12
Alle ventidue in punto il locale era stato aperto al pubblico e non erano tardati ad arrivare i primi clienti, mentre un paio di serafini uscivano, dopo essere passati dall'ufficio di Keith, per presenziare a degli eventi esterni.
Pure Ryan era passato dall'ufficio, infastidito dal protrarsi della "riunione" che vedeva coinvolti Amber, Keith e Claud – forse perché aveva intuito che gli amici e il suo compagno non stessero proprio lavorando.
Amber, nonostante fosse affetta da una brama di curiosità incontenibile, per continuare a mantenere il loro segreto, decise di seguire Ryan al piano di sotto e di prendere posto dietro al bancone del bar – anche perché non poteva farne a meno, visto che non esisteva serafino, nel locale, che fosse in grado di miscelare cocktail al posto suo.
Mentre Amber scendeva le scale che conducevano alla sala principale, dal basso arrivava proprio Evan, con una chiara espressione truce a rendergli tesi i lineamenti del volto.
"Che abbia intuito qualcosa?" si chiese la donna, ma poi decise di agire come se nulla fosse, salutò l'amico e corse a dare il via al suo turno di lavoro, preceduta da Ryan che, invece, si limitò a prendere posto su uno sgabello a ridosso del bar, in attesa di un cliente che scegliesse di trascorrere un po' di tempo con lui.
Non appena Evan mise piede nell'ufficio del marito, trovando Claud Blake disteso sul divano, le gambe penzoloni da un bracciolo e un braccio ripiegato sugli occhi, l'uomo si sentì incendiare da una fiammeggiante gelosia: l'idea di Keith e il suo ex amante da soli, nella stessa stanza, proprio non riusciva a digerirla, anche se Claud "era cambiato", anche se persino lui aveva iniziato a trascorrere del tempo in sua compagnia – quando non poteva farne a meno e solo durante le loro riunioni tra amici – senza impiegare il tempo a escogitare modi, più o meno, creativi per depennare la sua esistenza dalla vita del proprio compagno.
-Non è come sembra- si affrettò a dire Keith, andandogli incontro, e quelle poche parole ebbero il potere di alimentare la fiamma della gelosia nel petto di Evan.
-Mi nascondete qualcosa? Perché, da quello che vedo, c'è niente di fraintendibile. Forse mi sfugge qualcosa? Qualcosa che mi potrebbe fare incazzare?- sibilò l'uomo e Claud si tirò a sedere sul divano, con un unico movimento atletico ed elegante, per poi sbuffare con fare infantile.
-Lascia perdere tuo marito, ché come crea panico lui, nessuno!- esclamò il biondo, guadagnandosi un'occhiataccia da parte dell'ultimo arrivato.
-Siamo qui per Bryan- disse Keith, parlando tanto velocemente nel tentativo di non dare la possibilità agli altri due di iniziare a litigare, da mangiarsi le parole e tirare fuori la frase meno opportuna per calmare il marito. Difatti, Evan sgranò gli occhi e dalla gelosia passò alla rabbia.
-Ma state fuori!- tuonò, passandosi entrambe le mani sul viso e imprecando.
-No, siamo dentro il fantasmagorico ufficio del direttore del Seraphim! Arredato da me medesimo ai tempi in cui, a mia volta, ero direttore di questo post...-
-Taci, Claud!- tuonò Evan e l'altro gli sorrise malizioso.
-Oh, Randolph, dovrai fare molto di più per mettermi a tacere. Magari potresti iniziare togliendoti i pantaloni!- il veterinario imprecò di nuovo, ma l'altro continuò a provocarlo. -Ho sempre desiderato scoprire se la sagoma che si intravede sotto i tuoi pantaloni, all'altezza del cavallo, sia tutta sostanza oppure no!-
-Lo strozzo- disse Evan, rivolgendosi al marito, puntando un dito in direzione del serafino, mentre Keith boccheggiava in cerca di fiato e parole e Claud se la rideva della grossa.
-Coleman! Tu che hai avuto modo di scoprirlo. Il nostro cucciolo di lupo, come sta messo?-
-Ho bisogno di un cappio, mi accontento anche di una mazza da baseball- sibilò Evan e le risate di Claud si fecero più sguaiate.
-Ehm. Uhm- riuscì a formulare Keith e il marito scosse la testa rassegnato.
-Blake!- sbraitò Evan e il diretto interessato saltò sull'attenti.
-Al suo completo servizio!- esclamò Claud con un inchino e l'altro alzò gli occhi al soffitto. -Sopra, sotto. Potremmo darci a pratiche da missionario oppure sperimentare qualcosa di più trasgressivo- aggiunse con fare allusivo ed Evan comprese di essere finito completamente dentro la trappola di Claud: più avrebbe continuato a inveire contro di lui, maggiori sarebbero stati gli sforzi che l'altro avrebbe compiuto per cercare di metterlo a disagio.
Evan chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, tentando di calmarsi. Claud era stato il primo uomo con cui Keith aveva avuto rapporti gay, in un periodo della sua vita in cui rifiutava ancora le proprie inclinazioni sessuali. Ma Keith era anche suo marito e Claud amava Jade e Ryan. Erano cambiate tante cose nei due anni che si erano lasciati alle spalle. E forse era arrivato anche il momento di smetterla di fare di Claud il nemico contro cui scagliarsi. Evan, quindi, sospirò e anche perché conosceva la storia di Claud e non voleva contribuire a renderla ancora più brutta, si decise a cercare di neutralizzare le ostilità che aveva nutrito per troppo tempo nei suoi confronti – almeno, ci avrebbe provato e quello era già un enorme passo avanti, da parte sua.
-Se vuoi, ti faccio toccare, Blake. Così ti renderai conto da solo della... sostanza- disse Evan e Claud sollevò un sopracciglio con stupore, spiazzato da una tale proposta.
-Ah. Beh, a questo punto, credo che mi terrò la curiosità- bofonchiò il serafino e Keith sgranò gli occhi, allibito dalla piega che aveva preso il loro battibecco. Si trattenne dal sorridere, anche se moriva dalla voglia di farlo, divertito da quella situazione inaspettata.
-Posso capirlo, non tutti sono all'altezza di tanta sostanza!- ribatté Evan e Claud li stupì a sua volta, ridendo di cuore a quella battuta.
Il loro momento di ilarità venne spezzato dall'apertura inaspettata della porta dell'ufficio, tanto che Keith, per la frazione di un secondo, pensò che avrebbe dovuto sostituirla con una antipatico, così dall'esterno sarebbero stati – finalmente! – obbligati a bussare, prima di fare irruzione senza preavviso.
-Isaac- disse il giovane e i suoi pensieri si spensero di colpo, mentre anche Evan e Claud si voltano verso la soglia. -Ch'è successo?- chiese all'amico, notando subito, sul suo viso, un'espressione preoccupante.
Isaac si guardò intorno, vagamente incuriosito dall'accozzaglia di persone presenti nella stanza, gente su cui non avrebbe mai scommesso di poter vedere insieme, all'interno dello stesso spazio, senza che non tentassero di uccidersi a vicenda. Tuttavia, lo stupore si esaurì presto e l'uomo venne sopraffatto di nuovo dallo stesso panico che lo aveva condotto fin lì.
-Avete visto Bryan?- chiese e i tre si scambiarono uno sguardo d'intesa. Keith si fece avanti, fino a fermarsi a un passo dall'amico, scosse la testa e lo abbracciò, percependo Isaac abbandonarsi contro di lui con un sospiro carico di sconforto.
-È successo qualcosa?- domandò Evan e Isaac si scostò da Keith e si strinse nelle spalle, fuggendo dai loro sguardi indagatori.
-Abbiamo litigato. Di nuovo. È un periodo che litighiamo spesso. Credo che sia normale che accada tra due persone sposate da un po'-
-Siete sposati da due anni, mica venti! Dovreste essere ancora alla fase di "farfalle nello stomaco" e "scopiamo come conigli"!- esclamò il serafino.
-Claud- lo richiamò Evan, rivolgendogli un'occhiataccia e il biondo sbuffò, ma poi si decise a lasciarli soli, con la scusa di dovere incominciare a lavorare – anche se era già in ritardo di più di mezz'ora e qualche minuto in più non avrebbe cambiato chissà che, ma era arrivato, per lui, il momento di sparire, lo comprendeva bene, perciò abbandonò l'ufficio per recarsi al piano di sotto.
Isaac si lasciò andare pesantemente su una poltrona, preferendola nella speranza che Keith la smettesse di essergli così "fisicamente" vicino: temeva che, se lo avesse abbracciato ancora, sarebbe scoppiato in lacrime.
Dopo avere passato la notte insonne, schiena contro schiena con il suo Bryan, così distanti nello stesso letto come mai prima d'allora erano stati; dopo la mattinata colma di pensieri angosciosi e dei martellanti rumori provenienti dal cantiere in fondo alla strada, che gli avevano fatto da colonna sonora confondendolo e distraendolo dal lavoro ancora di più; dopo la chiacchierata – poco liberatoria – con Emma, Bryan gli aveva mandato un messaggio, comunicandogli che aveva deciso di tenere il cellulare spento per un po', perché necessitava di "silenzio". Isaac si era subito preoccupato e aveva provato a contattarlo, ma si era rivelato troppo tardi e la sua chiamata era stata inoltrata alla segreteria telefonica.
Per sua fortuna, Titty gli aveva scritto poco dopo, mettendolo al corrente del fatto che aveva passato tutto il giorno al fianco di Bryan e che intendeva non mollarlo un secondo neanche nelle ore successive, e la donna preferì non nascondergli nemmeno che l'umore del giovane era stato e continuava a essere decisamente tetro.
Sapere che suo marito stava fisicamente bene ed era sotto la stretta sorveglianza della sua migliore amica aveva aiutato Isaac a tirare un sospiro di sollievo, ma d'altra parte, il desiderio di Bryan di stare per un po' lontano da lui e il suo "umore tetro" – come l'aveva definito di Titty – avevano acceso in lui una paura improvvisa.
-Non credevo che sarebbe arrivato fino a questo punto- sussurrò al termine del suo racconto, sorseggiando del brandy che Keith gli aveva offerto. -Mi dispiace essere piombato qui all'improvviso- aggiunse Isaac, tentando di alzarsi dalla poltrona, ma Keith si affrettò a invitarlo a restare dov'era. -In realtà, ero venuto a cercare Jeffrey...-
-J. è impegnato con il Mese della Moda. Sta all'ultima tappa di questa edizione, che, a quanto pare, è a Parigi- disse Keith, un po' deluso dall'apprendere che l'amico non si trovava lì per chiedere aiuto a lui.
-Sì, nella foga del momento l'ho dimenticato- sussurrò Isaac.
-Non ti devi scusare. Ci siamo noi, qui. Se possiamo, ti aiutiamo volentieri- disse Evan con un sorriso rassicurante e l'amico annuì.
-Volevo... Jeffrey sa meglio di tutti noi come comportarsi con qualcuno che continua a scappare da te anche se ti ama, per questo volevo parlarne con lui- ammise Isaac, sentendosi così stanco da non riuscire neanche a dare un freno alle proprie parole. Era la prima volta in assoluto che finiva per parlare con tanta tranquillità e trovava che fosse tristemente ironico che ciò si verificasse proprio quando lui si sentiva così disperato, solo e confuso.
"Chissà se stai riuscendo a farti capire da loro" si chiese e bevve un altro sorso dal bicchiere, assaporando il liquido, trattenendolo nella bocca per qualche secondo, prima di inghiottirlo e percepire il brandy infiammargli la gola e rendere i suoi sensi più ovattati.
L'ammissione di Isaac fece trarre un sospiro di sollievo a Keith, anche se il giovane si sentì un po' in colpa per la fitta di gelosia che lo aveva punto nel rendersi conto che un altro amico era stato preferito a lui: era stupido e infantile, ne era consapevole, così com'era certo che Isaac avesse bisogno di aiuto e non importava da chi gli arrivasse, ciò che contava era che riuscisse a risolvere i suoi problemi.
La conversazione si fece via via sempre più sterile e Keith decise di ordinare qualcosa da mangiare, non solo perché aveva fame, ma anche perché sperava che cambiare argomento li avrebbe aiutati a smorzare quell'aria tesa e opprimente che li aveva sopraffatti.
Evan, che aveva già cenato, si scambiò uno sguardo complice con Keith, mentre attendevano l'ordine che aveva effettuato tramite cellulare e poco prima che Amber lì contattasse da giù, tramite una linea telefonica interna, Evan decise di seguire l'esempio di Claud e lasciò l'ufficio. Ai piedi delle scale vide il fattorino, gli indicò il soppalco con un dito, per poi superare l'uomo e raggiungere proprio Claud al bancone del bar.
-Ti hanno lasciato in bianco?- gli chiese per punzecchiarlo un po' e l'altro si strinse nelle spalle.
-Il bianco è il colore degli angioletti- ribatté Claud, alludendo alla divisa che indossavano i serafini: un completo dal taglio elegante, di colore bianco, appunto, sotto cui sfoggiavano T-shirt di colori pastello. -Non ti va proprio di farlo, eh?- gli chiese ed Evan comprese subito a cosa si stava riferendo.
Sollevò lo sguardo e notò immediatamente la rigidità con cui Amber si muoveva dietro il bancone, intuendo che la giovane stava origliando la loro conversazione.
"Chissà quante ne sente ogni giorno" si domandò Evan e trasse un profondo respiro ed espirò lentamente prima di rispondere a Claud.
-È uno dei miei migliori amici-
-È amico anche mio- disse il serafino e l'altro sorrise con dolcezza.
-È il bello di questo posto, non credi? Mio fratello ha aperto questo locale per puro capriccio, eppure è qui che tutti ci siamo... connessi-
-Sono passati due anni. Il capriccio di Jeffrey ha dato vita a una famiglia inaspettata, quindi sì: mi scoccia ammetterlo, ma hai ragione!- esclamò Claud ed Evan gli rivolse uno sguardo scettico.
-Attento, Blake. Se incominci a dire certe cose, rischi di rovinare la tua nomea da stronzo-
Claud rise e gli batté una pacca su una spalla, suscitando ilarità anche in lui.
-Vedrai che metteremo tutto al suo posto anche stavolta- disse ed Evan annuì, mentre lo osservava allontanarsi da lui per andare incontro a un cliente.
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