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Rientrando a casa, Bryan notò subito che qualcosa non andava.
Il giardino, come sempre, era illuminato. Le luminarie che lui stesso aveva istallato tra la vegetazione prendevano vita azionandosi in automatico al calare del sole, restituendo all'area verde che circondava la villa un'atmosfera quasi fiabesca, il suono magico delle risate delle fate, della polvere di stelle che ammantava le corolle dei fiori, mentre questi rilascivano i loro profumi nell'aria come voci cantanti – non sempre piacevoli.
Persino Isaac sapeva che non era buona cosa bazzicare per il giardino di notte, quando i fiori rilasciavano anidride carbonica e incameravano ossigeno – Bryan stesso glielo aveva spiegato spesso: anche in natura, le apparenze potevano essere ingannevoli.
Tuttavia, se da quel punto di vista, ciò che trovò il giovane rientrava nell'assoluta quotidianità, d'altra parte gli sembrò a dir poco strano scoprire l'abitazione completamente al buio, difatti, da dietro le finestre che si aprivano sul prospetto, arrivavano a lui soltanto oscurità e silenzio. Entrò in casa, chiamò ad alta voce il nome di Maria e Isaac, ma non ricevette risposte. Cercò nelle varie stanze, finché non dovette arrendersi all'evidenza di essere solo.
Si fermò al centro del salone, guardandosi intorno con un pizzico di delusione, e recuperò il proprio cellulare, fissandone lo schermo come se fosse in attesa di una qualsiasi tipo di rivelazione divina.
"Forse si aspettava una mia risposta? Si sarà offeso perché non gli ho scritto?" si domandò e sospirò mesto, facendo partire una telefonata al numero del marito. Quello squillò una sola volta e poi la chiamata venne reindirizzata alla segreteria telefonica.
-Sta lavorando!- tuonò Bryan indispettito. -E mi aveva promesso...!- ma non terminò la frase, sentendosi troppo stupido nel parlare da solo, al nulla, percependo la propria voce risuonare per il grande ambiente e restituendogli una maggiore sensazione di solitudine.
Non gli piaceva la solitudine. Bryan non ricordava quali dinamiche, in passato, lo avessero spinto a lasciare l'Ohio, appena maggiorenne, per trasferirsi nella caotica California – forse il desiderio di essere indipendente, chissà: dopo tanto tempo non lo ricordava più.
Adorava la sua famiglia, erano stati sempre molto uniti, ma chissà per quale motivo, che aveva finito, appunto, per dimenticare, aveva messo tanti chilometri di distanza tra di loro, costruendosi una vita lontana da Cleveland, la sua città d'origine.
Spesso si era pentito di quella sua scelta, finché non aveva conosciuto Titty durante una serata di baldoria dove aveva sperato di riempire di caos e musica la sua solitudine, concedendosi una capatina in discoteca. E così aveva incontrato quella che sarebbe diventata la sua migliore amica all'interno di una situazione che aveva avuto un po' il sapore del cliché, ma che lo aveva aiutato a sentirsi meno solo.
Poi era arrivato Isaac e con lui tutte le persone che poco per volta aveva conosciuto e avevano riempito il suo vuoto con tanto affetto.
"Ma allora, perché adesso ti senti di nuovo così solo?" si chiese, accarezzando con lo sguardo i mobili del salone che gli restituirono un'agghiacciante sensazione di silenzio. Più si guardava attorno, più Bryan sentiva la tristezza cedere il passo alla delusione. Provò a contattare di nuovo il marito, ottenendo lo stesso risultato insoddisfacente.
"Ah! È così?! Ma adesso ti faccio vedere io!" si disse e si spogliò velocemente, gettando gli abiti un po' ovunque e corse a farsi una doccia. Mentre si asciugava i capelli mangiò un panino al volo, poi si fermò davanti la cabina armadio, ispezionandola da cima a fondo, finché non trovò ciò che cercava.
•
A Beverly Hills, circondato da ville di lusso e locali alla moda, si trovava il Seraphim. Un locale esclusivo, con una clientela estremamente selezionata, tant'è che l'ingresso era garantito soltanto a uomini attratti da uomini, dove la stampa non era mai ammessa – nonostante da due anni cercasse di infiltrare qualcuno delle pagine di gossip per carpire il segreto del successo dell'attività di Jeffrey Major – e magari qualche scandalo.
Il locale, gestito da Keith Coleman, vantava clienti in grado di attendere un tempo spaventosamente lungo in fila, davanti l'ingresso, pur di entrare, così come erano tante le prenotazioni di serafini per gli eventi esterni. Eppure, il vanto più grande di entrambi gli uomini che mandavano avanti l'attività restava senza dubbio la consapevolezza di poter offrire un ambiente sereno, un rifugio per chi desiderasse scacciare un po' la solitudine dalle proprie giornate, ma, soprattutto, di poter garantire ai serafini un lavoro onesto, senza che fossero costretti a subire spiacevoli attenzioni: non era permesso in alcun modo – dentro e fuori il locale, durante gli eventi ai quali partecipavano – di allungare le mani sui ragazzi del Seraphim.
Bryan si fermò a pochi passi dai tre gradini che introducevano all'ingresso principale del locale, notando diversi uomini in fila, che cercavano di ignorarsi tra di loro – forse a causa dell'imbarazzo dovuto all'idea di essere lì in cerca di attenzioni? Non poteva saperlo, ma era assolutamente certo del motivo per cui lui si trovava lì, perciò si fece avanti a testa alta, e gli bastò mettere piede sul primo gradino e alzare gli occhi su i due buttafuori all'entrata, per percepire dietro di sé mormorii di protesta da parte di chi pensava stesse saltando la fila.
"Beh. È così" si disse il giovane, compiaciuto.
-Oh, Bryan- disse Eric, uno dei due energumeni che sorvegliavano la situazione, mentre Tom, il suo collega, gli faceva cenno di farsi avanti, scostando il pesante tendaggio che celava l'ingresso del locale, invitandolo a entrare.
Bryan trattenne un sorrisino, scaturito da quell'emozione stupida, ma sempre piacevole, di poter saltare la fila al Seraphim e solo perché Keith e Jeffrey erano amici di suo marito.
Dentro, il locale era avvolto da un'atmosfera esotica e rilassante, capace di annullare ogni emozione negativa in un battito di ciglia: si presentava come una grande sala, con diversi salottini sparsi sulla sinistra, circondati da pareti affrescate con scene mitologiche, incorniciate da pesanti tende di velluto rosso cupo, che scendevano dal soffitto, fino ad accarezzare il pavimento di opaco marmo nero. La musica si diffondeva per l'ambiente come una calda carezza, a un volume piacevole, in grado di ammantare ogni cosa, rendendola parte di un insieme armonico. Il bancone del bar si trovava sulla destra, dietro il quale sfoggiava il suo sorriso Amber Tyler, l'unica donna che lavorava nel posto – e anche lei amica di Isaac.
La giovane si curava delle ordinazioni dei clienti, che arrivavano a lei tramite i serafini. Alcuni degli accompagnatori sedevano sui sgabelli posti a ridosso del bancone del bar e sollevarono instivimanete gli occhi su di lui, ma Bryan era una faccia conosciuta nel posto, perciò un paio lo salutarono, altri nemmeno quello, ma nessuno di loro si fece avanti per accoglierlo, a eccezione di Amber, che si accorse del suo arrivo, sgranò gli occhi squardandolo dalla testa ai piedi e spalancò la bocca sbalordita. La giovane finì di servire il serafino che le aveva girato un'ordinazione, e corse incontro a lui.
-Oh mio Dio, B.! Sei uno schianto!- esclamò, ma poi si passò entrambe le mani tra i capelli, sciogliendo la stretta coda in cui aveva costretto la sua fluente chioma bionda, incominciando a torturarsi un paio di ciocche; poi si batté le mani sui fianchi, evidentemente imbarazzata, incapace a stare ferma.
E come avrebbe potuto?
Amber era assolutamente certa che l'apparizione dell'amico fosse indizio della manifestazione di un imminente uragano: stava prendendo il via con una tempesta improvvisa e temeva che il peggioramento sarebbe arrivato fin troppo presto.
Conosceva Bryan da quasi due anni e non l'aveva mai visto mettere piede al Seraphim neanche una volta da solo, men che mai conciato a quel modo. Il giovane sfoggiava un'acconciatura sbarazzina, che, a causa del colore azzurro dei suoi capelli, incorniciava il suo viso dai lineamenti delicati come un mare in tempesta; indossava abiti di pelle che nulla lasciavano all'immaginazione di quel poco che coprivano, dato che i pantaloncini erano così corti da dare l'impressione che le sue gambe fossero lunghissime, e il gilet che indossava gli lasciava scoperte entrambe le braccia e buona parte dell'addome. Il suo outfit si completava con un paio di stivaletti texani e un choker con borchie e un anello di metallo al centro.
-Uhm. Dov'è Isaac?- gli chiese Amber, sempre più nervosa, notando come l'espressione di Bryan non l'aiutasse a comprendere quali fossero le sue reali intenzioni. Lui si strinse nelle spalle e non le rispose.
-Ma guarda un po' che bocconcino succulento!- esclamò la voce di un uomo ed entrambi si voltarono, trovandosi a pochi passi da un serafino: alto quasi un metro e novanta, con un fisico da atleta, spalle ampie e un sorriso costantemente malizioso e l'aria da angelo caduto, Claud Blake era uno degli accompagnatori più richiesti e conosciuti del locale – probabilmente anche grazie al suo passato da modello di fama internazionale – e, a quanto pareva, si era appena liberato del suo ultimo cliente.
Claud iniziò a giocherellare con una ciocca dei suoi ricci e biondi capelli, che in lunghezza arrivavano a sfiorargli le spalle, incorniciandogli il volto dai lineamenti affilati e seducenti, mettendo in risalto i luminosi occhi azzurri. Amber, che lo conosceva bene, comprese immediatamente che, se Claud aveva ceduto al suo tic nervoso, era probabile che anche lui si sentisse a disagio per via dell'apparizione shock di Bryan.
-Ciao- lo salutò il giovane, rivolgendo al serafino un sorriso malizioso e Amber si sentì arrossire a causa della carica erotica che quel gesto le trasmise.
-Io...- balbettò lei, "Vado a chiamare i rinforzi, la cavalleria! Isaac!" pensò in preda al panico, ma poi si limitò a dire: -Avviso Keith che sei qui- e corse in direzione della scala che conduceva al soppalco, lì dove si trovava l'ufficio del direttore.
Con la coda dell'occhio, Claud captò un movimento alla propria sinistra, nei pressi del bancone del bar, dietro cui si apriva la porta che introduceva agli spogliatoi. Era strano, ma il giovane riusciva a individuarlo anche in mezzo al caos, forse perché il suo cuore era capace di trovare sempre la strada per arrivare a lui e, anche quella volta, non fallì, infatti un brivido gli attraversò la schiena e, sollevando gli occhi oltre Bryan, individuò subito il suo compagno, Ryan, uscire dagli spogliatoi, aggiustandosi con gesti meccanici i polsini della giacca del suo completo da serafino, rientrando al locale nel momento sbagliato – evidentemente – dall'evento esterno al Seraphim che l'aveva tenuto lontano da lì fino a quell'istante.
"Dannazione" pensò Claud, che moriva dalla voglia di correre incontro al suo amante, ma sapeva quanto tesi fossero i rapporti tra lui e il loro inaspettato ospite, perciò poggiò entrambe le mani sulle spalle di Bryan, sorridendogli, con l'intenzione di allontanarlo dall'altro, nella speranza che riuscissero a non incontrarsi.
-Come mai da queste parti?- gli chiese e lo prese sottobraccio, conducendolo verso uno dei salottini che si trovavano in fondo alla sala.
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Isaac lasciò il ristorante sulla Sunset Valley che si erano ormai fatte le ventitré passate. La trattativa con Brenda Steel lo aveva lasciato spossato, anche se la donna era stata contenta di vederselo spuntare all'improvviso, entusiasta di poter tornare a lavorare con lui, tanto che gli aveva lasciato intendere, visto il cambio di guida, di essere più disposta nei confronti dello loro agenzia.
"Che giornata" pensò l'uomo, passandosi una mano sulla parte posteriore del collo, sgranchendosi un po'.
La strada, come al solito, era affollata da centinaia di persone e nonostante fosse soltanto lunedì, i locali erano tutti pieni, i negozi di abbigliamento di lusso ancora aperti e affollati. Un paio di ristoranti vantavano gente in coda all'ingresso, mentre il caos dei mezzi di trasporto che sfrecciavano sull'asfalto restituivano rumori insopportabili.
Un clacson arrivò alle sue orecchie come lo squillo di una tromba, squarciando i suoi pensieri, dissipando i fumi mentali della stanchezza.
"Bryan!" pensò con sgomento, rendendosi conto che, in un primo momento perché deluso dalla mancanza di una risposta al suo dono – gli aveva pure fatto recapitare un bigliettino con dedica! –, in seguito perché era stato troppo impegnato con il lavoro, ma alla fine aveva dimenticato di avvisare il marito del cambio di programma per quella sera.
Tuttavia, proprio in quell'istante, il suo cellulare iniziò a squillare. Isaac imprecò, indeciso se ignorarlo oppure no, timoroso che potesse trattarsi dell'invito all'ultimo minuto a una festa di lavoro, al quale avrebbe dovuto presenziare per accalappiare chissà quale altro artista dalle inclinazioni bizzarre, ma all'insistenza del chiamante non poté fare altro che cedere e si stupì nel leggere sullo schermo lampeggiante la presenza di diversi messaggi da parte della sua amica Amber, che erano andati persi tra le decine di e-mail e altri messaggi, mentre il nome che compariva in primo piano con l'avviso di chiamata corrispondeva a quello di un altro dei suoi migliori amici: Keith.
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