2.False apparenze
I miei occhi non smettono di guardarlo, attendo che sia lui a dire qualcosa per primo. Gli continuo a sorridere amichevolmente e non gli faccio capire che in realtà ho compreso tutto. Mi è chiaro quanto non gli sia simpatica, anche se non so perché.
<<Okay, io studierò e realizzerò il progetto, tu ti dedicherai al plastico>> sbotta sentendosi tallonato da me.
<<Aspetta, cosa?>> chiedo incredula.
Se pensa di scamparla così vigliaccamente si sbaglia di grosso. <<Il tutto dovrà essere fatto insieme, e malgrado io debba rivedere chiaramente i miei progetti,>> lo guardo con un'espressione scocciata, <<comunque dovremo lavorare in coppia.>>
<<E come mai dovrai rivedere i tuoi progetti? La parola "malgrado" per caso ha una stretta correlazione con la mia sedia a rotelle?>> mi inchioda sul posto. I suoi grandi occhi del color del cioccolato non smettono di intimorirmi. Sono fermi, immobili. Mi stanno giudicando, ed io ho cominciato a sentirmi a disagio, perché, dopotutto, il ragazzo ha ragione ed io non so cosa inventarmi per sfuggire dalla disagiante situazione. Sono un coniglio in trappola, troppo vigliacca per svignarmela.
<<No!>> sbotto io quasi urlando. <<Ma cosa dici?!>> continuo con una voce stridula e antipatica, che rende chiaro anche ad un cieco il mio stupido tentativo di arrampicarmi su uno specchio.
<<Perché ho ben capito quanto tu non sia felice di stare in coppia con me e dunque sarò a disagio durante tutto il periodo dello studio.>>
Pessima scusa.
Lui ride. Non l'ha bevuta neppure per un secondo. Scrolla la testa e ride ancora.
<<Furbetta, ti ricordo che sono paraplegico, mica demente>> rivela senza peli sulla lingua. <<So leggere le parole, anche se non dette. Qui tutti cercano di evitarmi, ma poi, scossi da un flebile rancore o più comunemente dalla voglia di apparire e farsi belli agli occhi degli altri, fingono di provar pena verso il sottoscritto e interpretano una ridicola scenetta coll'intento di compiacermi. Bambolina>>, mi richiama sugli attenti ed io divento ritta e tesa come se avessi risposto all'appello di un generale, <<ho visto la tua faccia quando il professore ha pronunciato il mio nome, non sono affatto scemo, le ho capite le emozioni di sconforto, paura e pena che hanno attraversato i tuoi begli occhietti da cerbiatto.>> Ride velenosamente e dunque elenca: <<sconforto: perché pensi che uno come me ti possa rallentare e non potrai visitare la città alla ricerca dell'arte come desideravi.>>
Comincia male per me, penso, e segue pure peggio.
<<Paura: perché malgrado le interminabili ore di volontariato, non hai la minima idea di come ci si possa approcciare ad un ammalato. Svegliati dolcezza!>> Quasi strilla. <<Io non sono malato, sono semplicemente seduto su di una sedia con delle rotelle. E alla fine, pena: perché pensi che uno come me non potrà mai essere felice come le persone normali>> apostrofa l'ultima parola con sdegno.
Io, malgrado lo stessi guardando dall'alto, mi sento piccola ed insignificante al pari di una formica. Sembra che mi abbia letto nel pensiero. Ha reso chiaro persino a me ciò che confusamente ho pensato in quei pochi secondi. Ed ora, come ne esco? Opto la carta dell'attacco. Sono brava in questo, lo faccio sempre anche con mia madre.
<<Ma cosa ne sai tu di cosa penso? Che ne vuoi sapere di come mi sento ogni giorno? Parli perché le persone ti hanno ferito. Mi dispiace, okay? Ma non pensare che solo perché non puoi camminare allora puoi permetterti di far del male agli altri. Sei stato sgarbato e scortese con me, lo sei con tutti. Sai ti ho osservato in questi due anni dal tuo arrivo in questa scuola. Rivolgi a malapena la parola al tuo compagno di banco, sei schivo e solitario, non ti meravigliare quindi se la gente ti evita. È vero, faccio volontariato per poter raccogliere più punti extra possibili, non lo faccio perché sono Maria Teresa di Calcutta, ma nemmeno per rendermi figa agli occhi di questi quattro damerini arricchiti, e poi sì, perché un pochino mi piace.>> Mi blocco, inconsciamente sto rivelando più di quanto io mi sia prefissata di dire. Sbuffo, ma sembra che con la verità Sebastian si sia acquietato leggermente.
<<Va bene>> dice, più calmo. <<Allora a fine lezione incontriamoci al bar della scuola. Ci divideremo i compiti. Resto comunque dell'idea che ognuno dovrà lavorare per conto proprio.>>
Ruota la seduta con poche e veloci manovre e quindi se ne va. Io resto immobile a fissarlo mentre scompare tra la folla. Le persone si scansano, a volte, per farlo passare, altre neppure si accorgono del suo procedere nervoso e spesso è costretto a fermarsi per chiedere il permesso di proseguire.
Non deve essere stato facile per lui. Non mi sono mai calata nei panni di un ragazzo paraplegico o comunque portatore di un handicap, ma sarà davvero difficile essere circondato da una società menefreghista e accecata dagli eccessi. Una società che rinnega l'anormale e si veste di falsa perfezione. Soprattutto nella nostra scuola dove i soldi e l'apparenza di una perfezione esteriore rappresentano tutto ciò che conta, uno come lui avrà trovato davvero poco spazio per sentirsi parte del collettivo.
Calo la testa reggendo stretti al petto i libri della lezione appena terminata. La chiacchierata con Sebastian mi ha prosciugato ed ha cominciato a incidere in me un solco che, ancora non so, ma ben presto verrà riempito da un fiume in piena di colpe e rimpianti.
***
Lo aspetto seduta su di una sedia di questo spoglio bar da mezz'ora ormai. Sono convinta che non arriverà più. È ora di pranzo e ci siamo solo io ed il barista a guardarci di sfuggita. Lui sicuramente si chiederà perché mi intrattengo così a lungo di fronte ad una tazza di tè ormai freddo. Non ho ordinato nulla da mangiare. Non posso saziarmi delle schifezze esposte nei ripiani in bella vista. Panini farciti, pizze oliose, dolci super calorici, ma l'acquolina in bocca non manca. Penso che Margaery mi ucciderebbe anche solo a vedermi respirare tanta tentazione. Devo mantenere un certo contegno oltre che una linea impeccabile. Le cheerleader devono essere belle e perfette durante qualsiasi stagione dell'anno. Che faccia freddo o caldo, con maglioni e calze coprenti o con le gambe scoperte.
Indossiamo una divisa qui a scuola; gonna, camicia e calzettoni durante i periodi più caldi e la stessa gonna con maglione e calze pesanti per quelli più freddi. A noi cheerleader è tacitamente concesso accorciare la gonna di qualche centimetro, cosicché non arrivi più al ginocchio ma un tantino più in basso di mezza coscia. Io non ne sono pienamente soddisfatta, odio esser guardata e giudicata solo per il mio aspetto fisico, ma mi tengo per me i pensieri. Non penso che a qualcuno interesserebbero.
Eccolo che arriva, lo riconosco dalla folta e spettinata capigliatura castana che spunta oltre la siepe. Sta costeggiando il vialetto, tra pochi secondi svolterà a destra ed entrerà nel bar.
Buona pasqua a tutti ❤️❤️❤️
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