dietro la schiena; un pugno sulla spalla e di nuovo un calcio, ma stavolta sullo stinco. Tutto sta succedendo così in fretta che non sa quale colpo parare per primo e dove arriverà il prossimo.

I suoi occhi sono serrati, ma un pugno al petto glieli fa aprire di scatto e di fronte si trova solo delle scarpe da ginnastica consunte. Prova a voltare il capo per vedere chi lo sta colpendo, ma una forte botta alla guancia sinistra gli fa sputare del sangue; liquido rosso comincia a scorrere dalla bocca, fino ad arrivare sul collo. Gli imbratta la felpa e il giubbotto di pelle nera.

Tossisce scompostamente e struscia il palmo della mano sinistra sul cemento per provare a rialzarsi; ma ecco che viene afferrato per il colletto della maglia. Le sue pupille chiare si scontrano subito con quelle del bullo, Matt, e in quelle iridi così scure Blythe è sicuro di veder lampeggiare le scintille di un fuoco che, si rende conto, aver appiccato lui.

Matt è furioso e lui sa perché.

Vorrebbe in qualche modo fargli capire che il suo corpo non può più reggere, che ha bisogno di respirare, del suo inalatore, ma il bullo stringe più forte il suo collo.

«Non osare fare mai più lo stronzo con me. Hai capito, muto?» gli grida contro. Blythe è costretto a serrare le palpebre per la paura e lo sconcerto, ma non dà segni di aver recepito il messaggio. «Mi hai capito sì o no?» continua a sbraitare l'altro. Poi, per rendere ancora più chiaro il concetto, gli molla la felpa e gli assesta un altro colpo, stavolta dritto al setto nasale.

Altro sangue si unisce a quello che gli esce dalla bocca, ma stavolta è più terribile. Le sue vie respiratorie sono intasate e Blythe comincia a cercare aria tossendo scompostamente.

Si accascia a terra e si porta una mano sul petto, mentre le labbra spalancate tentano di pronunciare un qualsiasi suono; ma nulla viene fuori. Il suo cuore palpita così forte che sente solo il tum tum incessante nelle sue orecchie. I tre bulli gli stanno dicendo dell'altro, ma non riesce a sentire nulla.

La vista offuscata non lo aiuta a orientarsi. Vorrebbe prendere l'inalatore che ha nello zaino, ma nel momento in cui sta per allungare la mano per raggiungerlo Matt lo tira indietro e lo trascina facendogli strusciare la guancia sulle pietruzze che ci sono a terra.

«Non mi stancherò mai di darti una lezione, stronzo» afferma il bullo, prima di assestare un altro calcio nella schiena a Blythe. «Stavolta spero avrai imparato qualcosa. Se così non fosse, possiamo sempre rimediare, no?»

I capelli di Blythe vengono strattonati e il suo capo si riversa all'indietro; il collo gli fa male e i suoi occhi si riempono di lacrime.

«Non mi pare proprio che tu dia segni di aver capito. Ragazzi, voi sentite qualcosa?»

Jasper e Lucas ridono, prima di rispondere: «Nemmeno io sento niente.»

«Allora?» continua Matt. «Hai capito, Bleah?»

Il bullo alza il pugno, pronto a picchiarlo di nuovo, ma Blythe non ne può davvero più. E, nonostante ha promesso a se stesso di non dargliela vinta né ora né mai, cede. Si porta entrambe le mani davanti al volto e i tre bulli ridono per la sua debolezza. Annuisce e poi conferma ancora una volta, abbassando le mani, così che il suo volto possa essere visto meglio.

«Oh, bene» dice Matt, soddisfatto. Poi tira indietro il piede e dà un ultimo calcio nella schiena al ragazzo.

Un dolore acuto si propaga su tutto il corpo di Blythe. La colonna vertebrale trema e le mani si aggrappano con più forza al cemento; non serve a niente, però, perché – incontrollate – lacrime cominciano a sgorgare dalle sue iridi spente. Si lascia andare a un pianto disperato, peggiorando solo la situazione: il muco che si unisce al sangue gli toglie quel po' d'aria ch'era riuscito a elemosinare.

Un foglietto viene lasciato cadere sul corpo sfatto e pieno di lividi di Blythe ed esso cade esattamente davanti al suo volto. La scritta con la sua calligrafia è in bella vista e la sofferenza si acuisce.

Coglione. 


Buon martedì! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, sapete com'è la proporzione: un capitolo allegro, dieci tristi... 

A venerdì, 

Mary <3    

Ps: Piccolo spoiler del prossimo: per la prima volta entreremo nella mente di Daisy e io non vedo l'ora di farvelo leggere! 


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