Capitolo 22
Chiudo gli occhi
Nel mio buio non vedo nessuno
Penso ai miei sogni infranti
Distrutti da qualcuno
Non son scemo te lo giuro
Ho dedicato tempo a qualcuno
Ogni secondo mai ceduto
Un attimo di vita perduto
Chiudo gli occhi e ripenso
A quelle giornate vissute senza un senso
E nelle altre in cui cercando me stesso
Mi sono perso
- Zoda
Quando raggiunsero gli altri, l'astio verso la ragazza tornò a farsi sentire in tutto il corpo di Alec. Non faceva altro che guardare infastidita il moro, come se le appartenesse di diritto.
Nel frattempo, Mya, Grisam e Iris avevano risistemato le loro cose e si accingevano ad andarsene.
«La merenda ci sta aspettando in casa! Non è carino far attendere i domestici» li incitò Cassie, ma Adam non le rispose, forse per non far degenerare la situazione, e Alec tentò di resistere alla provocazione. Solo per lui, solo perché glielo doveva. Il suo amico aveva fatto tanto per il suo bene in passato, ora aveva la sua opportunità per ricambiare. Ma allora perché gli faceva quasi male? In più di un'occasione aveva provato il desiderio di fare per lui almeno la metà di ciò che aveva ricevuto da quando era a casa Brass, eppure ora sembrava così difficile, ai limiti dell'impossibile.
Fu una lunga camminata quella per tornare alla villa, durante la quale rimase più che altro in silenzio ad ascoltare Mya, Iris e Grisam che parlavano del più e del meno. Quel ragazzo pareva totalmente perso per Mya, metteva adorazione in ogni parola che le rivolgeva. Spesso si voltava per cercare di coinvolgere anche lui nella conversazione, ma non era mai invadente. Alec dovette cambiare del tutto idea su di lui. Non aveva nulla che potesse indurlo a disprezzarlo ancora.
Arrivarono alla magione quasi dieci minuti dopo. Avanzare gli risultava complicato sull'erba a tratti incolta, quindi lo aveva rallentato. Naturalmente Cassie non aveva esitato a mostrare la sua impazienza al riguardo.
Si era morso il labbro così tanto che ora avvertiva il sapore del sangue sulla lingua, ma nemmeno quello poteva qualcosa contro l'ira che provava verso quella ragazza. Ancora qualche ora, si disse, e al solo pensiero il suo respiro si mozzò.
«Siamo arrivati! Sbrighiamoci» la sentì starnazzare elettrizzata con voce stridula, mentre tirava Adam per un polso.
Dopo aver passato un cancelletto immerso nell'edera, si diede un attimo per riprendere fiato e trovò davanti a sé una scalinata piuttosto ampia. Alla sua sinistra, Mya e Grisam erano già sulla scala, con lei che indugiava sul primo gradino, e a destra Cassie trascinava Adam, il quale si stava girando verso di lui.
«Alec!» lo chiamò, e Cassie fu costretta a fermarsi. Il giovane Brass non si accorse della strafottenza che apparve sul viso della compagna, ma Alec sì.
«Oh, se vuoi puoi entrare dal retro. Se segui quella stradina c'è un piccolo ingresso per i domestici» consigliò con un tono fin troppo zuccheroso per i suoi gusti, indicando una vietta mattonata che non aveva visto prima.
Alec strinse i pugni e la guardò in cagnesco. Era convinto che anche questo lo stesse facendo apposta, era tutto un piano contro di lui per... per quale motivo?
«Te lo scordi che entro dall'ingresso dei domestici» disse tra i denti, sentendo il fuoco dell'ira divampare dentro di sé. In verità non gli importava granché di quale entrata dovesse utilizzare, solo che non riusciva a non pensare che una persona normale avrebbe proposto di deviare percorso all'intero gruppo. Anzi, niente proposte. Avrebbe deviato senza dir nulla e basta.
Cassie assunse un'espressione sorpresa e si mise una mano sul cuore. «Oh, non volevo offenderti. Solamente... aiutarti. Non puoi entrare da qui.»
Alec tremò e si morse ancora il labbro, ormai gonfio. Gli sarebbe piaciuto alzarsi, raggiungere la ragazza e dimostrarle quanto in realtà non avesse bisogno del suo "favore" di farlo passare dal retro. Gli sarebbe piaciuto, ma purtroppo non poteva. Era tutto parte di un disegno più grande. Era la sua punizione.
«Alec» si sentì chiamare. Adirato com'era non si era accorto che Adam l'aveva raggiunto e gli aveva poggiato una mano sulla spalla. «Ti posso portare io. L'ho già fatto una volta» gli propose a bassa voce.
Si scostò, infastidito. «No.»
La tensione si insinuò nell'aria, mentre Alec continuava a stringere i pugni e percepire il dolore al di sotto delle fasciature. Poi altre dita lo toccarono, più energicamente.
«Andiamo, fratellino. E non fare storie» lo canzonò Iris con tono allegro, e tutti quanti tirarono un sospiro di sollievo. Alec si voltò verso di lei, ricevendo un'occhiata ammonitrice. Solo vederla riuscì a calmarlo appena, ma serrò i denti quando si rese conto che era lui a dover essere un punto di appoggio per la sorellina più piccola, e non il contrario. Però... forse aveva ragione, forse stava esagerando con tutta quella storia.
Annuì per poi girarsi verso Cassie e fulminarla di nuovo con lo sguardo, inutilmente. La ragazza gli sorrise subdola prima di riprendere a camminare, la mano di Adam così stretta nella propria che Alec si domandò come fosse possibile che lui ce l'avesse ancora attaccata al corpo.
«Che ti prende?» gli chiese Iris non appena si furono allontanati un po'. Il vialetto procedeva per una decina di metri, poi incontrava un'entrata a sinistra. Alla destra invece era costeggiato da arbusti e tronchi di alberi così alti che coprivano parzialmente il sole.
Alec sospirò. «Non lo so. Non mi sento a mio agio» si limitò a dire, anche se quelle parole minimizzavano di parecchio ciò che provava.
«È solo una giornata. Passata questa non dovrai più rivederla» tentò la bionda, che aveva capito qual era il vero problema. In effetti, doveva essere evidente.
Aveva ragione, doveva resistere. Posso farcela, si incoraggiò. D'altronde cosa poteva peggiorare? Ormai erano quasi entrati. Si concentrò sui passi familiari della sorella, a malapena udibili sul sentiero di mattonelle interrotto da fili d'erba soffice. In men che non si dica, si ritrovò all'entrata, quasi identica a quella principale, con un portone intarsiato socchiuso e due battenti dai grandi cerchi in ottone.
Quando misero piede dentro, il legno li circondò. L'intero casale era fatto di quello che sembrava noce, colorato di un rossiccio che rendeva l'ambiente accogliente. Il mattonato di cotto dove Iris poggiò le scarpe da tennis pareva studiato apposta per fare pendant con le assi ramate che ricoprivano il muro.
«Wow» sentì sfuggire alla sorella. Probabilmente, proprio come lui, apprezzava più lo stile rustico di quel posto che tutto lo sfarzo di casa Brass. Si accostava meglio al luogo in cui avevano vissuto fino a poco tempo addietro, e non metteva in soggezione. Se si escludeva la padrona di casa, ovviamente.
«Siamo in cucina.» La voce di Mya riecheggiò per il grande corridoio che avevano davanti, proveniente da sinistra. Iris lo precedette e cominciarono a camminare, raggiungendo gli altri in un batter d'occhio, guidati dal loro chiacchiericcio.
«Stavamo per prendere qualcosa da bere, volete del succo, Iris?» chiese Cassie. Si era rivolta solo alla minore dei due Callaway, ma perlomeno aveva parlato al plurale. Forse doveva davvero darsi una calmata, pensò Alec mentre la ragazza gli si avvicinava con una caraffa contenente il liquido aranciato. Il suo viso era cordiale e non c'era traccia della meschinità di prima. Che avesse iniziato tutto con il piede sbagliato?
«Oh, no» esclamò Cassie. Nell'attimo in cui il biondo si voltò verso di lei, era già troppo tardi. Il vetro della brocca scivolò dalle sottili dita che la tenevano poco fermamente, e il contenuto si rovesciò addosso ad Alec, imbrattando i suoi pantaloni e la sua camicia.
Il silenzio calò nella stanza. Alec percepì lo sguardo dei presenti bruciargli la pelle mentre tentava di respirare lentamente per riprendere il controllo. Non alzò le iridi tempestose dal pavimento finché non riempì i polmoni di aria, ma anche allora non bastò. Scorgere l'espressione soddisfatta di Cassie, nascosta a tutti tranne che a lui, gli fece perdere ogni cognizione di sé stesso. Poi, il suo tono di voce falso mentre si scusava con parole che non riuscì nemmeno a identificare fu il colpo di grazia.
Si sporse verso di lei e la prese per il colletto della maglia. Tutto il resto sparì alla sua vista, non aveva occhi che per lei, l'unica che in quel momento desiderava veder sparire.
«Hai firmato la tua condanna» le disse minaccioso, mentre nel suo cervello prendevano forma le più apocalittiche – e soddisfacenti – opzioni di vendetta.
Avrebbe davvero compiuto gesti di cui poteva pentirsi se Adam non l'avesse fermato. Il suo tocco gli bloccò il polso freddo e il mondo ricominciò a scorrere. Il piagnucolio finto di Cassie lo mandò su tutte le furie, ma al tempo stesso capì che doveva controllarsi. Non avrebbe resistito accanto a quella gallina un secondo di più.
Si scansò con poca grazia la mano di Adam di dosso e indietreggiò fino a girarsi. Non aveva nemmeno idea di cosa ne pensasse l'amico, non lo aveva minimamente guardato in faccia.
«Dove vai, Alec?» lo chiamò Mya, ma non le rispose. Sentì Adam parlare con voce sommessa a Cassie e si infuriò ancora di più, fino a muovere rapidamente le ruote per guadagnare l'uscita della stanza.
«Alec, aspetta!»
Iris l'aveva raggiunto e lo stava tenendo per una spalla, da dietro.
«Me ne vado» le disse, ricominciando ad avanzare. Varcò la soglia e ripercorse il corridoio al contrario mentre Adam lo chiamava.
Che si fotta, pensò. Aveva preferito lei, nonostante l'evidenza della situazione. Si era affiancato a lei e di sicuro l'aveva difesa, probabilmente credeva fosse matto.
«Alec, dove stai andando?» Di nuovo Iris. Sospirò pesantemente e si voltò. Aveva qualche decina di secondi di autonomia, dopodiché sarebbe dovuto uscire di lì.
«Vado a casa. Chiamo Sam e mi faccio venire a prendere. Non preoccuparti.»
«Vengo con te.»
«Non se ne parla proprio. Tu resti qui.»
«Ma...» tentò lei, ma Alec scosse la testa.
«Ricordi la promessa di stamattina? Tu rimani e divertiti. Io starò bene, molto meglio che qui di sicuro.» Cercò di farsi vedere irremovibile, e alla fine la convinse, lo capì dal suo sguardo.
«Ci vediamo a casa?» gli chiese, infatti, titubante. Alec annuì e si lasciò abbracciare.
Nascondere l'ira che ancora infuriava in lui fu difficile, ma la sfogò non appena fu fuori. Spinse così forte sulle ruote da assumere una velocità sostenuta nonostante l'erba fosse piuttosto alta, specie una volta che ebbe superato il cancelletto della villa.
Quando fu lontano una dozzina di metri, si bloccò e chiamò Sam, più per necessità che per altro: non voleva aspettarlo ore e poi farsi riportare a casa, ma purtroppo era impossibilitato a tornare a piedi. Se ci fosse voluta mezz'ora o poco più l'avrebbe fatto volentieri, ma da lì a villa Brass erano due ore di auto.
«Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile» gracchiò il tono metallico della segreteria, dopo una breve attesa.
«Vaffanculo» urlò Alec di tutta risposta, ma la voce automatica continuò a parlare, incurante del suo stato d'animo. Lo fece infuriare così tanto che alla fine tirò il cellulare a terra e si allontanò rapido.
Non si fermò, la voglia di sfogarsi lo spinse fino al lago dov'erano stati prima, e solo a quel punto di concesse di riprendere fiato. Si perse nel suo riflesso che lo fissava cadaverico dalle acque limpide della riva e osservò i suoi stessi vestiti macchiati di quel liquido zuccheroso. Forse era il caso di lavarsi.
Si sporse e tentò di calarsi dalla sedia senza macchiarsi i pantaloni di sabbia, ma un polso gli cedette e scivolò con tutto il corpo dentro l'acqua.
L'urlo di impotenza che seguì avrebbe fatto raggelare il sangue a chiunque, se l'avesse ascoltato qualcuno. Ma non c'era nessuno nei paraggi. Era solo, come sempre.
Solo.
Sentì gli occhi pungere e se li stropicciò con la punta delle dita, ma il freddo lo distrasse presto, obbligandolo a smuoversi. Risalì con fatica sulla propria sedia e si tolse le fasciature gocciolanti, gettandole a terra. Le ferite esposte sulle mani pulsarono a contatto con l'aria, ma strinse i denti e se ne fregò. Voleva andarsene, dire addio a quel luogo e non tornarci mai più.
Si diresse più lentamente verso il boschetto a un centinaio di metri dal lago. Si estendeva a perdita d'occhio e sembrava portare pace e tranquillità. Ciò di cui aveva bisogno. Sperò che potesse renderlo dimentico per qualche ora di quel posto da incubo.
*
Tremava, mentre cercava la strada per tornare indietro. Aveva girovagato per quella selva tutto il giorno, procedendo a rilento per via del terreno difficoltoso da affrontare per la sua sedia a rotelle. Solo quando la penombra del bosco si era infittita si era reso conto di quanto tempo fosse passato, e aveva iniziato a correre – per quanto potesse – per trovare una via di ritorno. Ogni albero sembrava uguale all'altro, un'accozzaglia di rami che volevano frustargli le spalle e inglobarlo nelle loro spire appuntite.
I suoi vestiti erano ancora bagnati per la caduta nel lago, e il sole non riusciva più a scaldare quel posto dimenticato, dove il tempo pareva essersi fermato per qualsiasi cosa tranne che per lui.
Tentò di aumentare di più l'andatura, ma una ruota si incastrò in una radice che non aveva visto e Alec si capovolse. Batté forte la testa contro un tronco e per un attimo si sentì stordito, ma il rumore di metallo stridente gli fece alzare il capo di scatto. Si rimise seduto e raddrizzò la propria sedia. Per quel poco che poteva ancora vedere con quella scarsa luce, riuscì a scorgere una ruota completamente sbilenca rispetto all'altra. Provò a farvi peso per salirci e questa si staccò del tutto dal resto, facendolo cadere a terra.
«Accidenti!» imprecò rabbrividendo. Non solo era bagnato e sporco del succo che gli si era appiccicato addosso, ma ora il fango gli impregnava caviglie, ginocchia e palmi.
Prese un profondo respiro e non si fece scoraggiare. Strisciò, prima aiutandosi con le mani e poi, quando fecero troppo male, sui gomiti. Continuò a cercare la via di casa anche dopo che questi si furono arrossati, fermandosi solamente nel momento in cui non ci vide più.
Si raggomitolò su sé stesso e gemette. Il viso prudeva, il corpo era scosso dai brividi, e gli occhi pungevano ancora di più. Si sentiva solo come non era mai stato, e iniziò a chiedersi se mai sarebbe uscito di lì, se mai avrebbe rivisto Iris o Mya.
Se mai avrebbe rivisto Adam.
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