La cena era il momento preferito dalla famiglia di Frida. Che fosse inverno gelido, con il vento pericoloso a soffiare sul mare, o un'afosa estate in cui tutte le finestre rimanevano spalancate, la loro cucina bianca e accogliente riuniva tutti e quattro ormai da anni.
Il tavolo da pranzo era rotondo, ed ognuno aveva la propria postazione gelosamente scelta per forza d'abitudine.
A fine pasto, dunque, si restava a chiacchierare per qualche minuto di argomenti di ogni genere, e degli eventi della giornata appena trascorsa. Quando mangiavano l'anguria gareggiavano a chi sputasse più lontano il proprio semino nero, e d'inverno si sfidavano a morra cinese per decretare chi avrebbe dovuto lavare le stoviglie sporche.
Quella sera, come molte altre, Frida era avvolta con un braccio da Axel, accoccolata al suo petto come se fossero ancora due adolescenti. Atali, non riuscendo a reprimere il suo brutto vizio, stirò le gambe anche nella sua parte di tavola, mentre Amaltea si stringeva le ginocchia al petto, facendosi piccola piccola sulla sedia.
Le tre donnine stavano cercando di far rilassare Axel, disturbato e seccato per il nuovo tatuaggio di Atali in bella mostra sul petto. Persino la timida Amaltea, intimorita inutilmente, aveva preso le difese della sorella maggiore.
Axel non era minaccioso, ed in fondo si era già sciolto, mostrava solamente un insopportabile seccatura fin troppo orgogliosa. Frida lo abbracciava ridendo, conoscendo benissimo il suo tenero Axel.
«E' un disegno piccolo piccolo, non si nota nemmeno.» insistette Atali come a volerlo conquistare. Con quello sguardo da cagnetto bastonato sapeva di tenere in pugno il padre.
Amaltea sollevò il mento dalle ginocchia; «E' poi ha un significato profondo, merita ogni vanto.»
Axel provò a nascondere il sorriso sforzandosi di non mostrare i denti. I baffi lunghi e rossicci tradirono gli angoli all'insù delle sue labbra.
«Tua madre vi dà un'esempio sbagliato, tutta colorata come carta da parati!» scherzò infine, non guardando Frida di proposito.
Lei si finse offesa, allontanandosi dalle sua braccia. Lo guardò con disappunto scherzoso, puntandogli il dito contro; «Ah si? Sarei una carta da parati?»
Tutti scoppiarono a ridere, mentre il vento sollevava la sabbia là fuori.
Atali si allontanò dalla tavola per dirigersi verso il frigorifero. Aveva voglia di un sorso d'acqua fresca, e proprio lì vicino alla parete stava appeso il telefono d'epoca rosso sgargiante. Il filo arricciato pendeva aggrovigliato, e la cornetta liscia fece venire in mente ad Atali la strana telefonata ricevuta.
«Quasi lo avevo dimenticato» disse, tornando a sedere al suo posto. «Oggi, quando siamo tornate a casa con Amèlie, uno strano tizio ha telefonato dicendo che cercava te mamma.»
Frida scosse il capo, sorpresa: «Me?»
«Hai un ammiratore segreto per caso?» scherzò Axel.
Frida sorrise; «Chissà, magari è un cliente a cui hanno lasciato il mio numero privato.»
«Poveretto, avrà aspettato che lo richiamassi tutto il giorno, ormai è tardi.» Atali si spostò i capelli disordinati dietro le orecchie.
«Domani lo richiamerò non appena avrò un momento, ti ha detto il suo nome?» chiese Frida ad Atali. La ragazza cambiò espressione, come se fosse infastidita; «Anche quello era strano, ha esitato prima di rispondermi, e poi ha detto un nome insolito, che non ho mai sentito in vita mia. Che fosse arabo? Era tipo Liem...»
Atali non riuscì a pronunciarlo, dimenticandosi alcune lettere; «Amaltea aiutami, l'ho detto subito a te!»
La sorella minore fece spallucce: «Non ne ho idea, non sei stata chiara nemmeno con me.»
«Li... L-Liesmith...»
Frida sobbalzò. Restò in silenzio a fissare Atali, sentendosi mancare la terra sotto i piedi.
«Liesmith? Ne sei sicura?» pose quella domanda con un filo di voce, gelida e fredda. Amaltea si preoccupò terribilmente vedendo come gli occhi cristallini di sua madre si erano spalancati di paura.
Anche Atali si insospettì; «Sì, credo si chiamasse in quel modo.»
Frida si voltò volgendo le spalle ad Axel. Lui si allarmò, domandandole se si sentisse bene. Frida annuì, fingendo un sorriso per tentare di rassicurare la sua famiglia.
Si alzò in piedi strisciando la sedia in terra rumorosamente.
«Scusate, devo andare un attimo in bagno.»
Axel restò seduto un po' scomposto sulla sua sedia, incerto su cosa fare. Lasciò Frida sola, restando con le ragazze per non dargli maggiore preoccupazione.
«Che le prende?» domandò Atali quasi seccata, come se la colpa fosse stata la sua.
«Non ne ho idea, e non so nemmeno chi sia quest'uomo.» rispose Axel, pronto a raggiungere la moglie.
«E se la mamma avesse uno stalker?!» suggerì Amaltea, spaventata.
«Tu guardi troppe serie tv, non dire stronzate!» esordì Atali, trasformando la loro preoccupazione in un dialogo solitamente idiota.
Axel però, angosciato, lasciò le figlie stuzzicarsi per raggiungere Frida.
Bussò alla porta del loro bagno in camera al piano superiore, aspettando che Frida rispondesse. Lei balzò dallo spavento quando sentì i due colpi dati contro il legno bianco della porta.
Sorretta ai bordi del lavello con il volto bagnato dall'acqua gelida, respirò profondamente e si guardò riflessa nel grande specchio appeso alla parete; «Sì, avanti.»
Axel aprì con gentilezza la porta, richiudendola per accertarsi che lui e Frida avessero la propria privacy. Le si avvicinò con calma, abbracciandola da dietro con il suo incommensurabile amore. Frida rilassò le spalle, sorridendo sinceramente. Suo marito era il suo migliore amico, quale tesoro più prezioso di quello?
Frida si lasciò cullare dall'altezza imponente e protettiva di Axel, chiudendo gli occhi.
«Sei sicura di star bene?» le domandò, baciandole il capo.
I capelli bruni e lisci di Frida erano stati fatti crescere senza controllo, ben curati e adorati, le scendevano lungo la schiena fino ad arrivare alle natiche. Chissà se continuando in quel modo sarebbero arrivati alle caviglie, come in quel suo lontano sogno sessuale.
Frida annuì, rendendosi conto di saper fingere meglio di quanto credesse. Anche se Axel era difficile da ingannare poiché a conoscenza ogni mossa di Frida, si lasciò persuadere, almeno per il momento.
«Sì, non preoccupatevi, in questo periodo il lavoro è molto, ho parecchi disegni da finire anche a casa. Mi servirebbe una pausa, una bella vacanza.» rispose, guardandolo negli occhi.
«Quel nome misterioso sembra averti turbata.»
Frida scosse la testa con gentilezza: «Oh, no ti sbagli. Credo di averlo confuso con il nome d'arte di qualche mio vecchio insegnante, ma sarà di certo un cliente interessato a chiedermi di tatuarlo. Scusa ancora, le ragazze si saranno preoccupate.»
«Lascia stare, staranno già parlando di altro» la rassicurò Axel «Adesso riempi la vasca e fai un bel bagno rilassante, dopodiché dritta a letto!»
Frida rise timidamente; «Va bene papino.»
La coppia si baciò, con quella calorosa abitudine genuina che li accompagnava ormai da molti anni.
Axel lasciò in pace la povera moglie stressata, tornando ad occuparsi delle ragazze e a riordinare la cucina. Frida si strinse i gomiti con le mani, restando ferma in piedi al centro del bagno per qualche secondo.
I gesti che seguirono il suo bagno caldo e profumato furono automatici; si sentiva perseguitata, senza via di scampo.
No, non poteva davvero essere Loki, e farle uno squillo al telefono non era affatto il suo stile per farsi vivo.
Non si era posta troppe domande la notte in cui aveva perso la vista e si era contorta dal dolore, in fondo sapeva che dentro di lei qualcosa di magico si agitava costantemente.
Nessuno meglio di lei avrebbe potuto capire che quell'evento non era stato affatto normale, ma i giorni passarono, e non ci furono ulteriori conseguenze.
Tante furono le ipotesi di cui si auto convinse Frida, ignorando quel piccolo -grande- segnale per l'amore della sua felice normalità.
Ma quella telefonata era un altro inquietante segnale.
Liesmith era il modo in cui Loki veniva denominato tra i bordelli di Asgard, e nessuno, tranne lei, Loki, ed il povero defunto Yaakr, sapevano di quell'appellativo.
Frida non riuscì a chiudere occhio, una volta sotto le coperte assieme ad Axel non le restò che fissare il soffitto illuminato dalla luce lunare.
Supina con le mani al petto come fosse in una bara, Frida non trovava conforto.
Esasperata saltò già dal letto, ed era una fortuna che Axel avesse il sonno così pesante, nemmeno di accorse che Frida aveva lasciato la camera da letto padronale, sceso le scale e raggiunto il telefono.
L'orologio segnava l'una e trentaquattro di notte. La cornetta fredda premuta contro l'orecchio pieno di orecchini d'oro, e le labbra secche a sfiorare la superficie puntinata del microfono.
Sette, otto, nove, dieci...
Scivolarono dodici secondi nel silenzio prima che le dita, sospese e tremanti a mezz'aria, replicassero e contattassero il numero in questione.
Al primo squillo Frida fu travolta dalla spaventosa foga di riattaccare e sbattere il telefono contro il muro, ma il battito frenetico del suo cuore l'aveva ibernata sul posto.
Sorrise ad un certo punto, sollevata dal fatto che nessuno rispondesse. Ma certo, sì, Atali aveva di certo capito male, e quel nome mal pronunciato era stato solo frutto di una coincidenza o della soggezione.
«Carcere Attica Correctional Facility, come posso aiutarla?» la voce maschile dall'altro capo del telefono era stanca e seccata. Di certo stava maledicendo Frida per l'ora tarda. Lo squillo rumoroso del telefono nel corridoio della prigione aveva reso ancor più di malumore quella guardia di turno, che aveva risposto alla chiamata della donna.
«Sì, salve, scusi per l'ora...»
«Spero sia un'emergenza.» le disse seccato l'uomo.
Frida deglutì, sentendosi a disagio; «N-non... no, spero non sia davvero un'emergenza. Vede, oggi mi avete telefonata mentre ero irraggiungibile e...»
La donna si interruppe, sorridendo a se stessa con nervosismo; «Mi perdoni, lasci perdere, sono solo una sciocca, mi rendo conto che la mia telefonata è inopportuna.»
«Qual è il suo nome?» domandò l'agente per scrupolo.
«Frida Anderson.»
«Oh» l'uomo sembrò spiazzato, come se temesse addirittura qualcosa. Quello in cui prestava servizio era un carcere di massima sicurezza dello stato di New York, e comunque Frida non riusciva ad immaginare un nesso tra Loki e quella struttura.
«Sì, un nostro detenuto ha chiesto di potersi mettere in contatto con lei.»
Frida tremò, terrorizzata e sconvolta; «Chi sarebbe?»
«Attenda qualche minuto in linea se le è possibile.»
Frida non ebbe modo nemmeno di rispondere, l'uomo dall'altro capo del telefono si allontanò velocemente lasciandola in attesa. Lei poggiò la schiena contro la parete fredda della sua cucina, al buio. Fissava il paesaggio notturno in mostra attraverso la grande portafinestra difronte a se. Con entrambe le mani tremolanti provò a tener ferma la cornetta del telefono all'orecchio, ansimando come se stesse per avere una attacco di panico.
I minuti trascorsero lenti, spaventosi. Basta, voleva tirarsi fuori da quel pasticcio appena nato, avrebbe dovuto interrompere la linea e tornare a letto. Era spaventata ed impreparata, non sarebbe sopravvissuta a quello che stava immaginando.
«Piccola Frida, eccoti. Non riuscivi a prendere sonno, bambina?»
Un urlo senza suono si bloccò a metà della gola di Frida, facendola gemere. Le lacrime, un misto liquido di terrore e sgomento, le riempirono gli occhi.
Il tono insolente al telefono le parlò ancora, con il solito sarcasmo provocatorio; «Sapevo che ti avrei lasciata senza fiato, la cosa mi eccita.»
«Non puoi essere chi penso io.» bisbigliò Frida arrabbiata con lui.
«Invece ti sbagli, sono proprio io.» la voce era resa poco metallica dall'interferenza del segnale telefonico, ma era palese la nota di superiorità che etichettava quell'essere.
Frida iniziò davvero a piangere: «Cosa vuoi da me?!»
«Vedi, abbiamo parecchie cose di cui parlate tu ed io.»
«No! Non ho più niente da dirti!»
«Frieda abbassa il tono, non vorresti mica svegliare il tuo dolce maritino.»
«Non parlarmi in questo modo razza di bastardo psicopatico!» ringhiò lei, sudando.
Loki rise, destabilizzando ancora di più Frida, come se si divertisse a giocare con lei in quel modo.
«Ascoltami, ho avuto qualche problemino con la legge di questi tempi, ma non preoccuparti, è stato tutto premeditato, non avevo altro modo per raggiungerti. Basta sogni, dopo quella brutta sorpresa che ti ho fatto prendendo in prestito la tua vista non volevo più spaventarti.»
«Sapevo che c'era il tuo zampino, come hai osato?! A cosa ti sono servita?!»
«Te l'ho detto, dobbiamo affrontare una lunga conversazione.»
«Stammi bene a sentire, non voglio mai più sentirti, né tanto meno vederti o persino sognarti! Tu mi hai abbandonata, sei un essere spregevole e ormai ti ho lasciato nel passato.»
«No, non lo hai fatto. Sappiamo entrambi che io vivo in te ogni giorno, perché anche tu sei con me tutti gli istanti.» Loki calmò il tono. Era malinconico e angosciato.
Frida tirò sul col naso aggrottando le sopracciglia; «Basta Loki, ti imploro, così mi uccidi.»
«Tra una settimana ritornerò Jötunheimr, è già tutto programmato. Non è un avvertimento, ma un consiglio spassionato; raggiungimi anche tu assieme ad Atali» gli fece male pronunciare il nome della figlia, così come bruciò a Frida sentirglielo dire «nuotate a largo nel mare a casa vostra, quando giungerete ad uno scoglio ricoperto di coralli immergetevi, al resto penserò io.»
«Sai che non lo farò mai.»
«Oh e invece si, non ho dubbi che lo farai.»
Frida, frustrata, strinse i pugni e riattaccò. Si portò le mani tra i capelli scivolando con la schiena contro il muro fino a sedersi per terra. Provò ad essere silenziosa, ma il pianto frustrato e sconvolto la soffocò.
«Mamma?»
Quel debole suono spaventato fece voltare Frida di colpo. Colta in fragrante si sentì un verme, estremamente vulnerabile. Nessuna delle sue due figlie l'aveva mai vista in quello stato, nemmeno nella peggiore delle situazioni, ed Atali ne era letteralmente terrorizzata.
Frida si asciugò le lacrime con le mani rimettendosi in piedi.
«Che ci fai ancora in piedi?» le domandò con un verso tenero.
Atali, restando preoccupata, continuò a chiedere; «Mi sono svegliata per andare in bagno ed ho sentito che parlavi al telefono. E' l'uomo che ti ha cercata oggi, non è così? Chi è?»
Frida si sentì molto più che avvilita, spinta al muro come se sua figlia fosse un predatore dal quale non avesse modo di difendersi.
«Torna a dormire. Non è nulla che ti riguarda.»
«Ed invece mi riguarda eccome. Guardati mamma!» Atali evitò la mano della madre che provò a poggiarsi sulla sua spalla. Entrambe avevano paura, ma per ragioni diverse. Frida guardò Atali dritta negli occhi e scoppiò in un pianto insonorizzato ma tempestoso.
Persino Atali dovette trattenere i singhiozzi.
«Mamma non capisco, ti prego spiegami cosa sta succedendo.»
«Atali perdonami, anche se so di non meritarmelo.» disse Frida tra i singhiozzi.
«Cosa?» sbottò la ragazza disperata.
Frida le strinse una mano e le si avvicinò meglio; «Ti ho tenuta nascosta la verità sin dal giorno in cui sei nata, e adesso questo peso è diventato insostenibile per me. Ho raggiunto il limite.»
Atali sembrò una bambina, con gli occhi verdi brillanti e nervosi.
«Né io né tu siamo pronte ad affrontare tutto questo, ma ripensandoci non lo saremo mai state comunque.»Frida sorrise con amarezza con il viso bagnato dalle lacrime; «Atali tu non sei la vera figlia di Axel, tuo padre è il dio del caos, è Loki Laufeyson.»
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