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La radio gracchiava e tra un'interferenza e l'altra Gerry Donavan annunciava con il suo timbro squillante il duecentosettantatreesimo giorno senza decessi. Il sole splendeva alto a mezzogiorno in quella domenica di luglio, illuminando gran parte del corridoio attraverso le tre finestre che si aprivano sul cortile interno. Il ragazzo, già completamente sudato nella sua divisa camicia-pantalone nera - ché si sa, il nero fa sempre elegante -, era ricurvo sul quadro elettrico alla ricerca del fusibile saltato che aveva messo fuori gioco metà del quarto piano. Alla radio cominciava a passare una vecchia canzone funky che lui seguì col ciondolare della testa.
"Mark!" lo fece trasalire una voce acuta, fin troppo familiare.
"Beth, questo non è il momento per un giro di giostra" disse, senza neanche voltarsi. Sollevò la mano im cui reggeva il cacciavite alle sue spalle, zittendo la ragazza prima ancora che essa avesse modo di aprire bocca. "E lo sai quanto mi piacciono i nostri giri di giostra" aggiunse, con un tono più tenue e rilassato, per non minare il buonumore di lei; l'ultima cosa che ci voleva era una Beth imbronciata che bofonchiava insulti semivelati ai clienti dell'hotel.
Ricordava fin troppo bene quando l'estate precedente la nuova cameriera in prova, Joanna o Leanna, aveva preso dal ripostiglio l'aspirapolvere di Beth e si era messa a pulire le camere del secondo piano, che sarebbe stato compito di Beth sistemare prima dell'una del pomeriggio. Beth odiava il suo lavoro, ma era pur sempre il suo; e nessuno toccava ciò che le apparteneva. Colta Joanna o Leanna sul fatto, Beth le aveva strappato l'aspirapolvere di mano e aveva urlato tanto che le guance le erano diventate rosse quasi quanto i ricci che portava sempre racchiusi in una coda di cavallo. Le urla si erano sentite fino al piano terra e il signor Roberts, da buon direttore, si era precipitato a controllare cosa stesse succedendo, seguito da un manipolo di impiegati curiosi e pettegoli; ovviamente anche lui aveva preso parte alla mischia. Leanna o Joanna che fosse era scoppiata in lacrime; neanche a dirlo, quello era stato l'ultimo giorno del suo periodo di prova in cui si era presentata all'hotel. Quanto a Beth, se l'era cavata con un richiamo e aveva passato il resto del pomeriggio ad affettare i clienti col suo sguardo torvo. Ogni qualvolta un cliente l'aveva richiamata per lamentarsi di un letto non impeccabile o di un asciugamano mancante, era finito con l'addossarsi la colpa e fintanto scusarsi con Beth per il disturbo arrecatole. Com'è che l'hotel non avesse ricevuto una sfilza di recensioni negative rimaneva a quel giorno un mistero.
Mark scacciò via quei ricordi con uno scatto della testa e tornò a focalizzarsi su Beth.
"Stavolta è diverso!" stava dicendo lei in modo concitato. Muoveva le braccia tutt'attorno, fissandolo con apprensione. "Devi venire con me" decretò, e gli afferrò il braccio sinistro con entrambe le mani. Cominciò a tirarlo a sé facendo peso con tutto il corpo; puntava i piedi, ma i talloni continuavano a scivolarle in avanti sulla moquette, nel ridicolo tentativo di schiodare un corpo grande tre volte il suo da terra.
Mark indugiò con lo sguardo sul corpo minuto di Beth, godendosi lo spettacolo di quello sforzo sproporzionato. Ridacchiando, calcolò a mente il risultato di una contorta equazione nata dalla somma esponenziale della cocciutaggine di Beth, dei propri bollori adolescenziali e delle probabilità che il direttore dell'hotel li cogliesse sul fatto. E siccome la paura raramente batteva la passione, e dato che il signor Roberts difficilmente avrebbe potuto concedersi il lusso di licenziarlo in piena stagione turistica, si alzò e seguì la ragazza per il corridoio.
Senza mollargli il braccio, Beth lo trascinò a passi svelti verso la stanza prescelta, in fondo a destra. Eccoli lì i veri vantaggi di avere una carta magnetica universale pensò Mark, ammiccando al corridoio deserto. Si chiuse la porta alle spalle e, senza neanche staccarsi da questa di due passi, cominciò a spogliarsi nel riquadro tra bagno e armadio che fungeva da ingresso alla camera. Il soffio leggero dell'aria condizionata gli baciò la schiena sudata, dandogli un brivido di piacere. Il vociare dei bambini in piscina giungeva lì attutito e ovattato, e si fondeva al ronzio del condizionatore. Un sottile fascio di luce filtrava dalle tende, tagliava la polvere sospesa nell'aria e finiva per posarsi dolcemente sulla moquette logora. Mark sorrise alla calma della stanza; gli sembrava un angolo di spazio ritagliato fuori dall'avvicendarsi frenetico della vita che continuava a svolgersi impaziente al di fuori di quelle quattro pareti. Prese un respiro e si diresse verso Beth che, intanto, poteva sentire armeggiare col carrello delle pulizie. Svoltò l'angolo e la vista di un ampio letto matrimoniale, fiancheggiato da due comodini verdi, si aprì davanti ai suoi occhi: le coperte verdi, in tinta coi comò, erano riversate per terra, lasciando scoperte le lenzuola bianche che si increspavano sul materasso. "Una cosa a tre? Questa è nuova!" esclamò, entusiasta, alla vista di una ragazza seminuda già distesa sul letto sfatto.
"Ma cos... Pensi solo a una cosa, tu!" Beth lo squadrò con disappunto. Corrugò la fronte in un'espressione di fastidio che però non celava alcuna rabbia. "Rivestiti, per carità!" gli intimò, facendogli segno di sbrigarsi con la mano libera; nell'altra reggeva il bastone di una scopa.
Mark la guardò con occhi e bocca spalancati. Beth continuava ad agitare la mano e lui continuava a non capire.
La ragazza sul letto, intanto, continuava a fissare il soffitto, indifferente al teatrino che stava avendo luogo a pochi metri da lei.
Beth continuava a fissarlo, così Mark si convinse a recuperare la divisa sparpagliata sul pavimento e a indossarla controvoglia. Quando rientrò nella stanza, Beth non si era mossa di un centimetro.
"Lei è..." cercò di spiegare lei, indicando con gesti confusi ora la ragazza, ora l'aria attorno a sé. "Fai prima a vedere tu, direttamente." sospirò infine, spostandosi di lato per farlo passare.
Mark continuava a essere alquanto confuso. Sospettava uno scherzo di cattivo gusto, con la nuova amica di Beth che si alzava di scatto e cominciava a urlargli in un orecchio. Mentre scavalcava l'ammasso di coperte e lenzuola, sperava solo che quantomeno la cosa a tre si sarebbe fatta ugualmente. Posò lo sguardo sulla ragazza, percorrendone il corpo dalla punta dei piedi fino alla cima dei capelli: era di statura media, aveva un fisico atletico, un paio di labbra pallide e un caschetto di capelli biondi a incorniciarle il viso sottile. Stava distesa di schiena, con le braccia lungo i fianchi. Gli occhi erano chiusi.
Mark si girò di scatto, alquanto stizzito. "Mi hai chiamato per svegliare una cliente?"
"Non sta dormendo!" esclamò Beth. L'arco descritto davanti a lei dal bastone che impugnava trasmise quanto chiaro il messaggio che si fosse offesa.
"A me pare proprio di sì, invece" ribatté lui, osservando il viso sereno della giovane, delicatamente adagiato su un cuscino di raso.
"Ah, e allora svegliala, dai, mister so tutto io." Incrociò le braccia davanti al petto, e il bastone descrisse un altro ampio arco fendendo l'aria.
"Certo che la sveglio." sbuffò lui, contrariato. "Se questo è uno scherzo, Beth, ti giuro che..." E cominciò a strattonare la povera malcapitata. Doveva ammettere che a recitare se la cavava piuttosto bene.
"Ci ho già provato anch'io; non si sveglia." Beth si piazzò dall'altro lato del letto, di fronte a lui in linea d'aria. "E guarda qua" aggiunse, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni uno specchietto da borsa e avvicinandolo alla bocca della bella addormentata. Sul vetro non si disegnò neppure un alone. O la ragazza era un mostro di apnea e recitazione, oppure...
Mark sgranò gli occhi. "È impossibile."
Beth sollevò leggermente le spalle. Poi lo fissò, prese un respiro profondo e riscrisse per la seconda volta ciò che sapeva dello spazio, del tempo e del genere umano: "Credo sia morta".
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