Capitolo 23

I started with a broken heart

Now I'm far away from the start

Look at me I am next to the stars

Matter fact, I'm close to Mars

- Sick Luke

«Alec!» Udire il suo nome lo riportò alla realtà, buia quanto i suoi incubi. Veniva chiamato con insistenza, cercato, quasi fosse importante.

Non sono importante. Sono solo.

Decise che non gli interessava e si gettò di nuovo nelle fidate braccia del sonno, che lo avvolse con le sue spire.

«Alec, Alec!» Ancora e ancora, la voce non lo lasciava andare, lo illudeva, lo assuefaceva con la sua gentile dolcezza. Una voce che sembrava fin troppo bella per poter essere vera.

«Rispondimi! stai bene?»

Si sentì toccare il viso, un contatto tiepido che gli scaldò il cuore anziché la pelle.

Non sono solo?

Aprì timidamente un occhio, cadendo nell'azzurro sconfinato. Stava precipitando o stava volando? Non lo sapeva, ma si trovava a fluttuare nel cielo notturno senza peso né problemi.

Sto sognando.

«Alec!»

Aprì anche l'altro occhio e trovò la luce a illuminare il volto di Adam. Non appariva come era abituato a vederlo, non c'era traccia della tranquillità che lo caratterizzava. Era la preoccupazione a far da regina tra quei lineamenti corrucciati.

«Adam» mormorò rabbrividendo. L'ambiente appariva ancora più buio e freddo di prima, non riusciva a scorgere nulla oltre al volto dell'amico.

«Grazie al cielo!»

Si sentì all'improvviso pressato contro qualcosa e solo dopo qualche istante, per merito dell'odore ormai familiare, si rese conto che si trattava del petto del suo amico. Le sue mani gli circondavano le spalle e gliele stringevano convulsamente, quasi come se rischiassero di vederlo sparire da un momento all'altro. In quei brevi istanti riuscì a ricordare tutto ciò che era accaduto, e si ritrovò ad abbracciare tremante il ragazzo, avido del suo calore.

«Mi hai fatto davvero spaventare... Ti abbiamo cercato ovunque! Quando ho visto la tua sedia in quelle condizioni ho...» Gli mancò per un attimo la voce, e lo strinse più forte, «ho pensato al peggio.»

Il cuore di Alec fece una capriola nel petto. L'angoscia dell'amico era evidente, ed era tutta per lui. Lo aveva fatto stare in ansia con la sua sparizione, come se fosse importante, come se contasse qualcosa... come se non fosse solo.

«Ti sei preoccupato per me?» chiese, bisognoso di udire una conferma a quelle parole fin troppo speranzose.

«Idiota, sei un idiota! Come credi che potrei non stare in pena se sparisci in questo modo? Si sono allarmati tutti!» Finalmente lo lasciò andare e lo fronteggiò, più adirato. Alec non poteva vedere alle sue spalle perché la luce aveva un raggio piuttosto ridotto, ma non sembravano esserci gli altri. Si guardò intorno e scoprì che l'illuminazione proveniva da una piccola torcia poggiata alla sinistra di Adam.

«Mi dispiace» si sentì in dovere di dire dopo aver visto quel ragazzo così scosso. La voce però gli tremò per l'emozione e venne a mancare sull'ultima sillaba.

«Shh. È colpa mia» gli disse Adam. Portò una mano all'altezza del suo viso e con il pollice accarezzò con delicatezza la sua pelle sullo zigomo, solleticandola.

Chiuse gli occhi e sospirò. «Non è vero.» Lui stesso l'aveva accusato inconsciamente, ma doveva dare la colpa solo al sottoscritto se si era perso in quel modo.

«Andiamo a casa.»

Rialzò le palpebre e vide il moro allontanarsi da lui e prendere il cellulare dalla tasca per comporre un numero.

«L'ho trovato. Sì. Sì, ci vediamo alla macchina.» Fu molto rapido, poi riagganciò.

Si avvicinò ad Alec e gli mostrò la schiena per farlo salire. Il biondo lo guardò titubante, ma si rese conto che non era nella posizione di rifiutare, quindi gli passò le mani intorno al collo mentre l'altro gli afferrava le gambe, mozzandogli il respiro.

«La mia sedia...» rantolò, ricordando improvvisamente che fine aveva fatto.

«I tuoi te ne faranno avere una nuova» gli rispose l'amico. Non seppe decifrare le sue emozioni da quella semplice frase secca.

Annuì, ma una fitta di dispiacere lo pervase. Quella sedia lo aveva accompagnato per un lungo periodo. Per fare l'idiota senza cervello aveva perso sia il suo valore affettivo che la sua serata con Adam. Se lo ricordò all'improvviso e non poté evitare un lamento basso ma costante.

«Stai male?» si preoccupò subito l'amico, ma lui scosse la testa. «Guardati le mani... non avresti dovuto togliere le fasciature.»

Rimase in silenzio, del tutto disinteressato dalle deboli croste infangate che gli ricoprivano le nocche. Nemmeno si era accorto che gli facevano male, era troppo contrariato per aver sprecato in quel modo la sua opportunità di divertirsi con Adam.

«Alec? Va tutto bene?»

Il giovane Brass si fermò per voltarsi verso di lui quanto poteva. Incrociò gli occhi nei suoi e il biondo non riuscì a fare a meno di esternare ciò che sentiva dentro.

«La nostra serata è saltata» spiegò con rammarico.

L'espressione di Adam si intenerì nell'udire quelle parole, nascondendo a malapena un accenno di sorpresa. Si voltò e ricominciò a camminare, ma Alec vide le sue guance gonfiarsi come se stesse sorridendo.

«Per il colpo che mi hai fatto prendere meriteresti di passare la notte in solitudine» gli disse, facendolo tendere come una corda di violino. «Però mi hai fatto spaventare troppo per lasciarti solo stanotte.»

Il fiato di Alec venne a mancare a quella promessa implicita di dormire con lui. Non ebbe il coraggio di replicare, e fece calare il silenzio su di loro mentre rifletteva su tutto ciò che aveva rischiato di perdere comportandosi così.

«Scusa» bisbigliò, sia diretto all'amico che a sé stesso. Voleva che lo perdonasse per averlo turbato, e chiedeva scusa a sé per essere stato impulsivo e aver rischiato tanto.

«L'importante è che ora torniamo a casa» sussurrò Adam, e il suo soffio appena accennato si confuse con il vento notturno.

Non appena varcò la soglia, ancora sulle spalle dell'amico, venne quasi assalito dai genitori. Colto alla sprovvista, tentò di rifugiarsi contro il collo di Adam per toglierseli di dosso, ma percepì la pelle di lui rabbrividire nel momento in cui vi respirò sopra, quindi si allontanò per non infastidirlo.

«Ci hai fatto così spaventare! Adam, mettilo giù. Anzi, potremmo restare qualche minuto da soli?»

Mya fu la prima ad andarsene, stanca e provata dal lungo viaggio. Quando si erano rincontrati al di fuori del bosco, gli era corsa incontro e l'aveva abbracciato come poteva, ma subito dopo si era lasciata in un vortice di insulti che miravano alla sua intelligenza. Sapeva di meritarseli, e sapeva che al di sotto di essi nascondeva tutta la preoccupazione che aveva provato verso di lui, quindi non le aveva detto niente. Erano stati Adam e Grisam ad accorrere in sua difesa. Quest'ultimo gli aveva riferito quanto fosse felice di vederlo sano e salvo, e la piacevole sorpresa l'aveva tirato un po' su.

Alec si domandò perché i genitori volessero rimanere soli con lui. Temette il peggio a quella richiesta, ma dopo che fu stata esaudita da tutti, i Callaway non fecero altro che stringerlo tra i loro sospiri.

Superato lo sbalordimento iniziale, si rilassò sul divano dove era stato adagiato e si lasciò andare tra le loro braccia come non gli accadeva da quando era piccolo. Non aveva mai creduto di poter vivere ancora un momento del genere con loro, specie con Louise, che sembrava sinceramente inquieta per ciò che era successo. Alec si ritrovò a valutare i modi troppo protettivi che aveva verso di lui, cercando di capire anche il suo punto di vista.

«Scusatemi se vi ho fatti preoccupare» mormorò contro la spalla di Stephen, ma la mano della madre gli accarezzò la testa, zittendolo.

«È tutto passato ora» sussurrò.

«Non farci più prendere uno spavento simile» aggiunse il padre.

Alec sorrise senza farsi vedere e si concesse il primo sospiro rilassato in loro presenza dopo tanto tempo.

«Va tutto bene, Alec?»

Il ragazzo si distaccò dall'uomo e guardò sua moglie, preso in contropiede. Erano mesi che non udiva quel tono carezzevole provenire da lei, ma più di tutto lo aveva colpito la sua premura nei suoi confronti.

«Certo» mentì, sebbene non fosse affatto così. Non aveva più la sua sedia, non poteva camminare, ed era anche per quel motivo che era accaduto tutto ciò. Inoltre... l'afflizione per essersi sentito così solo non era scemata, e non vedeva l'ora di vedersi con Adam. Forse in quel caso sarebbe stata spazzata via. Forse in quel caso sarebbe andato davvero tutto bene.

Siccome era tardi, Stephen lo portò in camera presto, lasciandolo in bagno perché aveva bisogno di una doccia. I suoi vestiti erano sporchi di succo e impiastrati di fango, e la pelle mostrava alcune chiazze di terra incrostata, specialmente sulle mani, dove le ferite pizzicavano più che mai.

L'uomo se ne andò chiudendosi la porta alle spalle dopo essersi assicurato che potesse raggiungere il letto da solo. Ad Alec bruciava ammettere che avrebbe strusciato sui gomiti, anche perché questi erano sbucciati per via della sua avventura tra i boschi, ma chiedere al padre di aspettarlo era ancora peggio, quindi affermò semplicemente di esserne in grado senza scendere nei dettagli, e il suo vecchio rispettò la sua decisione. Era molto più comprensivo di Louise riguardo quel lato della sua vita.

La doccia fu rigenerante. Non aveva fatto altro che tremare per tutta la sera, quindi indugiò sotto l'acqua bollente finché la pelle delle dita non iniziò a raggrinzire. A quel punto uscì e tirò a sé l'asciugamano. Se lo passò in vita e si accovacciò sull'ampio tappeto color panna che ricopriva quasi interamente le mattonelle in marmo del bagno. Un sospiro afflitto gli scosse il petto, e si ritrovò a spingersi la testa contro le ginocchia con le mani, pur di non sentirsi scuotere dai suoi stessi singulti.

Per una frazione di secondo si compiacque nel percepire i capelli già di un poco ricresciuti, ma dopo lo sconforto lo fece preda, inducendolo a muovere il capo addosso alle proprie gambe. Non voleva strusciare per tornare in camera; era inutile, incapace, impotente. Lo era sempre stato, ma con la sua sedia ad assistergli i movimenti non gli era mai pesato tanto come in quel momento. Si ritrovava impossibilitato anche a compiere i più piccoli gesti. Per la prima volta avvertiva davvero completamente il peso di non potersi muovere, un peso che gli gravava soprattutto sul petto, stringendogli il cuore in una morsa d'acciaio.

«Dannazione!» imprecò a voce piuttosto alta dopo aver tirato su la testa di scatto. Il suo pugno cozzò d'istinto contro il pavimento e una scarica di dolore venne trasmessa a tutto il corpo. Boccheggiò, pentendosi immediatamente di quel gesto avventato. Preso dalla foga, non aveva pensato che le nocche erano ancora spaccate.

Un gemito gli sfuggì, più per la frustrazione che per la situazione dei suoi arti. Quella la percepiva appena, troppo adirato con sé stesso e con il mondo per prestarvi attenzione. Non sapeva come tornare in camera senza attentare al proprio orgoglio – e ai propri gomiti feriti – nonostante non lo vedesse nessuno. Iniziò a valutare l'idea di dormire su quel tappeto, ma ben presto cominciò a tremare di nuovo per il freddo, nudo com'era e ricoperto ancora di goccioline d'acqua.

Un flebile lamento fuoriuscì dalle sue labbra mentre tornava con il viso nascosto verso le gambe, ma venne subito riscosso da alcuni colpi secchi sulla porta. Il silenzio calò sulla stanza in modo quasi irreale, mentre Alec tratteneva il respiro pur di non parlare. Non aveva idea di chi fosse entrato in camera sua, ma non voleva farsi beccare in un momento di debolezza.

«Alec, sei lì dentro? Va tutto bene?» lo chiamò una voce familiare quando non lo trovò.

«Adam?» Si era quasi dimenticato della serata che si erano promessi di trascorrere insieme, troppo preso nell'atto del commiserarsi.

«Posso entrare?» chiese il ragazzo al di là della porta. Le sue parole arrivavano ovattate dal legno massiccio, ma la preoccupazione che le velava appena era ben udibile.

Colto alla sprovvista, Alec farfugliò un "" senza sapere bene cosa volesse realmente. Adam non lo capì, ma dopo averlo avvertito un'ulteriore volta, aprì titubante.

Lo trovò lì, seduto vicino al bordo della doccia, vestito solo di un asciugamano intorno alla vita. Alec non avrebbe voluto farsi vedere dall'amico in quella condizione, ma un'aura di negatività era precipitata sui suoi pensieri e aveva oscurato tutto il resto: sentiva di aver toccato letteralmente il fondo e di non riuscire più ad alzarsi dopo la caduta.

«Va tutto bene?» Adam gli si era inginocchiato accanto. Nemmeno si era reso conto che gli si era avvicinato, troppo impegnato a esaminare il modo in cui poteva apparire.

Alzò lo sguardo verso di lui e annuì. «Stavo giusto per vestirmi.»
Gli occhi di Adam scivolarono sul suo petto nudo e solo in quel momento ricordò che le sue cicatrici erano esposte. Tentò di coprirsi con le mani, ma il ragazzo gli prese il polso.

«Ti accompagno io» gli disse per poi voltarsi con un implicito ordine di salire sulla sua schiena come avevano fatto più volte.

Alec deglutì a vuoto e si sistemò bene l'asciugamano. Farsi prendere in braccio era una cosa che non gli dava a genio già di suo, ma prestarsi a tutto ciò con un solo tessuto striminzito addosso era ancora peggio. Però era la sua unica via di uscita se non voleva strisciare, quindi si sbrigò a far passare le braccia intorno al collo dell'altro e strinse le palpebre così forte da vedere le stelle.

«Devi sbrigarti» riuscì a farfugliare nel momento in cui le mani di Adam gli toccarono la pelle nuda delle gambe. La testa gli girò così velocemente che ebbe il timore di cadere. Trattenne il respiro e si morse con vigore un labbro per resistere alla tentazione di lasciarsi andare pur di non dover sopportare un contatto tanto esplicito.

Quando riaprì gli occhi, era adagiato sul proprio letto, e Adam lo stava lasciando.

«Scusa» gli venne sussurrato in un orecchio prima che l'amico si allontanasse per prendergli dei vestiti. Confuso, lo vide aprire le ante dell'armadio. Se gli aveva chiesto scusa significava che si era accorto del suo disagio più accentuato del solito. Non avrebbe dovuto sorprendersi: Adam sapeva sempre tutto.

Gli portò degli abiti comodi per la notte e attese di spalle che si vestisse.

«Perché ti scusi? Non è colpa tua» gli domandò una volta finito.

Il moro si avvicinò a lui e gli si sedette accanto. «So che ti dà fastidio» disse solamente, poi ci pensò qualche istante e aggiunse. «Devo chiederti perdono anche per oggi.»

Lo stupore impedì ad Alec di rispondere, si limitò a spalancare gli occhi senza potersi controllare. Non comprendeva il perché di tali parole.

«Sarei dovuto venire con te. A quest'ora tutto questo non sarebbe accaduto.» Alec scosse la testa e fece per interromperlo, ma l'altro non glielo lasciò fare. «No. Sapevo che Cassie aveva qualcosa di strano, lei non si comporta così di solito. Eppure ho fatto finta di niente.»

La sorpresa lo schiacciò ancora di più con la sua potenza, ma questa volta si sforzò a replicare. «Quindi tu mi credi?»

Dopo la sua ultima sfuriata aveva dato per scontato di essere passato per il pazzo paranoico di turno mentre la ragazza per la povera vittima.

Adam si protese leggermente verso di lui, anche se non parve esserne consapevole. «Sì. Se ha problemi con te deve risolverli il prima possibile, altrimenti può andare a quel paese. Insomma, guarda cos'è successo per colpa sua!»

Alec era sbalordito. Stentava a ritener vere quelle parole che lo mettevano in primo piano rispetto a colei per la quale Adam aveva una cotta da tempo. «Stai dicendo che glielo dirai?» chiese con un filo di voce. Non voleva credere di aver sentito bene, non poteva sperare in così tanto.

«Certo. L'amicizia è più importante» proclamò il moro con aria di superiorità. «E poi tu sei più che un amico, Alec.» Il suo cuore saltò diversi battiti nell'udire tutto ciò. «Tu sei parte della famiglia.»

Rimase senza fiato. Non aveva idea di come far fronte al calore improvviso che si era sparso nel suo stomaco. Era paragonabile solo a quando beveva molto alcol senza aver mangiato, ma ora era scatenato solamente dalla conversazione con Adam. Si passò le braccia intorno all'addome e si protese leggermente in avanti per cercare di contenere quella sensazione non identificata. Era piacevole, ma non la conosceva e ciò lo spaventava.

«Stai bene?» Adam gli si avvicinò fino a poggiargli una mano sulla spalla. Tremò al tocco perché non riusciva a reggere troppe emozioni tutte insieme. Alzò lo sguardo e si ritrovò perduto nei due grandi occhi blu, che lo scrutavano appena ansiosi.

«Sì, sono solo un po' stanco» buttò lì, tanto per trovare una scusa plausibile.

«Preparo subito il film e prendo qualcosa sa mangiare!» scattò l'amico. «Aspettami a letto.» Prima che potesse protestare riguardo il cibo, il giovane Brass era già uscito.

Per fortuna gli venne risparmiato un pasto pesante, fu solo obbligato a ingerire qualche penna di pasta fredda che aveva fatto Irina. Quando Adam si distrasse con ciò che stavano guardando, accantonò il piatto sul comodino e fece finta di niente. Con lo stomaco riempito, le palpebre si fecero pesanti quasi subito. Era tantissimo tempo che non aveva tutto quel sonno a quell'ora. In realtà non aveva idea di che ore fossero, ma non doveva essere più tardi dell'una. Reprimendo una smorfia, si tirò su con le mani e si mise seduto per non cedere al sonno. Il film l'aveva scelto Adam, ma sembrava interessante, non voleva perderselo di nuovo.

«Dormi» gli venne suggerito.

Scosse la testa e rimase seduto a fissare la tv. C'era un amico del protagonista che stava dando la vita per salvarlo, rischiando tutto per lui. Un po' come faceva Adam con lui, anche se in maniera meno estrema.

Sospirò. Lui non avrebbe mai potuto fare niente per ricambiare, sarebbe stato per sempre inutile, un peso. Strinse i denti per tentare di scacciare il senso di impotenza che era di nuovo tornato a trovarlo, ma non riuscì a trattenere un tremito agitato delle spalle.

Sentì Adam muoversi e se lo ritrovò subito accanto. Era così vicino che poteva cogliere il suo odore fruttato. Il moro lo circondò senza difficoltà con un braccio mentre gli sollevava il mento con l'altra mano per guardarlo negli occhi.

«Cosa c'è che non va?»

Alec prese un profondo respiro per non rimanere in apnea, poi iniziò a mordicchiarsi il labbro inferiore per raccogliere la forza per fronteggiarlo. Non era abituato a esporre ciò che provava, non sapeva nemmeno come tramutarlo in parole, ma voleva provarci. Era convinto che Adam l'avrebbe fatto sentire di sicuro meglio.

«Non so... oggi è come se...» Si interruppe, ma riprovò. «Io vorrei...» Sbuffò perché non riusciva a trovare le parole, ma Adam attese pazientemente, tirandolo a sé un poco. Il calore nel petto tornò a farsi insopportabile, ma lo aiutò a esporre i suoi sentimenti. «Oggi è stata davvero dura non poter camminare. Vorrei... vorrei poter...»

«Alec, tu puoi camminare. Ti basta solo volerlo. Se lo vorrai, io ti aiuterò. Mi piacerebbe sapere perché continui a importi questo limite.»

Il respiro del biondo accelerò. Stava per toccare un argomento che non era sicuro di poter sopportare. Lo stomaco gli si chiuse e in gola percepì una specie di nodo formatosi al solo pensiero di parlarne.

«Io... ho fatto una cosa che... non merito di tornare a camminare» riuscì a dire. «Questa è la mia punizione.»

Ripensare a quel giorno gli strinse il cuore in una morsa. Parlare risultava molto più difficile del solito, e lo stomaco era improvvisamente sottosopra. Aveva paura di rigettare quel poco che aveva mangiato.

«Alec, sta' tranquillo. Cosa puoi aver fatto di tanto grave da meritare tutto ciò? Ti stai rovinando la vita.» La voce di Adam era ormai lontana.

La coscienza di Alec era incastrata in quel giorno, riviveva ricordi che per un lungo periodo l'avevano perseguitato. Ricordi che da tempo aveva rinchiuso a chiave in un angolino della mente. Ora gli scorrevano davanti, crudeli e impalpabili, impossibili da scacciare, e gli toglievano l'aria dai polmoni, le parole di bocca, la capacità di pensare.

«Alec! Alec!» si sentì chiamare, e riaprì gli occhi che non si era accorto di aver strizzato convulsamente. Gemette nel trovarsi senza aria e azzardò un respiro, poi un altro, continuando rapido anche se non bastava mai.

Adam disse qualcosa che non udì, poi si ritrovò stretto tra le sue braccia, che lo cullavano lontano dai ricordi, lontano dalla realtà. Poggiava la testa sul cuscino, forse l'amico l'aveva fatto sdraiare.

Un singhiozzo scosse il suo corpo e in quel momento si rese conto di star piangendo. Soffocò il viso contro il petto di Adam e lasciò alle lacrime il compito di parlare per lui, mentre si sentiva carezzare la nuca delicatamente.


Koa

Chiedo scusa per il ritardo, ma prima ci si è messo il computer, poi Wattpad che non mi voleva caricare la gif, quindi la pubblicazione è slittata di due giorni >.> se questa settimana va tutto bene, avverrà regolarmente sabato prossimo :D grazie per la pazienza!

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