3.Si viaggia alla pari
Mi sento agitata come prima di un'interrogazione. Sebastian mi mette a disagio, un'agitazione fastidiosa, ed è strano, perché di solito non mi faccio intimorire da nessuno; con lui è diverso però. È come se riuscisse a leggermi dentro e mi giudicasse per ogni mia azione. È sfiancante la situazione e non siamo neppure all'inizio.
Il cigolio della porta accompagna l'entrata del mio amico. Fatica nel tenerla aperta e contemporaneamente entrare.
Non so cosa fare, mi agito sulla sedia. Forse dovrei andargli incontro, ma non vorrei farlo sentire debole. Perciò decido di rimanere seduta e far finta di niente, far finta di non vederlo. Che stupido pensiero...
Mi vede. Compito non molto difficile data la completa assenza di gente.
Mi sorride, un sorriso tirato, solo di circostanza. Una circostanza obbligata per lui.
<<Scusa il ritardo>> mi dice. Poi alza una mano e richiama il barista. <<Un bottiglia d'acqua naturale ed un tramezzino con l'uovo.>>
Io stringo le labbra, non mi sono mai piaciute le uova. Più che non piacermi mi fanno senso in realtà. Forse perché da piccola mia madre mi raccontò di come nascono i pulcini ed io ingenuamente pensavo che in ogni uovo ce ne fosse uno e tutti noi dunque fossimo degli assassini di pulcini.
Sebastian si volta di scatto cogliendomi in piena esternazione schifata. Faccio subito a cambiare espressione, ma ormai è troppo tardi. Alza gli occhi al cielo ed io mi sento un po' ridicola e pure incazzata.
"Giudica, giudica, giudica, ma alla fine non sa un bel niente! Inizia a starmi davvero antipatico questo tipo."
<<Come ti dicevo scusa il ritardo, ma un branco di scimmioni steroidi-dotati mi ha interrotto la strada rallentandomi parecchio. Sembra vada di moda fare i bulli di questo periodo.>>
<<Oh, mi dispiace>> ammetto sinceramente.
<<Anche a me, ma mi rincuora il pensiero che presto loro lo saranno di più. Quando vedranno le loro belle e costosissime auto... vedrai come frigneranno a mo' di poppanti inconsolabili>> un sorriso sadico si palesa sulle sue labbra. Un sorriso contagioso. E anch'io sono indotta nel farlo, malgrado non sappia cosa abbia fatto per ricompensarli a dovere; immagino di già cento modi diversi con i quali li avrei puniti io. Non amo veder bullizzare i più deboli, non mi è mai piaciuto. Fin da quand'ero bambina mi sono schierata in difesa dei più tartassati, e ne vado fiera. Odio i gradassi e le scatole vuote senza cervello, perché diciamocelo, chi si comporta in quel modo non può che avere un quoziente intellettivo ben al di sotto la soglia di media.
Ma qui di deboli non c'è nessuno, non lo è di sicuro Sebastian.
Lo si capisce immediatamente, basta un solo sguardo per capire che in lui nulla c'è di fragile.
<<Se pensano che solo perché sono costretto su di una sedia a rotella stia lì fermo a subire e a non dir nulla, allora si sbagliano di grosso>> continua con rancore. L'odio gli si legge negli occhi. <<Non sono stupido, so che uno contro sei è una sfida impari persino per uno con gambe funzionanti, ed è per questo che non ho reagito all'istante>> racconta quasi a se stesso, forse un modo per scaricare la tensione accumulata. <<Mi chiamano vigliacco, ma non lo sono, e quando vedranno le loro auto forse, e dico forse perché non ne sono certo, lo capiranno anche loro... o forse no. Sai non è la logica ad accomunarli.>>
<<Forse non dovevi.>> mi permetto di dire io. <<Quando quegli idioti scopriranno ciò che hai fatto, non pensi ricollegheranno te al danno? Posso sapere chi erano?>>
<<Allora mi hai preso proprio per un deficiente, bambolina.>>
Chissà perché la risata mi sembra tanto una presa in giro. Comincio a risentirmi a disagio e riprovare un po' meno simpatia per Sebastian.
<<Ho manomesso i loro motori, ognuno con un problema diverso. Come possono imputare a me il danno? Lo potranno supporre, ma la certezza non l'avranno mai. Dubito che qualcuno di quegli sfigati ne capisca qualcosa di meccanica, finiranno direttamente dal carrozziere e dato che è già venerdì, il weekend sarà rovinato per l'intera comitiva.>>
Il barista porta al tavolo l'ordinazione.
<<Suppongo tu non prenda niente, oltre quella brodaglia ormai fredda, giusto?>>
Malgrado non mi piacciano le uova, il profumo del pane abbrustolito mi fa venire l'acquolina in bocca. Deglutisco e faccio di no col capo.
<<Ah, capisco, devi mantenere la linea, altrimenti chi riuscirebbe più a lanciarti in aria in quelle acrobazie che fate voi... come vi chiamate? Due salti in paradiso?>>
<<Piume d'oro>> lo correggo stizzita. Non mi piace il modo in cui mi denigra.
<<Ah sì, sì, angeli. Ma dimmi la verità>> si sbilancia col busto in avanti ed io ho quasi paura possa cadere. Assottiglia la voce come se stesse progettando un misfatto e quindi prosegue: <<di paradisiaco voi avete poco e niente, vero? Il nome soltanto, oserei dire.>>
<<Allora, parliamo di cose serie?>> lo interrompo seria, senza lasciar trapelare l'inquietudine crescente dentro di me. Non voglio cedere alla tentazione di buttargli in faccia il poco che resta del tè freddo nella mia tazza. Mantengo la calma che deve necessariamente contraddistinguere le brave ragazze come me e ignoro le sue provocazioni. Tanto lo so che il suo obiettivo è quello di spazientirmi così da scoraggiarmi nel lavorare assieme. È un pensiero machiavellico il suo, ma da lui mi aspetto questo ed altro.
Sebastian mi guarda, e il labbro impennato mi fa capire che ha ben capito che oggi non vincerà. Non mi abbasserò al suo stesso livello, perché in realtà i nostri di livelli sono alti e difficilmente uno di noi due prenderà nel sacco l'altro. Se è un gioco mentale quello che ha progettato di fare, allora ben accetto la sfida. Non riuscirà a battermi, d'altronde pure la mia vita non è esente dalle difficoltà, so alzare la testa quando la dura vita lo richiede.
<<Come divideremo i compiti?>> domando io, ma ho già un programma in mente e lo espongo velocemente. Ho fretta di tornare a casa. Mi aspetta un'ora tra metropolitana e treno, ed ho una fame pazzesca. <<Faremo entrambi un nostro progetto. Quello che sarà più adatto verrà preso in considerazione. Per quanto riguarda il plastico, lo avremo a disposizione per dieci giorni a testa. Ma ugualmente almeno una volta a settimana dovremo incontrarci per scambiare idee... lo faremo a casa tua. Il professore ci ha dato a disposizione due mesi per portare a termine il progetto, dunque penso che le volte in cui ci vedremo saranno sufficienti per confrontarci e trovare quella sintonia tale da non farci fare la figura degli imbecilli di fronte al prof.>>
<<Vedo che hai facilmente abbandonato la strada del "lavoriamo assieme">> dice lui soddisfatto.
<<So leggere le parole della gente, anche se non vengono dette chiaramente>> faccio eco alla risposta che mi ha dato lui stesso solo poche ore prima in classe. Sebastian comprende immediatamente il collegamento e ride compiaciuto.
<<Bene, penso mi troverò bene nel lavorare con te. Dammi sessanta dollari per comprare tutto il necessario. Mi offro io stavolta solo per galanteria. Se dovessero avanzare dei soldi te li restituirò a lavoro terminato.>>
Il panico si impossessa di me.
È vero, sessanta dollari per una che frequenta questa scuola dovrebbero essere come scarse briciole a cospetto di una pagnotta di pane, ma per me non è così. Lo guardo smarrita per un istante senza riuscire a dire o fare niente.
<<Ehi, ci sei? Ti ho chiesto sessanta dollari mica la vita.>> Mi sventola la mano dinanzi agli occhi sbarrati.
<<Sì, è solo che in questo momento non penso di averli tutti. Sai, preferisco pagare con le carte di credito; i contanti non li ho spesso...>>
<<Va bene,>> dice scocciato prima di guardare il quadrante dell'orologio da polso, <<dammi quello che hai, e con la carta paga la consumazione, il resto potrai renderlo lunedì a scuola.>>
Comincio a frugare nelle tasche dello zaino. Racimolo qualche dollaro in moneta e altre monete sparse nei vari scomparti. Alla fine mi appello alla pietà divina e controllo nel portafoglio e poi nelle tasche del cappotto con la speranza di trovare qualche banconota dimenticata.
Nulla, solo monetine di piccolo valore. Arrivo sì e no a una decina di dollari scarsi e la vergogna mi colora le guance.
<<Ecco, ho solo questi oggi. Il resto te lo porto lunedì come promesso.>>
Allunga la mano e la moltitudine di monetine gli riempie il palmo. Una faccia allibita e scioccata le fissa per qualche istante; poi sbotta: <<per caso ti sembro una fottuta banca?>>
<<Scusa, non sono soldi?>> chiedo stizzita, senza attendere una risposta, <<e dunque fatteli andar bene>> concludo su tutte le furie. Faccio per alzarmi, ma prima vado alla ricerca della carta prepagata tra le varie tessere fidelity dei supermercati e della palestra.
<<No, lascia stare, faccio io.>> Mi blocca.
<<Assolutamente no, non siamo mica ad un appuntamento>> rispondo risoluta. Se pensa che...
Ma ahimè dovrò cedere perché non ho neppure la carta prepagata con me. Lo guardo con la speranza che lui insista.
Ma non lo fa.
Nuovamente vengo assalita dal panico e dalla vergogna. "Ti prego, insisti, insisti, insisti" strillo internamente; mi mordo un labbro speranzosa, ma non ho il coraggio di fissarlo ancora.
<<Ripeto, pago io>> dice Sebastian dopo secondi interminabili. Penso abbia chiaramente capito la situazione, ma per fortuna fa finta di non averlo fatto.
Io faccio la gnorri, mi sta bene così. In questo caso preferisco che pensi sia stupida piuttosto che pezzente.
<<Devo immediatamente sbarazzarmi di tutte queste monete...>> conclude dirigendosi alla cassa.
Me ne vado con la testa fra le gambe. Con più incertezze e parecchia meno stima di me.
Non ho il coraggio di voltarmi per vedere se lui è dietro di me. Non mi va di percorrere la strada del ritorno con lui. Mi sento in soggezione in sua presenza; una presenza scomoda che non penso potrà mai starmi comoda.
Buongiorno bellissime lettrici, come passerete questo giorno di Pasquetta? Qui da me purtroppo c'è un bruttissimo cielo grigio, ma una passeggiata sulla spiaggia è d'obbligo anche così.
Una bacione a tutte la vostra Fede❤️
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