10. Studiare di notte
Con i pugni serrati lungo i fianchi e l'espressione arcigna, Blythe osserva Matt e Sally darci dentro proprio attaccati al suo armadietto. Sa benissimo che non è un caso che il bullo abbia deciso di mettersi proprio lì davanti per pomiciare con la ragazza e ciò gli fa ancora più rabbia. Non può prendere i suoi libri e la lezione di Chimica sta per cominciare: la campanella suonerà di lì a breve.
Sbuffando, picchietta sulla spalla del ragazzo, ma l'unica cosa che ottiene è una scrollata infastidita, segno che Matt non ha intenzione di muoversi di lì. Le labbra dei due ragazzi sono così incollate che Blythe si domanda come facciano a respirare, ma ciò che lo infastidisce è come le mani di Matt si muovano lascive sul corpo di Sally. Proprio non può non ritornare con la mente a quel ricordo, quando li vede insieme, e la pazienza è sempre difficile da controllare. Ancora un altro paio di pugni ben assestati a Matt non gli farebbero male.
Blythe, impaziente, batte un piede a terra e alza il viso verso il grande orologio posto all'ingresso del corridoio centrale, sopra l'arco di muro bianco. Quando abbassa gli occhi, si accorge che molti ragazzi si sono fermati e stanno osservando la scena, incuriositi. Quel clamore lo rende ancora più nervoso e voglioso di spaccare la faccia a Matt, ma tira un respiro profondo e stavolta – invece di prenderlo con le buone – tira il ragazzo per la maglia e di peso lo costringe a spostarsi.
«Ehi!» si lamenta lui, poi si passa una mano sulla bocca a togliere la saliva della ragazza. «Che vuoi, muto?»
Blythe lo ignora e, dopo avergli dato una spallata, va spedito a mettere la combinazione.
«Oh, era il tuo armadietto? Non lo sapevo mica! Potevi dirmelo...» continua Matt, bloccandosi prima di mettersi una mano sulla bocca e fingere di aver sbagliato a parlare. «Ah, già. Non puoi.»
L'armadietto viene aperto e Blythe si mangiucchia l'interno della guancia, fingendo che non stia dicendo niente, anzi, che Matt nemmeno sia lì.
«Spero non ti abbiamo recato troppo fastidio...»
A quel punto, il suono dell'anta gialla rimbomba per tutto il corridoio e ancora più ragazzi si fermano a osservare la scena. Con uno schianto forte, Blythe ha chiuso l'armadietto e ora fissa Matt negli occhi. Verde nel nero. Rabbia nello scherno.
«Un po' nervoso stamattina? Non hai sentito la sveglia? Magari sei diventato pure sordo.»
Blythe si avvicina pericolosamente con il volto al ragazzo e lui resta fermo lì, alzando anche il viso in un evidente segno di sfida.
«Vuoi picchiarmi di nuovo? Il tuo paparino ne sarebbe fiero...» Quella frase fa bloccare Blythe di colpo, che deglutisce e fa un passo indietro. Tuttavia, la soddisfazione che vede dipinta sul volto di Matt lo spinge a ribattere in qualche modo.
Prende un foglio dal suo block notes e ci scrive sopra "coglione", poi lo schianta sul petto del ragazzo, in modo tale che tutti i presenti possano vederlo. E, infatti, mezza scuola ride di quell'insulto silenzioso che ha ricevuto il bullo, il quale, rosso di vergogna, non ribatte e se ne va da lì, costretto anche da Sally.
Per quell'atto ancora una volta istintivo, Blythe riceve diverse pacche sulla spalla e complimenti per il coraggio che ha avuto, ma la campanella suona e ben presto tutti i ragazzi corrono nelle aule.
Blythe recupera il libro di chimica e si dirige all'aula della professoressa Olsen con un sorriso stampato sul volto. Mette piede in classe inorgoglito, così tanto che non ha problemi a sedersi nel primo banco, quello proprio di fronte la cattedra. Saluta Noah e Allyson, con un movimento del capo, e osserva anche gli altri suoi compagni che si apprestano a prendere posto; sulla soglia della porta, c'è anche lei, Daisy.
La ragazza stringe al petto il volume di chimica e il primo sguardo che incrocia è quello di Blythe. La sua divisa stirata in ogni piega si muove lenta sulle gambe coperte solo dalle calze, mentre avanza verso la cattedra, su cui lascia un foglietto di giustificazioni: Daisy, infatti, ha saltato per qualche giorno il corso di chimica a causa di "problemi fisici"; o almeno è ciò che c'è scritto.
L'unico posto vuoto rimasto è proprio quello accanto a Blythe e controvoglia Daisy si sistema lì. Non lo saluta, né gli dice nient'altro; ma si limita solo a trafficare con il suo zaino da cui estrae un quaderno e diverse matite e altre suppellettili.
Il ragazzo non può far altro che osservare i lineamenti del suo viso delicato ed essere felice di poter vederla ancora viva, di aver in qualche modo fermato quell'idea balorda.
La lezione comincia e la professoressa Olsen è felice di rivedere nella sua classe Daisy.
«Grazie, professoressa» afferma Daisy, in risposta all'esclamazione di contentezza della donna di rivederla. «Adesso sto bene.»
«Mi fa molto piacere sentirtelo dire» risponde la docente.
Daisy si attacca allo schienale della sedia e nasconde le mani nella felpa, tirando le maniche fin sopra le dita; poi incrocia le braccia. A Blythe viene da pensare che quei movimenti siano frutto di un certo imbarazzo, magari dato dall'aver detto un'evidente bugia, più che per il freddo: Daisy non sta bene come dice e lui lo sa. Non gli è ancora chiaro cosa senta la ragazza nel suo cuore, cosa l'abbia spinta a meditare quel folle gesto; ma ciò che sa con certezza è che il "bene" non dipende solo dal benessere fisico, ma anche da quello mentale. E ne è sicuro: Daisy ha bisogno d'aiuto. Non sta a lui certo decidere cosa la ragazza dovrebbe fare, ma spera che possa indirizzarla almeno a parlare con uno psicologo, se non lo fa già.
«Visto che con il ritorno della signorina McLean la classe è al completo» dice la professoressa e tutti i ragazzi si soffermano a osservarla, «posso introdurvi il progetto che avevo in mente per voi. So che per molti di voi è difficile redare una tesina a fine anno – come ormai faccio per tutte le classi – per cui ho pensato che un progetto di coppia potrebbe darvi una mano. Che ne pensate?»
La donna sorride ai suoi allievi e un brusio si diffonde presto nell'aula; alcune ragazze si stanno già scambiando opinioni su chi è meglio avere come compagno.
«Le coppie le faccio io, però» precisa la docente e un lamento di dissenso segue a quell'affermazione. «Mi dispiace, ma non posso venirvi incontro più di così: non regalo certo i voti.»
La professoressa Olsen, allora, si dirige alla lavagna per segnarci sopra le coppie di ragazzi che dovranno lavorare insieme. Inevitabilmente, Daisy si volta verso Blythe e quasi sembra volergli comunicare telepaticamente che spera di non capitare in coppia con lui. Blythe, al contrario, pensa che sarebbe una scusa plausibile per passare molto tempo con lei.
Le prime coppie sono state formate e la docente continua a far scricchiolare il gessetto bianco sulla superficie nera.
«Allyson Black con...»
«Blythe, Blythe» prega la ragazza, con gli occhi socchiusi e le mani strette tra loro.
«Noah Stevenson» decide la professoressa.
Allyson si lamenta per quella decisione, mentre il ragazzo occhialuto – sistemato in fondo alla stanza – sente il cuore battere forte per l'emozione.
«Poi... Blythe Valkut con... vediamo...» Sembra che per Blythe la professoressa voglia scegliere davvero bene, così resta ferma per più di venti secondi con il braccio alzato e il gessetto poggiato senza scrivere nulla. «Oh! Daisy McLean. Perfetto» si complimenta con se stessa.
Daisy sospira gettando l'aria dal naso e si volta per non guardare Blythe che, invece, è tutt'altro che scontento di stare in coppia con lei.
Finito di fare le coppie, la donna spiega come dovranno lavorare e per quanto tempo. Vuole una tesina particolare, con tanto di ricerche che non devono limitarsi alla biblioteca e a internet, ma a vere proprie sperimentazioni sul campo: esperimenti, idee, originalità. È questo che cerca da loro.
«Bene, ora che è tutto chiaro possiamo passare alla lezione di oggi.»
Tutti i ragazzi, compreso Blythe, cominciano a prendere appunti; mentre la professoressa Olsen è in piedi e passa tra i banchi leggendo il libro che ha tra le mani.
Daisy si porta un capello sfuggito dalla coda alta dietro l'orecchio e poggia la testa sul pugno chiuso. In questo modo, Blythe non riesce a vedere i suoi occhi, ma gli fa male constatare che nemmeno prima esprimevano felicità.
Dopo qualche minuto, complice la distrazione della docente, Daisy passa a Blythe un bigliettino. Subito, il ragazzo lo apre e lo legge.
"Non so cosa hai in mente, ma rivoglio le mie pillole e subito", c'è scritto.
Ancora una volta, a Blythe sale il cuore in gola e un groppo si stanzia proprio lì. Non aveva messo in conto che la ragazza potesse reclamare le pillole; pensava che non ne avrebbe fatto cenno perché altrimenti avrebbe dovuto spiegare la presenza nella sua stanza di una dose non indifferente di morfina, ma a quanto pare si sbagliava. Così sospira e scrive la risposta.
"A che ti servono?"
"Mi aiutano a dormire."
Uno sbuffo lascia spontaneamente la bocca di Blythe e lui stesso si sorprende di aver emesso un suono che da giorni non sentiva più. È così forte quel rumore, però, che la professoressa si volta verso di lui, infastidita.
«È annoiato, signor Valkut?» chiede lei.
In risposta, Blythe scuote il capo con una certa sicurezza. Ciò fa acquietare la donna, ma ridere di gusto i suoi compagni.
"Va bene" scrive Blythe, "ma a una condizione."
"Non voglio condizioni. Hai rubato qualcosa di mio."
"I tuoi lo sanno?"
Anche Daisy sbuffa, ma molto meno sonoramente di quanto ha fatto prima Blythe.
"Va bene. Cosa vuoi?"
"Studiare di notte."
Buon venerdì! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate.
A martedì,
Mary <3
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