1. Vedere attraverso gli occhi degli altri
Lo studio della dottoressa Murphy è sempre troppo freddo per i suoi gusti. Non sa perché, ma pensa sia per la menopausa incombente della donna. L'aria condizionata è sempre sparata troppo forte e ogni volta che va a una seduta sua madre gli fa indossare una maglia più pesante.
«Non è possibile che ritorni sempre con il raffreddore!» urla sempre quando, con il naso gocciolante, Blythe rientra dopo gli appuntamenti. «Quella donna dovrebbe darsi una regolata: lo sa che tra poco siamo in inverno?»
Già, l'inverno. Il periodo preferito di Blythe. Gli piace quando i primi fiocchi di neve si posano lenti sulle strade, rendendo i marciapiedi e i tetti delle case candidi. Tutto si uniforma sotto quel velo bianco ed è tutto così intensamente bello da far quasi paura, ma a lui sta bene così. Forse, ha imparato ad apprezzare la neve quando i suoi genitori, a causa dell'asma, lo portavano sulle montagne durante il periodo di vacanza dalla scuola. Le vette alte e innevate era l'unica cosa che vedeva per lunghi periodi. Pace e tranquillità c'erano in quei luoghi ed era facile per lui isolarsi dal resto del mondo, chiudere gli occhi e smettere di pensare.
«Come stai? Novità?» esordisce la dottoressa.
Blythe alza gli occhi su di lei e la osserva sedersi sulla sua poltrona marroncina. La donna indossa un abitino a fiori estivo e ai piedi ha i sandali. Come se non bastasse, si sventola con i fogli che usa per appuntare ciò che il ragazzo non le dice.
Blythe sorride e annuisce, contagiando anche Britney.
«Oh, bene!» esclama lei. «Quindi l'inserimento nella nuova scuola procede bene?»
L'espressione sul volto del ragazzo cambia visibilmente e il suo sguardo vaga per la stanza: non riesce a guardarla negli occhi e mentirle.
«Blythe?» insiste. «Dimmi la verità.»
Si lascia scappare uno sbuffo, un camuffo di un risolino. Gli succede sempre quando chi gli sta attorno usa i verbi relativi al parlare con lui. Dimmi. La dottoressa ha scelto quello più comune, il verbo "dire".
Il ragazzo scuote il capo, mentre non riesce a staccare gli occhi dalle mattonelle del pavimento che, chissà perché, trova interessantissime.
«Non va poi così bene, vero?»
Gli basta annuire per rispondere alla domanda.
La sente sospirare, segno che sta soppesando quanto ha appena capito. È una donna in gamba e sa come trattare con i suoi pazienti. Non è stato facile prendere un ragazzo così problematico come lui in breve tempo, ma ha accettato il suo caso come una sfida personale. Non vuole costringerlo a parlare di nuovo e mai lo farà, sa bene che il trauma che ha subìto Blythe è molto profondo, ma pensa di riuscire almeno un po' ad aiutarlo. Sono solo due mesi che si conoscono, ma lui sa già tutto di lei, ogni dettaglio della sua vita. Quando le persone scoprono che Blythe non parla, si sentono in dovere di riempire quel silenzio con parole futili e vuote e, molto spesso, è di se stessi che raccontano di più.
«Blythe, cos'è successo? Bulli?» domanda la donna.
Ancora un cenno affermativo col capo; stavolta, però, Blythe solleva il viso e sorride.
«Non ci provare con me, ragazzino» lo ammonisce Britney, «non sono stupida e non sono nata ieri.» Blythe corruga la fronte, interrogativo. «Non capisci, eh? Lo so che invece capisci benissimo. Blythe, non distogliere lo sguardo, per favore.»
Blythe sbuffa e incrocia le braccia sopra al petto. Odia quando la dottoressa fa così, perché deve farlo? Non può limitarsi a credere che tutto vada bene?
«È poco che ci conosciamo io e te e se parlassi capirei dal tono della tua voce se stai mentendo o no. Ma, indovina un po', non mi serve ascoltare la tua voce per essere sicura al novantanove virgola nove per cento che stai mentendo.»
Blythe nega energicamente.
«Ah, no?»
No.
«Quindi stai bene?»
No.
Deglutisce e incrocia le sue iridi, prima di annuire per l'ennesima volta.
«Non ti credo» afferma. Blythe alza le spalle: non gli importa.
Britney appunta qualcosa sui suoi fogli e lascia così cadere quel discorso. Forzare il ragazzo non porterà a niente e lei lo sa; conta di racimolare quanti più dettagli su di lui per mettere insieme quel puzzle intricato che è Blythe Valkut.
«D'accordo» sussurra la donna in un sospiro. «Ti va di riprendere il discorso lasciato a metà l'altra volta?»
A Blythe non va per niente, è di pessimo umore e vorrebbe solo che quell'ora passasse in fretta per tornare a casa il prima possibile. Prima stava bene. La doccia era riuscita a togliere di dosso le grida dei suoi genitori e ciò che i bulletti gli hanno fatto il giorno precedente, ma l'insistenza della donna ha reso il ragazzo irritabile. Considerando, poi, che la dottoressa vuole parlare di quel maledetto giorno, non esiste che acconsenta.
«No?» Britney addolcisce il tono perché spera che in questo modo Blythe capisca che di fronte non ha un nemico, ma un'amica. Nasconde la mano che stringe la penna: trema un po' e lei non vuole che sappia che desidera con tutto il suo cuore che il ragazzo gli racconti di quella notte; sarebbe una grande svolta. «Solo cinque minuti?»
Nemmeno dieci secondi.
Non vuole ferirla, vede bene quanto la dottoressa voglia che lui si apra con lei: le labbra strette tra di loro e la tortura che sta facendo subire alla penna sono un chiaro segno di quanto lo desidera. Ma proprio non ci riesce. A volte, deve mettere davanti il suo benessere e non quello degli altri.
Mestamente, muove la testa da destra a sinistra.
«Va bene, non ne parleremo.»
Seguono alcuni secondi di silenzio, in cui la donna sta elaborando un nuovo sistema per intavolare un discorso diverso e magari far scucire qualcosa a Blythe; poi qualcosa le balza in mente.
«Sai, quando frequentavo il liceo non ero affatto una ragazza carina» comincia, mentre il ragazzo ruota gli occhi al cielo. «Sì, lo so che ho promesso che non avremmo parlato ancora dei bulli, ma infatti non è ciò che voglio dirti. Non ero bella, ma fortunatamente non sono mai stata presa di mira né per gli enormi occhiali che portavo – e che per fortuna con l'operazione ho tolto – né per l'apparecchio ai denti e i brufoli.» Ora l'attenzione di Blythe è maggiore e la donna sorride, soddisfatta. «I primi anni ho pensato che fosse davvero fortuna, che c'erano già molte persone da prendere di mira per quei ragazzini dal cervello bacato...» Una risata scappa spontanea al ragazzo, che subito dopo si tappa la bocca con la mano. «Lo pensi anche tu, vero? In effetti è così... Ad ogni modo, studiandoli ho capito che ognuno di loro aveva un punto debole e che – all'inizio inconsciamente, lo ammetto – io riuscivo sempre a far centro. Ti prego di non riferire questo discorso ai tuoi genitori, o mi denuncerebbero per averti messo in mente strane idee, ma... ecco, tu cosa pensi potrebbe aiutarti con i ragazzi che ti hanno preso di mira?»
È una bella domanda quella che la dottoressa Murphy ha posto a Blythe. Cosa potrebbe aiutarlo? Non ci ha mai pensato prima d'ora. È evidente che Britney, già dalla giovane età, sapeva leggere le persone come un libro aperto o non sarebbe diventata l'ottimo psicologo che è, ma per Blythe? Lui non ha talenti nascosti e non sa leggere le persone. Tuttavia, come un lampo improvviso, qualcosa gli viene in mente.
Sorride ed è un sorriso spontaneo.
«Cosa?» si anima la dottoressa, in attesa della risposta.
Blythe si tocca un paio di volte la pelle appena sotto l'occhio.
«Vedere?»
Blythe annuisce, poi ruota la mano, cercando di simboleggiare la parola che vuole comunicare.
«Vedere... oltre?» azzarda Britney, subito contraddetta da Blythe, che nega. «Okay. Vedere...?»
Ci riprova. Ruota ancora la mano, ma stavolta il gesto è più lungo e disteso.
«Vedere... molto oltre?» Di nuovo Blythe nega. La dottoressa si passa una mano sulla fronte per togliere il sudore e comincia a sventolarsi energicamente con le carte. «Non riesco a capire.» Ed è raro per lei, ogni cosa che Blythe prova a comunicare lei lo apprende subito.
Il ragazzo si tocca due volte la tempia, ancora vicino l'occhio verde; poi preme le punte delle dita della mano destra nel palmo della sinistra. Deve ripetere il gesto un paio di volte, prima che la donna capisca.
«Ah! Vedere attraverso!» esclama Britney, in un grido trionfale.
Blythe si tasta ancora il viso, appena sotto il bulbo oculare, ma il rintocco forte dell'orologio a pendolo che segna le cinque fa sussultare la dottoressa e lei distoglie l'attenzione da Blythe.
Vedere attraverso gli occhi degli altri.
«Che cavolo!» urla Britney, portandosi una mano sul petto. «Prima o poi questo coso mi farà morire di crepa cuore!»
Entrambi si ritrovano così a fissare quell'enorme orologio di legno scurissimo, regalo di laurea del padre di Britney, ormai defunto. Non le piace particolarmente, ma non riesce a liberarsene: è un ricordo troppo importante per farlo.
«Oh, sono già le cinque! Mi dispiace, Blythe, dovremmo rimandare la chiacchierata. Ma ci conto, eh?»
Blythe annuisce, mentre sia lui che la dottoressa si alzano: la seduta è finita.
☻ ☻☻
Quando spalanca la porta di casa, Blythe trova solo sua madre ad attenderlo. È in ginocchio davanti al camino e sta cercando di accendere il fuoco. È ancora il mese di ottobre, ma fa già parecchio freddo in quella piccola cittadina in Minnesota. Per fortuna, però, quando si sono trasferiti hanno trovato quest'accogliente villetta a due piani con giardino e un caminetto, che la famiglia Valkut non usa solo per riscaldare l'ambiente, ma anche per cuocerci sopra i marshmallow. Blythe non è mai andato in campeggio, ma i suoi genitori hanno sempre cercato di non fargli perdere nessuna esperienza adolescenziale. È per questo motivo che hanno pensato bene di imparare a cuocere i marshmallow sul fuoco del camino.
Quando il ragazzo aveva appena dieci anni e non apriva bocca già da un paio d'anni, suo padre tornò a casa allegro e carico di quei dolcissimi quadratini gommosi. Lui e Blythe si erano seduti davanti al camino, avevano acceso il fuoco, preso dei lunghi ramoscelli e cominciato ad arrostirli. Era stato per entrambi un bel giorno, soprattutto per James, che aveva visto suo figlio sorridere dopo tanto tempo.
«Ehi, orsacchiotto» lo accoglie sua madre, mentre lui si disfa di capotto e scarpe. «Indovina un po'? Marshmallow!»
Samantha agita una busta piena di marshmallow di ogni forma e colore, e sorride a suo figlio. Blythe ricambia, anche se, in cuor suo, sa bene che non c'è niente per cui essere felici. Suo padre non è con loro e non lo sarà per le prossime quattro o cinque ore, dipende dopo quanto tempo avvertirà i morsi della fame e le gambe dolergli.
James corre, anzi, fugge, come borbotta sua madre ogni volta che suo marito esce oltre l'orario di lavoro. Quando i pensieri lo attanagliano, inforca le scarpe da ginnastica e corre finché il respiro glielo permette. Lo aiuta a non pensare alla condizione che pare irreversibile di suo figlio, alle litigate continue con sua moglie e ai soldi che ormai iniziano a scarseggiare per i troppi traslochi e cambi di scuola.
Un pollice in alto è il segno di Blythe per dire a sua madre che quella cena gli va più che bene.
Samantha ha disposto sul pavimento dei morbidi cuscini gialli e ha preparato tutto l'occorrente. Non appena suo figlio si siede accanto a lei, lo circonda con una grande coperta e lo tira a sé. Gli bacia la guancia.
«Tuo padre è stato chiamato per un'urgenza alla fabbrica» gli sussurra all'orecchio.
Blythe annuisce, ma inevitabilmente il suo sguardo corre sulle scarpe che James indossa per andare in fabbrica. Sono esattamente dove non dovrebbero: sulla destra della porta, accanto al portaombrelli grigio, e non ai piedi di suo padre. Sospira perché sa che quelle da ginnastica stanno battendo l'asfalto bagnato d'umidità da ore.
«Mangiamo questi come aperitivo, che dici? Poi ti cucino qualcosa di più sostanzioso. Scommetto che muori di fame...»
Sua madre ha lo stomaco chiuso per via dell'ennesima litigata con James, ma non può certo far subire la stessa sorte a suo figlio: è pur sempre un sedicenne in piena adolescenza e con fame chimica. Tuttavia, Blythe non ha poi tanta fame e lo fa capire a sua madre ponendosi una mano sulla pancia e descrivendo dei piccoli cerchi. È il suo gesto per dire che è sazio.
«Oh, non hai molta fame? Hai già mangiato qualcosa per strada?»
Acconsente, anche se non è la verità.
«D'accordo, allora solo marshmallow!» esclama Samantha, in uno scarso tentativo di rallegrare suo figlio.
Blythe accenna una risatina e sua madre prende i marshmallow e comincia a infilzarli nei bastoncini che ha raccolto in giardino. Ne passa un paio a suo figlio e lui, allegro, accetta di ascoltare tutto ciò che sua madre ha voglia di raccontare; d'altronde, potrebbe mai urlarle di stare zitta? Non si tratta solo del fatto che non riesce a pronunciare fonemi, ma anche del rispetto verso i discorsi degli altri che ha imparato in questi anni di silenzio. Blythe pensa che le persone non ascoltino mai, ma che siano troppo presi dall'aver voglia di raccontare di sé per sentire con attenzione ciò che l'interlocutore gli sta dicendo. Anche se vorrebbe e potrebbe, non interrompe mai un discorso di un'altra persona, ma li lascia sfogarsi. Tante volte sua madre, nella conversazione, si ferma e gli chiede se è stufo di sentirla parlare, ma lui nega sempre. E non perché vuole essere gentile o non vuole ferire i suoi sentimenti: Blythe vuole davvero ascoltare.
Osserva sua madre e, mentre lei gli racconta del negozio di fai da te che ha scoperto lungo la strada, si sofferma sulla sua bocca. Ciascun movimento delle labbra lo studia con attenzione, incantato da come la lingua si muova in modo diverso ogni volta che pronuncia una nuova parola. Sbatte sui denti dell'arcata inferiore quando sua madre emette qualche parola contenente la "a" o la "d"; si incastra tra le due arcate quando le parole contengono una "n" o una "t". Riflette su come sia particolare e complesso il sistema vocale umano e per un momento, per una breve frazione di secondo, prova anche lui a muovere la lingua, ma nessun suono viene fuori. Sua madre l'ha notato e blocca d'improvviso il suo sproloquiare.
«Stai bene?» gli chiede. Blythe ci riprova, stavolta con la "a"; ma ancora niente. «Blythe?» Sua madre lo scuote per un braccio e lui la fissa, sbattendo le palpebre. Si affretta a farle capire che è tutto okay e lei tira un respiro di sollievo. «Meno male, mi hai fatto venire un colpo» afferma.
Samantha fa finta di niente e cerca di mantenere quanto più può il sorriso sulle sue labbra, mentre arrostisce un altro marshmallow. È preoccupata per suo figlio, come lo è ormai da anni, ma prova a non darlo troppo a vedere.
D'un tratto, accade.
Lo scoppiettare del fuoco è lo stesso davanti ai suoi occhi, eppure sembra che la prospettiva sia cambiata. Batte le palpebre, ma tutto gli appare sfocato. Vorrebbe strizzarsi gli occhi per cercare di capire cosa sta accadendo, ma non ci riesce: non ha il controllo delle sue mani. Il panico lo assale e cerca sua madre, ma non la trova alla sua sinistra, dov'è ormai da una buona mezz'ora. Si dice che deve solo calmarsi, che non appena il suo cuore avrà smesso di battere forte e avrà tirato due grandi respiri profondi tutto tornerà alla normalità. Ma la sua mente pulsa forte ed è un groviglio confuso che non riesce ad afferrare. Volta lo sguardo alla sua destra, ma per poco non gli viene un colpo: c'è lui. Com'è possibile? Si domanda. Sta guardando se stesso? Che sta succedendo?
«Sei stanco?» pronuncia sua madre.
Un flashback gli balza davanti agli occhi: sono sua madre e suo padre che stanno litigando furiosamente. Lui non c'è in quelle immagini che si vede sfilare come un vecchio film proiettato sul muro. Non c'è perché sono i ricordi di sua madre.
Dio, speriamo che James torni presto.
Blythe sobbalza e come scosso da un brivido si tira indietro. La schiena sbatte sul tavolino alle sue spalle e tutto torna alla normalità. Fissa sua madre, incredulo. È davvero accaduto? Ha davvero ascoltato i pensieri di Samantha e visto attraverso i suoi occhi?
È sconvolto. Si alza in piedi e fugge nella sua stanza.
Bene, una nuova avventura per me e spero anche per voi. Questo libro, almeno le prime 50.000 mila parole, è frutto del mio primo esperimento con il NanoWrimo, la "sfida" che ogni anno, nel mese di novembre, fanno gli autori. Io l'ho vinta e non appena ho messo fine alle 50.000 parole ho riletto ciò che avevo scritto e mi sono resa conto che tutto sommato era un bel prodotto. Certo, il libro non è ancora finito (lo sto scrivendo con più calma) e ha bisogno di una revisione e anche di molti tagli, ma non vedevo l'ora di farvelo vedere. Pubblicherò ogni martedì e venerdì.
Spero vi piaccia e ci tenevo a ringraziare ilSindaco per la bellissima copertina!
A presto,
Mary <3
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