Capitolo 18.2

Due mani salde mi muovevano le spalle, sentivo il respiro affannoso di qualcuno che si stava sporgendo, agitato, sopra di me.

«Sofia!»

«Sta rinvenendo», disse un'altra voce maschile, vicina.

«Oh Dio, grazie.»

Misi a fuoco il viso contrito di Mirko, il suo ampio petto, la sua collana con il ciondolo magico che scintillava, arrivando quasi a sfiorarmi il collo.

«Sofia?»

«Mirko», farfugliai, con la bocca impastata. «Sei ferito. Stai bene?»

Lui rise nervosamente, e si portò la mia mano fredda alla guancia, sospirando.

«Se sto bene? Considerata quella tua bestiaccia, potrei stare peggio.»

«Ehm, ragazzi», ci interruppe l'altra persona che era con lui. «Sono contento che vi siate ritrovati, ma due Dis-cosi in neanche un'ora mi sono bastati. Che ne dite di levare le tende?»

«Tommaso?»

«Ciao, Sofia», mi salutò lui.

Era piegato sulle ginocchia, i jeans neri sfilacciati, con due larghi buchi sulle cosce, come se qualcosa vi si fosse aggrappato e avesse tirato talmente forte da strappare la stoffa.

Mi rimisi in piedi, stendendo i muscoli delle gambe, contro qualche fitta di dolore, mentre Mirko mi aiutava, pronto a sorreggermi.

«Cosa ti è successo?»

«Sai, avevo una gran voglia di carbonizzare qualche mostro», rispose Tommaso, sdrammatizzando. «Ma non sapevo dove trovarne uno.»

I suoi occhi chiari apparivano stanchi, cerchiati da brutte occhiaie, ma lo stesso attenti. Non volevano rilassarsi.

«Ha scatenato un inferno di fiamme proprio quando questo mi è scivolato di mano, e stavo diventando carne facile per il tuo mostro.» mi aggiornò Mirko, restituendomi il pugnale rubato dalla borsa.

«E' stato un caso che mi trovassi lì», precisò subito Tommaso. «Mi sono imbattuto in Mirko poco dopo essermi difeso dal mio scheletro preferito.»

«Bleah. Ancora quel rifugio per vermi?» chiesi, disgustata.

«Sì, non importa quante volte lo brucio, si ricompone sempre. In che direzione, quindi?» tagliò corto.

«Io vorrei andare di là», feci sapere, indicando una via a sinistra. «Fabiana dovrebbe essere nel bar vicino al prossimo semaforo.»

«Mmm. Io e Mirko siamo appena venuti da lì», commentò, poco convinto. «E non è stata una passeggiata.»

«Per favore», insistei con entrambi, nel modo più convincente possibile. «Non voglio andarmene senza di lei!»

La sala del bar era vuota e silenziosa, come del resto l'intero quartiere. Dove erano finiti tutti? Injin sembrava a un passo dal vincere la città.

«Siamo arrivati tardi?» chiese Mirko, dando voce a un pensiero che io rifiutavo.

«Le scale, potrebbe esserci un'altra sala al piano di sotto», notò Tommaso.

Scendemmo giù, e scoprimmo che aveva ragione, il bar aveva due sale, e un gruppo di quattro persone era radunato proprio in quella seconda.

«Fabiana!» chiamai, riconoscendo la mia amica seduta a un tavolo.

Lei sussultò alla mia voce, si alzò di scatto, e mi venne incontro, sollevata di vedermi insieme a Mirko e Tommaso.

«Ci avete messo un sacco!» esordì, buttandosi indietro con nervosismo una ciocca di capelli castani. «Vi aspettavo.»

«Diciamo che abbiamo avuto un incidente di percorso.» rispose Mirko, alludendo, vago, a qualcosa che ci aveva rallentati.

Fabiana squadrò i jeans strappati e le giacche lerce dei due ragazzi. «Siete sporchissimi e tu sanguini pure! Avete fatto a botte?»

Questa era lei: spontanea, diretta, ingenua. Vederla davanti a me senza neanche un graffio mi spinse a gettarle le braccia al collo.

«Ehi, Sofia, piano, mi soffochi», bofonchiò, al mio improvviso slancio.

«Sono tanto, tanto, felice di vederti», ammisi, sperando che Nadia ci stesse guardando, che fosse lì da qualche parte, nascosta. Doveva guardarci. Perché quel momento era anche per lei.

«Pure io lo sono», ricambiò, con sentimento, Fabiana. «Molto, moltissimo. Non hai idea di quanto. Mi sono rintanata qui sotto perché non avevo più il coraggio di uscire.»

«Hai fatto bene. Mi dispiace di non essere arrivata prima.»

«Nadia?» s'informò, speranzosa, e io scossi la testa, ricacciando indietro le lacrime che mi salivano agli occhi.

«Siamo noi quattro», risposi, desolata per la perdita, seppure il pensiero che la Nadia eterea ci avrebbe fatto ancora compagnia, per quanto possibile, mi confortasse.

Finché non lo udii di nuovo, quel ringhio animale. Oscuro, lento, lugubre. Una cacofonia che giungeva da lontano pur di trovarmi. E io vibrai sulle sue note di un terrore convulso.

Pizzicò i miei punti deboli, scendendo nelle profondità del mio animo, mi sospinse a perdere il controllo, ma io mi forzai a non cedere.

«L'avete sentito anche voi?» si preoccupò subito Fabiana.

Mirko annuì, afferrandomi un braccio con fare protettivo. Mi lanciò uno sguardo che diceva: "Ce la faremo o forse no, non posso assicurartelo, ma stiamo vicini."

«Dobbiamo tornare di sopra!» esortò Tommaso, allarmato, spostandosi verso le scale. «Adesso o sarà tardi.»

«Via dal bar!» decise con lui Mirko, facendo segno anche alle altre tre persone che erano lì sotto, e io iniziai a pregare.

L'aria era gelida, immobile, sembrava volesse ghiacciare ogni via di fuga, e noi con essa. In strada non incontrammo nessuno a cui chiedere aiuto, o a cui prestarlo. Probabilmente eravamo tra i pochi ancora vivi del quartiere.

Un altro ringhio.

Più chiaro. Vicino.

Accelerai il passo insieme a Mirko, alla guida del gruppo, con Tommaso e Fabiana che ci seguivano. Ci stavamo dirigendo verso l'azienda della mia famiglia, il luogo che sia io che Tommaso ritenevamo più sicuro, almeno per quanto riguardava l'arsenale di armi.

«Ci sta alle costole!»

«No, non alle costole», lo smentì Mirko, fermandosi di botto. «Davanti.»

La mia Paura si profilò all'orizzonte in un ammasso di pelo grigio, denti aguzzi, e zampe prestanti. Una belva senza identità, libera e affamata.

Riconobbi in lei tutte le notti insonni, gli incubi, e le insicurezze che avevo avuto nel corso degli anni, e per un istante mi parve di rivedere me stessa.

L'istinto mi diceva di scappare, di correre per la mia vita, ma non avevo più intenzione di farlo, se questo significava lasciar fare a qualcuno dei miei amici qualcosa di stupido per salvarmi.

Strinsi forte il pugnale, le nocche che mi duolevano dalla pressione, e attesi contro il mio istinto che il Dysdaimon caricasse.

Quando il cane-orso iniziò la sua rincorsa, spalancando le fauci nauseabonde, Fabiana cacciò un urlo acuto, e Mirko cercò di spostarmi dalla sua traiettoria, ma io mi opposi con agilità, sgusciando via dalle sue braccia.

Fendetti decisa il pugnale, sigillando in quell'unico gesto la volontà di reagire, di combattere, e di sconfiggere la mia Paura.

Gli arcani intrecci in rilievo si animarono all'istante, brillando di una accecante luce azzurra, che ben presto si staccò dall'acciaio e prese a vorticare nell'aria davanti a noi.

La luce azzurra divenne liquida, una massa d'acqua che si modellò fino a comporre un gigantesco riccio di mare, dall'involucro ghiacciato.

Rimasi a bocca aperta, quando le sue dure e affilate spine di ghiaccio si conficcarono dentro la carne del cane-orso, e lo trapassarono da parte a parte.

Fiotti di sangue verde schizzarono fuori dal suo corpo e si riversarono in larghe pozze sul marciapiede. Il Dysdaimon si contorse, lottò per liberarsi, ma la difesa del riccio di mare era al tempo stesso un letale attacco, e le sue spine affondavano sempre più.

Tommaso creò una fiamma dal palmo della sua mano, facendola crepitare fino a mezzo metro di altezza, poi la lasciò andare con un movimento, alzando un muro di fuoco tra il riccio marino e la mia Paura, e noi quattro.

Il nostro gruppetto se l'è vista brutta, ma in qualche modo, la magia è riuscita a tenere a bada quel mostro. Benedetto sia il pugnale *__* e Tommaso! Fatevi sentire nei commenti quando potete, come sempre mi fa piacere parlarvi :-* Non manca più molto alla conclusione, stiamo arrivando a capitoli davvero importanti, preparatevi. A domani!


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top