Capitolo 18

Non pensava che sarebbe mai diventata madre, tantomeno moglie. Per qualche istante astratto aveva creduto che sarebbe potuta diventata regina, o addirittura re. Loki avrebbe permesso qualsiasi cosa pur di elevare la sua Frida, la morte l'aveva già affrontata per lei, ed era risorto addirittura, un atto molto più estremo del trapasso stesso. Ma Frida ora era madre ben di tre figlie, moglie dell'uomo che conosceva sin dall'adolescenza e quel palazzo in cui era ospite le trasmetteva un potere arcaico, come se di diritto ne fosse già la regina.

All'oscuro dell'incantesimo lanciato da Loki, né Frida né Axel si resero conto dei giorni che trascorsero lenti e gelidi. Le notti scandivano il passar del tempo prezioso, quando il sesso -e l'amore- erano un caldo focolaio in una tempesta di neve che si abbatteva sulle forti pareti di roccia della fortezza. Ad Atali e Amaltea quella sottospecie di viaggio fantastico non era piaciuto sin dall'inizio, e nutrivano un forte senso di inquietudine e ansia nel rimanere ancora, senza che i loro genitori mostrassero un accenno di lucidità. Di ritornare a nuoto dalle acque gelide da dove erano arrivate non ne volevano sapere affatto. Le due sorelle discutevano spesso in segreto nella loro grande camera fornita di ogni comfort, accertandosi che la porta fosse ben chiusa e che il tono delle loro voci fosse un bisbiglio indecifrabile.

La semidea incalzò con piani intraprendenti e drastici, come ad esempio distrarre Loki e aggredirlo per fuggire. Amaltea aggrottò la fronte, la forma delle sue sopracciglia si evinceva soltanto dalle delicate rughe d'espressione.

«Non ci tiene prigioniere.» ammonì la sorella minore.

«E' quello che vuole farci credere, qui sembra che tutti abbiano la sindrome di stoccolma.» Atali gesticolò con sussurri soffocati.

«Magari è davvero così.» Amaltea abbassò lo sguardo lasciando che la pesante coperta sopra di loro si afflosciasse. Atali le prese le mani fredde e le avvicinò al suo petto.

«Sono tua sorella maggiore, è mia responsabilità tenerti al sicuro, e farò di tutto per farci scappare da questo fottuto polo nord.»

Amaltea abbassò lo sguardo arrossendo, con la sua indistinguibile compostezza; «L'importante è che tu non uccida qualcuno o che qualcuno uccida de.»

Quella risposta le fece ridere all'unisono, ma di scatto si zittirono sentendo dei passi pesanti e precipitosi passare difronte alla loro stanza. Atali, più coraggiosa, scese dal letto e camminò in punta di piedi verso la porta. Amaltea rimase con le coperte fin sopra la testa, stringendosi le mani giunte, implorando la sorella di stare ferma lì dov'era. Atali con l'indice sulle labbra le ordinò di star zitta, e con un silenzio felino aprì lentamente la porta. Affacciò la testa spiò Ardesia che come una furia si stava precipitando giù per le scale.

Atali ritornò al sicuro e si avvicinò con impazienza alla sorella minore. «Quella strega di mia sorella era davvero incazzata, chissà cosa le sarà successo!»

Ardesia era effettivamente incazzata. Non aveva alcun dubbio che fosse stato suo padre a riempire la sala ricevimenti con robaccia come quella. Tempere, pennelli, tavolozze, brocche d'acqua di sorgente sprecata per una cosa talmente futile! Loki le aveva insegnato sin da bambina ad apprezzare ogni tipo di arte, ma a lei piaceva vederla già pronta e immacolata appesa ai muri del palazzo. E poi, che cosa aveva in mente? Chi avrebbe usato tutto quel materiale?

Infuriata stringeva in un pugno una delle tante penne a china che Niven aveva portato dalla sua breve permanenza su Midgard alla Nuova Asgard. Chissà perché gli erano piaciute così tanto tutte quelle cianfrusaglie, Ardesia le aveva sempre trovate superflue dato che poteva scrivere su carta e nei muri ogni runa grazie alla magia.

Corse giù per le scale tenendo la gonna sollevata con la mano libera, comportandosi non esattamente come una principessa. Presa dal suo nervosismo, causato innanzitutto dalla presenza di quegli odiati ospiti, non prestò attenzione a Frida. Quasi le si fiondò addosso, ed entrambe si immobilizzarono per attutire lo scontro che per fortuna non ci fu'. Si scambiarono un'occhiata imbarazzata, Frida in verità sentiva più una malinconica felicità. Le sorrise, inondata dalla sua anima gonfia come una nuvola pronta alla tempesta. Dal loro primo incontro non si erano più abbracciate, anzi, si erano a mal appena rivolte la parola. Frida aveva cercato in tutti i modi di approcciarsi a lei, ma Ardesia si era sempre tenuta distante. La sua era solamente paura di affezionarsi a quella madre che da sempre aveva desiderato di avere accanto. E se l'avesse abbandonata per tornare con la sua vera famiglia?

«Dove stavi andando?» le chiese Frida con gentilezza.

Ardesia sistemò la gonna bianca: «Cercavo mio padre.»

«Guarda caso anche io. Sai dov'è?» Frida usò un tono confidenziale, sperando di entrare nelle grazie di Ardesia.

«Credo si trovi nella sua biblioteca.»

«Bene, fammi strada.» Frida osò essere insolente, ma la sua mossa funzionò. Ardesia le disse di seguirla. Nonostante la ragazza cercasse di evitarla non poté sfuggire agli sguardi di Frida. Osservava la figlia come se si trovasse dinanzi al capolavoro più importante dell'universo. Il profilo vagamente simile al suo, a partire dal naso leggermente all'insù con qualche duna a particolarizzarne la forma. Anche le labbra carnose erano una caratteristica che la genetica aveva preso in prestito da Frida; la forma del viso, ed in particolare del mento, però, erano quasi identiche a quelle di Loki. Ardesia era estremamente bella. Frida trovava che tutte le sue figlie fossero meravigliose, ognuna con i propri tratti unici e mirabili. Ma Ardesia era letteralmente una dea, una creatura magica con l'aura stessa che travisava incanto.

Esplorando così da vicino ogni peculiarità di Ardesia non poté non notare la penna che stringeva in una delle mani.

«Dove hai trovato quella penna? Proviene dal mio pianeta ne sono certa.» domandò sorpresa.

«Stavo andando giusto a domandarlo a mio padre.» le rispose Ardesia con freddezza.

«Posso vederla?» Frida smise di camminare, Ardesia fu obbligata a fare lo stesso. Un po' titubante all'inizio fece roteare la sottile penna tra le dita, finché non decise di porgerla a sua madre, che mostrava impazienza già a gesti.

Frida guardò velocemente l'oggetto, poi tolse il tappo e provò l'inchiostro sul dorso della sua mano già scarabocchiata da qualche tattoo. Tracciò degli ovali senza sollevare la punta sottile della penna finché questa non funzionò. Incredula la donna sorrise: «Ma tu guarda un po', funziona.»

Ardesia, incuriosita come una bambina, le si avvicinò per vedere meglio. Ne approfittò per guardare da vicino anche tutti quei disegni che sua madre aveva sulla pelle visibile.

«Vuoi provarla anche tu?» domandò Frida ad Ardesia.

«Oh no, non sono capace di disegnare.»

«Tutti siamo capaci, basta solo provare.»

Ardesia scosse la testa, irremovibile, ma il suo atteggiamento sembrava già essersi addolcito.

«Che te ne pare invece se la provassi io su di te?»

Ardesia annaspò: «Cosa? Che villania!-

«E perché mai? Con un po' d'acqua e sapone va subito via!» le rispose Frida, tenendo tra le dita la penna come se fosse pronta a disegnare.

Ci fu un attimo di silenzio, l'indecisione di Ardesia non scalfì Frida, che aspettò con pazienza.

«D'accordo, ma ad una condizione. Deve essere un piccolo disegno.» disse Ardesia.

Frida esultò, moderando i gesti euforici. Si avvicinò alla figlia e le prese con cura un polso.

«Sta tranquilla, lo faccio per lavoro, sai? Disegnare sulle persone intendo, ma in modo permanente. Cosa vorresti?»

«In verità non saprei...-»

«Ti fidi di me?» le chiese Frida. Ardesia la guardò in viso e si sentì travolta da una calda sensazione. Era bello sapere che sua madre le volesse bene, per molto tempo aveva creduto che non provasse alcun tipo di amore per lei.

«Sì, fa quello che piace a te.» le rispose.

Frida per un momento fu colta dall'indecisione, voleva qualcosa che fosse delicato ma non banale, un simbolo che avrebbe potuto rendere veramente bello senza farlo apparire un elemento vuoto. Allora decise di disegnare una piccola conchiglia, pensando di voler regalare un pezzetto di mare a quella figlia nata nella neve. Così le disegnò la piccola conchiglia sul polso, spostando i bracciali d'argento rigidi per farsi spazio. La punta sottile della penna la aiutò a tracciare il contorno ben definito e ad aggiungere i particolari delle linee interne, che con un tratto leggero si assottigliarono sempre più. Era il guscio di una di quelle conchiglie che nelle raffigurazioni artistiche racchiudono le perle al loro interno.

Il corpo di Ardesia dapprima fu rigido e diffidente, ma per fortuna andò poco a poco rilassandosi sotto il leggero tocco della madre. Ad opera terminata guardò il suo braccio, e non avrebbe mai immaginato di essere così entusiasta per un futile scarabocchio simile che presto si sarebbe sbiadito.

Rivolse l'espressione radiosa a Frida, che fino a quel momento non aveva mai visto sorridere Ardesia con così tanta genuinità.

«Grazie.» le disse la figlia di Laufeyson.

«Le mie due fanciulle preferite!» Loki a voce alta camminò in contro alle due, che ritornarono ad essere quasi estranee.

«Ti stavo proprio cercando mio hijortu.» Loki scostò dalle spalle di Frida i pesanti capelli bruni sciolti, sfiorandole volutamente il collo con la punta delle dita. Lei fu percossa da un brivido, sia per quel contatto leggero che per il modo in cui Loki l'aveva chiamata. Era da quando Laufeyson era stato ucciso da Thanos che Frida non sentiva nominare quella parola in asgardiano antico.

«Padre io-» Ardesia incalzò con presunzione, nascondendo il braccio disegnato da Frida dietro alla schiena. Nemmeno quell'affettuoso momento tra madre e figlia aveva smosso la sua gentilezza, anzi era pronta a lamentarsi della robaccia trovata davanti alla madre stessa. Loki però la zittì con un gesto della mano, spaventosamente simile alle movenze della defunta Frigga.

«Me lo riferirai più tardi, adesso io e tua madre abbiamo da fare.»

«Davvero?» gli domandò Frida confusa.

«Già, doveva essere una sorpresa- Loki prese dalle mani di Frida la penna -ma credo che una certa principessa l'abbia rovinata.»

Ardesia, rossa dall'imbarazzo e infastidita per il rimprovero, accennò un lieve inchino educato e camminò via a passo veloce.

«Loki non fa nulla, davvero. Anzi, portiamo anche Ardesia con noi.» Frida si voltò diverse volte mentre Loki, offrendogli il suo braccio, l'accompagnava alla sala ricevimenti.

«Non preoccuparti, avrai modo personalmente di conoscere il caratterino di Ardesia, e finalmente non sarò l'unico a doverla educare. Un giorno mi farà diventare matto.» le rispose.

«Oh, finalmente hai qualcuno che riesce a tenerti testa.» Frida rise, poggiandosi sulla sua spalla.

«Potevi metterla al mondo solamente tu.»

Raggiunsero l'enorme stanza da festa, arricchita con lampadari d'oro e tappeti di pelliccia bianca. Le pareti in pietra erano perfettamente levigate, e grazie alla superfice piana era stato possibile appendere tele di grandi dimensioni raffiguranti scene di gesta eroiche e paesaggi spogli.

Prendendo Frida per mano Loki la trascinò come fosse una ragazzina proprio davanti allo sgabello su cui erano raggruppati pennelli e colori. Con fare teatrale e spiritoso le indicò una parete vuota alle sue spalle, ma comunque Frida ostentò a capire.

«Concederesti l'onore della tua arte alle mura spoglie di questo palazzo?» le propose il dio del caos. Frida rise, nascondendo il viso dietro a una mano. Iniziò immediatamente a studiare le misure dello spazio a sua disposizione, così come i materiali di cui era minuta.

«E cosa vorresti che dipingessi?» chiese a Loki avvicinandosi al muro.

«Qualunque cosa ti ispiri.» lui la guardò con dedizione, pensando che non ci fosse tempio più magnifico del corpo di Frida.

La donna sospirò per lo stupore, il cuore le batteva forte a ritmo di felicità e impazienza. Diverse idee le attraversarono la mente, e lei cercò di essere più veloce dei pensieri per acciuffarne il più possibile.

Senza aggiungere altro prese uno dei gessi bianchi a sua disposizione ed iniziò a tracciare in maniera grossolana le linee e i cerchi, misurando le proporzioni e proiettando la prospettiva. Quelle bozze anonime di corpi e oggetti presto presero una forma più concreta, e su uno sfondo all'aperto, in cui un albero alto stava quasi al centro del disegno due figure umane erano sedute sul terreno. E poi c'erano delle mele, alcune intorno ai copri.

«Le mele d'oro.» disse Frida definendone il contorno di una.

«Vedo che le ricordi ancora.» le rispose Loki sedendosi per terra con le gambe incrociate, proprio sotto la parete appena imbrattata.

«Loki forse tu mi sottovaluti, la maggior parte delle cose che abbiamo vissuto non posso dimenticarle. Quei punti dalle labbra te li ho scuciti con le mie stesse mani.»

Di riflesso Loki si leccò il labbro superiore. La memoria di quella terribile sensazione lo perseguitava nonostante fosse morto e poi risorto. E forse si, sottovalutava davvero Frida. Ora a Jǫtunheimr non si cibava più delle mele dorate per mantenere intatta la sua deità, ma assieme ai fratelli beveva l'acqua dalla sorgente di sole.

Frida si inginocchiò di fronte a lui, accavallandosi tra le lunghe gambe del gigante di ghiaccio. Si sporse per afferrare la tavolozza in legno, un pennello sottile e qualche tempera scura, e così facendo si eccitò a stuzzicare Loki con il suo petto contro il viso compiaciuto di lui. Quando si portò a sedere trascinandosi buffamente faccia a faccia con Loki bagnò la punta del suo pennello nel colore nero e si protrasse verso il volto dell'amante.

«Posso usare te come tela?»

«Per me sarebbe un vero privilegio.» le sussurrò Loki con lo sguardo rivolto a quegli occhi celesti, sperando che Frida usasse gli stessi colori della sua anima impazzita per dipingerlo. Abbassò le palpebre appesantite dalla stanchezza e lasciò che la morbidezza del pennello fresco gli solleticasse la fronte. Loki riuscì a distinguere un attento movimento circolare, sicuro che Frida avesse tracciato sulla sua pelle un cerchio perfetto, da brava esperta. Quando la mano ferma di lei andò a bagnare con altra tempera l'attrezzo per abbozzare quella sottile circonferenza, Loki cercò nel suo buio di pace le ginocchia di Frida.

Le strinse eccitato una gamba con la sua grande mano, ma quel disperato linguaggio dei gesti non riuscì a distrarre Frida. Loki era sicuro che nemmeno l'incantesimo che le aveva lanciato sarebbe stato in grado di distoglierla dal disegnare.

Pochi minuti dopo Frida sembrava aver finito. Sulla fronte di Loki aveva raffigurato un piccolo teschio all'interno di un cerchio vuoto.

«Come il teschio di Frida Kahlo sulla sua fronte, in uno dei suoi autoritratti.» lo descrisse così a Loki, che in quel momento non aveva nulla con cui specchiarsi.

«Cosa significa?» le chiese.

«Il dipinto si intitola "pensando alla morte", e lei ha letteralmente posto sulla sua mente il simbolo universale della morte. Tu ci pensi, Loki? Non ti ossessiona il ricordo dell'aldilà in cui sei stato? Tu sai esattamente cosa ti aspetta dopo, ci pensi mai?»

Loki le toccò la fronte con un pollice, e poi la sua voce lasciò andarsi, stanca; «Continuamente.»

Come faceva Frida a sapere esattamente quello che provava? Che fosse davvero tutto scritto nella sua anima? Loki pregava il vecchio Odino che Frida riuscisse ad interpretare in mezzo ai colori del suo spirito anche la presenza del male che lo stava possedendo.

E poi tutta quell'arte, quegli intensi attimi di pura libertà intellettuale, lo catapultarono nel passato di centinaia di anni addietro. Proprio quando era un giovane ancora non sopraffatto dalla vita, e condivideva insieme a Thurisaz tutta la meraviglia di momenti così simili a quello.

La pelle di Loki si riempì di chiazze azzurre, il gelo stava prendendo il sopravvento nel suo corpo seminudo da re gigante, lasciando esposta ogni sua primitiva natura.

Imponente e ghiacciato si mosse veloce, ed usò le sue mani per stringere il piccolo viso di Frida. Le sue possenti braccia la trascinarono a se, e quella bocca ruvida dalle cicatrici trangugiò con ingordigia i baci dati in risposta da Frida.

Quando erano insieme la carne non riusciva a resistere all'odore e al sapore che fin troppo bene conosceva. E no, quello non era opera della magia arcana lanciata da Loki, era così da sempre, dal primo momento sulla torre a New York.

Loki la fece venire proprio lì, sul pavimento. Con la sua lingua maestra inzuppata di saliva e due dita nel punto più profondo dell'intimità di Frida.

Quando tra le gambe di lei si riversò l'onda causata dai gesti peccaminosi di Loki lui la guardò con soddisfazione, asciugandosi con un polso il liquido sulle labbra. Le si posizionò sopra con il cazzo pulsante e si sfregò in mezzo alla fonte dei gemiti di Frida.

«Ti farò allagare questa fottuta stanza finché non ti rimarrà nemmeno una goccia di piacere.» le disse Loki mordendole il collo. Poi uscì dai pantaloni l'erezione e si insinuò affamato di lussuria dentro di lei.


Sfatta e paonazza, si poteva leggere a distanza cosa aveva da poco fatto Frida. Barcollava sbadatamente poiché le gambe ancora le tremavano. Stretto al petto con le braccia teneva una scatola di legno in cui trasportava i pennelli sporchi. Si stava dirigendo nei bagni della sua stanza per darsi una rifocillata mentre Loki le aveva promesso che quella notte sarebbe passato da lei ed Axel per continuare il loro frenetico gioco. Lungo i corridoi incrociò Byleist, che lei salutò con un cordiale gesto della mano.

«Frida» il fratello di Loki la richiamò. Lei si piantò sul posto all'improvviso, stranita dal tono serio di Byleist.

«Sì?»

Byleist chiuse un pugno in una mano mentre il collo gli si contraeva. Deglutì, e fece silenzio come se stesse ben riflettendo prima di aprir bocca.

«Tieni gli occhi aperti, il male alberga dentro Loki.»

Frida corrugò il fronte; «Cosa vuoi dire? Byleist, aspetta!»

Ma l'uomo se n'era già andato, lasciando a Frida degli interrogativi che presto scacciò via dalla mente.

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