Sortie
Ci sono un sacco di motivi per cui un amnesico possa non volere prendere la patente. Ad esempio potrebbe non fidarsi della sua stessa memoria (dato che l'ha già tradito una volta). Oppure potrebbe temere di non sapere affrontare la burocrazia, perché ignora tante cose che in genere sono date per scontate - potrebbe avere perduto, exempli gratia, i suoi documenti d'identità, il certificato di nascita e tutto il resto ed aver scordato quanto su di essi era scritto. Ancora, sarebbe lecito da parte sua ritenere di averla già fatta: ma non sapendo quale sia il suo nome completo, gli sarebbe impossibile richiederla. E perché no: anche la speranza può diventare un freno, quella di migliorare e ricordarsi tutto, un giorno. Ma senza far nulla di concreto al fine di renderla, per l'appunto, più di quello che è.
Sì, tutti questi tempi verbali sofisticati non sono bastati ad ingannarti: mi riferisco al solito Abel. Abbandonando tali inutili sforzi di dissimulazione, voglio specificare un ultimo motivo di intralcio per il nostro francese a "farsi la macchina": appena preso casa a Marsiglia, infatti, è stato protagonista di un incidente che gli ha fatto venire una gran paura delle strade.
Erano bastati pochi giorni perché trovasse una routine quotidiana, con la quale scandire le ore della giornata per gestirla al meglio. La mattina era dedicata alle spese: pane, latte e verdure comprate ogni giorno, in modo da averle perennemente fresche.
Ed era proprio quello il giro che s'apprestava a fare quando è giunto, a piedi, nella via delle scuole elementari.
L'orario di inizio delle lezioni era già passato da un pezzo, quindi non si vedevano bimbi in giro. Le auto che sfrecciavano a quell'ora appartenevano tutte a dipendenti ritardatari, e per questo non facevano quasi caso al colore dei semafori o alle limitazioni di velocità.
Solo lui pareva essere tranquillo - oltre agli immancabili turisti e ai vecchietti che con ogni probabilità avevano i suoi medesimi obiettivi.
Ormai conosceva praticamente tutti questi ultimi, almeno di vista. Alcuni lo salutavano sempre, con un sorriso o un gesto del capo, e lui ricambiava con gioia anche se non aveva idea di chi fossero.
Sapeva il nome di tre persone soltanto: Madame Eloise, una signora estremamente simpatica e gentile, che senza il marito non avrebbe saputo immaginare nemmeno in che direzione guardare; Monsieur Claude, suo consorte per l'appunto, carismatico e divertente, riconoscibile da miglia di distanza grazie alle camicie variopinte e ai jeans che abbinava - clima permettendo - a scarpe di vernice sempre lucidate a specchio, nonché agli occhiali tenuti sulla punta del naso a dargli l'aspetto di un professore; e Madame Anne, una nonnina dalla voce acuta e dal volto che pareva di fanciulla, con le rughe disegnate per scherzo attorno ad un paio d'occhi vispi e giocosi, sopra le gote rotonde e giù fino al collo sottile, costantemente celato da colletti a lattughina che le donavano un nonsoché di cinquecentesco.
Con loro si fermava spesso a chiacchierare, ma non sempre perché avevano la pessima abitudine di invitarlo a messa con insistenza. Abel si doveva sforzare di non dir loro come ogni fede gli era stata negata: temeva che, venendo a conoscenza di cos'era stato prima di diventare un cittadino "qualsiasi", tutti si sarebbero allontanati. E già non riusciva a spiegarsi come avessero fatto a trovare il coraggio di rivolgergli la parola, con il fisico che si trovava ad avere.
Ciononostante la loro presenza era diventata per lui qualcosa di importante e di significativo, con il passare del tempo: li considerava parenti, inconsciamente, e non solo per l'età che avevano o per il fatto che a Marsiglia quei signori avevano passato tutta la vita. La vera questione era il loro comportamento, forse conseguenza del fatto che il giovane non riusciva a celare quanto soffrisse la solitudine in cui era costretto a vivere. La settimana seguente la domenica delle palme, ad esempio, gli avevano portato dei rametti d'ulivo; e quando il nipote, figlio della primogenita di Eloise e Claude, aveva fatto la Prima Comunione, gli avevano portato una bomboniera. E non volendo essere da meno, in occasione della festa dei nonni Abel aveva donato loro dei fiori, proprio come se fosse stato parte della famiglia.
«Bonjour, monsieur!»
Tornando a noi, ecco: il saluto quotidiano all'edicolante era stato fatto. Ora rimaneva un ultimo incrocio da superare, e poi sarebbe giunto al porticato del panettiere e del fruttivendolo.
Aveva cercato il telefono nelle sei tasche di cui era dotata la giacca mentre attendeva il verde; aveva fatto il gesto di estrarlo, e proprio mentre lo compiva, uno stridore assordante gliel'aveva fatto cadere di mano.
Un ragazzino si trovava in mezzo ad una delle dieci corsie che costituiscono quell'incrocio, lo zainone blu sulle spalle e un foglio a terra, pochi metri davanti a lui: era questione di attimi prima che una grossa familiare lanciata a tutta velocità gli fosse addosso.
Non avendo idea di cosa sia il timore o lo spavento, Abel s'era precipitato dal giovane, immobilizzato dal panico. La sua sagoma assomigliava a quella di una goccia: le sue gigantesche spalle sembravano fatte apposta per essere lanciate a quella velocità incredibile in direzione perpendicolare rispetto alla traiettoria della Citroën, e i piedi erano parsi non sfiorare l'asfalto durante quelle poche frazioni di secondo. Aveva allargato le braccia prima di gettarsi nel salto che avrebbe decretato l'esito del suo atto eroico; con esse aveva stretto a sé lo scolaro che a malapena si era potuto accorgere del suo fulmineo arrivo, in modo da non farlo graffiare con il fondo stradale, ma riservando quelle dolorose sbucciature al suo fisico abituato. E salvandogli la vita.
La macchina s'era arrestata alle loro spalle, con un gran frastuono, dopo un testacoda da film d'azione. Il bambino aveva guardato negli occhi il suo salvatore, imponente come le statue che si facevano agli imperatori dell'Antica Roma.
«Garçon, les routes sont plus dangereuses que les champs de bataille» aveva mormorato lui, sospingendo il piccoletto verso il marciapiede.
Ha l'aspetto di una storia a lieto fine, nevvero? Mi sento chiamata a testimoniare che, al contrario, è stata la prima fase di un lungo incubo.
Quella frase, infatti, è stata la colonna sonora di ogni giorno del ragazzo dal momento della sua spontanea formulazione in poi, come se tutta la paura che non aveva provato prima si fosse scatenata d'improvviso in una vera e propria fobia, quasi un'ossessione.
Almeno fino a che... Almeno finché Guile, il suo amico, non ha avuto occasione di affrontare l'argomento con lui.
Avevano conservato qualche contatto dopo il Torneo Internazionale di Lotta, perciò quando all'americano è capitata una missione in Francia non ha esitato ad avvisarlo. Si sono messi d'accordo su una cittadina, e Abel l'ha raggiunta con i mezzi pubblici senza nemmeno riflettere sulla possibilità di arrivarci in altro modo. Il soldato, invece, è arrivato a bordo della sua spider rossa e la prima cosa che ha fatto, appena incontrati, è stato chiedere: «Dove hai parcheggiato?»
Domanda alla quale, chiaramente, è seguito un silenzio a dir poco imbarazzante, succeduto a sua volta da una lunga discussione terminata nel pressoché vano tentativo del giovane di scaricare ogni colpa sulla mancanza di informazioni su sé stesso che lo affliggeva. C'era un fondo di verità in quanto affermava, insomma non gli era seriamente possibile affrontare come un comune mortale la burocrazia (che è il primo grande ostacolo che si presenta a chi intende guidare, e all'ombra del quale è possibile passare anni e anni, se non tutta la vita); ma si tratta di qualcosa che i giusti agganci e un po' di pazienza possono risolvere in una quantità di tempo accettabile.
In breve, Abel s'è creato un'identità a quattro mani con l'amico, l'unico al mondo che avrebbe mai potuto, e voluto, fare una cosa del genere per lui. Il marsigliese lo ha ospitato per qualche giorno e ha fatto avanti e indietro al Comune una dozzina di volte: poi, finalmente, ha lasciato i moduli in scuola guida e ha... Iniziato a fantasticare sull'auto che avrebbe potuto comprare.
Guile guidava magnificamente: sembrava davvero che non ci fosse differenza tra muoversi a piedi o su quattro ruote, per lui, e una sola mano bastava a renderlo padrone assoluto di ogni circostanza. Ed era così che Abel voleva diventare.
Il primo passo per raggiungere quell'immagine gli è sembrato questo: comprare una bella auto che lo rispecchiasse; e si è immediatamente dato da fare in questa direzione.
Evito volentieri di richiamare le sofferenze che ognuno di noi ha provato, o sta subendo, o attende di affrontare per giungere a inserire nel portafogli quel pezzo di plastica rosa con la propria faccia e delle lettere blu, che gli dà il diritto di guardare in viso qualsiasi carabiniere da dietro il vetro d'un parabrezza. Salto anche la quantità di ore perse dal ragazzo sul web in cerca di auto nuove o usate che lo facessero sentire a suo agio, in modo da tagliare corto sulla faccenda: dopo aver quasi acquistato un'Avantime, riflettuto seriamente su una Multipla e persino su una DS7 Crossback, ha realizzato che trovare una macchina abbastanza grande da risultare almeno comoda sarebbe stato arduo a dir poco. E così ha preso a girare tutti i concessionari della zona.
Ogni volta che ne varcava le porte scorrevoli, i dipendenti lo squadravano minuti e minuti, probabilmente facendo mente locale dei SUV più alti in listino, e attendendo che qualcuno si facesse avanti ad accompagnare una persona così-- grande.
Solo un venditore non si era mostrato sorpreso dal suo metro e novantotto con scarpe da ginnastica: lo aveva accolto sorridendo e lo aveva condotto fischiettando al reparto fuoristrada. Gli aveva fatto provare una decina di modelli, e poi con un ghigno strano gli aveva mostrato il pezzo da novanta del suo variegato catalogo, l'oggetto più prezioso ad aver passato gli pneumatici sul pavimento lucidato ad arte del suo concessionario multimarca: di fianco ad una Lada talmente pulita da sembrare un veicolo di gran lusso, una Jeep Wagoneer del '64, color panna, tutta ruggine e bozze. Abel aveva testato la Renault Modus presso i concessionari precedenti, e i finestrini anteriori larghi larghi di cui era dotata gli erano molto piaciuti. Poi li aveva rincontrati su una BMW, e nel riflesso della vetrina ci si era potuto vedere dentro: erano delle cornici a dir poco pittoresche per il suo viso.
Ora, però, si vedeva sul parabrezza polveroso della Jeep. Ed è del tutto superfluo specificare che s'è trattato d'un coup de coeur.
L'ha comperata senza neanche provare a trattare sul prezzo, senza protestare per la costosa manutenzione di cui necessitava: l'ha portata a casa col carro attrezzi e l'ha osservata dalla finestra finché non è tramontato il sole.
Qualcosa di meno romantico e leggermente più realistico? Le riparazioni di cui la Jeep aveva bisogno hanno richiesto meno tempo di quel che è servito alla Motorizzazione per rilasciare la patente. Comunque, appena ha potuto, grazie alla robustezza e ottima guidabilità del mezzo Abel non ha avuto problemi ad esercitare il permis de conduire.
E ci ha anzi preso un certo gusto.
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