Prologo


Aveva fatto un sogno, di quelli rari che si sentono davvero sulla pelle.

Erano anni che non si trovava ostaggio di un simile limbo. Provava a svegliarsi, a muovere il corpo paralizzato sul letto, ma ogni tentativo le era vano.

Che poi, all'inizio, non somigliava affatto ad un incubo.

Si era acceso tutto in una brughiera soleggiata, persino il canto dei cardellini era incredibilmente nitido.

Frida si guardò intorno, alzando il capo per vedere il cielo lilla sfumarsi su di lei. Si sentiva in una delle favole che inventava per Atali.

Era del tutto nuda, con la pelle pulita priva di ogni ingombrante tatuaggio. Frida si toccò il petto ed i fianchi, esaminandosi con agitazione in cerca dei suoi eterni disegni scomparsi.

I suoi capelli erano veramente lunghissimi, le punte chiare le solleticavano il tendine dei talloni. Non aveva mai avuto una chioma tanto lunga e folta; dallo stupore divise i capelli in due grandi ciocche portandosele in avanti. Così facendo poté coprire i grossi seni, lasciando comunque nudo l'addome ancora un po' tondo dalla maternità recente.

Atali aveva due anni e Frida si era di già premurata di darle una sorella. Lei ed Axel avevano concepito la secondogenita durante il loro viaggio di nozze, ed anche se l'arrivo della nuova bambina era stato inaspettato fu di gran lunga più desiderato di quello di Atali.

Axel soprattutto ne era incredibilmente felice, come se finalmente avesse conquistato il ruolo completo di padre con una figlia che gli somigliava.

Frida ed il marito avevano deciso di chiamarla Amaltea, come una delle lune di Giove. All'epoca di quel sogno la piccola aveva già compiuto un anno.

In questa figlia Frida riusciva a vedere qualche accenno di se stessa, anche se Axel le aveva tramandato gli occhi verdi ed il rutilismo lieve, molti altri piccoli dettagli rendevano Amaltea degna figlia di sua madre.

La stanchezza era talmente tanta in quel periodo con le due bambine piccole, che raramente Frida ricordava di aver sognato qualcosa.

Quella notte inaspettata qualcosa l'aveva tratta come in inganno, facendola vivere in un sogno.

Frida sentì formicolare le dita all'improvviso. Abbassò lo sguardo e distese piano le mani in avanti. Tutte e dieci le sue dita erano riempite di anelli neri fino alla prima falange. Erano tutti sottili e lisci, proprio come quello in ossidiana che aveva spezzato per dire addio a Loki.

Di ogni dimensione i piccoli e grandi anelli le appesantivano persino i pollici e i mignoli. Provò a sfilarne qualcuno, ma era come se le fedine di pietra lavorata fossero incastrate nel peggiore dei modi alle sue dita.

L'agitazione stava facendo diventare il canto dei fringuelli il minaccioso gracchiare di corvi aggressivi, e nuvole scure stavano nascondendo i raggi del sole caldo.

Il cuore di Frida batté velocemente, arrivando ad un picco massimo che le dilatò le pupille.

Chiuse con forza le palpebre, accartocciandole fastidiosamente. Si strinse i pugni al petto raggomitolandosi con le spalle per provare a proteggersi.

Restò immobile nell'attesa che quella brutta ansia smettesse di spaventarla e metterle pressione. Contrariamente ad un concreto stimolo fisico, Frida non si smosse neanche con sorpresa quando la presenza alta e fredda alle sue spalle la cinse tra le braccia. Ne era ovviamente sorpresa e intimorita, ma restò calma. I muscoli tesi si sciolsero, e poco a poco gli occhi azzurri si riaprirono.

Le mani estranee, pallide e asciutte, si aggrovigliavano tra di loro come una cintura sulla vita morbida di Frida. Il petto nudo e liscio appoggiato alla sua schiena le riversò sulla pelle un brivido leggero.

Sollevò il capo voltando il collo indietro, provando a vedere il volto dell'uomo alle sue spalle.

Subito sorrise timidamente, poggiando il mento sulla sua stessa spalla ossuta.

Loki sciolse le proprie dita seguendo il sentiero del ventre di Frida. Salì con i palmi grandi fino ai suoi seni, palpandoli con bramosia erotica. Vi passò in mezzo poi, per raggiungere la gola. Con una mano le strinse la base del collo mentre con l'altra le alzò con impertinenza il mento.

Frida si lasciò sfuggire un gemito, rimanendo con le braccia stese sui fianchi.

«Lasciami in pace.» gli disse Frida con disperazione.

Loki si chinò più vicino all'orecchio di Frida. Spinse in avanti il bacino appoggiandole la punta del membro già eretto in mezzo alle natiche.

«Dimmi se lo vuoi anche tu, altrimenti ti lascerò andare.» Loki le sussurrò dritto nell'orecchio, rendendo Frida ancor più schiava di quell'oblio.

Il fallo turgido di Loki era già pronto, e lei lo sentiva, liscio e spesso, a toccarle le labbra poco bagnate. Strinse le mani di lui conducendole nuovamente sui suoi seni, e premette la punta del naso su una guancia liscia di Loki.

Frida si riempì il petto con un profondo respiro, provando ad identificare il profumo immaginario del dio del caos.

Era cosciente del fatto che tutto quello scenario fosse un sogno, eppure la sensazione della durezza di Loki spinta appena contro la sua entrata sembrava reale.

Loki la abbracciò con amore, invitandola a guardare davanti a loro.

«Guarda che spettacolo hjörtu. Odino ci sta graziando.» Loki aveva in voce una connotazione ingenua e malinconica.

Nel cielo blu e nero una tempesta di fulmini silenziosi impazzava in mezzo alla foschia delle nuvole. Era spaventoso, eppure quella paura fece sentire Frida spettatrice dello spettacolo più bello a cui avesse mai partecipato.

«Dunque?» le domandò Loki accarezzandole i lunghissimi capelli castani sul petto.

Frida voltò il torso reggendosi meglio con una mano sulla mascella di Loki. Lo guardò fisso negli occhi come se non se ne fosse mai andato dalla sua vita.

«Fammi tua.»

Loki non aspettò altro; la divorò in un breve e vorace bacio, capace di mordere le labbra e la lingua di Frida. La penetrò in maniera diretta, accolto impazientemente dalle pareti elastiche di Frida già bagnate.

Frida tirò indietro il capo e strillò sonoramente. Non si aspettava una simile dominazione.

Loki le spinse la schiena verso il basso, tenendole i folti capelli in una mano per farla restare in equilibrio in piedi. Le tenne una coscia per assicurarsi di starle in profondità continuativamente, tirandole le lunghe ciocche come fossero funi tese.

Frida gemette sempre più forte. Si liberò dalla forza di Loki e roteò i capelli in maniera selvaggia e sensuale con uno scatto del collo. Aggressivamente cercò altri baci, quando invece Loki stava affondando in punti ben adatti ed azzeccati.

Ricaddero entrambi in ginocchio, sul suolo che era ricoperto di terriccio morbido e scuro, per niente fastidioso.

Frida si sorresse carponi agguantando il fango per assecondare il suo piacere incontrollato. Loki spingeva dentro e fuori, completamente bagnato dall'eccitazione di Frida.

Infine le strinse forte i glutei e venne a lungo, provando a spingersi fino in fondo.

Voleva assicurarsi che il suo seme arrivasse nella fecondità di Frida.

Esausta e affannata la ragazza si voltò sorridendo per guardarlo, alla ricerca della loro sempre viva complicità.

Loki le rispose ridendo allo stesso modo. Accarezzò il viso sudato e scompigliato di Frida, osservandola con l'espressione corrotta ed indecifrabile.

«Daremo vita ad una nuova luce.»

Furono le ultime parole di Loki e poi Frida si svegliò, girandosi sull'altro fianco. Scossa e stordita da quel sogno a tratti sospetto, si rasserenò guardando Axel cullare Amaltea.


Trascorsero nove mesi, 37 settimane per l'esattezza, da quel sogno inteso e breve. Delle volte a Frida pareva di sentir formicolare ancora le dita per colpa di tutti quegli anelli.

Che in verità quel ricordo astratto fosse un rito Frida non lo capì nemmeno quando si svegliò urlando nel bel mezzo della notte.

Di rune Loki ne pretendeva ancora, Frida non gli era bastata, nemmeno Atali era stata abbastanza.

Il dio del caos reclamava altra magia, come una creatura titanica con un appetito insaziabile.

Frida sognò ancora poco prima di levarsi in un tremendo risveglio. Il luogo in cui si trovava era buio e sinistro. La neve alta in cui i suoi piedi scalzi affondarono la gelava fin sopra alle caviglie. Indosso aveva una leggera veste di lino bianco, e Frida si strinse le spalle in un abbraccio a se stessa per provare a scaldarsi.

Il vento rumoroso le si scagliava addosso, spingendola in avanti come a volerla condurre da qualche parte.

Così Frida si trovò difronte ad un'alta parete di roccia grigia, erosa a gradini in maniera spigolosa e sottile. La natura di quella pietra somigliava alle increspature del mare sulla riva.

Frida, stranamente incuriosita, si soffermò ad analizzare quel muro grigio. Emanava un'inspiegabile energia magnetica, che la portò a toccare il minerale gelido senza alcun motivo apparente.

Accarezzò la roccia, chiudendo gli occhi serenamente. Le parve di toccare qualcosa di vivo.

Quando risollevò le palpebre non ebbe il tempo di mettere in salvo la vista; una luce accecante oltrepassò il palmo della sua mano, emanata direttamente dalla pietra.

Frida si tirò a sedere di scatto sul letto, svegliata dal suo sonno; la paura fu accompagnata da un improvviso e tremendo dolore al costato, che la allarmò terribilmente. Era lo stesso punto in cui Malekith, tempo addietro, le aveva asportato la carne.

E poi non riusciva a vedere nulla. Spalancò gli occhi ma solamente il buio le toccò le retine.

Iniziò a strillare nel panico, piegata su se stessa a causa del dolore, ed agitando le mani intorno a se per cercare un appiglio nell'oscurità.

Axel si svegliò immediatamente per via di quel brusco scatto da parte di Frida. Le si avvicinò spaventato, provando a capire cosa le stesse accadendo.

L'unica spiegazione che riusciva ad estrapolare da Frida era un lamentato dolore alle costole, e poi in lacrime strillava: «Non vedo nulla! Non ci vedo!»

I suoi occhi erano necessari a Loki, per questo glieli aveva rubati; a Jötunheimr il figlio di Laufey stava lavorando faticosamente con le mani in mezzo alla pietra grigia, e gli occhi di colore celestiale sottratti alla sua Frida.

Gli servivano per poter trovare l'anima di quella creatura concepita in sogno, e tenuta nascosta nello spazio vuoto tra le costole di Frida per permetterle di svilupparsi.

Era un parto molto simile a quello di Atali, anche questa volta Loki stava soffreddo allo stesso modo di Frida.

I suoi capelli erano allungati; la base stava ricrescendo nera, creando un evidente distacco tra il colore corvino ed il rosso lucente donatogli da Thurisaz.

Pochi minuti, e poi il dolore passò per entrambi.

Frida ricadde con la schiena sul letto, ansimando. Il dolore era cessato all'improvviso e la vista le stava ritornando gradualmente.

Loki, invece, si aiutò sorreggendosi con una mano sulla parete di roccia. Una nuova infante piangeva nel suo possente braccio di colore blu. La bambina chiara come neve pareva albina per via dei capelli bianchi sul suo piccolo capo.

Loki rise, felice come non lo era da parecchio tempo.

Per tutta la gestazione di Frida era stato a vegliare la roccia in cui aveva scelto di depositare l'anima della piccola attraverso la magia.

Non era stato difficile, poi, sorvolare i sogni di Frida per raggiungerla come altre volte in passato.

Nata dalla pietra da cui aveva preso il nome, Ardesia piangeva disperata alla ricerca di calore.

Loki riponeva nuove speranze: era finalmente nata la legittima regina degli otto regni.

Jötunheimr sarebbe stata la sua nuova Asgard.


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