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La zona che circondava il Topanga State Park sembrava essere uscita da una pellicola cinematografica, la cui storia era ambientata in mezzo alla natura selvaggia. Le abitazioni erano sparse e immerse tra la florida e variegata vegetazione; si incontravano pochissime attività commerciali tra le strade tortuose che sparivano spesso dietro curve a gomito, e tutto aveva un aspetto un po' datato, lontano dal mondo ultra-moderno della Los Angeles in cui Jeffrey Major era abituato a vivere e dove si sentiva più a suo agio.

John, il suo fidato autista, fermò la limousine davanti all'edificio a un piano che si affacciava sul fianco destro della strada. L'aspetto della struttura non aveva proprio nulla di pretenzioso e risultava quasi anonimo, simile a quello di tante altre cliniche veterinarie sparse per la Contea. Dei portapianta rettangolari disposti sulla parte anteriore dell'edificio, di pietra, ospitavano varietà di piante succulente, donando un tocco di verde in quell'altrimenti bianco assoluto.

Probabilmente, Jeffrey era uno tra i pochi visitatori della clinica – se non l'unico – a presentarsi lì in limousine. Difatti, appena Mildred, la segretaria che accoglieva pazienti e padroni in sala d'attesa, si accorse dalle telecamere dell'arrivo dell'auto, non ci pensò due volte e, mentre spingeva gli occhiali da vista sulla radice del naso, con l'altra mano afferrò la cornetta del telefono e la incastrò tra orecchio e spalla, per poi pigiare il tasto di chiamata interna.

-Sì?- le rispose Evan dopo il primo squillo.
-Doc, hai visite. Su due zampe e a cavallo di una fiammeggiante limousine- disse la donna e udì chiaramente il grugnito strozzato dell'altro. Le sfuggì un sorrisino, chiuse la conversazione e, quando alzò gli occhi davanti a sé, Jeffrey Major era già lì, intento a sorriderle con il solito garbo che lo contraddistingueva.

Alto e con spalle ampie, l'uomo aveva un fisico cesellato, anche se il suo viso presentava un naso un po' troppo prominente a confronto degli occhi piccoli e verdi, e della evidente stempiatura precoce che aveva diminuito la presenza di capelli biondi sulla parte superiore del suo cranio. Jeffrey non era bello, ma possedeva il tipico fascino dettato dall'eleganza, accentuato dal completo di alta sartoria che lo fasciava come una seconda pelle, risaltando i punti di forza del suo fisico.

-Hey, Jeff!- si udì esclamare prima ancora che Mildred avesse potuto dire mezza parola dopo essere stata abbagliata – come sempre le capitava – dalla vista del loro ospite. Evan comparve in sala d'attesa, dove in quel momento si trovavano quattro umani, due gatti e tre cani.

-Ciao, fratello!- lo salutò Jeffrey con entusiasmo, tenendo per sé le battutine che gli erano subito balzante in mente nel vederselo spuntare in camice bianco. -Sembri un tipo serio- si lasciò sfuggire quando si trovò con le labbra vicino a un suo orecchio, coinvolto in un abbraccio, ed Evan lo mandò a quel paese sottovoce, per non farsi udire da altri.

-Mildred, mi prendo un caffè e torno subito- disse il veterinario alla segretaria e l'altra annuì, riuscendo finalmente a scollare la lingua dal palato.
-Oh, tranquillo...- balbettò e si schiarì la gola. -Hai un intervento chirurgico fissato tra mezz'ora. Loro...- continuò, indicando gli occupanti della sala con un cenno del capo. -Aspettano Tobias-
-Ah, okay, perfetto- disse Evan con un sorrisino tirato e si volse verso il suo ospite. -Hai culo. E mezz'ora di me tutta per te-

Jeffrey rise e scosse la testa e seguì il fratello nel suo ufficio.

In realtà, i due non avevano alcun legame di sangue e, da circa un anno e mezzo, si era esaurita persino la loro parentela legale, dato che il padre di Jeffrey aveva disconosciuto Evan, rinunciando all'adozione di quello che era il figlio della sua ormai ex moglie. Malgrado ciò, anche se i due avevano alle spalle una convivenza forzata difficile, fatta di gelosie e rivalità, in continua competizione per la conquista delle attenzioni e dell'affetto di due genitori totalmente assenti, Jeffrey ed Evan avevano iniziato a sentirsi fratelli proprio quando avevano smesso di esserlo per la legge. Si erano trovati quando sarebbe stato più sensato perdersi, ma la vita era imprevedibile e nonostante le frecciatine, memori di un passato conflittuale, che continuavano a scambiarsi anche nel presente, i due avevano finito per legare tanto, decisamente molto più che con i genitori, di cui ricevevano notizie raramente e frequentavano addirittura di meno.

-Di ritorno dal "tour"?- gli chiese Evan e Jeffrey annuì, passandosi un pollice sul labbro inferiore.
-In ritardo di un mese, ma sì. Sarei voluto tornare prima, ma sono riuscito a entrare nelle grazie dei Gagliano, a Milano, e ho passato l'ultimo mese a definire i dettagli della nostra collaborazione-
-Congratulazioni. È un'importante Casa di Moda italiana*, la conosco pure io, pensa te!- Jeffrey annuì di nuovo; gli era bastato che il fratello chiudesse la porta dello studio alle loro spalle e aveva abbandonato di colpo ogni ilarità, incrociato le braccia sul petto, fissandolo con sguardo eloquente.

-Cazzo- sospirò il veterinario, intuendo perfettamente quelli che erano i pensieri inespressi a voce del fratello. -Chi te l'ha detto?- gli domandò e prese posto su una delle due sedie che si trovavano davanti la sua scrivania, mentre Jeffrey si accomodava sull'altra.
-Oh... intendi, a parte te che non me l'hai detto? Daniel, ovviamente, appena sono tornato, prima ancora di darmi un bacio. A lui l'ha detto Amber, che l'ha saputo da Greg, a cui l'ha detto Titty, che non sente Bryan da un po', ma ha avuto modo di parlare con Claud che l'ha saputo da Ryan, a cui l'ha detto Keith... e sicuramente mi sono perso qualche passaggio, che lo sai che il mio compagno, quando è agitato, diventa una pentola a pressione in procinto di esplodere e balbetta più del solito, mangiandosi le parole-

Evan si lasciò sprofondare nella sedia e sbuffò frustrato.

-Una marea di pettegole...!-
-Sono solo preoccupati per Isaac-
-Non proprio... non tutti- disse il veterinario a mezza voce, soppesando le parole.
-Cioé?- chiese Jeffrey, aggrottando la fronte.

Evan sbuffò ancora e distolse lo sguardo dal fratello. Un altro valido motivo per non immischiarsi nelle faccende di cuore altrui: l'onda d'urto che colpiva tutti quelli che finivano per esserne coinvolti.

Non voleva che quella storia avesse ripercussioni anche sulla sua vita privata, anche se immaginava già che non sarebbe stato facile fare ragionare Jeffrey.

-Bryan sta da me e Keith, per ora- rivelò e vide l'altro tornare a incrociare le braccia sul petto e passarsi di nuovo un pollice sulla labbra, assumendo una posa pensosa.
-Ma Bryan ha tradito Isaac...-
-Ecco- lo interruppe Evan. -Tu sei amico di Isaac, bene-
-Lo sono anche Ryan, Amber e Keith-
-Lo siamo tutti-
-Tu sei più amico di Bryan...-
-Ma sono sposato e convivo con Keith- gli fece presente Evan. -E B. sta da noi-
-E questo che vorrebbe dire?-

-Sei stato fuori, Jeff, e sicuro hai sentito qualcosa. Magari ti è pure arrivata una versione dei fatti confusa, visto il telefono senza fili, ma le colpe stanno sempre in mezzo, di questo io sono convinto. Bryan non è un santo, ha sbagliato, sicuro, ma non ha tradito Isaac-
-Mi assento due mesi e succede il finimondo- borbottò Jeffrey e il fratello si lasciò sfuggire una piccola smorfia.

-Pensa che pure Ryan sta dalla parte di B. ...-
-Non voglio schierarmi-
-Sei già schierato con Isaac e nemmeno sai come sono andate le cose- ribatté Evan e l'altro scosse la testa.
-Sono cresciuto anch'io. In realtà, sono qui perché tu sei quello più calmo di tutti e volevo il tuo parere-
-Te l'ho già dato- disse il veterinario, chinandosi un po' in avanti, cedendo al peso di quel casino che sentiva gravargli sulle spalle, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

-Hanno colpe tutti e due, quindi...-
Evan annuì e Jeffrey tornò a stuzzicarsi un labbro, quella volta pizzicandoselo con due dita.
-E Isaac ha chiesto il divorzio...- mormorò Evan.
-Cosa?!- lo interruppe Jeffrey, urlando.
-Ah... questo non te l'avevano ancora detto...-

Bryan vide arrivare Titty con il suo solito camminare trafelato, come se fosse costantemente in ritardo o impegnata in una marcia. I capelli ricci e neri le volteggiavano intorno al viso, in buona parte celato da occhiali da sole dalle lenti ampie e rotonde. La vide svoltare a destra e fermarsi davanti il cancello di casa di Evan e Keith, dove lui si trovava, seduto sul dondolo collocato nel patio della villetta.

Sbuffò e si alzò da lì, subito seguito da Rocky e Adriana che, da quando era stata accolto in casa loro, lo seguivano dappertutto come due fide guardie del corpo.

Titty vide l'amico andarle incontro e aggrottò subito la fronte, mentre il sole di fine giornata illuminava il suo incarnato pallido, obbligandolo a socchiudere gli occhi. Più le si faceva vicino, più la donna notava particolari dell'altro che furono in grado di dare un ritmo galoppante al suo cuore: Bryan pareva essere invecchiato di colpo, come se il peso dei suoi trentadue anni lo avesse colpito in pieno da un giorno all'altro. Si tolse gli occhiali da sole e lo osservò camminare a testa china, seguendo il proprio incidere sul vialetto, e lei poté notare la vistosa ricrescita bruna che cozzava con il resto dei suoi capelli, che si stavano ormai scolorendo.

L'amico si era rifiutato di vederla dal giorno in cui suo marito gli aveva comunicato di volere chiudere la loro relazione e lei aveva aspettato, si era armata di tutta la pazienza che neanche sapeva di possedere, aiutata da Evan, che le aveva fornito informazioni di prima mano su Bryan, tentando di rassicurarla.

Titty era stata gelosa del fatto che Bryan avesse preferito Evan a lei, ma, dopo i primi giorni di rabbia, era riuscita a ragionare abbastanza per arrivare alla conclusione che il giovane si trovava in mani sicure, nell'abbraccio confortante di amici – che erano pure suoi amici – e sicuramente Evan e Keith erano persone più pacate e meno casiniste di lei – esattamente ciò di cui Bryan aveva bisogno in quel difficile periodo della sua vita.

Lo vide fermarsi oltre il cancello, sempre a testa china e sempre scortato dai cani. Quest'ultimi la riconobbero e iniziarono ad abbaiare e scodinzolare, mossi dall'impellente bisogno di manifestare la propria contentezza nel rivederla. Bryan aprì il cancello e Titty entrò nella proprietà, dedicando tutta la propria attenzione a Rocky e Adriana, ignorando l'amico ancora un po'.

Non era più arrabbiata con lui, ma era trascorso quasi un mese dall'ultima volta in cui si erano visti. Bryan non l'aveva cercata in nessun modo, anche se lei si era accordata con Evan, prendendosi la responsabilità di sorvegliare di tanto in tanto Thomas e Veronica, passando tutti i giorni al negozio di fiori dell'amico, visto che lui aveva smesso persino di lavorare.

Evan sosteneva che Bryan stesse affrontando un periodo davvero buio e a Titty era bastato trovarsi davanti i suoi occhi arrossati dalle lacrime per capire che l'amico era stato troppo buono con lei, fornendole una versione eccessivamente ottimistica della situazione – probabilmente per non farla preoccupare troppo.

-Ciao- sussurrò Bryan, finalmente, e Titty si girò verso di lui, rivolgendogli un sorriso dolce. Vide i suoi occhi riempirsi di lacrime all'istante e lo coinvolse in un abbraccio, cullandolo e riempiendogli i capelli e il viso di baci. -Scusami- biascicò il giovane, ma Titty aveva già dimenticato la delusione per essere stata messa da parte, i sensi di colpa per essere sempre stata troppo tagliente e ironica ed era pronta a esserci per lui.

Tuttavia, la donna non sapeva da che parte incominciare, tantomeno credeva fosse opportuno chiedergli come stava, perché era evidente lontano un miglio che no, Bryan non stava affatto bene.

-Mi sono arrivate le carte stamattina- sussurrò il giovane e lei trasalì, comprendendo immediatamente a quali "carte" si stesse riferendo.
"Mio Dio, come può Isaac essere arrivato a tanto?" si chiese in preda allo sgomento, ma, per sua fortuna, una volta dentro casa, scoprì che Keith non era ancora uscito per recarsi al lavoro e la presenza dell'amico la fece sentire rassicurata dalla possibilità di avere un "complice" in quella situazione difficile. -Le vuoi vedere?- le chiese Bryan, stringendole una mano, e lei sollevò lo sguardo verso Keith che si limitò a sgranare gli occhi e a scuotere impercettibilmente la testa.

-Dopo, magari, adesso voglio solo stare un po' con te. Ti va?- gli chiese e l'altro annuì.
-Io tra poco devo andare al lavoro, ma Evan sta tornando. Potreste chiamare anche Amber e Greg e organizzarvi per la serata... così Bryan finalmente esce un po'- propose Keith e subito Bryan aggrottò la fronte, pronto a rifiutare, ma Titty fu più veloce di lui.
-Che splendida idea!-
-Non ho voglia di vedere persone- borbottò l'amico e lei gli strinse di più la mano che teneva in una delle proprie, iniziando a dondolare il braccio della stessa con fare infantile, facendo finta di non avere udito e le sue ultime parole.

-Potremmo andare a fare una passeggiata serale al Topanga. Oppure una cavalcata! È tanto che non vado a cavallo. Ti va, B., sì?-
-No...-
-Perfetto! Allora chiamo gli altri e ci organizziamo subito!- trillò Titty, anche se la sua voce risuonò alle sue stesse orecchie acuta e colma di insicurezza.

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Ogni riferimento a personale reali è puramente casuale.

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