Capitolo 8
Questo credo sia proprio il cielo
Anche se il cielo io non l'ho visto mai
Quando due nature creano un sistema
Anche il loro ciclo girerà contemporaneamente
- Rancore
Adam si mosse a malapena al suo fianco, mentre cercava di pulirsi il viso dalle goccioline di pioggia che, imperterrite, lo stavano infastidendo. Sembravano quasi creare un disegno intricato intorno agli occhi e agli zigomi, tanti piccoli puntini di diamanti che si dissolvevano sul calore della sua pelle.
Anche Alec si sentiva zuppo, i vestiti bagnati gli si erano appiccicati addosso, facendolo congelare. Tutto ciò però non riusciva a intaccare in alcun modo la tranquillità che lo pervadeva, così estesa da non essere riducibile nemmeno dalle numerose scosse che i brividi inviavano al suo corpo.
«Vivo in questa villa da sempre, ma è la prima volta che mi nascondo qui dentro» rise Adam. Le sue labbra si curvarono e i cristalli scivolarono via dalle guance. Alec seguì la loro traiettoria finché non si mischiarono all'umidità che imperlava il cotone della maglietta.
«È bello qui» non poté fare a meno di esprimere. Non era solito complimentarsi, ma quel posto lo meritava.
«A mia madre piace tenere il giardino ben curato, è una passione. Ma più di tutto le piacciono le rose.»
Alec doveva ammettere che aveva davvero buon gusto. Si sporse appena dal suo rifugio per analizzare il ristretto pezzo di terra nel recinto circondato da una siepe. Le piante spinose erano protagoniste di quelle aiuole, ma la fontana al centro non passava di certo inosservata. Gli sembrava di essere capitato in un qualche luogo edenico. Anche le sensazioni erano irreali; emozioni che non provava spesso e che quindi alimentavano la teoria che tutto fosse solo un sogno, o frutto della sua immaginazione: euforia, felicità, quiete.
Ben presto i tremiti si fecero più accentuati e ipotizzò che in paradiso non potesse fare così freddo. Adam si guardò intorno con decisione, arrischiandosi a uscire dal nascondiglio per assicurarsi che il pericolo fosse scampato. Forse si era accorto dei suoi tremolii e voleva darsi una mossa ad allontanarsi da quella pioggia che ormai aveva infradiciato completamente entrambi.
«Via libera» lo sentì dire, e si affrettò a raggiungerlo di nuovo sulla stradina.
«Non possiamo entrare dalla porta. Mia madre mi ucciderà» sottolineò Alec, per nulla intenzionato a parlarle proprio ora che, non solo le aveva disobbedito, ma l'aveva anche ignorata.
Adam gli fece l'occhiolino. «Ho io un modo per tornare in camera senza farci vedere.»
Il temporale li accompagnò per qualche altro minuto, tempo necessario per riavvicinarsi alla villa. Alec era sull'attenti, pronto a dare l'allarme per scattare nel caso Louise li intercettasse. Ma per fortuna così non fu. Stava in ansia perché Adam era distratto, impegnato in una conversazione per messaggi con Mya, da quanto aveva detto. Quando la concluse erano ormai ai piedi di una stretta scalinata.
Il giovane Brass alzò il capo verso l'alto, incrociando lo sguardo della sorella, che a quanto pareva li stava aspettando lì. «Siamo arrivati. Mya è venuta ad aprirci.»
Alec osservò prima il nuovo ostacolo e poi le sue stesse gambe, mordendosi un labbro con fare nervoso. La premura che Adam sembrava sempre prendere nei suoi confronti era improvvisamente sparita: come pretendeva che lui salisse quegli scalini? Gli era impossibile una cosa del genere, ma era troppo orgoglioso anche solo per renderlo palese.
«Scendi» gli venne ordinato, e non poté fare altro che fissare sorpreso e in silenzio il suo compagno di disavventure. Le parole gli erano del tutto sfuggite via.
«Avanti, dobbiamo sbrigarci» insistette il ragazzo, mentre una goccia gli scendeva giù per la guancia e poi via dal mento. Alec la seguì con gli occhi prima di fare come diceva. Non aveva capito bene le sue intenzioni, ma decise di fidarsi e fece scivolare malamente il proprio corpo su di un gradino, cercando di posizionarsi dove era meno bagnato, sotto la piccolissima tettoia che ne costeggiava il lato sinistro.
Il contatto con il materiale freddo e viscido di pioggia lo fece sussultare, quindi non si accorse subito che Adam stava portando la sua sedia verso il piano di sopra. Quando se ne rese conto, i suoi muscoli erano già ben gonfi sotto il suo peso, ed era troppo tardi per fermarlo. Immaginò sé stesso a strisciare sui gradini per raggiungerlo, e il pensiero lo ferì. Avrebbe potuto farlo con un po' di impegno, ormai le sue braccia erano allenate e non gli sarebbe costato molto, ma l'imbarazzo nel fare una cosa del genere lo frenava. Specialmente perché a vederlo erano in due: Mya se ne stava ancora in cima alla rampa a osservare confusa i due.
«Adam! Che fai?!» urlò adirato, ma l'altro non lo ascoltò, piuttosto continuò imperterrito la strada di scalini scivolosi, un po' in difficoltà per l'ingombro. Si pentì di avergli dato fiducia, corrucciò involontariamente le sopracciglia e stabilì che sarebbe rimasto lì tutto il giorno pur di non salire strisciando. Tuttavia, quando si sentì toccare non riuscì a fare a meno di voltarsi.
Si ritrovò faccia a faccia con quel ragazzo, e i suoi luminosi occhi blu lo spiazzarono e fecero sì che i suoi lineamenti si rilassassero. Ma fu solo un attimo, poi la tenacia riprese il controllo del suo sguardo, adombrandoglielo. Afferrò l'orlo della maglia di Adam e lo tirò a sé, minaccioso.
«Che diavolo ti salta in mente? Non puoi lasciarmi qua» esplose.
L'altro l'osservò confuso per un secondo, poi tornò imperturbabile come sempre. «Credi davvero che ti avrei lasciato qui?» domandò alzando un sopracciglio mentre scuoteva appena la testa. I riflessi bluastri danzarono tra i suoi capelli insieme alle centinaia di piccole perle di umidità.
Diede le spalle a un Alec ancora più contrariato e si indicò la schiena. «Sali.»
Il giovane spalancò gli occhi e solo in quel momento si rese conto delle sue vere intenzioni. Adam voleva portarlo su di peso. No, no, no, no. Non se ne parlava proprio! Il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso una cosa simile.
«Allora?» venne incitato.
«Non ti salirò sulle spalle!» inveì, per poi incrociare le braccia, deciso a rimanere sul suo gradino. Avrebbe preferito entrare dalla porta principale, piuttosto.
«Non vuoi?» gli venne chiesto con sorpresa.
Alec scosse il capo così forte che per un istante tutto parve girare. Strinse la presa contro il proprio polso e il mondo tornò dov'era sempre stato.
Adam fece spallucce. «Allora puoi restare qui.»
Alec mantenne il silenzio e serrò i denti, valutando la situazione. Non aveva molta scelta, ma si sentiva maledettamente in imbarazzo a prestarsi a una cosa del genere. In più Mya era presente e l'avrebbe visto.
Al diavolo Mya, disse tra sé. Il giorno precedente si era fatto odiare, non aveva dato molta prova che gli importasse di lei. E in effetti così era, anche se gli era dispiaciuto un po' ferirla. Ma in teoria non gli sarebbe dovuto interessare mostrarsi in quello stato. In fondo era solo per necessità.
«Muovi il culo, Alec. Sono zuppo» si lamentò Adam, stupendolo, specie dopo l'ultima minaccia di lasciarlo dov'era. Era sempre stato educato e a modo, non lo aveva mai sentito parlare così. Alzò lo sguardo e vide che aveva voltato la testa verso di lui, e ora gli stava sorridendo. Sbuffò e si decise, tanto peggio di così non poteva andare.
Si aggrappò più forte che riuscì intorno al suo collo, e un profumo fresco gli stuzzicò le narici. Sembrava un miscuglio tra una fragranza agli agrumi e l'odore di pulito che emanava il suo corpo.
Adam gli passò le mani fredde sotto le cosce inumidite e un brivido gli attraversò la schiena. Si sentì stringere con convinzione mentre l'altro si assicurava di avere salda la presa. Provò un fastidio che tentò di reprimere serrando le palpebre e inspirando a fondo, ma il fiato gli si mozzò in gola. Si morse un labbro per cercare di distrarsi. Da quando aveva avuto l'incidente, non sopportava che qualcuno gli toccasse le gambe. Non provava dolore fisico, era un disagio del tutto mentale. Sapeva quanto in realtà era insensato, ma non poteva farci nulla.
Si sentì chiamare, ma non rispose, concentrando tutta la sua attenzione sul respiro che gli usciva agitato dallo spazio ristretto tra i denti serrati. Premette con le dita contro la pelle di Adam e si disse di resistere un altro po', solo un altro po'.
La stretta finalmente si sciolse, e altre voci che chiamavano il suo nome gli giunsero alle orecchie. Aprì gli occhi e si ritrovò sulla propria sedia, davanti ai due fratelli Brass che lo scrutavano preoccupati.
Indurì i lineamenti, cercando di non apparire frastornato com'era in realtà. «Cosa volete?»
Mya non si pronunciò. Pareva restia a parlargli, più del solito dopo quello che era successo il giorno precedente. In quel momento non gli importava nulla se lei ce l'aveva con lui, era impegnato con tutto sé stesso a maledire Adam e la sua idea demente. In più, la pioggia che continuava a bagnargli il volto non faceva altro che peggiorare le cose.
«Tutto ok?» gli chiese invece Adam, dopo un attimo di esitazione.
Alec deglutì a fatica e annuì, incapace di proferire altro. Non gli avrebbe di certo rivelato il suo disagio.
«Entriamo o vi prenderete un malanno!» intervenne la maggiore dei Brass, dando il buon esempio nel varcare la portafinestra. Adam diresse una lunga occhiata ad Alec prima di seguirla, forse per assicurarsi che stesse bene.
Quando furono dentro, l'odore di carta vecchia incuriosì Alec, il quale fece vagare lo sguardo sugli alti scaffali ricolmi di libri della biblioteca. Si compiacque di essere sbucato lì. Quella sala non era molto lontana dalla sua stanza, avrebbe solo dovuto seguire il corridoio e svoltare l'angolo alcune volte.
«Cosa ci facevate voi due lì fuori sotto la tempesta?» li sgridò Mya, poggiando i pugni chiusi sui fianchi. Alec non rispose, indaffarato nel tentativo di scrollarsi le gocce dalla testa.
«Un giro» si limitò a dire Adam, facendo spallucce in modo vago.
La ragazza però non fu soddisfatta. «Vi siete scordati che esiste la porta di casa?»
Adam rise, aveva previsto un'osservazione del genere. «Eravamo più vicini da qui.» Alzò le sopracciglia come se fosse scontato.
Come c'era da aspettarsi, Mya non se la bevve, ma lasciò perdere il discorso sbuffando sonoramente. Si strinse nelle spalle minute e la maglia larga che indossava apparve d'un tratto di troppe taglie più grande. Nonostante ciò, Alec non poteva negare che le stesse davvero bene.
«Andiamo» disse semplicemente mentre alzava gli occhi al cielo. Si spostò una ciocca di capelli castani dal viso drammaticamente esausto e attraversò la biblioteca.
Adam rivolse ad Alec un sorriso complice che lo fece sentire in imbarazzo, prima di fargli cenno di seguirla.
La breve camminata venne accompagnata dal monologo sproloquiante di Mya. Stava parlando del maltempo e di quanto fossero idioti, o almeno così credeva. Alec si era isolato dalla sua voce senza nemmeno volerlo, non del tutto ristabilito da ciò che era successo su quella rampa di scale. Il tocco delle mani di Adam sulle sue gambe era stato troppo da sopportare, e il pensiero gli arrecava ancora problemi.
Girarono l'angolo e sorpassarono la stanza di Adam, poi arrivarono alla svolta successiva. Evidentemente avevano programmato di accompagnarlo. Prima di deviare il percorso verso sinistra, però, arrivò loro un suono acuto.
«Alec, rispondi! So che sei lì.»
Alec bloccò entrambi i fratelli appena in tempo per non essere scoperti. Si affacciò dalla parete e riconobbe Louise che bussava in modo insistente alla sua porta, quasi fosse arrivata la fine del mondo e dovesse recuperare suo figlio per vederlo un'ultima volta. Ma lui sapeva che in quel caso vi avrebbe messo meno vigore di quanto non stesse facendo ora.
«Venite» sentì sussurrare, e si ritrovò a seguire rapidamente Adam in camera sua. Di nuovo lì, che coincidenza. Aveva avuto bisogno di entrare e uscire da quella stanza molto più di quanto non avesse fatto con quella del suo amico Jake in un intero mese, durante gli anni passati.
«Lasciami, so camminare da sola!» si infuriò Mya una volta dentro. Era stata trascinata malamente da Adam nel tentativo di farla sbrigare.
«Shh» fece quest'ultimo, avvertendo i passi ticchettanti della donna nel corridoio.
Mya assunse un'espressione indispettita e guardò dall'alto in basso entrambi i ragazzi. «Ditemi cosa sta succedendo» ordinò.
Alec era al corrente che se non avesse voluto rispondere, Adam sarebbe accorso un'ulteriore volta in suo aiuto. Era un dato di fatto, ormai, qualcosa su cui si era reso conto di poter sempre contare. Tuttavia sapeva che non era giusto fare affidamento su di lui, e sapeva anche di dover dare almeno una delucidazione alla giovane che li aveva aiutati. Ma perché con lei risultava così complicato aprirsi?
«Mia madre mi sta cercando» le disse in difficoltà.
Lei alzò un sopracciglio. «Lo vedo.»
Alec si bagnò le labbra con la lingua e proseguì. «Non voglio parlarle. Non deve sapere che sono qui.» Rabbrividì una volta ancora prima di udire un ticchettio risuonare contro la porta.
«Alec?» si sentì da fuori. Probabilmente Louise aveva udito qualcosa e stava traendo le giuste conclusioni.
«Per favore» pregò Alec sottovoce a Mya, che sembrava proprio in procinto di spifferare tutto. Adam le rivolse uno sguardo eloquente, come per avvertirla di non dire nulla.
Lei fece una smorfia stufa e si diresse a piccoli passi verso la porta, poi l'aprì quel poco che le serviva per passare e sparì subito dall'altra parte, richiudendosela alle spalle.
(Revisionato)
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