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-Esco- annunciò Bryan, entrando in cucina.
Tuttavia, si trovò davanti Maria, anziché Isaac, e rimase interdetto. Aggrottò la fronte e si guardò intorno mentre l'altra gli sorrideva gentile.
-Isaac è dovuto uscire prima, stamattina. Aveva una riunione importante- disse la donna, voltandogli le spalle per riprendere a cucinare. Stava preparando la colazione per lui, ma le parole che pronunciò ebbero il potere di spegnere immediatamente l'appetito del giovane.

Bryan prese posto su uno sgabello a ridosso del tavolo da colazione e si lasciò andare contro la superficie, allungando le braccia fino a stringere il bordo opposto con entrambe le mani. Da quando si era svegliato, meno di un'ora prima, era stato infastidito da un costante senso di nausea e dall'avvisaglia di capogiri che tentavano di sorprenderlo a ogni movimento, infastidendolo e limitandolo nei movimenti.

La notte prima era stato sconvolgente scoprire fino a che punto gli fosse ormai diventato spiacevole giocare con il marito. Non gli mai successo, in precedenza, di essere sopraffatto dal panico durante il sesso, di sentirsi così umiliato e pieno di paura. In passato si erano spinti anche ben oltre all'interno di quelle pratiche sessuali, eppure Bryan ne aveva goduto, aveva sempre trovato eccitante la frizione delle corde che sfregavano contro la pelle, persino il limbo di buio che lo accoglieva quando veniva bendato e amplificava a dismisura le sue percezioni; gli era sempre piaciuto anche il bruciore scaturito dagli schiaffi, l'irruenza del suo dominante che gli impediva di immaginarsi una cosa finché non la metteva in atto; la sensazione di totale abbandono, di essere al più completo volere del suo uomo.

Non aveva mai interpretato nulla di tutto ciò come una vera umiliazione, una mancanza di rispetto, ma era esattamente quello che aveva provato la notte precedente e non sapeva spiegarsene la ragione, dato che Isaac si era persino trattenuto, non dando sfogo a tutte le intenzioni che gli aveva preventivato. I loro giochetti erano rimasti inutilizzati, ma era bastata la pressione della sua mano sul collo per farlo entrare nel panico, come se davvero avesse temuto che Isaac potesse fargli del male.

-Tutto bene?- chiese Maria con il suo immancabile accento spagnolo – nonostante fosse emigrata in California da più di trent'anni, era una caratteristica che nel tempo non aveva mai perso –, distogliendolo dai suoi pensieri, e Bryan sollevò lo sguardo verso di lei, poggiando il mento sulla superficie del tavolino. Dovette chiudere le palpebre e ricacciare indietro l'acido che gli era salito in gola, lottando affinché l'ennesimo capogiro non avesse la meglio su di lui.
-Uhm- disse e riaprì gli occhi, trovando la donna ferma davanti a lui, intenta a fissarlo con un'espressione dubbiosa.

Maria reclinò il capo da un lato e pose davanti a lui un piatto con delle uova strapazzate e due fette di pane tostato, ma Bryan si allontanò dal cibo e fece una smorfia, disgustato dall'odore.

-Non hai fame?- gli chiese lei, mentre i suoi occhi scuri si riempivano di preoccupazione. Bryan sollevò le spalle e recuperò una forchetta dal vasetto che le conteneva, posto vicino al pilastro contro cui poggiava il tavolino da un lato. Quando tornò davanti al suo piatto, Maria protese una mano verso di lui e con gesti delicati gli scostò il colletto della polo di colore giallo che il giovane indossava. Gli accarezzò la pelle sulla clavicola con un dito dall'unghia smaltata di rosso, mentre la sua espressione si faceva tesa.

Bryan sapeva con esattezza cosa aveva attirato l'attenzione della donna e se la scrollò di dosso bruscamente, piegandosi su se stesso e poggiando le braccia sulla superficie del tavolino, iniziando a giocherellare con il cibo nel piatto; lo rigirava tra i rebbi della forchetta, senza mai sollevare la posata per avvicinarla alla bocca.

I morsi di Isaac si erano trasformati in lividi sulla sua pelle delicata, ma ciò che metteva a disagio il giovane era quello sguardo: l'insistenza con cui Maria lo stava osservando, facendolo sentire in dovere di vergognarsi del "marchio" del suo amante.

Notò la donna rigirarsi tra due dita il ciondolo a forma di croce che le pendeva dalla catenina d'argento e che indossava sempre.

Maria era una donna dai tratti spigolosi, accentuati ancora di più dalla sua fisicità estremamente esile, che metteva in risalto le ossa sotto pelle, rendeva i suoi zigomi affilati e in contrasto i suoi occhi apparivano enormi, così come le labbra naturalmente rosse risultavano ancora più carnose.  

C'era un certo imbarazzo tra di loro e Bryan sapeva che stava facendo di tutto per alimentarlo, comportandosi in modo diverso dal solito, evitando di farsi andare bene la presenza della donna in casa, il fatto che lei fosse informata riguardo gli impegni di Isaac mentre lui no. Erano tutte cose che rientravano nella loro routine, ma a Bryan avevano iniziato a dare fastidio e il fatto che lei lo guardasse ancora con tanto ammonimento lo indispettiva.

Così, il giovane prese piena consapevolezza di cosa aveva smesso di piacergli delle pratiche sessuali che condivideva con il marito: nulla. Non era il sesso in sé a dargli fastidio, ma il pensiero infido che si insinuava nel suo inconscio e che gli suggeriva che gli altri, chi sapeva e si dava all'immaginazione riguardo ciò che loro facevano nella propria intimità, li giudicassero in chiave negativa e questo gli dava la nausea.

"Perché sono un sottomesso, mi piacciono certe cose e quindi, in automatico, pensano che io abbia qualche problema mentale" si disse con rabbia, mentre Maria continuava a sfoggiare quella sua espressione preoccupata.

-Non sto morendo- disse con voce sibillina, senza riuscire a trattenersi dall'evitare di dare il via a quella conversazione.
-Se ti fa male...-
-Non mi fa male- la interruppe subito Bryan, alzandosi dallo sgabello. Maria si passò le mani sul viso, poi sui capelli neri, ma pieni di ciocche grigie, tirandosi i morbidi ricci all'indietro, fino a poggiare entrambe le mani sulle proprie spalle e lì smise di ricambiare lo sguardo dell'altro, fissando con morbosa attenzione il tavolo che li divideva.

-Vado a lavoro- disse Bryan e l'altra aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui accelerò il passo e fuggì praticamente dalla sua stessa casa, non sopportando l'idea di poter trascorrere al suo interno un solo minuto di più.

Nel suo negozio, la situazione che Bryan trovò non lo aiutò di certo a distrarsi: a quanto pareva Thomas e Veronica avevano litigato, perciò gli toccò sorbirsi per tutto il giorno le risposte acide del primo e le crisi isteriche della seconda che, di punto in bianco, mollava tutto ciò che stava facendo e correva a nascondersi in bagno, mentre Thomas, a quel punto, aveva già iniziato a essere scortese persino con i clienti.

"Dannazione! Per questo detesto quando si mischiano lavoro e vita privata" pensò Bryan, cercando di tenere a bada il suo dipendente, confinandolo in giardino, e imponendo all'altra di stare alla cassa, tenendoli il più distante possibile tra di loro.

Fu stressante lavorare con quell'atmosfera tesa e con la mente piena già di tutti i casini che si era portato da casa, tant'è che, per la prima volta in tredici anni, Bryan arrivò a chiudere il negozio, in serata, tirando un sospiro di sollievo. Gli piaceva il suo lavoro, nonostante, anche in quel caso, gli altri avevano trovato il modo di gustarglielo.

Ma le sorprese, per quel giorno, non erano affatto finite e, anche quella che lo accolse al suo rientro, tanto per coerenza, non fu affatto piacevole.

-Isaac?- chiese a Maria, raggiungendola ancora una volta in cucina, dove lei aveva apparecchiato il tavolo da colazione per due.
-Aveva una cena di lavoro importate- rispose la donna, senza neanche voltarsi a guardarlo, continuando a spadellare come se nulla fosse.

A quel punto, Bryan non ne poteva proprio più di ricevere informazioni sul marito da lei e si trattenne con tutte le forze di sfogare su Maria la propria frustrazione – obiettivamente, sapeva che la donna non aveva colpa riguardo quella situazione – e decise che avrebbe consumato la cena da solo, in camera da letto. Portò con sé il vassoio che Maria – seppur con un certo disappunto – gli aveva preparato, ma una volta in stanza lo abbandonò sulla cassettiera bassa che si trovava sotto una delle finestre e si buttò a peso morto sul letto, prendendo posto al centro, completamente privo di appetito.

Deluso.

Si sentiva solo così come non gli capitava da troppo tempo. Gli mancava la sua famiglia, che non vedeva dal Natale precedente, ma non voleva farli preoccupare: non sapeva cosa avrebbe potuto dire loro, se sarebbe stato in grado di affrontare una conversazione senza lasciare trapelare la confusione che gli riempiva la mente.

Non gli sembrava neanche il caso di contattare sua sorella, che viveva dall'altra parte del Pianeta, in Italia, con la famiglia. Dimenticava sempre quante ore di fuso orario ci fossero di preciso tra L.A. e Firenze, ma, con la fortuna che aveva, era probabile che avrebbe finito per svegliarla nel cuore della notte causandole un infarto.

Sapeva di poter contare sugli amici, ma non aveva alcuna voglia di stare a sentire gli sproloqui egocentrici di Titty né di farsi fare la paternale da Evan. Si sentiva a disagio a contattare Claud o Jade per via di Ryan, perciò, alla fine, si rassegnò a quel silenzio innaturale e fastidioso, che gli riempieva le orecchie alla stregua di un rimprovero.

Batté le palpebre e aggrottò la fronte, alzandosi a sedere sul letto, si guardò attorno e la sensazione di palloncini nella testa gli fece intuire che doveva essersi appisolato.

Udì delle voci provenire dal corridoio e scese dal letto, avvicinandosi alla porta della camera, rabbrividendo.

"Sì, devo essermi addormentato" si disse, strofinandosi gli occhi, mentre le voci si facevano più insistenti e concitate, tanto che fu in grado di riconoscere l'accento di Maria – che si faceva addirittura più marcato quando si alternava – e la voce di Isaac.

Tuttavia, non riusciva a capire cosa si stavano dicendo, nonostante i loro toni gli giungessero chiaramente alterati, perciò socchiuse la porta della stanza, per sentire meglio.

-... e non sono affari tuoi!- stava dicendo Isaac. Era davvero arrabbiato e quello incuriosì il giovane, dato che non credeva di avere mai sentito il marito tanto furioso, prima d'allora.
-Io vivo qui. Vi tratto come figli miei! Sia tu che Bryan. Voglio bene a tutti e due, tantissimo- disse Maria e il giovane sussultò, forse perché le sue parole gli risuonarono alle orecchie come l'ennesimo motivo per cui meritava un rimprovero, dato che, a fronte di tutto quell'affetto, lui l'aveva trattata freddamente.

-Non è indubbio questo. Ti voglio bene anch'io. Ti ho sempre detto che per me hai preso il posto della madre che non ho mai avuto e mi sembra di avertelo dimostrato ampiamente, più volte, in questi anni...-
-Ma tu non mi ascolti! Ti avevo detto che certe cose non vanno bene. Non si devono fare e basta!- tuonò la donna e Isaac aumentò il volume della propria voce, nel tentativo di sovrastarla e metterla a tacere.
-Non ti riguarda!- urlò. -Bryan è mio marito ed entrambi siamo persone che ragionano con la propria testa!-
-Lui ragiona con la tua testa! E fa tutto quello che vuoi tu!-
-Se così fosse me lo direbbe, non credi?-
-No, perché voi avete questo rapporto malato, che sta rovinando il vostro matrimonio!-
-Non esagerare, Maria. Ricordati che rimane il mio matrimonio e tu non hai alcun diritto di metterci bocca-

Bryan richiuse la porta, lasciandosi andare contro di essa, scivolando fino al pavimento, dove sedette.

"Hai sentito anche troppo" si disse, davvero arrabbiato con Maria per il modo in cui si stava intromettendo nel suo matrimonio e deluso da Isaac che affrontava quei discorsi con lei e non con lui. 

Poco dopo le voci si affievolirono e Isaac aprì la porta della stanza, facendogli mancare il sostegno dietro la schiena e il giovane rischiò di cadere all'indietro. Tuttavia, l'altro se ne accorse in tempo e arrivò a sorreggerlo con una mano, mentre Bryan reclinava il capo e lo fissava dal basso.

-Sei tornato- disse con voce atona e il marito lo invitò ad alzarsi da terra. Cercò le sue labbra per un bacio, ma Bryan girò il viso, concedendogli di farsi baciare soltanto una guancia.
-Mi dispiace. Oggi non ho avuto modo di farmi sentire e...- prese a dire l'uomo e dal modo in cui ansimava, Bryan comprese che non si era ancora calmato del tutto dopo la litigata con Maria.
-Sarebbe bastato avvisarmi che, anche oggi, non tornavi per cena. Potevi dirlo a me, per esempio- ribatté Bryan sollevando lo sguardo a incontrare quello dell'altro.
-Stamattina dormivi, ieri non c'ho pensato...-
-Bastava un biglietto- lo troncò subito il giovane, allontanandosi da lui.

Iniziò a spogliarsi, abbandonando la biancheria in giro per la stanza, poi recuperò il pigiama da sotto il suo cuscino e lo indossò, infilandosi subito dopo sotto il lenzuolo, dando le spalle al marito che era rimasto a fissarlo, interdetto.

-Hai ragione, mi dispiace- disse Isaac e il suo respiro era tornato a farsi regolare. Bryan chiuse gli occhi e lo sentì muoversi per la stanza, finché lo raggiunse nel letto e gli cinse i fianchi con un braccio. Tuttavia, era davvero così deluso e arrabbiato che, senza rifletterci più di tanto, il giovane si scostò da lui, rifiutando il contatto con il suo corpo.

Isaac trasse un profondo respiro, tentando di mantenere la calma ritrovata. Fissò le spalle del compagno, che restava immobile e distante da lui. Sapeva che se avesse insistito Bryan avrebbe continuato a remargli contro. Ritenne che la cosa più giusta da fare fosse lasciarlo sbollire un po', ché la rabbia avrebbe potuto portarli a dire cose che non pensavano davvero, a litigare. Sospirò e si girò sul fianco opposto, dandogli le spalle, assumendo una posizione più comoda, ma, così facendo, per la prima volta, dopo due anni di matrimonio, si rese conto che, probabilmente, avrebbero finito per addormentarsi senza abbracciarsi.

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